Diritto Societario e Registro Imprese


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 6228 - pubb. 01/08/2010

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Cassazione civile, sez. V, tributaria, 26 Febbraio 2009, n. 4609. Est. Di Iasi.


Tributi erariali indiretti (riforma tributaria del 1972) - Imposte ipotecarie - Base imponibile - In genere - Immobile strumentale ad impresa individuale - Continuazione dell'impresa fra gli eredi dell'imprenditore in forma di società di fatto - Decesso di uno dei coeredi - Successione nella quota di società di fatto e non nella quota dell'immobile - Sussistenza - Conseguenze - Assoggettabilità ad imposte ipotecarie e catastali - Esclusione.

Tributi erariali indiretti (riforma tributaria del 1972) - Imposta sulle successioni e donazioni - Imposta sulle successioni - Base imponibile - Determinazione del valore venale - Beni immobili o diritti immobiliari - Immobile strumentale ad impresa individuale - Continuazione dell'impresa fra gli eredi dell'imprenditore in forma di società di fatto - Decesso di uno dei coeredi - Successione nella quota di società di fatto e non nella quota dell'immobile - Sussistenza - Conseguenze - Assoggettabilità ad imposte ipotecarie e catastali - Esclusione.

Tributi erariali indiretti (riforma tributaria del 1972) - Imposte catastali - In genere - Immobile strumentale ad impresa individuale - Continuazione dell'impresa fra gli eredi dell'imprenditore in forma di società di fatto - Decesso di uno dei coeredi - Successione nella quota di società di fatto e non nella quota dell'immobile - Sussistenza - Conseguenze - Assoggettabilità ad imposte ipotecarie e catastali - Esclusione.



L'art. 77, terzo comma, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, nel testo applicabile "ratione temporis", ha introdotto una presunzione di appartenenza alla società di fatto dei beni immobili di proprietà dei soci, ove utilizzati nell'esercizio dell'impresa, facendo così prevalere, sul criterio formale dell'appartenenza, quello dell'uso strumentale effettivo ed esclusivo del bene. Pertanto, nel caso in cui gli eredi di un imprenditore abbiano continuato a gestire l'impresa individuale di quest'ultimo in società di fatto, la morte di uno di essi comporta la caduta in successione non già della quota indivisa degli immobili già strumentali all'esercizio dell'impresa individuale, ma della quota della società di fatto spettante al coerede defunto, con la conseguenza che, in sede di liquidazione dell'imposta sulle successioni, non sono dovute le imposte ipotecarie e catastali. (massima ufficiale)


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - Presidente -
Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio - Consigliere -
Dott. BERNARDI Sergio - Consigliere -
Dott. DI IASI Camilla - rel. Consigliere -
Dott. MELONCELLI Achille - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MITRASINOVIC VESNA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VILLA BETANIA 4, presso lo studio dell'avvocato VILARDO SILVIA, rappresentato e difeso dall'avvocato SPALLA PIERO, giusta delega in calce;
- ricorrente -
contro
MINISTERO DELL'ECONOMIA E FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI, 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende;
- resistenti con atto di costituzione -
avverso la sentenza n. 291/2001 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA, depositata il 23/01/2002;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/01/2009 dal Consigliere Dott. DI IASI CAMILLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PIVETTI MARCO, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La C.T.P. di Piacenza accoglieva il ricorso proposto da Vesna Mitrasinovic avverso avviso di liquidazione col quale l'Ufficio del Registro di Piacenza aveva liquidato, oltre alle imposte di successione, anche quelle ipotecarie e catastali, ritenendo che, a seguito del decesso della sorella della contribuente, fosse caduta in successione non la quota di una s.d.f. in via di regolarizzazione (di cui la dante causa della contribuente era socia in qualità di coerede di Ghilardoni Mario), bensì una quota indivisa di immobili già patrimonio dell'azienda individuale di Ghilardoni Mario, le cui eredi (tra le quali la dante causa dell'odierna contribuente) avevano continuato l'impresa in forma societaria iniziando una procedura di regolarizzazione ancora non completa al momento del decesso della suddetta dante causa.
La C.T.R. dell'Emilia Romagna, in accoglimento dell'appello dell'Ufficio, rigettava il ricorso introduttivo della contribuente rilevando che quando gli eredi non si limitano a godere in comune l'azienda ereditata ma continuano l'impresa in forma societaria si forma una s.d.f., tuttavia quando, come nella specie, della successione faccia parte anche un immobile, esso può ritenersi posseduto dalla s.d.f..
solo se conferito per iscritto, dovendo pertanto concludersi che nella successione di una della socie della suddetta s.d.f. era caduta una quota indivisa di immobili e non una quota sociale. Avverso questa sentenza ricorre per cassazione Vesna Mitrasinovic;
il Ministero dell'Economia e delle Finanze e l'Agenzia delle Entrate hanno depositato atto di costituzione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo, deducendo omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe nulla perché in essa non sono riportati "i motivi che hanno indotto la ricorrente a proporre gravame ne' quelli che hanno indotto il Ministero a proporre appello" ed inoltre che la motivazione si risolverebbe in uno scarno e contraddittorio richiamo ad istituti che nulla hanno a che vedere col caso in esame così da rendere impossibile l'individuazione della ratio decidendi in ordine alle distinte questioni sollevate, risultando inoltre che i Giudici d'appello avrebbero omesso di valutare criticamente sia le argomentazioni svolte dal Giudice di primo grado che le argomentazioni addotte dall'appellato. Secondo i ricorrenti, inoltre, la sentenza sarebbe contraddittoria perché, pur riconoscendo che tra le eredi del Ghilardoni si era formata una società per l'esercizio dell'impresa, solo per la mancanza di un atto scritto di conferimento dei beni immobili avrebbe escluso l'appartenenza di essi all'azienda. Le censure esposte sono in parte infondate e in parte inammissibili.
Benché in epigrafe si denunci solo "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia", quindi vizio di motivazione ex art. 560 c.p.c., n. 5, nell'ambito del motivo vengono denunciati anche diversi errores in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4, (deducendosi violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione all'art. 132 c.p.c., n. 4) che vanno come tali esaminati in via prioritaria.
In particolare, con riguardo alla dedotta nullità della sentenza perché in essa non sarebbero riportati "i motivi che hanno indotto la ricorrente a proporre gravame (ad impugnare l'atto impositivo?) nè quelli che hanno indotto il Ministero a proporre appello", nonché con riguardo alla dedotta mancata valutazione critica delle argomentazioni svolte dal giudice di primo grado e dall'appellato ed alla asserita impossibilità di desumere la ratio decidendi in ordine alle singole questioni proposte, è sufficiente osservare che, secondo la consolidata giurisprudenza di questo Giudice di legittimità, l'esposizione in sentenza dei fatti di causa non deve necessariamente tradursi nella narrazione completa ed analitica dello svolgimento del processo ed in un particolareggiato resoconto delle deduzioni delle parti, essendo sufficiente che essa riassuma concisamente il contenuto sostanziale della controversia, con l'indicazione - che può risultare tanto dall'esposizione del fatto che dalla parte motiva - degli elementi rilevanti per la decisione;
la difettosità dell'esposizione dello svolgimento del processo non spiega effetti invalidanti sulla sentenza, quando questa risulti ugualmente idonea al raggiungimento del proprio scopo, illustrando esaurientemente i tratti essenziali della lite, nonché gli elementi considerati o presupposti nella decisione delle varie questioni;
l'omessa trascrizione delle conclusioni delle parti e l'inadeguata esposizione dello svolgimento del processo di per sè non costituiscono motivo di nullità della sentenza, se le omissioni e le carenze espositive non hanno inciso in concreto sul processo decisionale del Giudice, determinando una mancata pronunzia sulle domande o eccezioni proposte dalle parti, oppure un difetto di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia (v. tra le altre Cass. n. 13292 del 2000; n. 114 del 2003 e n. 4015 del 2004), dovendosi in particolare rilevare che nella specie la decisione impugnata risulta sorretta da motivazione adeguata ed idonea a ricostruire il percorso logico - giuridico seguito dal Giudice, mentre la ricorrente non ha denunciato omessa pronuncia su specifiche questioni individuate in maniera autosufficiente ne' ha denunciato omissione o insufficienza della motivazione in relazione alla mancata o inadeguata considerazione di punti decisivi risultanti dagli atti ed individuati in ricorso in maniera autosufficiente. Quanto alla denunciata contraddittorietà della motivazione, è appena il caso di rilevare che essa, come dedotta, attiene alla motivazione in diritto e non a quella in fatto e come tale è inammissibile, posto che, secondo la consolidata giurisprudenza di questo Giudice di legittimità, quando viene denunciato un difetto di motivazione non riguardante un accertamento in fatto, bensì un'astratta questione di diritto, il Giudice di legittimità - investito, a norma dell'art. 384 c.p.c., del potere di integrare e correggere la motivazione (manchevole o inesatta) della sentenza impugnata - è chiamato a valutare se la soluzione adottata dal Giudice del merito sia oggettivamente conforme alla legge, piuttosto che a sindacarne la motivazione, con la conseguenza che l'eventuale mancanza o erroneità di questa deve ritenersi del tutto irrilevante, quando il Giudice del merito sia, comunque, pervenuto ad una esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame (v. tra le altre Cass. n. 15764 del 2004 e n. 12753 del 1999). Col secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 77, (T.U.I.R.), e D.L. n. 347 del 1990, artt. 1, 2 e 10, nonché L. n. 947 del 1982, art. 3, la ricorrente rileva che, ai sensi del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 54, comma 7, si considerano relativi all'impresa tutti i beni ad essa appartenenti, con la conseguenza che i beni di proprietà dei soci non possono essere inclusi nel patrimonio della società e non è configurabile una plusvalenza tassabile, non essendo il bene, pur utilizzato dall'impresa, mai uscito dal patrimonio del socio, che successivamente la L. n. 947 del 1982, art. 3, comma 3, ha stabilito una presunzione di appartenenza alla società dei beni mobili iscritti in pubblici registri a nome di tutte le persone fisiche partecipanti alla società stessa, ove utilizzati nell'esercizio dell'impresa e regolarmente contabilizzati, e infine che il cit. T.U.I.R. art. 77, comma 3, ha esteso la presunzione di appartenenza ai beni immobili, facendo definitivamente prevalere sul criterio formale dell'appartenenza del bene il riferimento al suo uso strumentale effettivo ed esclusivo.
Aggiunge la ricorrente che, secondo la disciplina applicabile in materia, le imposte ipotecarie e catastali, nell'ipotesi di successione di azienda individuale, sono dovute una sola volta qualora la medesima prosegua in forma societaria fra gli eredi, dato che nel periodo immediatamente successivo al decesso dell'imprenditore si può dar vita ad una società di fatto che, come accaduto nella specie, entro un anno deve essere regolarizzata sotto il profilo formale.
Secondo la ricorrente infine, il decesso della propria dante causa avrebbe comportato solo la sostituzione del soggetto che doveva subentrare nella società regolare già in gestazione ed in attesa di formalizzazione, non potendosi sostenere che sia intervenuto un duplice trasferimento immobiliare, riguardando il trasferimento unicamente la trascrizione da azienda individuale ad azienda collettiva, indipendentemente dai soggetti componenti quest'ultima. La censura esposta è fondata.
La disciplina relativa ai beni utilizzati dalla società di fatto è mutata nel tempo, posto che, a norma del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 54, comma 7, si consideravano relativi all'impresa tutti quelli ad essa appartenenti, con la conseguenza che i beni di proprietà dei soci non potevano in nessun caso essere inclusi nel patrimonio della società e non era pertanto configurabile una plusvalenza tassabile, non essendo mai il bene, pur utilizzato dall'impresa, uscito dal patrimonio del socio, mentre la successiva L. n. 947 del 1982, art. 3, comma 3, ha disposto una presunzione di appartenenza alla società dei beni mobili iscritti nei pubblici registri a nome di tutte le persone fisiche partecipanti alla società stessa, ove utilizzati nell'esercizio dell'impresa e regolarmente contabilizzati, ed infine il cit. T.U.I.R. art. 77, comma 3, (norma entrata in vigore il primo gennaio 1988 e pertanto applicabile nella specie ratione temporis) ha esteso tale presunzione ai beni immobili, facendo prevalere, sul criterio formale dell'appartenenza del bene, il riferimento all'uso strumentale effettivo ed esclusivo di esso (v. Cass. n. 14686 del 2000 e n. 15040 del 2000).
Alla luce di quanto sopra esposto, non essendo in contestazione la strumentante degli immobili de quibus, deve presumersi che essi al momento del decesso della dante causa della contribuente appartenessero alla società di fatto costituita dalla suddetta dante causa unitamente alle altre eredi del Ghilardoni e che pertanto al momento del suo decesso sia caduta in successione solo una quota della predetta s.d.f., non anche una quota indivisa di immobili già patrimonio dell'azienda individuale del Ghilardoni. Alla luce di quanto sopra esposto, il primo motivo di ricorso deve essere rigettato e il secondo accolta la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altro Giudice che provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese a diversa sezione della C.T.R. Emilia Romagna.
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2009.
Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2009