Diritto Societario e Registro Imprese
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6920 - pubb. 01/08/2010
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Cassazione civile, sez. I, 24 Luglio 2007, n. 16388. Est. Rordorf.
Società - Di capitali - Società per azioni - Bilancio - Contenuto - Criteri di valutazione - In genere - Iscrizione nel conto economico di ricavi - Incertezza an e quantum - Illegittimità - Correttezza e veridicità - Violazione - Relazione esplicativa amministratori - Requisito di chiarezza - Sussistenza - Insufficienza.
È illegittima l'iscrizione in bilancio, tra i ricavi della società, di proventi da conferimenti per un ammontare che, alla data di chiusura dell'esercizio di competenza, è incerto ed ipotetico in quanto fondato su una stima suscettibile di essere modificata sulla base di evenienze non dipendenti dalla società. Il rispetto del requisito della chiarezza, riguardante il contenuto informativo del bilancio, mediante la spiegazione, nella relazione degli amministratori, delle ragioni dell'incertezza nella determinazione dei proventi incidenti sui ricavi, non sana il difetto dei requisiti di correttezza e veridicità del bilancio che attengono al risultato economico, ed impongono l'iscrizione di componenti positive del reddito non meramente ipotetiche. (massima ufficiale)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOSAVIO Giovanni - Presidente -
Dott. PLENTEDA Donato - Consigliere -
Dott. RORDORF Renato - rel. Consigliere -
Dott. GILARDI Gianfranco - Consigliere -
Dott. SCHIRÒ Stefano - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CICINELLI Costantino, elettivamente domiciliato in Roma, via Antonio Bertoloni 26/b, presso l'Avv. BRUGNOLETTI Massimiliano, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
la SOCIETÀ COOPERATIVA AGRICOLA A R.L. CINCINNATO, in persona del legale rappresentante sig. Milita Nazzareno, elettivamente domiciliato in Roma, viale Pasteur 70, presso l'avv. Claudio Tomassini, rappresentato e difeso dall'avv. MARCHETTI Raffaele, giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza della Corte d'appello di Roma, depositata in data 29 aprile 2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dal Consigliere Dott. Renato RORDORF;
uditi per il ricorrente l'avv. Maurizio DELL'UNTO per delega dell'avv. Massimiliano BRUGNOLETTI, e per il controricorrente l'avv. Raffaele MARCHETTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il sig. Costantino Cicinelli, socio della Cooperativa Agricola Cincinnato a r.l. (in prosieguo indicata solo come Cincinnato), con atto notificato il 24 maggio 1993, citò detta cooperativa in giudizio dinanzi al Tribunale di Latina per far dichiarare la nullità della deliberazione con cui l'assemblea aveva approvato il bilancio relativo all'esercizio chiuso in data 31 agosto 1992. Il tribunale, con sentenza emessa P8 novembre 1999, ritenne fondata una sola delle censure rivolte dall'attore al bilancio - quella concernente l'appostazione tra i ricavi del conto economico dell'importo di L. 1.800.000.000, somma in realtà non ancora del tutto incassata ma derivante dalla mera stima di un conferimento di vino operato nell'anno precedente dalla Cincinnato in favore di altra cooperativa di cui essa era socia - e pertanto accolse la domanda. La Cincinnato interpose gravame e la Corte d'appello di Roma, con sentenza depositata il 29 aprile 2003, riformò la decisione di primo grado osservando che l'opinabilità della contestata appostazione di bilancio era superata dalle spiegazioni al riguardo fornite nella relazione accompagnatoria del bilancio medesimo, in cui era stato indicato che il ricavato del conferimento costituiva una mera stima di quanto sarebbe stato poi effettivamente incassato e che, pertanto, si trattava di una posta suscettibile di future variazioni. Il principio di chiarezza del bilancio appariva perciò rispettato e l'approvazione del bilancio stesso ad opera dell'assemblea non presentava carattere d'illiceità, tanto più che il medesimo attore aveva preso parte in qualità di consigliere di amministrazione alla predisposizione del documento senza avvertire il bisogno di chiedere chiarimenti di sorta.
Avverso tale sentenza il sig. Cicinelli ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi.
La cooperativa intimata si è difesa con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I due motivi del ricorso, con cui rispettivamente si denuncia la violazione degli artt. 2423, 2425 e 2425 - bis c.c. e si lamentano vizi di motivazione dell'impugnata sentenza, ruotano intorno al medesimo tema e possono perciò essere congiuntamente esaminati. Ciò di cui si è discusso e tuttora discute in causa è la
legittimità di una posta che figura tra i ricavi del conto economico del bilancio della cooperativa controricorrente, approvato dall'assemblea dei soci in data 28 febbraio 1993 e relativo all'esercizio chiuso al 31 agosto 1992. L'appostazione si riferisce al ricavato del conferimento di vino effettuato l'anno precedente dalla Cincinnato in favore di altro ente, la Cooperativa Marino, di cui la medesima Cincinnati era socia. Ma, poiché l'importo corrispondente a quel conferimento non era stato ancora incassato (o non del tutto) alla data di chiusura dell'esercizio e, per accordi tra le parti, il suo preciso ammontare sarebbe dipeso dall'andamento successivo dei prezzi del mercato del vino e dal risultato economico raggiunto dalla conferitaria Cooperativa Marino, secondo l'attore (odierno ricorrente) l'iscrizione tra i ricavi di un importo meramente stimato non poteva dirsi conforme ai principi di chiarezza e veridicità del bilancio, stabiliti dal citato art. 2423 c.c.. Siffatta opinione, condivisa dal tribunale, è stata invece disattesa dalla corte d'appello: non perché detto giudice abbia ritenuto ineccepibile l'appostazione di bilancio in esame, ma perché le spiegazioni al riguardo fornite nell'allegata relazione degli amministratori gli sono appare sufficienti a rendere comunque chiara la situazione sottostante a quella posta.
Il ricorrente però obietta che le spiegazioni contenute nella relazione degli amministratori non erano tali da ripristinare l'intervenuta violazione dei suindicati principi di veridicità e chiarezza del bilancio, per la decisiva ragione - trascurata nella motivazione dell'impugnata sentenza - che in quella relazione nessuna indicazione era stata in realtà fornita circa gli elementi destinati ad incidere sul prezzo finale del vino conferito dalla Cincinnato alla Cooperativa Marino. Insiste poi, il medesimo ricorrente, nell' affermare che l'alcatorietà del prezzo, dipendente da fattori estranei alla volontà della cooperativa, escludeva comunque la possibilità d'iscrivere quell'importo tra i ricavi, con il rischio di "gonfiare" il risultato dell'esercizio e di sovrastimare le eventuali quote di liquidazione spettanti ai singoli soci e con la difficoltà di registrare poi le minusvalenze che si fossero manifestate successivamente. Nè aveva rilievo l'atteggiamento tenuto dal medesimo ricorrente nel corso del procedimento di formazione ed approvazione del bilancio, poiché le regole di redazione ad esso relative sono dettate inderogabilmente dal legislatore anche a tutela dell'interesse dei terzi.
2. Prima di vagliare specificamente la fondatezza delle prospettate doglianze, occorre farsi carico di un'eccezione sollevata dalla difesa di parte controricorrente, secondo cui le critiche originariamente rivolte dall'attore alla più volte menzionata posta di bilancio erano state ritenute fondate dal tribunale solo sotto il profilo della violazione del principio di veridicità del bilancio medesimo; non avendo l'attore proposto appello incidentale, ogni questione in tema di violazione del principio di chiarezza - autonomo e distinto rispetto a quello di veridicità - sarebbe dunque ormai preclusa.
L'eccezione non coglie nel segno.
È certo vero che l'art. 2423 c.c., comma 2 (applicabile anche alle cooperative per effetto del richiamo operato dal successivo art. 2516, ora sostituito dall'art. 2519 c.c.) impone di tener conto nella redazione del bilancio sia del principio di chiarezza che del principio di veridicità (nonché di correttezza), sostanzialmente corrispondenti ai principi di chiarezza e precisione già enunciati nel testo originario della medesima disposizione (prima delle modifiche introdotte con il D.Lgs. n. 127 del 1991). Ed è vero anche che si tratta di principi distinti, ancorché spesso nella realtà intrecciati, in quanto i principi di veridicità e correttezza si riflettono di regola sul risultato del bilancio, laddove quello di chiarezza impone di fornire le spiegazioni necessarie alla comprensione della realtà patrimoniale, economica e finanziaria della società, anche indipendentemente dall'espressione numerica delle singole poste e dal risultato finale che ne deriva: onde ben si comprende come il rispetto del principio di chiarezza entri in gioco soprattutto quando si tratta di poste di bilancio la cui redazione sia frutto non solo di rilevamenti storici, che come tali sarebbe sufficiente enunciare, ma anche di stime o di previsioni delle quali occorre siano spiegati i sottostanti criteri. Nè più oggi si dubita del fatto che anche la sola violazione del principio di chiarezza, funzionale all'essenziale finalità informativa del bilancio, valga ad inficiare il bilancio medesimo e possa perciò determinare la nullità della deliberazione assembleare di approvazione (in proposito basti citare, per tutte, Sez. un. 21 febbraio 2000, n. 27). Non è vero, però, che l'accoglimento ad opera del tribunale della domanda dell'attore per violazione del principio di veridicità del bilancio comporti il rigetto implicito dei profili di doglianza concernenti invece la violazione del principio di chiarezza, il quale, semmai, ne è risultato assorbito. E, d'altronde, benché ne' l'impugnata sentenza ne' il successivo ricorso distinguano sempre in modo puntuale i due profili sopra richiamati, riferendosi talvolta indifferentemente alla violazione dell'uno e dell'altro principio, non par dubbio che la corte d'appello, nell'argomentare le ragioni del proprio dissenso rispetto alla decisione del tribunale, abbia avuto soprattutto di mira proprio il tema della violazione del principio di chiarezza. L'affermazione secondo la quale le spiegazioni ricavabili dalla relazione degli amministratori apparivano idonee a far comprendere come la posta impropriamente iscritta tra i ricavi fosse in realtà frutto di una mera stima - affermazione assolutamente centrale nell'economia del giudizio espresso dalla corte d'appello e coerente con uno di motivi di gravame formulati dalla stessa cooperativa oggi controricorrente - è volta infatti a porre in luce l'assenza di sostanziali carenze informative del bilancio sul punto, e perciò investe inequivocabilmente un profilo di chiarezza, ancora in discussione in quel grado del giudizio.
I Nessuna preclusione può dirsi perciò maturata a tal riguardo. 3. La distinzione sopra accennata, tra vizi idonei ad incidere sulla veridicità e correttezza del bilancio e vizi che si riflettono sulla chiarezza e dunque sulla completezza dell'informazione, va però tenuta ferma: giacché anche le doglianze in questa sede formulate dal ricorrente sono riconducibili per certi versi all'uno e per certi versi all'altro profilo.
In realtà, nel ricorso, è messa in discussione anche e proprio la circostanza che la corte d'appello abbia risolto la controversia unicamente fondandosi sull'ipotizzata idoneità della relazione degli amministratori a sopperire, sul piano informativo, alle anomalie pur certamente riscontrabili nella posta del conto economico di cui si discute. Il ricorrente, infatti, non solo mette in dubbio la pretesa completezza informativa della relazione sul punto, ma fa anche rilevare come l'aver ricompreso senz'altro tra i ricavi la somma corrispondente ad un prezzo (o parte di prezzo) di vendita non ancora ben determinato sia circostanza idonea ad incidere sul risultato dell'esercizio: il che sposta necessariamente l'attenzione sui precetti di veridicità e (soprattutto) di correttezza del bilancio. Precetti che - è superfluo ricordarlo - al pari di quello di chiarezza costituiscono vere e proprie clausole generali, come tali destinate a valere per tutti i diversi documenti di cui il bilancio si compone, ivi compreso naturalmente anche il conto economico. Sotto questo angolo di visuale la doglianza del ricorrente appare fondata.
Se è vero che il principio di competenza impone di imputare i ricavi ed i proventi di una vendita all'esercizio in cui la vendita medesima ha avuto luogo, avendo riguardo al momento in cui si è verificato il trapasso di proprietà che ne costituisce l'effetto tipico, indipendentemente dal fatto che l'incasso materiale del prezzo sia posticipato ad un esercizio successivo (art. 2423 - bis c.c., n. 3), è vero ugualmente che detto principio deve esser conciliato con quello di realizzazione, il quale a propria volta costituisce una specificazione del principio di prudenza, (art. cit, nn. 1 e 2). Per poter iscrivere in bilancio una componente positiva di reddito occorre, cioè, che essa sia certa nella sua esistenza e nel suo ammontare: non può essere soltanto ipotetica. Non è consentito inserire componenti di reddito solo sperate o attese, le quali però, una volta iscritte nell'attivo, necessariamente concorrerebbero alla formazione di utili non ancora effettivamente realizzati. Le regole di redazione del bilancio si ispirano qui - come la dottrina ha da tempo sottolineato - ad un criterio di dissimmetria: a differenza delle perdite, che vanno indicate anche se soltanto probabili, gli utili non possono essere rilevati sulla base di un mero calcolo di probabilità.
L'illegittimità della posta di bilancio della quale si sta ora specificamente trattando non può quindi ritenersi sanata per il solo fatto che la relazione degli amministratori ha dato conto della (almeno parziale) perdurante incertezza nella determinazione del prezzo di vendita delle merci e, di riflesso, nel computo dell'ammontare effettivo dei ricavi di competenza. Un dato di bilancio può risultare chiaro e ben spiegato ma, nondimeno, non essere corretto; ed il bilancio allora ne risulta viziato, se la scorrettezza si riflette sul risultato economico che esso è destinato a fornire e che deve invece essere calcolato in conformità alle regole inderogabili di legge.
Ne consegue l'illegittimità dell'iscrizione tra i ricavi del conto economico della società di proventi da conferimento di vino per un ammontare che, alla data di chiusura dell'esercizio di competenza, non risultava ancora determinato (o non completamente determinato) ma era allo stato frutto di una mera stima, suscettibile di essere poi o meno confermata in base ad accadimenti futuri.
Alla luce di siffatti rilievi appare chiaro come la decisione della corte d'appello, che si è concentrata sul solo profilo della sufficienza informativa dei dati offerti dall'insieme dei documenti di bilancio e dell'allegata relazione degli amministratori ma ha trascurato del tutto la non conformità di quei dati ai principi contabili da applicare nella fattispecie, non può dirsi rispettosa delle norme dettate in proposito dal legislatore (artt. 2423 e segg. c.c.). Il che impone senz'altro di cassare l'impugnata sentenza e rende superfluo l'esame dei rimanenti profili di doglianza prospettati dal ricorrente.
Giova solo aggiungere che a tale conclusione non vale opporre la circostanza (cui peraltro nell'impugnata sentenza si fa cenno quasi di sfuggita) per cui lo stesso odierno ricorrente nessuna obiezione aveva mosso al bilancio poi impugnato, quando già in precedenza ne aveva preso conoscenza in seno al consiglio di amministrazione del quale faceva parte e poi in assemblea. Un rilievo, questo, che può giustificare riserve sulla condotta preprocessuale del ricorrente - e se ne dovrà tener conto nella liquidazione delle spese del giudizio - ma che non basta a negargli, al pari di qualsiasi altro socio, l'interesse alla correttezza del bilancio della società e, pertanto, la legittimazione ad insorgere avverso la deliberazione assembleare che ha approvato un bilancio non conforme ad inderogabili prescrizioni di legge (si veda anche, in argomento, Cass. 11 dicembre 2000, n. 15592).
4. Alla cassazione della sentenza impugnata può far seguito senz'altro la decisione nel merito, non occorrendo ulteriori accertamenti.
Per le ragioni già sopra ampiamente illustrate, la domanda dell'attore va infatti accolta, con conseguente declaratoria di nullità della deliberazione assembleare con cui fu approvato il bilancio contenente, tra i ricavi del conto economico, la posta non correttamente iscritta.
5. Sussistono giusti motivi, riconducibili al già riferito comportamento preprocessuale dell'attore, per compensare tra le parti le spese dell'intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte
1. accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata;
2. pronunciando nel merito, dichiara la nullità della deliberazione con la quale il 28 febbraio 1993 l'assemblea della Cooperativa Agricola Cincinnato a r.l. ha approvato il bilancio dell'esercizio chiuso in data 31 agosto 1992;
3. compensa tra le parti le spese dell'intero giudizio. Così deciso in Roma, il 24 maggio 2007.
Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2007