Diritto Societario e Registro Imprese
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6912 - pubb. 01/08/2010
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Cassazione civile, sez. I, 28 Maggio 2004, n. 10271. Pres., est. Rordorf.
Società - Di capitali - Società a responsabilità limitata - Bilancio - Ripartizione degli utili - Diritto dei soci agli utili - Acquisizione - Condizione - Delibera assembleare - Necessità - Società composta da due soli soci in posizione paritetica - Rilevanza - Esclusione.
Anche nelle società a responsabilità limitata (nel vigore della disciplina dettata dal codice civile del 1942, anteriormente alla riforma organica di cui al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) non è configurabile - al pari di quanto si verifica in tema di società per azioni - un diritto del socio agli utili senza una preventiva deliberazione assembleare in tal senso, a nulla rilevando che la società sia composta da due soli soci in posizione paritetica. (massima ufficiale)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RORDORF Renato - rel. Presidente -
Dott. GILARDI Gianfranco - Consigliere -
Dott. PICCININNI Carlo - Consigliere -
Dott. MACIOCE Luigi - Consigliere -
Dott. FITTIPALDI Onofrio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RAPONI ANTONIO, elettivamente domiciliato in Roma VIA EURIALO 9, presso l'avvocato STEFANO TURCHETTI, che lo rappresenta e difende, giusta mandato in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
RAPONI ALFREDO;
- intimato -
e sul 2^ ricorso n^. 20001/01 proposto da:
RAPONI ALFREDO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA V. VENETO 108, presso l'avvocato SALVATORE PESCATORE, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
Raponi Antonio, elettivamente domiciliato in ROMA VIA EURIALO 9, presso l'avvocato STEFANO TURCHETTI, che lo rappresenta e difende, giusta mandato in calce al ricorso;
- controricorrente al ricorso incidentale -
avverso la sentenza n. 1527/00 della Corte d'Appello di ROMA, depositata il 09/05/00;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica Udienza del 20/02/2004 dal Consigliere Dott. Renato RORDORF;
udito per il ricorrente l'Avvocato TURCHETTI che ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale ed il rigetto di quello incidentale condizionato;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l'assorbimento del ricorso incidentale condizionato. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il sig. Antonio Raponi, socio della Mat. Ed. s.r.l., il 4 luglio 1990 citò in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma l'altro socio, sig. Alfredo Saponi, che della società era anche amministratore. Lamentò che il convenuto si fosse appropriato di utili derivati dalla vendita di beni immobili e che non avesse restituito due automezzi meccanici ricevuti in comodato. Ne chiese perciò la condanna, in proprio favore, al pagamento della somma di L. 106.700.000 ed alla restituzione di detti automezzi.
Il convenuto si difese eccependo l'inammissibilità della domanda ed, in via subordinata, l'intervenuta prescrizione del diritto azionato dall'attore.
L'adito tribunale, con sentenza emessa il 20 febbraio 1997, dichiarò il convenuto carente di legittimazione passiva, con riguardo alla pretesa di accertamento e corresponsione di utili generati dall'attività sociale, e rigettò per infondatezza la domanda concernente gli automezzi.
Sul gravame proposto dal sig. Antonio Raponi, la Corte d'appello di Roma, con sentenza depositata il 9 maggio 2000, confermò integralmente la decisione di primo grado.
La corte infatti ritenne che, fin quando non sopravvenga una deliberazione assembleare che dispone la distribuzione di dividendi, il socio è titolare di una mera aspettativa al conseguimento degli utili, e non di un vero e proprio diritto. Ed aggiunse che, anche se si fosse voluto ravvisare nella specie un'azione di responsabilità, promossa ai sensi dell'art. 2395 c.c., si sarebbe dovuto ugualmente escludere la legittimazione dell'attore, perché i danni da lui lamentati si erano prodotti a carico del patrimonio sociale, e non direttamente di duello personale di esso attore, il quale dunque difettava di titolo anche per far valere un'ipotetica responsabilità aquiliana dell'amministratore della società. La corte, infine, ritenne che correttamente avesse deciso il primo giudice in ordine alla domanda di restituzione degli automezzi, che risultavano esser stati venduti al sig. Alfredo Raponi dalla società e non a lui prestati dall'appellante.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre il sig. Antonio Raponi, formulando tre motivi di censura.
Resiste con controricorso il sig. Alfredo Raponi, proponendo altresì un motivo di ricorso incidentale condizionato, cui l'altra parte replica a propria volta con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I ricorsi proposti avverso il medesimo provvedimento debbono preliminarmente essere riuniti, come prescrive l'art. 335 c.p.c.. 2. Con il primo motivo il ricorrente principale si duole della violazione degli artt. 100, 101 e 112 c.p.c., nonché di vizi della motivazione su punti decisivi.
Egli ricorda di aver censurato la sentenza di primo grado sia nella parte in cui la sua azione era stata erroneamente qualificata in termini di pretesa di adempimento contrattuale, sia con riferimento all'asserita carenza di legittimazione passiva del convenuto in rapporto a tale azione; e lamenta che la aorte d'appello non abbia motivato la reiezione di siffatte censure, omettendo di qualificare giuridicamente la domanda.
Sostiene poi che, se tale qualificazione la si volesse ravvisare nei riferimenti operati dalla medesima corte d'appello all'azione di responsabilità ex art. 2395 c.c., sarebbe nondimeno immotivata ed errata l'affermazione in tema di carenza di legittimazione, dovendosi questa determinare alla stregua dell'interesse dedotto in lite dall'attore ed indipendentemente dalla fondatezza nel merito della sua domanda.
3. Il secondo motivo del ricorso principale e volto a lamentare la violazione del citato art. 2395, oltre che ulteriori vizi di motivazione dell'impugnata sentenza.
Il ricorrente sostiene che il principio di diritto richiamato dalla corte territoriale - secondo cui nessun diritto agli utili compete all'azionista fin quando gli utili non siano stati accertati dall'assemblea e questa non ne abbia disposto la distribuzione - non sarebbe applicabile in un caso, coma quello in esame, di società a responsabilità limitata composta da due soli soci in posizione paritetica. Il diritto del socio agli utili troverebbe la propria fonte, in questo caso, direttamente nel contratto sociale e la deliberazione dell'assemblea in proposito avrebbe unicamente la funzione di renderlo esigibile di modo che l'illegittimo comportamento dell'amministratore, che quegli utili abbia distratto, integrerebbe una violazione direttamente riferibile al patrimonio del socio e, come tale, suscettibile di generare una responsabilità di natura aquiliana dell'amministratore nei confronti del socio stesso. 4. Da ultimo, il sig. Antonio Raponi si duole della violazione dell'art. 2043 c.c., ed ulteriormente di vizi della motivazione dell'impugnata sentenza, lamentando che la corte d'appello abbia omesso di prendere in considerazione la sua domanda anche sotto il profilo di responsabilità derivante dall'applicazione del citato art. 2043.
5. Reputa il collegio che nessuna di tali doglianze sia idonea a provocare la cassazione dell'impugnata sentenza.
5.1. La prima di esse, nell'indugiare sul tema della qualificazione della domanda, trascura che la corte di merito, proprio la conseguenza del motivo di gravame in proposito formulato dall'appellante, ha con chiarezza prospettato una duplice possibilità d'interpretazione della domanda medesima. Essa ha ipotizzato, anzitutto, che la domanda avanzata dal sig. Antonio Raponi nei confronti dell'altro socio potesse interpretarsi come volta a far valere un diritto dell'attore alla percezione degli utili derivati dall'esercizio dell'attività sociale, diritto che si sarebbe voluto far discendere direttamente dal contratto di società. Ma, se così letta, la domanda sarebbe infondata, in quanto - ha osservato la corte d'appello - un tal diritto non sorge prima dell'eventuale deliberazione di distribuzione degli utili da parte dell'assemblea dei soci (nè, comunque, rispetto ad una simile pretesa, sarebbe legittimato passivamente l'altro socio in proprio). Se, invece, la medesima domanda dovesse esser ricondotta ad un'ipotesi di responsabilità personale del socio-amministratore, per avere egli distratto gli utili conseguiti dall'attività dell'impresa societaria, non si tratterebbe di una azione esperibile dal singolo socio (ex art. 2395 c.c.), perché non direttamente al patrimonio di costui, bensì al patrimonio dalla società quell'illecito comportamento avrebbe arrecato pregiudizio.
Non si vede, dunque, sotto qual profilo possa lamentarsi che la corte d'appello abbia omesso di pronunciarsi sulla qualificazione della demanda, ne' si comprende quale diversa, ulteriore a decisiva ipotesi di qualificazione essa avrebbe dovuto prendere in esame. Le conclusioni alle quali la medesima corte d'appello e pervenuta, sulla scorta delle due ipotesi interpretativa sopra richiamate, sono dal resto pianamente conformi al diritto - cene meglio si dirà esaminando il secondo motivo di ricorso - e se qualche imprecisione può forse ravvisarsi nella terminologia adoperata in tema di legittimazione, non si tratta in alcun modo di rilievi idonei ad influire sulla portata conclusiva dalla decisione. È vero, infatti, che legittimazione attiva e passiva debbono essere valutate alla stregua della prospettazione operata nella domanda, e non della fondatezza di questa noi merito. Ma, nel caso in esame, se la domanda fosse da interpretare coma una pretesa agli utili derivante dall'immediata attuazione del contratto sociale, si perverrebbe comunque ad una situazione di carenza di legittimazione perché una siffatta pretesa (a prescindere da quanto sopra osservato a proposito dalla sua infondatezza nel merito) non potrebbe comunque essere diretta che verso la società, e non certo verso l'altro socio o verso l'amministratore personalmente.
Di un difetto di legittimazione passiva del sig. Alfredo Raponi non si potrebbe parlare, viceversa, se si ravvisasse nella specie un'ipotesi di esercizio dell'azione di responsabilità prevista dall'art. 2935 c.c., la quale è certo proponibile dal singolo socio nei confronti personali dall'amministratore della società. Ma si è già visto - e ci si dovrà tornare a proposito del secondo motivo di ricorso - che di quell'azione fa difetto una delle condizioni poste da detto articolo, perché non è nella specie possibile ravvisare un danno diretto arrecato al patrimonio del socio attore. Il che rende del tutto privo d'interesse concreto il discutere se la corte territoriale dovesse rigettare una tal domanda nel merito, o piuttosto dichiararla inammissibile per carenza di legittimazione attiva del sig. Antonio Raponi.
5.2. Del tutto infondata è la tesi sostenuta nel secondo motivo di ricorso.
La circostanza che la corte d'appello, nel richiamare il consolidato principio per il quale non si dà diritto del socio agli utili senza una preventiva deliberazione assembleare in tal senso (cfr., tra le altre, Cass. 11 marzo 1993, n. 2959), abbia fatto riferimento all'azionista ed alla società per azioni non implica certo - come parrebbe ipotizzare il ricorrente - che tale principio non debba valere anche per la società a responsabilità limitata (almeno con riferimento alle norme dettate originariamente a tal riguardo dal codice civile del 1942, applicabili a fattispecie occorse prima dell'entrata in vigore del d. lgs. n. 6 del 2003, le quali nessuna significativa distinzione ponevano, sotto questo aspetto, tra la disciplina dei due suindicati tipi di società). Nè si vede quale rilievo possa avere, in proposito, il fatto che la ripartizione delle quote sociali tra i due soci fosse in questo caso paritetica. Da un lato, dunque, è certamente da escludere che nella società a responsabilità limitata (nel vigore delle norme sopra richiamate) la posizione giuridica del socio rispetto agli utili sia suscettibile di una valutazione diversa da quella dell'azionista di una società azionaria. Dall'altro lato, essendo gli utili parte del patrimonio sociale fin quando l'assemblea eventualmente non ne disponga la distribuzione in favore dei soci, è di assoluta evidenza che l'asserita sottrazione indebita di tali utili ad opera dell'amministratore leda appunto il patrimonio sociale, e solo indirettamente si ripercuota sulla posizione giuridica e sull'interessa economico del singolo socio, compromettendo la sua aspettativa di reddito e comprimendo il valore della sua quota. Il che è sufficiente ad escludere che al socio competa, in simili casi, l'azione contemplata dal citato art. 2395, la quale presuppone invece l'esistenza di un danno subito dal medesimo socio direttamente, non cioè come mero riflesso del danno sociale di cui solo la società, tramite gli organi a ciò abilitati e con il procedimento a tal fine prescritto dal precedente art. 2393, può chiedere il risarcimento all'amministratore (cfr., ex multis, Cass. 8 gennaio 1999, n. 97). 5.3. Il terzo motivo del ricorso principale è inammissibile. Il ricorrente si limita genericamente a far riferimento a comportamenti delittuosi da lui ascritti alla controparte, ma non chiarisce sotto qual profilo egli abbia specificamente invocato la responsabilità ex art. 2043 c.c. Il che non consente a questa corte - cui è inibito l'esame diretto del materiale probatorio acquisito nei gradi di merito - di valutare se si tratti di un profilo di fatto ulteriore e diverso da quello già esaminato trattando dei primi due motivi di ricorso (nel qual caso il riferimento alla disposizione da ultimo citata nulla aggiungerebbe a quanto già dianzi osservato, restando comunque preclusa al socio al possibilità di ottenere lui il risarcimento di danni subiti dalla società), oppure se si tratti di fatti diversi. Fatti dei quali però, in questo caso, il ricorrente avrebbe avuto l'onere d'indicare gli estremi, per consentire la valutazione della loro (almeno astratta) rilevanza, precisando se ed in quale atto difensivo essi erano stati già da lui dedotti nel giudizio di merito.
6. La reiezione del ricorso principale, che esonera dall'esame di quello incidentale proposto in via condizionata, induce a condannare il ricorrente sig. Antonio Raponi al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, le quali vengono liquidate in euro 3.000,00 (tremila) per onorari e 100,00 (cento) per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori secondo legge.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito l'incidentale e condanna il ricorrente principale al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 3.000,00 (tremila) per onorari e 100,00 (cento) per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori secondo legge. Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2004.
Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2004