Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6397 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. I, 08 Gennaio 2003, n. 61. Est. Plenteda.


Società - Di persone fisiche - Società semplice - Scioglimento - Liquidazione - Liquidatori - Nomina - Società in accomandita semplice - Nomina da parte del presidente del Tribunale ex art. 2275, cod. civ. - Presupposti - Inesistenza di contrasto tra i soci sulla esistenza di una causa di scioglimento - Necessità - Giudizio di accertamento sul verificarsi di una causa di scioglimento - Definizione del giudizio per cessazione della materia del contendere - Potere del giudice in sede contenziosa - Sussistenza - Condizioni.

Società - Di persone fisiche - Società in accomandita semplice - Scioglimento - In genere - Liquidatori - Nomina - Nomina da parte del presidente del Tribunale ex art. 2275, cod. civ. - Presupposti - Inesistenza di contrasto tra i soci sulla esistenza di una causa di scioglimento - Necessità - Giudizio di accertamento sul verificarsi di una causa di scioglimento - Definizione del giudizio per cessazione della materia del contendere - Potere del giudice in sede contenziosa - Sussistenza - Condizioni.



La nomina del liquidatore di una società di persone (nella specie, società in accomandita semplice) da parte del Presidente del Tribunale, in sede di volontaria giurisdizione, ex art. 2275, cod. civ., è possibile, allo scopo di supplire all'inattività dell'assemblea, esclusivamente quando tra i soci non sia in contestazione lo scioglimento della società. Pertanto, nel caso in cui sia controverso tra i soci il verificarsi di una causa di scioglimento, la nomina del liquidatore spetta al giudice adito in sede contenziosa, anche se il relativo giudizio sia definito con una pronunzia che dichiari cessata la materia del contendere, a seguito del sopravvenuto passaggio in giudicato della sentenza che, in un separato giudizio, ha dichiarato sciolta la società per insanabile contrasto tra i soci e per l'impossibilità di conseguire l'oggetto sociale. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSARIO DE MUSIS - Presidente -
Dott. ALESSANDRO CRISCUOLO - Consigliere -
Dott. UGO RICCARDO PANEBIANCO - Consigliere -
Dott. DONATO PLENTEDA - rel. Consigliere -
Dott. MARIO ROSARIO MORELLI - Consigliere -
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
DI STEFANO MARIA, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE DELL'UNIVERSITÀ 27, presso l'avvocato DARIO TEDESCHI, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
STUFARDI ALMA, DI FAUSTO LOREDANA, DI FAUSTO CARLA, RUGGERI RUGGERO, D'INNELLA EMANUELE;
- intimati -
e sul 2^ ricorso n. 12071/00 proposto da:
STUFARDI ALMA, DI FAUSTO LOREDANA, elettivamente domiciliate in ROMA PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE 22, presso l'avvocato MASSIMO ANNESI, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato GUIDO POTTINO, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
D'INNELLA EMANUELE, elettivamente domiciliato in ROMA VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI, 20, presso l'avvocato ANTONIO PACIFICO, che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale per Notaio Operamolla Susanna di Roma rep. 9453 del 12 marzo 2002
- resistente -
DI STEFANO MARIA, DI FAUSTO CARLA, RUGGERI RUGGERO;
- intimati -
avverso la sentenza n. 1825/99 della Corte d'Appello di ROMA, depositata il 08/06/99;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/09/2002 dal Consigliere Dott. Donato PLENTEDA;
udito per il ricorrente l'Avvocato Palazzoli, per delega dell'Avvocato tedeschi, depositata in udienza, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso principale;
È comparso l'Avvocato Annesi, difensore della controricorrente e ricorrente incidentale, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso incidentale ed il rigetto di quello principale;
udito per il resistente l'Avvocato Pacifico che ha chiesto il rigetto del ricorso incidentale;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Libertino Alberto RUSSO che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi;
Svolgimento del processo
Con atto 2/ 24.3.1990 Di Fausto Angelo e Stufardi Alma, accomandanti della società F.lli Di Fausto di Bernardino Di Fausto e C., sas, convennero dinanzi al Tribunale di Roma Di Stefano Maria e D'Innella Emanuele ed esponendo che il Pretore di Roma con decreto 12/13.1.1990 aveva in due procedimenti riuniti promossi da Ruggeri Ruggiero, - amministratore provvisorio della società, dopo la esclusione dell'accomandatario Di Bernardino, coniuge della Di Stefano, socia anche essa accomandante - e dai coniugi Di Fausto Bernardino e Di Stefano Maria, inibito al Ruggeri di compiere atti di amministrazione, nominando liquidatore il D'Innella, chiesero la revoca del provvedimento con ogni conseguenza sugli atti posti in essere dal liquidatore.
La Di Stefano resistette alla domanda, rilevando che il Tribunale di Roma, con sentenza 5.10.1989, aveva dichiarato lo scioglimento della società per insanabile contrasto tra i soci e per la impossibilità che fosse conseguito l'oggetto sociale; chiese, inoltre, in via riconvenzionale che fosse accertata l'ulteriore causa di scioglimento della società, per la impossibilità che fosse sostituito il socio accomandatario, fosse dichiarata illegittima la nomina dell'amministratore provvisorio e fossero nominati uno o più liquidatori, con conferma nella carica del D'Innella. Quest'ultimo eccepì il proprio difetto di legittimazione passiva. Interrotto per il decesso di Di Fausto Angelo, il processo fu riassunto da Di Stefano Maria; e in esso si costituirono gli eredi del Di Fausto, Stufardi Alma e Di Fausto Loredana, mentre restò contumace l'altra erede Di Fausto Carla.
Il tribunale con sentenza 22.12.1995 dichiarò cessata la materia del contendere sulla domanda di accertamento dello scioglimento della società - essendo stato già accertato con sentenza passata in giudicato - e nominò liquidatore il D'Innella, dopo avere dichiarato illegittima la nomina del Ruggeri ad amministratore provvisorio, perché deliberata quanto la società era già sciolta. Compensò le spese del giudizio.
Avverso la sentenza proposero appello la Stufardi e Di Fausto Loredana, cui resistettero Di Stefano Maria e D'Innella Emanuele;
quest'ultimo spiegò appello incidentale.
Restarono contumaci il Ruggeri e Di Fausto Carla.
La Corte di Appello di Roma, con sentenza 23.4.1999, accolse per quanto di ragione l'appello principale; rigettò la domanda della Di Stefano per la nomina del liquidatore e revocò il provvedimento pretorile 13.1.1990; accolse in parte l'appello incidentale e condannò le appellanti alle spese del grado in favore del D'Innella, mentre compensò tra le parti le spese del primo e del secondo grado. Ha ritenuto la corte di merito, con riguardo alla contestata esistenza delle condizioni per la misura cautelare e alla dedotta incompetenza del pretore, che il provvedimento di urgenza avesse esaurito la sua funzione, una volta intervenuta la decisione di merito. Quanto alla denunziata incompetenza del tribunale a nominare il liquidatore, ha invece giudicato fondata la doglianza, riconoscendo al tribunale il potere di nomina solo quando vi sia disaccordo sulla esistenza o gravità della causa di scioglimento della società - che è una ipotesi di competenza del tribunale e non del suo presidente - in ordine al quale però non era stato compiuto alcun accertamento, per essere cessata la materia del contendere, sicché la nomina predetta era tornata ad essere di competenza del presidente.
Quanto all'appello incidentale del D'Innella - che aveva dedotto la propria carenza di legittimazione passiva, perché non era stata proposta nessuna domanda contro di lui - ha rilevato la corte territoriale che era stato chiamato in causa solo per assistervi ed eventualmente per contraddire nel proprio interesse, senza che fossero state formulate domande, nemmeno in termini di spese processuali; pertanto, avendo egli potuto non costituirsi, ha lasciato a suo carico le spese sostenute in primo grado, mentre ha posto a carico delle appellanti quelle del secondo, in considerazione del fatto che costoro avevano concluso per la di lui condanna alle spese processuali, si da determinarlo a costituirsi. Ha proposto ricorso per cassazione Di Stefano Maria con due motivi;
hanno resistito con controricorso Stufardi Alma e Di Fausto Loredana, che hanno anche proposto ricorso incidentale con due motivi. D'Innella Emanuele ha depositato mandato alle liti, con procura notarile, per stare in giudizio, ma non ha presentato difese;
ricorrente principale e ricorrente incidentale hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente denunzia la omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione agli artt. 2275,2309 e 2315 c.c.. Rileva che dopo la esclusione
dell'accomandatario Di Fausto Bernardino - poi revocata dal Tribunale di Roma il 5.10.1989 - e la nomina dell'amministratore provvisorio nella persona di Ruggero Ruggeri, essa aveva proposto il ricorso ex art. 700 c.p.c., con cui - manifestando la intenzione di promuovere un giudizio per l'accertamento di una ulteriore causa di scioglimento, oltre a quella già accertata con la citata sentenza, all'epoca non ancora passata in giudicato, e la nomina di uno o più liquidatori, aveva chiesto che fosse inibito all'amministratore provvisorio di svolgere attività e che fosse nominato un liquidatore o un amministratore per gli affari urgenti.
Il provvedimento pretorile del 13.1.1990, di inibizione al Ruggeri di qualunque atto di amministrazione e di nomina del liquidatore nella persona di D'Innella Emanuele, era stato reso su tale ricorso e su altro del Ruggeri, promosso per conseguire il possesso dell'azienda. Nel giudizio di merito essa ricorrente aveva poi ribadito la richiesta di accertamento dello scioglimento della società, per la impossibilità di sostituire il socio accomandatario. Il tribunale con sentenza 22.12.1995 aveva dichiarato cessata la materia del contendere sullo scioglimento della società - essendo intanto intervenuta la sentenza 5958/1993 della Corte di Cassazione, che aveva reso definitivo l'accertamento dello scioglimento per insanabile contrasto tra i soci - e nominato il liquidatore; e i giudici di appello avevano ritenuto che il tribunale non fosse stato competente in luogo del suo presidente a tale nomina, dal momento che, con la cessazione della materia del contendere, non avevano compiuto alcun accertamento sulla causa dello scioglimento, per ragione diversa da quella accertata con il predetto giudicato; senza però considerare che nel successivo giudizio ordinario, in cui era stato chiesto l'accertamento della ulteriore causa di scioglimento, era stata anche chiesta la revoca dell'amministratore provvisorio illegittimamente nominato dai due accomandanti Angelo Di Fausto ed Alma Stufardi, in danno degli altri due soci, portatori della metà del capitale sociale, sicché la intervenuta decisione della Suprema Corte aveva lasciato comunque l'obbligo di pronunziare su tale revoca e di procedere alla nomina del liquidatore, quale conseguenza della revoca dell'altro; e mentre il tribunale con ampia motivazione si era dato carico di tale necessità, la Corte di Appello aveva liquidato il problema, senza nulla dire sul punto, lasciando la società senza organo amministrativo.
Con il secondo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2275 e 2309 c.c.. Essendo stato contestato il motivo di scioglimento dedotto da essa ricorrente, non poteva procedersi secondo quanto disposto dall'art. 2275 c.c. alla nomina del liquidatore. Tuttavia, quand'anche la contestazione fosse mancata, era pur sempre consentito utilizzare il procedimento contenzioso, atteso che l'art. 2309 c.c., disponendo la iscrizione nel registro delle imprese della sentenza che nomina i liquidatori, equipara il provvedimento presidenziale di nomina, che va anch'esso iscritto, alla sentenza resa nel procedimento contenzioso. La contraria conclusione della Corte di Appello sarebbe stata resa in violazione di tali norme.
Con il ricorso incidentale Stufardi Alma e Di Fausto Loredana denunziano, con il primo motivo, la insufficiente motivazione sulla mancata dichiarazione di illegittimità o inefficacia degli atti posti in essere dopo la sentenza di primo grado; la corte di appello si sarebbe infatti limitata ad affermare che non erano stati indicati atti specifici del liquidatore da dichiarare illegittimi, circostanza questa irrilevante, una volta revocata la nomina del liquidatore;
mentre con il secondo deducono la erroneità della motivazione sulla statuizione delle spese in favore del D'Innella, senza tenere conto che questi, costituendosi in giudizio, aveva proposto appello incidentale, chiedendo inoltre la condanna degli appellanti alle spese del processo. Ed essendo stato respinto l'appello incidentale, erronea risulterebbe la decisione sulle spese predette, come erronea sarebbe quella di compensazione tra le altre parti.
Le due impugnazioni vanno riunite, ricorrendo le condizioni dell'art. 335 c.p.c..
L'esame dei motivi del ricorso principale può essere compiuto in modo congiunto, attenendo alla medesima quaestio iuris, se cioè la nomina del liquidatore giudiziale, nella ipotesi di cessazione della materia del contendere in ordine alla causa di scioglimento della società, resti nella competenza del giudice adito in sede contenziosa, ovvero debba essere disciplinata dall'art. 2275 c.c., che attribuisce il relativo potere al presidente del tribunale. Tale norma specificamente stabilisce, con riguardo alle società personali (la disposizione, dettata per le società semplici, trova applicazione alle società in nome collettivo e alle accomandite semplici, in forza del richiamo degli artt. 2293 e 2315 c.c.) "se il contratto non prevede il modo di liquidare il patrimonio sociale e i soci non sono d'accordo nel determinarlo, la liquidazione è fatta da uno o più liquidatori, nominati con il consenso di tutti i soci o, in caso di disaccordo, dal presidente del tribunale"; e il principio opera anche per le società di capitali, per le quali è previsto che la nomina sia affidata alla maggioranza qualificata dei soci e in difetto al presidente del tribunale (artt. 2450, 2464 e 2497 c.c.). Il disaccordo che giustifica l'intervento del presidente del tribunale, in sede di volontaria giurisdizione, è esclusivamente quello che attiene alla nomina del liquidatore, essendo esso rivolto non a comporre conflitti di interessi incidenti su situazioni di diritto soggettivo, bensì a supplire alla mancanza di un accordo sull'organo della liquidazione, una volta che sia certo, perché incontestato o incontestabile, il presupposto di essa e cioè lo scioglimento. Elemento comune a tutte le situazioni in cui è richiesto l'intervento surrogatorio del presidente del tribunale, per l'adozione di provvedimenti sostitutivi della volontà dei soci o degli organi sociali; per l'accertamento, di una situazione incontroversa di crisi delle loro funzioni; per la nomina dell'incaricato della liquidazione del patrimonio sociale o per determinate attività, è, infatti, la esistenza di una pacifica situazione di fatto che non leda diritti soggettivi e richieda, tuttavia, una regolamentazione immediata dei rapporti che ne derivano, con misure di contenuto amministrativo; con la conseguenza che esula da dette funzioni quella di dirimere un conflitto quando vi sia disaccordo sulla esistenza od anche sulla gravità della causa di scioglimento della società, ipotesi questa in cui la competenza si sposta dalla sede della giurisdizione volontaria a quella contenziosa, nella quale rifluisce, oltre al merito della controversia sulla causa, appunto, dello scioglimento, ogni questione ad essa accessoria (Cass. 8030, 8024, 845/2000; 336/1999; 5885/1998;
9267 e 499/1996; 403/1987).
Può conclusivamente ritenersi, pertanto, che sede per la risoluzione di ogni conflitto tra i soci sia e resti, in ogni caso, quella contenziosa, e competa al presidente del tribunale solo la funzione vicaria della loro volontà, per la ipotesi marginale in cui la società, trovandosi, de plano in stato di liquidazione per l'avvenuto scioglimento, o perché deliberato dai soci o perché realizzato per effetto di una delle altre cause previste dalla legge (artt. 2272 e 2448 c.c.), trovi impedimento alla attività liquidatoria nella mancanza dell'organo a ciò abilitato, sulla cui nomina non vi sia la convergenza di tutti i soci (nelle società personali) ovvero della maggioranza qualificata nell'assemblea straordinaria (nelle società di capitali).
A fronte di tali premesse, che costituiscono ius receptum, la specificità della presente controversia sta nel fatto che essa sorse quando era aperto il conflitto tra i soci, in ordine alla esistenza delle cause di scioglimento della società e fu, dunque, finalizzata al suo accertamento, salvo ad essere decisa, quando esso si era ormai conseguito, per effetto del giudicato raggiunto in un separato procedimento tra le stesse parti, che aveva definitivamente stabilito che la società si era sciolta per insanabile contrasto tra i soci e o per impossibilità di conseguire l'oggetto sociale. Rilevando che siffatta situazione, intervenuta il 5.10.1989, ma divenuta definitiva con la sentenza n. 5958/ 1993 di questa Corte, aveva preceduto la pronunzia del primo giudice, resa in questa causa il 22.12.1995, la corte territoriale ha ritenuto che fosse cessata la materia del contendere - conformemente alla decisione del tribunale - e che per l'effetto fosse venuta meno - difformemente da quanto deciso in primo grado - la competenza del giudice in sede contenziosa, per avere ripreso vigore, in subiecta materia, la disposizione dell'art. 2275 c.c., che non suppone altro contrasto tra i soci che quello sulla nomina del liquidatore, posto che il contrasto sulla causa di liquidazione era stato composto con la pronunzia giudiziale passata in giudicato.
Siffatta tesi non può essere condivisa e merita perciò di essere accolto il ricorso principale, per quanto attiene al punto in questione.
Se, infatti, non ha pregio alcuno la doglianza riferita alla mancata pronunzia della corte di merito sulla ulteriore causa di scioglimento della società - dedotta dalla Di Stefano in via riconvenzionale, per la impossibilità che fosse sostituito l'accomandatario - atteso che l'accertamento di altre cause di scioglimento aveva comunque determinato la cessazione della materia del contendere; come, del pari, fondamento non ha quella attinente alla mancata pronunzia della corte territoriale, in merito alla illegittimità della nomina dell'amministratore provvisorio, posto che quella illegittimità è stata dichiarata dal tribunale (come dà atto la sentenza impugnata) e nessuna censura è stata mossa a riguardo; fondata è, invece, la doglianza, laddove contesta l'assunto della corte di merito che, non avendo il tribunale "compiuto alcun accertamento per essere cessata la materia del contendere in dipendenza dell'avvenuto scioglimento pronunziato con altra sentenza divenuta giudicato, in altra causa, riprendeva vigore la disciplina surrogatoria del presidente del tribunale, ai sensi dell'art 2275 c.c."
Quest'ultima suppone, infatti, che il procedimento sin dal suo sorgere non abbia avuto contrasti tra i soci, se non sulla nomina del Liquidatore, sia stato cioè proposto in termini non contenziosi quanto allo scioglimento, dal momento che nella ipotesi contraria la potestas decidendi, con riferimento alla risoluzione della controversia su tale presupposto della liquidazione, si estende sino alla nomina del liquidatore, avuto riguardo al principio di economia processuale, che resterebbe violato se la pronunzia che determina la liquidazione fosse senza effetto, per la mancanza di quella nomina, supponendosi la necessità di procedimenti integrativi di volontaria giurisdizione.
Tale regola di diritto è peraltro desumibile dal sistema generale in materia societaria, in cui è previsto espressamente (art. 2332 c.c.) che la pronunzia che incide sulla vita dell'ente consenta l'ulteriore sviluppo verso la sua estinzione, con l'automatico innesto nella funzione contenziosa di quella in genere affidata alla sede della giurisdizione volontaria.
A conferma di tale conclusione è, sotto altro profilo, il principio derivato dall'art. 5 c.p.c., che giova a ritenere che anche quando sia cessata la materia del contendere sull'oggetto principale della controversia, la decisione sulla misura accessoria, in quanto ancora necessaria, resti pur sempre attribuita allo stesso giudice. La norma citata, infatti, stabilisce che la competenza - di ogni genere e quindi anche funzionale - si determina con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda e non hanno rilevanza rispetto ad essa i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo. E poiché nella specie lo stato di fatto conflittuale, nel momento in cui il giudizio fu avviato, legittimava la pronunzia per cui è causa e la sua esigenza è emersa proprio con l'accertamento della causa di scioglimento, la cessazione della materia del contendere su quest'ultimo punto non ha privato del potere di decidere su quello ad esso conseguente della nomina del liquidatore.
La sentenza impugnata va, pertanto, cassata in ordine alle censure accolte e dal momento che non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con la conferma del liquidatore nominato dal primo giudice.
Quanto al ricorso incidentale, l'accoglimento del principale determina l'assorbimento del primo motivo, mancando in radice la ragione di pronunzie sulla legittimità ed efficacia degli atti posti in essere dal liquidatore, connesse solo alla sua revoca. Il secondo motivo va, invece, respinto. Esso ipotizza l'errore della corte di merito nel non avere considerato, nel decidere sulle spese processuali sostenute da D'Innella Emanuele - che aveva proposto appello incidentale per ottenere la condanna sul punto delle appellanti, perché chiamato in causa senza essere legittimato passivamente - che, essendo stato il suo appello respinto, non potevano le appellanti essere condannate a tali spese. In realtà la sentenza impugnata ha accolto, sia pure in parte, la richiesta del D'Innella, con riguardo alle spese del giudizio, avendo riconosciuto fondata la sua resistenza nel grado di appello alla richiesta della sua condanna formulata dalle appellanti. Posto, infatti, che il giudizio era stato introdotto da Di Fausto Angelo e Stufardi Alma, anche nei confronti del D'Innella, pur senza che fossero state rassegnate richieste e conclusioni contro di lui, la sua costituzione in primo grado non era necessitata da alcuna esigenza di difesa; sicché corretta era stata la sentenza del tribunale, che non aveva accolto la sua domanda di condanna degli attori alle spese processuali.
Ma poiché gli stessi, con l'atto di appello, avevano richiesto la condanna del D'Innella alle spese del doppio grado, correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto fondata la richiesta di quest'ultimo, relativamente alle spese del giudizio d'impugnazione, infondatamente promosso contro di lui.
Ricorrono giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale; dichiara assorbito il primo motivo del ricorso incidentale e rigetta il secondo; cassa, in relazione alle censure accolte, la sentenza impugnata e, pronunziando nel merito, conferma la nomina del liquidatore pronunziata dal primo giudice.
Conferma nel resto la sentenza impugnata e compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 24 settembre 2002.
Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2003