Diritto Societario e Registro Imprese
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6406 - pubb. 01/08/2010
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Cassazione civile, sez. I, 06 Febbraio 1999, n. 1037. Est. Di Amato.
Società - Di persone fisiche - Società semplice - Scioglimento - Liquidazione - Liquidatori - Poteri - Divieto di nuove operazioni - Nuove operazioni - Nozione - Attività processuale espletata con riferimento a rapporti sostanziali preesistenti alla liquidazione - Legittimità - Qualificazione in termini di "nuova operazione" - Esclusione - Fondamento.
La società regolarmente sciolta continua a sopravvivere come soggetto collettivo, pur dopo la messa in liquidazione, all'unico scopo di liquidare i risultati della cessata attività sociale, sicché non è consentito ai liquidatori, a norma degli art. 2278 e 2279 cod. civ., intraprendere nuove operazioni, intendendosi per tali quelle che non si giustificano con lo scopo di liquidazione o di definizione dei rapporti in corso, e che costituiscano, viceversa, atti di gestione dell'impresa sociale, da ritenersi del tutto inefficaci per carenza di potere. Non può legittimamente ricomprendersi nel novero delle "nuove operazioni" la mera attività processuale (nella specie, di impugnazione) espletata dai liquidatori in relazione a rapporti sostanziali preesistenti alla messa in liquidazione della società, attesa la indiscutibile omogeneità di tale attività con lo scopo di liquidazione e di definizione dei rapporti in corso, e la non inquadrabilità (a prescindere dalla sua fondatezza) tra quelle di gestione dell'impresa sociale sottoposte al divieto "ex lege" di cui ai ricordati artt. 2278, 2279 cod. civ.. (massima ufficiale)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Angelo GRIECO - Presidente -
Dott. Giovanni OLLA - Consigliere -
Dott. Giovanni VERUCCI - Consigliere -
Dott. Laura MILANI - Consigliere -
Dott. Sergio DI AMATO - Rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
MASETTI GIOVANNI, elettivamente domiciliato in ROMA VIA D. CHELINI 5, presso l'avvocato FRANCESCO NUCCI, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato FRANCO SELVATICI, giusta delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
FALLIMENTO CIBARIUS Srl, in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA DEL FANTE 2, presso l'avvocato PAOLO NAPOLETANO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato SILVIA SALVATI, giusta procura in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1380/96 della Corte d'Appello di BOLOGNA, depositata il 18/12/96;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell'01/10/98 dal Consigliere Dott. Sergio DI AMATO;
udito per il ricorrente, l'Avvocato Veroni, con delega, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito per il resistente, l'Avvocato Alessandri, con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. Giovanni LO CASCIO che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza dell'11 luglio 1995 il Tribunale di Bologna accoglieva la domanda di esecuzione in forma specifica dell'obbligo di concludere un contratto, proposta da Giovanni MASETTI nei confronti della CIBARIUS s.r.l., e disponeva il trasferimento della porzione immobiliare che la seconda aveva promesso in vendita al primo. Con sentenza del 18 dicembre 1996 la Corte di appello di Bologna, in riforma della sentenza di primo grado, preso atto dell'intervenuto fallimento della CIBARIUS s.r.l. e della volontà del curatore, manifestata con la comparsa conclusionale, di sciogliersi dal contratto stipulato dalla fallita società, dichiarava lo scioglimento del preliminare.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione Giovanni MASETTI. Il fallimento della CIBARIUS s.r.l. resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno presentato "memoria". MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente deduce l'omessa ed insufficiente motivazione della sentenza impugnata in relazione alla eccepita nullità dell'impugnazione per carenza di legittimazione in capo al liquidatore della CIBARIUS s.r.l.; in particolare, il ricorrente si duole che la legittimazione sia stata affermata senza tenere conto del fatto che, in concreto, l'impugnazione era infondata e perciò aveva il solo scopo di impedire il passaggio in giudicato della sentenza.
Il motivo è infondato. Per le persone giuridiche private la legittimazione processuale è attribuita dall'art. 75, 3 comma, cod. proc. civ. a coloro che, secondo la legge e lo statuto della persona giuridica, hanno il potere di agire in suo nome. Non vi è dubbio, pertanto, che i liquidatori di società a responsabilità limitata hanno, in base al richiamo dell'art. 2310 cod. civ. contenuto nel successivo art. 2452, a sua volta richiamato dall'art. 2497 cod. civ., la rappresentanza processuale della società. Peraltro, in base all'art. 2279 cod. civ., anch'esso oggetto del menzionato richiamo, i liquidatori non possono intraprendere nuove operazioni. Da ciò consegue che il potere di rappresentanza, sia sostanziale che processuale, dei liquidatori non si estende alle nuove operazioni e, in positivo, sussiste solo per il compimento degli atti funzionali alla liquidazione. Ciò significa che il liquidatore non può compiere atti di speculazione commerciale o di utilizzazione dei beni della società, giacché la società regolarmente sciolta continua a sopravvivere, come soggetto collettivo, pur dopo la messa in liquidazione, all'unico scopo di liquidare i risultati della cessata attività sociale.
Pertanto, allorché i liquidatori, invece di eseguire attività di liquidazione, compiono nuove operazioni, queste non sono riferibili, per carenza di potere, alla società (Cass. 8.2.1974 n. 365; Cass. 17 novembre 1997, n. 11393). Peraltro, l'attività processuale espletata in relazione a rapporti sostanziali posti in essere prima della messa in liquidazione, almeno in linea di principio, si giustifica sempre con lo scopo di liquidazione e di definizione dei rapporti in corso, tale essendo il risultato finale del ricorso alla giurisdizione in relazione ai rapporti preesistenti alla liquidazione. Questa conclusione non può mutare contestando i poteri del liquidatore non sotto il profilo della astratta riconducibilità dell'atto agli scopi della liquidazione, ma in concreto, attraverso una valutazione di merito della fondatezza dell'impugnazione e della sua eventuale strumentalità.
Invero, prescindendo dalla possibilità di censurare nel merito, sotto il profilo della fondatezza, le scelte dei liquidatori, in ogni caso si deve escludere che l'impugnazione, anche se infondata e strumentale, possa configurare un atto di gestione dell'impresa sociale. Infatti, mancherebbe, comunque, una nuova operazione, intesa come atto di gestione autonomo rispetto alla attività precedente; a tutto concedere non si può negare che, sia pure attraverso una peculiare modalità, e cioè la strumentalizzazione dei tempi processuali, l'impugnazione persegue lo scopo della liquidazione. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 72 l.f. sia perché l'eccezione fondata sulla scelta del curatore di sciogliersi dal contratto preliminare era stata formulata tardivamente e cioè soltanto in sede di comparsa conclusionale, sia perché non ricorrevano nella specie i presupposti per l'applicabilità della norma, poiché il promissario acquirente aveva già dato integrale esecuzione al contratto, sia perché, infine, la proprietà dell'immobile era già passata in capo ad esso acquirente, tenuto conto della provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado, prevista dall'art. 282 cod. proc. civ., nel testo successivo alla novella del 1990.
Anche questo motivo è infondato. Quanto al primo profilo, si può osservare che, secondo la giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte, il curatore può sciogliersi dal preliminare di vendita stipulato dal fallito finché non sia passata in giudicato la sentenza costitutiva ex art. 2932 cod. civ., che dà luogo al trasferimento del bene al compratore (Cass. 16 maggio 1997, 4358). Pertanto, il curatore può esercitare la sua facoltà anche in sede di appello, nel giudizio promosso dal promissario acquirente ai sensi dell'art. 2932 cod. civ., mediante dichiarazione nella comparsa conclusionale (v. da ultimo Cass. 24 febbraio 1994, n. 1866). Questa conclusione si fonda sul rilievo che il limite, per la proposizione delle eccezioni in senso proprio, costituito dall'udienza di precisazione delle conclusioni, non assume rilevanza rispetto al compimento di atti costituenti, come nella specie, esercizio di un potere sostanziale. Tale conclusione non è in contrasto, come ritiene il ricorrente, con l'orientamento che esclude la possibilità di accertare in sede di legittimità la variazione delle circostanze di fatto che comportino una diversa disciplina giuridica (la dichiarazione di fallimento nella fattispecie esaminata da Cass. 16 marzo 1990, n. 2196). Invero, nella specie, il mutamento delle circostanze di fatto è anteriore al giudizio di legittimità, è stato accertato dal giudice di merito e non è in contestazione tra le parti.
Sotto il secondo profilo, è esatto che nel caso del fallimento del venditore l'esecuzione del contratto rimane sospesa e la facoltà di scelta del curatore tra subentro e scioglimento è riconosciuta solo se il contratto è ineseguito da entrambi i contraenti. Infatti, sebbene l'art. 72, comma 4 , l.f. non ripeta espressamente la condizione di applicabilità della disciplina, come avviene per il caso del fallimento del compratore, la condizione è comunque espressa nella rubrica dell'articolo.
Pertanto, malgrado una autorevole, ma isolata, opinione contraria della dottrina - secondo la quale il curatore ha la facoltà di scegliere tra subentro e scioglimento del contratto anche se il prezzo sia stato pagato e la vendita sia stata quindi interamente eseguita dal compratore - si devono applicare le regole generali in virtù delle quali, se il contratto è stato interamente eseguito da uno dei contraenti, residua per il fallimento un credito ovvero un debito da soddisfarsi in moneta fallimentare; nel caso del fallimento del venditore, quando il compratore abbia pagato il prezzo, un debito al valore della cosa, salvo che la proprietà sia già passata prima del fallimento e salvi gli effetti della trascrizione della domanda di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto Ciò premesso, si deve, tuttavia, escludere che i fatti enunciati nel ricorso possano integrare un adempimento della obbligazione di pagamento del prezzo. Su tali fatti è naturalmente mancato qualsiasi accertamento del giudice di merito, considerato che il tema della facoltà del curatore di sciogliersi dal contratto è sopravvenuto dopo la precisazione delle conclusioni in grado di appello. Per una migliore comprensione della vicenda occorre ricordare che l'odierna fallita, dopo avere promesso in vendita l'immobile al MASETTI, aveva costituito ipoteca a garanzia del credito di un istituto bancario e che il giudice di primo grado aveva disposto che il pagamento del residuo prezzo fosse eseguito entro trenta giorni dalla cancellazione della ipoteca gravante sugli immobili. Da ciò consegue che, anche in astratto, mancando un accertamento dei fatti, l'offerta del MASETTI, rivolta all'istituto di credito, di liberare l'immobile dall'ipoteca, non rappresentava esecuzione della prestazione di pagamento del prezzo, ma, a tutto concedere, era prodromica alla estinzione della relativa obbligazione, attraverso la compensazione con il credito garantito nel quale poteva essere surrogato (art. 1203 n. 2 cod. civ.) a seguito della liberazione dell'immobile dall'ipoteca. Sotto il terzo profilo, infine, si deve osservare che secondo l'orientamento prevalente della dottrina, condiviso da questa Corte (Cass. 26 gennaio 1972, n. 185; Cass, 21 dicembre 1977, n. 5670; Cass. 12 aprile 1979, n. 2163; Cass. 21 giugno 1985, n. 3738;)
l'anticipazione della efficacia della sentenza rispetto al suo passaggio in giudicato riguarda la sola esecutività della sentenza, con la conseguenza, per la necessaria correlazione tra condanna ed esecuzione forzata, che la disciplina dell'esecuzione provvisoria ex art. 282 cod. proc. civ. trova espressione solo nella sentenza di condanna, poiché è l'unica che possa, per sua natura, costituire titolo esecutivo. Il concetto stesso di esecuzione postula, infatti, una esigenza di adeguamento della realtà al decisum, che, evidentemente, manca sia nelle pronunce di natura costitutiva che in quelle di accertamento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate, in £. 273.300 quanto agli onorari, in lire 12.000.000=.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 1 ottobre 1998 Depositata in Cancelleria il 6/2/1999.