Diritto Tributario
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 12283 - pubb. 19/03/2015
Incostituzionale la “Robin Tax”
Corte Costituzionale, 11 Febbraio 2015, n. 10. Est. Cartabia.
Cd. Robin Tax ex art. 81 dl 112/2008 conv. in L. 133/2008 – “Maggiorazione d’aliquota” dell’IRES, applicabile a determinate imprese (settore petrolifero ed energetico) – Incostituzionalità – Sussiste
Pronuncia di incostituzionalità – Impatto della pronuncia – Possibilità della Consulta di modularne gli effetti – Anche sotto il profilo temporale – Sussiste (art. 134 Cost.)
Ai sensi dell’art. 53 Cost., la capacità contributiva è il presupposto e il limite del potere impositivo dello Stato e, al tempo stesso, del dovere del contribuente di concorrere alle spese pubbliche, dovendosi interpretare detto principio come specificazione settoriale del più ampio principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. Non ogni modulazione del sistema impositivo per settori produttivi costituisce violazione del principio di capacità contributiva e del principio di eguaglianza. Tuttavia, ogni diversificazione del regime tributario, per aree economiche o per tipologia di contribuenti, deve essere supportata da adeguate giustificazioni, in assenza delle quali la differenziazione degenera in arbitraria discriminazione. La possibilità di imposizioni differenziate deve pur sempre ancorarsi a una adeguata giustificazione obiettiva, la quale deve essere coerentemente, proporzionalmente e ragionevolmente tradotta nella struttura dell’imposta. Nella specie l’art. 81, comma 16, ha previsto, «[i]n dipendenza dell’andamento dell’economia e dell’impatto sociale dell’aumento dei prezzi e delle tariffe del settore energetico», una «addizionale» del 5,5 per cento (poi innalzata al 6,5 per cento) dell’aliquota dell’imposta sul reddito delle società per chi operi nel predetto settore e abbia conseguito un ricavo superiore a un determinato ammontare, la cui entità è andata progressivamente diminuendo, così da allargare in modo significativo il novero degli operatori assoggettati alla maggiorazione di imposta, secondo una linea di tendenza solo marginalmente compensata dalla introduzione di altra soglia, questa volta riferita al reddito imponibile. I presupposti di fatto, addotti dal legislatore nell’art. 81, comma 16, per inasprire il carico fiscale delle società del settore, consistono, da un lato, nella grave crisi economica deflagrata proprio in quel periodo e nella correlata insostenibilità, specie per le fasce più deboli, dei prezzi dei prodotti di consumo primario; d’altro lato, nel contemporaneo eccezionale rialzo del prezzo del greggio al barile, verificatosi proprio nel medesimo volger di tempo, che, nella prospettiva del legislatore, è parso idoneo ad incrementare sensibilmente i margini di profitto da parte degli operatori dei settori interessati e a incentivare condotte di mercato opportunistiche o speculative. La complessa congiuntura economica così ricostruita dal legislatore che vi ha ravvisato spinte contraddittorie, costituite dall’insostenibilità dei prezzi per gli utenti e dalla eccezionale redditività dell’attività economica per gli operatori del petrolio, ben potrebbe essere considerata in astratto un elemento idoneo a giustificare un prelievo differenziato che colpisca gli eventuali “sovra-profitti” congiunturali, anche di origine speculativa, del settore energetico e petrolifero. Occorre però rilevare che i mezzi approntati non sono idonei e necessari a conseguirlo posto che il legislatore, con l’art. 81, commi 16, 17 e 18, del d.l. n. 112 del 2008, e successive modificazioni, ha previsto una maggiorazione d’aliquota di una imposizione, qual è l’IRES, che colpisce l’intero reddito dell’impresa, mancando del tutto la predisposizione di un meccanismo che consenta di tassare separatamente e più severamente solo l’eventuale parte di reddito suppletivo connessa alla posizione privilegiata dell’attività esercitata dal contribuente al permanere di una data congiuntura. Infatti, al di là della denominazione di «addizionale», la predetta imposizione costituisce una “maggiorazione d’aliquota” dell’IRES, applicabile ai medesimi presupposto e imponibile di quest’ultima e non, come è avvenuto in altri ordinamenti, come un’imposta sulla redditività. Con l’art. 81, commi 16, 17 e 18, del d.l. n. 112 del 2008, e successive modificazioni, per fronteggiare una congiuntura economica eccezionale si è stabilita una imposizione strutturale, da applicarsi a partire dal periodo di imposta 2008, senza limiti di tempo. Si riscontra, pertanto, un conflitto logico interno alle disposizioni impugnate, le quali, da un lato, intendono ancorare la maggiorazione di aliquota al permanere di una determinata situazione di fatto e, dall’altro, configurano un prelievo strutturale destinato ad operare ben oltre l’orizzonte temporale della peculiare congiuntura. Un ulteriore profilo di inadeguatezza e irragionevolezza è connesso alla inidoneità della manovra tributaria in giudizio a conseguire le finalità solidaristiche che intende esplicitamente perseguire. (La Corte dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 81, commi 16, 17 e 18, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 - Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria -, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica). (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)
Nel pronunciare l’illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate, la Corte Costituzionale non può non tenere in debita considerazione l’impatto che una determinata pronuncia determina su altri principi costituzionali, al fine di valutare l’eventuale necessità di una graduazione degli effetti temporali della propria decisione sui rapporti pendenti. Il ruolo affidato alla Corte come custode della Costituzione nella sua integralità impone di evitare che la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una disposizione di legge determini, paradossalmente, «effetti ancor più incompatibili con la Costituzione» di quelli che hanno indotto a censurare la disciplina legislativa. Per evitare che ciò accada, è compito della Corte modulare le proprie decisioni, anche sotto il profilo temporale, in modo da scongiurare che l’affermazione di un principio costituzionale determini il sacrificio di un altro. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)
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