Diritto del Lavoro
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6722 - pubb. 23/11/2011
Conversione giudiziale del rapporto di lavoro, indennità forfettaria e questione di legittimità costituzionale
Corte Costituzionale, 11 Novembre 2011, n. 303. Est. Mazzella.
L’indennità forfettaria per la conversione giudiziale del rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Rapporto di lavoro subordinato – Contratto di lavoro a tempo determinato – Conversione giudiziale dello stesso in rapporto di lavoro a tempo indeterminato – Indennità forfettaria ex art. 32, comma 5°, legge n. 183/2010 in luogo del risarcimento del danno – Questione di legittimità costituzionale – Infondatezza.
Rapporto di lavoro subordinato – Contratto di lavoro a tempo determinato – Conversione giudiziale dello stesso in rapporto di lavoro a tempo indeterminato – Indennità forfettaria ex art. 32, comma 5°, legge n. 183/2010 in luogo del risarcimento del danno – Applicazione ex art. 32 cit. comma 7°, anche ai casi sub judice – Questione di legittimità costituzionale – Infondatezza.
E’ costituzionalmente legittimo il disposto dell’art. 32, comma 5°, legge 183/2010, nella parte in cui prevede che al lavoratore che ottenga la conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato spetti, per il periodo dalla scadenza del termine alla sentenza di conversione, non l’integrale risarcimento del danno, ma solo una indennità forfettaria. (Fabrizio Daverio) (riproduzione riservata)
E’ costituzionalmente legittimo il disposto dell’art. 32, comma 7°, legge 183/2010 nella parte in cui prevede che la disciplina dell’indennità forfettaria debba essere applicata anche nei casi sub judice né ciò configura “un’ingerenza illecita del legislatore nell’amministrazione della giustizia”. (Fabrizio Daverio) (riproduzione riservata)
L’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 32, comma 5°, legge 183/2010 è quella per cui la indennità forfettaria sostituisce il risarcimento del danno secondo il diritto comune e non si aggiunge a detto risarcimento nonchè quella per cui la previsione di detta indennità non preclude il diritto alla conversione del rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato. (Fabrizio Daverio) (riproduzione riservata)
L’indennità forfettaria ex art. 32, comma 5°, legge 183/2010 ha una “chiara valenza sanzionatoria” e non ammette la detrazione dell’aliunde perceptum. (Fabrizio Daverio) (riproduzione riservata)
(1) La sentenza della Corte Costituzionale n. 303/2011 definisce le questioni di legittimità costituzionale sollevate da più Giudici in ordine al disposto dell'art. 32, commi da 5 a 7, della legge 4 novembre 2010, n. 83 (c.d. “Collegato Lavoro”).
Il comma 5, come è noto, prevede che nei casi di conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, il Giudice condanna il datore di lavoro a risarcire il lavoratore in ragione di un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, e non può, dunque, condannare invece il datore di lavoro a risarcire il lavoratore nella misura di tutte le retribuzioni che sarebbero maturate fra la scadenza del termine e la sentenza.
Secondo la Corte Costituzionale tale norma non viola alcun precetto costituzionale. La Corte ha riconosciuto, inoltre, legittimo anche il comma 7, che prevede che la norma si applichi, retroattivamente, a tutti i giudizi in corso (anche di cassazione).
In questo modo la Corte Costituzionale respinge le due ulteriori e diverse interpretazioni (estreme) che erano state proposte in ordine alla indennità forfettaria. Si era detto cioè che la indennità sarebbe stata sostitutiva anche della conversione a tempo indeterminato del rapporto, e si era detto che la indennità sarebbe stata aggiuntiva rispetto al risarcimento del danno patrimoniale liquidato secondo il diritto comune. Entrambe le letture sono state respinte dalla Corte Costituzionale.
La norma di cui al comma 5 protegge il datore di lavoro nei casi in cui il giudizio di impugnazione del contratto a tempo determinato sia molto lungo. In questo caso il periodo fra la scadenza del termine e la sentenza poteva dar luogo ad un cospicuo risarcimento e la indennità, dunque, consente un "risparmio". Ma va detto che, invece, nel caso di giudizio molto breve, la indennità può essere sfavorevole al datore di lavoro, perché può costare di più delle retribuzioni che sarebbero maturate fra la scadenza del termine e la sentenza. E ciò tanto più in quanto, secondo la Corte Costituzionale, dalla indennità non può essere dedotto il c.d. aliunde perceptum.
Va segnalato che la Corte Costituzionale adombra che nel caso di giudizio molto lungo il lavoratore potrebbe ricorrere al rimedio del giudizio cautelare. (Fabrizio Daverio) (riproduzione riservata)
Segnalazione dell’Avv. Fabrizio Daverio
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