Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 19/06/2017 Scarica PDF
La disciplina della Depositor preference e il ruolo dei Fondi di tutela dei depositanti
Sido Bonfatti, ProfessoreI – La disciplina dei Fondi di Tutela dei Depositanti
1. Premessa. La tutela dei depositanti e i Fondi di garanzia bancari
La attribuzione di una funzione di garanzia per i depositanti (rectius: per i depositi) a “fondi” costituiti dalle stesse imprese bancarie depositarie è molto risalente nel tempo, e diffusa pressoché in tutti gli ordinamenti bancari moderni – al di là delle differenze nazionali, pur talora abbastanza marcate, come la distinzione tra i Fondi per cc.dd. “a contribuzione periodica” (per i quali la costituzione della dotazione finanziaria avviene mediante effettive contribuzioni periodiche delle banche aderenti), ed i fondi cc.dd. “a chiamata” (per i quali gli interventi delle banche aderenti sono sollecitati nelle occasioni di effettiva necessità di ricorso al “fondo”, rimanendo sino a quel momento un obbligo ad intervenire, piuttosto che un apporto monetario) - .
Fino ad un certo momento l’adesione ai Fondi istituiti dai diversi sistemi bancari ha rappresentato una opzione discrezionale, non essendo esclusa, in teoria, la possibilità di sottrarsi alla partecipazione all’istituto (fenomeno peraltro sostanzialmente sconosciuto): ma “nei tempi moderni” l’adesione ad un Fondo di tutela dei depositi riconosciuto dall’Autorità di Vigilanza ha costituito e costituisce un presupposto per il rilascio (ed il mantenimento) dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività creditizia.
Nel nostro Ordinamento i Fondi riconosciuti (entrambi nel 1996, ad opera della Banca d’Italia) sono due: il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD), al quale partecipano le banche italiane (con la eccezione delle Banche di credito cooperativo: infra) e le succursali di banche extracomunitarie autorizzate in Italia (salvo che partecipino ad un sistema di garanzia estero equivalente almeno con riferimento al livello e all’ambito della copertura); e il Fondo di Garanzia dei Depositanti del Credito Cooperativo (FGD), al quale partecipano le BCC italiane, le succursali di BCC estere operanti in Italia, l’Iccrea Banca s.p.a., le Casse Centrali delle Province di Trento e Bolzano, e le banche costituite in forma di società per azioni, nelle quali la maggioranza del capitale sia posseduto direttamente od indirettamente da Banche di Credito Cooperativo[2].
2. Le modalità di intervento dei Fondi di Garanzia bancari per la Tutela dei Depositanti
L’intervento al quale si è portati a pensare per primo quando si considera la tutela dei depositanti affidata alla garanzia di Fondi costituiti dal sistema bancario è rappresentato dal rimborso delle perdite subite dal cliente in conseguenza della crisi della banca depositaria (aderente al Fondo): salvo domandarsi se tale rimborso sia o non sia soggetto a limiti quantitativi (per evitare quella sorta di moral hazard che, in presenza di una garanzia integrale, spingerebbe ad orientare i depositi verso le banche maggiormente in difficoltà, per lucrare gli interessi presumibilmente più elevati offerti per attirare il risparmio; e comunque per prevenire le sicure difficoltà finanziarie che deriverebbero dall’obbligo di rimborsare l’intero ammontare di tutti i depositi in occasione del default – poniamo – di una Banca “sistemica”), ovvero sia soggetto a limiti soggettivi (per escludere dalla tutela coloro che per definizione non dovrebbero proprio averne bisogno, come le altre banche che avessero depositato liquidità presso la banca in crisi - poniamo - sul mercato del c.d. “interbancario”).
Tale modalità di intervento (il rimborso dei depositanti, entro i limiti oggettivi o soggettivi previsti dalla legge) risulta peraltro sostanzialmente sconosciuto alla esperienza italiana: tra il FITD e il FGD sono stati effettuati, a tutto il 2016, oltre 90 interventi, ed in sole tre (non significative) situazioni di “crisi” la tutela dei depositanti ha assunto la forma del rimborso della perdita subita, nei limiti del “capitale” protetto (100.000,00 euro).
In tutti gli altri casi l’intervento dei Fondi (e la realizzazione della tutela dei depositanti) è avvenuto con modalità diverse (talvolta combinate tra di loro):
- Acquisto di partecipazioni;
- Acquisto di cespiti e/o di crediti;
- Prestazione di garanzie;
- Concessione di finanziamenti;
- Accollo di tutte le passività della banca in crisi da parte di altro intermediario autorizzato, controbilanciato dal contestuale trasferimento delle attività e dal pagamento dello “sbilancio di cessione” da parte del Fondo.
Tale operatività ha prodotto effetti marcatamente positivi tanto di carattere generale, quanto di carattere particolare: sotto il primo profilo, sono stati salvaguardati i livelli occupazionali e l’economia dei territori interessati; sotto il secondo profilo, si è garantita una tutela a tutti i depositi (e non solo a quelli contenuti nell’importo protetto in sede di rimborso – i 100.000,00 euro - ), ed a tutti i creditori (non soltanto ai depositanti).
La condizione alla quale era (e sarebbe tuttora) subordinata l’adozione di queste benefiche soluzioni alternative al rimborso dei (soli) depositanti (rectius: dei depositi inferiori a 100.000,00 euro o comunque fino a concorrenza di tale importo) era peraltro (e sarebbe tuttora) rappresentata dal “minor onere” imposto alle banche aderenti ai Fondi, rispetto all’indennizzo dei depositanti per gli importi garantiti.
In altre parole, il ricorso agli strumenti alternativi passati in rassegna è stato reso possibile dalla valutazione che ove avesse proceduto al semplice rimborso dei depositanti (nei limiti quantitativi e soggettivi previsti dalla legge) il FITD (o il FGD) avrebbe sopportato un “maggior onere” di quello conseguente al ricorso allo strumento alternativo concretamente praticato.
Ciò del resto è (rectius: era) facilmente spiegabile. Il rimborso dei depositanti, infatti, assume effettivamente caratteri di maggiore onerosità, rispetto – ad esempio – alla agevolazione di una operazione di “cessione di attività e passività” a favore di altra banca, laddove si consideri che a fronte dell’onere (insito in tale operazione) del pagamento alla banca cessionaria di uno “sbilancio di cessione” - a contenere il quale contribuisce in modo decisivo la valutazione degli attivi aziendali on going concern - la soluzione del “rimborso” comporta:
a) l’immediata erogazione di importi elevatissimi per l’indennizzo di tutti i depositi “protetti”, con effetti fortemente pregiudizievoli sia sul risultato di conto economico dell’esercizio interessato, sia sulla situazione di liquidità delle singole banche aderenti al Fondo; e
b) l’affidamento delle aspettative di recupero di questi ingenti esborsi agli esiti delle procedure liquidative degli attivi delle banche dissestate, con la prospettiva di recuperi diluiti in una tempistica mortificante (connessa alla durata delle procedure esecutive nel nostro Paese) e falcidiati dalla perdita di valore di diversi asset della banca posta in liquidazione, quali: avviamento; crediti problematici (non più gestibili in una ottica di possibile, progressivo rientro, ma necessariamente azionati in via giudiziale, stante l’impossibilità di continuare ad esercitare l’attività bancaria); patrimonio immobiliare (basti pensare a quello che sarebbe oggi il risultato della liquidazione delle Filiali di una Banca, per un utilizzo diverso da quello bancario, rispetto ai valori rilevati in bilancio); eccetera.
3. Strumenti alternativi di tutela dei depositanti e prevenzione dei dissesti bancari
La constatazione di quanto fosse pregiudizievole per il sistema bancario (organizzato nel FITD e nel FGD) l’ipotesi di liquidazione della banca “in crisi” e dell’avvio del rimborso dei depositi protetti, rispetto alle ipotesi di interventi alternativi volti ad evitare la produzione di una insolvenza irreversibile, ha favorito, storicamente, nell’ordinamento bancario italiano, l’introduzione e l’utilizzo di strumenti di prevenzione delle crisi bancarie.
Gli Statuti del FITD e del FGD hanno previsto, accanto alla possibile funzione di indennizzo dei depositanti per l’ipotesi di liquidazione della banca “in crisi”, altre forme di intervento, che mentre miravano (e mirano) a favorire soluzioni comportanti un “minor onere” per le banche aderenti, contemporaneamente rivelano l’attitudine a contenere gli effetti pregiudizievoli della crisi della banca anche nei confronti degli stessi depositanti (che finiscono per trovare una protezione integrale); dei creditori in genere (che finiscono per errore “protetti” alla stessa stregua dei depositanti); dei dipendenti; e del tessuto economico di insediamento (con particolare riguardo alle imprese finanziate, sottratte al gravissimo pregiudizio prodotto dall’arresto dell’attività bancaria, che comporta la necessaria interruzione del sostegno finanziario e l’esigenza di un immediato “rientro” dal credito concesso).
In questa prospettiva si collocano le disposizioni dello Statuto del FITD concernenti:
- i possibili interventi per favorire operazioni di “cessione di attività e passività, di azienda, di rami d’azienda, nonché di beni e rapporti giuridici individuabili in blocco” (art. 34);
- i possibili interventi “volti a superare lo stato di dissesto o di rischio di dissesto” che possono consistere (art. 35) in:
a) Finanziamenti;
b) Garanzie;
c) Assunzione di partecipazioni al capitale;
d) Acquisizione di attività, passività, aziende, rami d’azienda, beni e rapporti giuridici individuabili in blocco;
e) “Altre forme tecniche”.
Nella stessa prospettiva si collocano le disposizioni dello Statuto del FGD e del relativo Regolamento con Nota Tecnica, concernenti:
- gli interventi “in operazioni di cessione di attività e passività” (art. 33 Statuto);
- gli interventi di sostegno “in corso di amministrazione straordinaria e gestione provvisoria” (art. 35 Statuto);
- interventi integrativi di sostegno “in assenza di procedura”, allorché una BCC “si trovi in uno stato di difficoltà” (art. 35 Statuto);
- “interventi per operazioni di concentrazione” (art. 5 della Nota Tecnica al Regolamento).
In tutti i casi, peraltro, gli interventi alternativi sono possibili:
- “a condizione che l’onere connesso all’intervento (in operazioni di cessione di attività e passività) non superi il costo che il Fondo dovrebbe sostenere per il rimborso dei depositanti” (art. 34 Statuto FITD);
- tenuto conto che “l’onere dell’intervento realizzato mediante misure alternative non deve superare...il costo che il Fondo dovrebbe sostenere per effettuare altri interventi previsti dallo Statuto” – quindi l’intervento del “rimborso” dei depositi protetti, ovvero l’intervento in operazioni di cessione di attività e passività, che a sua volta deve essere meno oneroso del primo – (art. 35 Statuto FITD);
- “sempre che vi sia [nell’intervento in operazione di cessione di attività e passività] un presumibile minor onere” (art. 33 Statuto FGD);
- “sempre che ci sia [nel caso di adozione di “intervento di sostegno”] un presumibile minor onere” (art. 34 Statuto FGD).
4. La sopravvenuta inammissibilità degli “interventi alternativi” dei Fondi di Tutela dei Depositi italiani
In questo momento gli “interventi alternativi” pur ancora previsti dagli Statuti e dai Regolamenti del FITD e del FGD non sono considerati ammissibili dalle autorità comunitarie.
Secondo l’orientamento assunto in sede comunitaria, infatti, tali “interventi” sono contrari alla vigente disciplina in materia di “aiuti di Stato”. In conseguenza di questa presa di posizione un “intervento alternativo”, già realizzato, è stato posto nel nulla, e la banca che ebbe a riceverlo (TERCAS, e per essa la cessionaria Banca Popolare di Bari) ha dovuto restituire quanto ricevuto dal FITD a titolo di concorso nel ripianamento dello “sbilancio di cessione”, correndo il serio rischio di “fallire” subito dopo (infra); un altro intervento, in attesa di autorizzazione alla esecuzione della già deliberata sottoscrizione dell’aumento di capitale sociale della banca in crisi (Cassa di Risparmio di Ferrara), in funzione della sua ripatrimonializzazione, si è visto rifiutare la autorizzazione; altri tre (Banca delle Marche, Cassa di Risparmio di Chieti, Banca Popolare dell’Etruria), pur già programmati, sono stati accantonati prima di essere avviati, vista la mala parate dei primi due.
In questo modo, le risorse restituite alle banche aderenti al FITD per la ritenuta illegittimità dell’intervento del Fondo “obbligatorio” in TERCAS – che non aveva prodotto alcun effetto pregiudizievole per i clienti ed i creditori della banca interessata - hanno dovuto precipitosamente essere nuovamente apportate alla banca in crisi attraverso la costituzione di un Fondo “volontario” (infra).
In questo modo, l’ apporto di capitale da parte del FITD che avrebbe salvato la Cassa di Risparmio di Ferrara, senza alcun pregiudizio per alcun risparmiatore ad alcun creditore, non è stato autorizzato, così che la banca è stata dichiarata “fallita” (o “risolta”, se così si vuol dire),con gli effetti rovinosi che bene si conoscono.
In questo stesso modo, le altre tre operazioni di apporto di capitale da parte del FITD che sarebbero state idonee a consentire la ristrutturazione della Banca Popolare dell’Etruria, di Banca delle Marche, e della Cassa di Risparmio di Chieti, senza alcun pregiudizio per alcun risparmiatore ad alcun creditore, sono state impedite, con il conseguente “fallimento” (i.e. “risoluzione”) delle tre banche, e la necessità di ricorrere ad un provvedimento normativo d’urgenza a tutela degli obbligazionisti travolti dalla “risoluzione” delle quattro banche, a carico del sistema bancario e produttivo per lo stesso di costi largamente più onerosi di quelli sottesi ai possibili “interventi alternativi”, oltretutto in odore di dubbia legittimità[3]
Ciò ha creato, e continua a creare, un vivo sconcerto.
La Commissione Europea ha infatti espresso l’opinione che gli interventi dei Fondi di Tutela dei Depositanti nazionali costituiscano “aiuti di Stato”: e che in quanto tali non siano consentiti mai, se non come presupposto di una procedura di “risoluzione” della banca – ove ne ricorrano i presupposti specifici -, ovvero di liquidazione coatta amministrativa della stessa.
La natura (“di Stato”) di questi “aiuti” dipenderebbe dalla circostanza che i Fondi di garanzia obbligatori, benché alimentati da risorse rigorosamente private – i contributi delle banche aderenti al Fondo – sarebbero comunque controllati (da Autorità pubbliche e quindi in ultima analisi) dallo Stato.
Ciò viene fatto risalire ad una comunicazione della Commissione UE del 10 luglio 2013, intervenuta sulla materia della disciplina comunitaria degli aiuti di Stato[4]. Con tale comunicazione si forniscono, inter alia, linee di indirizzo sui requisiti di compatibilità per gli aiuti in caso di “liquidazione ordinata” della banca in dissesto, e si precisa che gli interventi dei sistemi di garanzia, consistenti nel rimborso dei depositanti di banche in liquidazione, non costituiscono aiuti di Stato. Tuttavia si precisa (o si opina) che gli interventi dei sistemi di garanzia finalizzati al risanamento delle banche in crisi possono costituire aiuti di Stato, anche laddove le risorse utilizzate provengano dal settore privato, qualora i fondi siano soggetti al controllo dello Stato e la decisione di utilizzo delle risorse sia riconducibile allo Stato.
Nel febbraio 2015 la Commissione europea ha annunciato l’avvio di un’indagine per accertare se le misure di sostegno concesse dal FITD alla Tercas, già sottoposta all’Amministrazione straordinaria e poi acquisita dalla Banca Popolare di Bari grazie allo “apporto” del FITD, fosse in linea con la disciplina vigente in materia di aiuti di Stato. Le autorità italiane hanno fatto presente, inter alia, che[5]:
· lo statuto del FITD stabilisce che il Fondo interviene a sostegno delle banche consorziate soggette ad amministrazione straordinaria “quando sussistano prospettive di risanamento e ove sia prevedibile un minor onere rispetto a quello riveniente dall’intervento in caso di liquidazione”;
· il FITD è un consorzio di diritto privato e gli interventi sono approvati dagli organi del Fondo, composti da membri designati dalle banche consorziate senza alcuna ingerenza da parte dello Stato;
· gli interventi del FITD sono deliberati dagli Organi del Consorzio, nominati dalle banche Consorziate;
· la circostanza che gli interventi del FITD siano subordinati alla autorizzazione della Banca d’Italia non comporta che la stessa controlli il FITD, né che la decisione nella effettuazione degli interventi sia imputabile alla Banca d’Italia.
Tuttavia la Commissione ha osservato che il riconoscimento del FITD come sistema obbligatorio di garanzia dei depositi conferma il carattere pubblico delle risorse impiegate dal Fondo, in quanto “i contributi obbligatori imposti, gestiti e ripartiti in conformità con la legge o altre norme pubbliche, implicano un trasferimento delle risorse dello Stato anche se non sono amministrate dalle autorità pubbliche”; che le autorità italiane in realtà concordano con il FITD gli interventi a favore delle banche, come dimostra il fatto che la Banca d’Italia è tenuta a coordinare le attività dei sistemi di garanzia con la disciplina delle crisi bancarie e con l’attività di vigilanza; che gli interventi del FITD sono soggetti ad autorizzazione della Banca d’Italia; e che gli interventi concernenti banche assoggettate ad amministrazione straordinaria devono essere richiesti dal Commissario straordinario, cioè da un Pubblico Ufficiale che è nominato dalla Banca d’Italia ed opera sotto la sua sorveglianza.
Tali considerazioni non appaiono condivisibili, una cosa essendo – per esempio – il Fondo di Risoluzione, il quale – pur alimentato anch’esso dalle risorse (private) delle banche – è governato dall’Autorità di Risoluzione, costituita all’interno della Banca d’Italia; ed altra cosa essendo invece il FITD e il FGD, che non sono gestiti da alcuna autorità pubblica.
Oltre a ciò, la posizione della CE ingenera il dubbio che si assista ad una indebita interrelazione tra profili diversi della regolamentazione dell’attività bancaria, ed in particolare tra il profilo dei richiamati “aiuti di Stato” ed il profilo della disciplina della concorrenza sul mercato bancario.
Il dubbio qui denunciato è alimentato dalle motivazioni con le quali è stato dichiarato illegittimo l’intervento del FITD (nella forma del pagamento dello sbilancio di cessione nel trasferimento delle attività e passività alla banca cessionaria) per la soluzione della situazione di crisi di TERCAS.
Secondo la Commissione tale intervento avrebbe prodotto effetti distorsivi della concorrenza, mantenendo sul mercato un soggetto virtualmente “fallito”: e poiché tale soggetto sarebbe rimasto in concorrenza con imprese straniere, ciò avrebbe falsato le regole della concorrenza fra imprese bancarie comunitarie.
A parte il “salto” logico - come si è detto – tra “aiuti di Stato” e (asserita) violazione della disciplina della concorrenza sul mercato bancario, v’è da osservare che:
(i) TERCAS rappresentava lo 0,1% del mercato bancario italiano; e
(ii) TERCAS operava quasi esclusivamente in una Regione (l’Abruzzo),
per cui è davvero difficile comprendere come possa affermarsi che la sua permanenza sul mercato avrebbe influenzato indebitamente il commercio comunitario[6].
5. La creazione di “Schemi Volontari” all’interno dei Fondi obbligatori di tutela dei depositanti
Secondo la Commissione Europea il “salvataggio” di banche in crisi non sarebbe invece impedito dall’intervento di Fondi di Garanzia volontari – alimentati cioè da risorse (bancarie) private, e gestite da enti di natura privatistica - : e sarà un caso che tali Fondi costituiscono una realtà diffusa e consolidata in certi Paesi comunitari (a partire dalla Germania). Il sistema bancario italiano si è pertanto dovuto adeguare, particolarmente in occasione della dichiarazione della illegittimità dell’intervento effettuato a favore di TERCAS, che imponendo la restituzione al Fondo di quanto in un primo tempo apportato (circa 300 milioni di euro), ha messo in serio rischio la sopravvivenza di TERCAS, e creato i presupposti per una possibile crisi della banca cessionaria (Banca Popolare di Bari), che aveva già fatto rilevanti investimenti per la ristrutturazione dell’azienda bancaria acquisita.
Le banche italiane, una volta ricevuti in restituzione gli apporti che avevano fatto confluire nella (prima) operazione di salvataggio di TERCAS, tramite lo “schema” (obbligatorio) del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositanti, li hanno ri-apportati a favore di TERCAS, per una seconda operazione di salvataggio, a titolo “privato”, cioè di apporto volontario (pur sempre suggerito dalla opportunità di prevenire un dissesto dal quale si sarebbero prodotti effetti giudicati più onerosi, per la necessità, che ne sarebbe conseguita, di rimborsare i depositanti “protetti” in base alla vigente disciplina della salvaguardia obbligatoria dei depositi bancari in caso di default dell’Istituto di credito depositario).
Ciò ha costituito l’occasione per la costituzione, da parte del sistema bancario italiano (pressoché totalmente rappresentato), di un “Fondo” volontario di soccorso alle situazioni di crisi delle aziende di crediti, denominate “Schema volontario di intervento”.
Come riferisce la Relazione del Consiglio di Gestione del FITD a corredo del bilancio dell’anno 2016, “allo scopo di disporre di uno strumento aggiuntivo per la soluzione delle crisi bancarie, anche in risposta ai vincoli e alle limitazioni imposti dalla Commissione europea in materia di aiuti di Stato riferiti agli interventi dei sistemi di garanzia dei depositi, il FITD ha dato vita a uno schema alternativo, a carattere volontario.
Come noto, infatti, la Commissione europea, mentre ha assunto una posizione negativa rispetto all’utilizzo delle contribuzioni obbligatorie in interventi di sostegno, culminata nella decisione assunta sul caso Tercas, per altro verso ha sostenuto che operazioni effettuate dal FITD su base volontaria e con fondi privati, mediante uno schema costituito anche al suo interno, non solleverebbero obiezioni sotto il profilo degli aiuti di Stato.
Lo Schema è stato introdotto integrando lo Statuto del FITD in occasione dell’Assemblea straordinaria delle Consorziate del 26 novembre 2015.
L’iniziativa in discorso è stata inizialmente concepita per realizzare gli interventi di sostegno deliberati, ai sensi dell’allora vigente Statuto, a favore di banche in amministrazione straordinaria (ivi comprese le 4 banche poi andate in risoluzione) e per dare soluzione alla vicenda riguardante Banca Tercas.
Lo Schema volontario è stato costituito con la partecipazione della quasi totalità delle banche consorziate (92,1%), rappresentanti il 99,6% dei depositi protetti”.
Lo “Schema Volontario di Intervento” si è dato un assetto che in questo momento può essere considerato “consolidato”, e che è caratterizzato da:
(i) la partecipazione volontaria delle banche italiane (attualmente circa il 91,5% delle banche consorziate nel FITD, che rappresentano circa il 99,6% dei depositi protetti);
(ii) l’autonomia della governance rispetto a quella del FITD - lo “schema Volontario” ha organi propri, e in particolare: l’Assemblea delle (sole) banche aderenti; il Consiglio di Gestione (formato da 10 membri designati dalle banche aderenti e integrati dal Presidente del FITD e dal Presidente dell’Associazione Bancaria Italiana – ABI), che delibera gli interventi -; il Presidente del Fondo, che convoca e presiede il Consiglio di Gestione. Il Collegio Sindacale (che partecipa alle riunioni del Consiglio di gestione e vigila sulla piena separatezza delle risorse dello Schema Volontario da quelle del Fondo) e il Direttore generale (che svolge l’istruttoria relativa agli interventi e provvede all’esecuzione delle delibere del Collegio di gestione) coincidono con i corrispondenti Organi del FITD;
(iii) una dotazione iniziale pari a 700 milioni di euro, che le banche aderenti si sono impegnate a fornire “a chiamata”, e che attualmente è stata utilizzata per un importo di 280 milioni di euro nella acquisizione del controllo azionario della Cassa di Risparmio di Cesena, venutasi a trovare in una situazione di difficoltà che ne aveva eroso gravemente i coefficienti patrimoniali.
Lo “Schema” costituito all’interno del FITD può essere reso operativo a favore di banche (che beninteso aderiscano a detto “Schema”, che come sottolineato ha carattere assolutamente volontario) nei confronti delle quali siano state adottate misure di intervento precoce, ai sensi del Titolo IV, capo I, Sezione 01-I del T.U.B., ivi incluse le misure di cui agli articoli 53-bis e 67-ter, ovvero sia stato dichiarato lo stato di dissesto o di rischio di dissesto dalla Banca d’Italia.
Gli interventi possono consistere in:
a) concessione di finanziamenti;
b) rilascio di garanzie;
c) assunzione di partecipazioni;
d) acquisizione di attività, passività, aziende, rami d’azienda, beni e rapporti individuabili in blocco;
e) altre forme tecniche.
Gli interventi di cui al comma precedente possono essere effettuati quando sussistano concrete prospettive di risanamento della banca, sulla base di piani di ristrutturazione efficaci e credibili e, in caso di dissesto o rischio di dissesto dichiarato dalla Banca d’Italia, a condizione che, ricorrendone i presupposti previsti dalla normativa, siano state preventivamente adottate misure di riduzione/conversione degli strumenti di capitale in capitale primario di classe 1, ovvero quando gli interventi riguardino operazioni precedentemente effettuate, che richiedano, nei confronti della stessa banca destinataria, integrazioni o diverse configurazioni.
Lo Schema può altresì intervenire nell’ambito di procedure di liquidazione coatta amministrativa, in operazioni di cessione di attività, passività, aziende, rami d’azienda, beni e rapporti giuridici individuabili in blocco.
Le risorse necessarie per effettuare gli interventi e per coprire gli oneri e le spese connessi al funzionamento e agli interventi medesimi sono fornite dalle banche aderenti in via autonoma e aggiuntiva rispetto alle contribuzioni che alimentano il Fondo di garanzia propriamente detto (quello cioè al quale le banche devono aderire obbligatoriamente).
Sul fronte del Credito Cooperativo si è registrato dapprima un “intervento” di carattere volontario “urgente” del sistema bancario cooperativo, per il salvataggio di tre BCC (la Banca Padovana, la Banca Irpina e la Banca Brutia) per le quali era stato programmato (“come d’uso”) l’intervento del FGD, impedito dalla ricordata presa di posizione della CE sulla ritenuta inammissibilità degli interventi dei Fondi di Garanzia obbligatori nelle operazioni di soccorso bancario effettuate al di fuori di procedure di “risoluzione” o di liquidazione coatta.
In un secondo momento è stata prevista (art. 2-bis d.l. 14 febbraio 2016, n. 8, convertito con modifiche nella l. 8 aprile 2016, n. 9) la possibilità per le BCC italiane di aderire – nelle more della costituzione dei gruppi bancari cooperativi sui quali sarà incentrata la riforma del sistema bancario cooperativo – ad un “Fondo” di garanzia temporaneo, promosso dall’Associazione di categoria, di natura privatistica tanto sotto il profilo dell’apporto delle risorse finanziarie di funzionamento, quanto sotto il profilo dell’autonomia gestionale e decisionale. La adesione al “Fondo” temporaneo assolve l’obbligo, che la riforma impone alle BCC, di aderire ad uno dei costituendi gruppi bancari cooperativi, per conservare l’autorizzazione all’esercizio dell’attività creditizia.
È stato così costituito, con atto del 27 maggio 2016, il “Fondo Temporaneo delle Banche di Credito Cooperativo”, con la previsione che al momento dell’adesione della singola banca ad un gruppo bancario cooperativo i pregressi impegni, le attività e i rapporti giuridici in essere derivanti dalla gestione del Fondo saranno assunti dalla banca capogruppo e dal gruppo di riferimento, sulla base degli impegni di competenza verso lo stesso Fondo in precedenza assunti da ciascuna banca aderente [7]
6. La vocazione agli “interventi alternativi” degli “Schemi volontari”
Gli “Schemi volontari” funzionali ad apprestare una garanzia per i depositanti, meno onerosa di quella che dovrebbe essere prestata in sede di liquidazione della banca in crisi – con l’immediato rimborso di tutti i depositanti, nei limiti dei depositi “protetti”, ed il successivo recupero di quanto sborsato con la liquidazione degli attivi bancari e la partecipazione alla distribuzione del ricavato tra tutti i creditori -, puntano a favorire soluzioni di “intervento precoce”, atte a prevenire situazioni di possibile dissesto che finirebbero per essere affrontabili solo con la “risoluzione” o la liquidazione della banca (e il “rimborso” dei depositanti).
Lo “Schema volontario” delle banche diverse dalle BCC “ha la finalità di effettuare interventi a favore di banche… nei confronti delle quali siano state adottate misure di intervento precoce, ai sensi del Titolo IV, Capo I, Sezione 01-I del d.lgs. n. 385 del 10 settembre 1993” (art. 43 Statuto FITD): e la situazione richiamata è quella nella quale la banca versi in una condizione di “significativo deterioramento” della situazione patrimoniale e finanziaria (e debba per ciò dotarsi di un Piano di Risanamento individuale): art. 69-quater T.U.B.
Lo “Schema volontario” interviene altresì nelle ipotesi nelle quali la Banca d’Italia abbia ravvisato l’opportunità di esercitare i “poteri di intervento” conferitile dall’art. 53-bis T.U.B. (convocazione degli esponenti aziendali e del personale della banca; disposizione di convocazione degli organi collegiali su un ordine del giorno prefissato, ovvero convocazione diretta degli stessi; adozione di provvedimenti specifici di carattere conservativo): e ciò non postula alcuna situazione di specifica o consistente gravità, e neppure una situazione di difficoltà di natura economico-patrimoniale-finanziaria, piuttosto che – per esempio – di natura gestionale.
Per converso, la tipologia degli “interventi” risulta particolarmente estesa (finanziamenti; garanzie; acquisizione di partecipazioni al capitale; acquisizione di attività, passività, aziende, rami d’azienda, beni e rapporti giuridici individuabili in blocco; “altre forme tecniche”).
Per ciò che concerne il “Fondo Temporaneo del Credito Cooperativo” (art. 3 Statuto), le situazioni nelle quali esso può intervenire sono quelle nelle quali si registri la esigenza di una “operazione di consolidamento tecnico-prudenziale della banca consorziata nella prospettiva di una successiva operazione aggregativa”; ovvero quando vi sia necessità di supportare una operazione di fusione od una operazione di cessione di attività e passività di una BCC. Anche in questo caso gli strumenti ipotizzabili sono i più vari (“ad esempio” sottoscrizione di strumenti di patrimonializzazione; di prestiti subordinati o irredimibili; di azioni di finanziamento – cfr. art. 150-ter T.U.B. -).
7. La disciplina della depositor preference come possibile deterrente alla adozione degli “interventi alternativi” dei Fondi di Tutela dei Depositanti
Come detto, la ragione d’essere del ricorso a “interventi alternativi” rispetto a quello strumento di tutela dei depositanti che è rappresentata dal “rimborso” delle somme depositate presso la banca entrata in default (nei limiti degli importi protetti ed in favore dei depositanti tutelati), è stata rappresentata dal “minor onere” provocato alle banche aderenti ai Fondi. Del resto, salvare una banca concorrente (invece che vederla eliminata dal mercato); ovvero vedere rafforzata un’altra banca concorrente per effetto dell’acquisizione della banca in crisi agevolata dagli interventi del Fondo; sono azioni che possono essere comprese (e accettate dagli azionisti delle banche aderenti ai Fondi) solo in una prospettiva di maggior convenienza (o, che è lo stesso, di “minor onere”).
Che gli “interventi alternativi” dei Fondi di tutela dei Depositanti costituiti dalle banche non rispondessero (o non rispondano) a logiche “solidaristiche” pare del resto dimostrato dalle incertezze che oggi sembrano investire lo “Schema Volontario” del FITD – che pur non avendo esaurito la dotazione iniziale, sembra tentennare di fronte all’ipotesi di dare corso ad ulteriori interventi, pure invocati, forse per la preoccupazione che la ricostituzione dei mezzi di cui è stato inizialmente dotato non sia poi scontata (da più parti si stanno levando invocazioni all’abbandono della politica di salvataggio indiscriminato di ogni banca in crisi) -.
Non diversamente depone la considerazione della sorte ingloriosa che pare essere toccata al Fondo di Garanzia Istituzionale (FGI) costituito nell’ambito del sistema delle banche di Credito Cooperativo già dal 2008[8]; mai divenuto effettivamente operativo sino ai giorni nostri; attivato di recente per un unico intervento urgente, che ha fatto paventare il recesso di molte BCC poco persuase del “salvataggio” di una concorrente; e che è stato sostituito dal “Fondo Temporaneo” di cui si è detto, che è qualificabile “volontario” fino ad un certo punto, visto che le singole BCC hanno come unica alternativa, per non perdere l’autorizzazione all’esercizio dell’attività creditizia, l’adesione ad uno dei gruppi bancari cooperativi (quando saranno stati costituiti e quando saranno divenuti operativi).
In altre parole, è seriamente da dubitare che le banche accetterebbero di finanziare Fondi di Tutela dei Depositanti (obbligatori o volontari che siano: ma particolarmente quelli volontari) in funzione di orientarne l’attività alla promozione di “interventi alternativi” al puro e semplice rimborso dei depositi “protetti” nel contesto di una procedura liquidativa della banca in crisi, nell’ipotesi in cui detto ”interventi alternativi” non assicurassero più un “minor onere” rispetto al “rimborso”: ed è questa la prospettiva che potrebbe delinearsi alla luce della considerazione della disciplina di favore oggi assegnata, in sede liquidativa, ai crediti dei depositanti “protetti”, e con essi ai crediti dei Fondi che vi si surroghino al momento della esecuzione del rimborso.
Con il chè, cadrebbe lo stimolo alla effettuazione degli “interventi alternativi”, e con il loro abbandono verrebbe indebolita la funzione di prevenzione della crisi della impresa bancaria, sin qui assolta.
II – La depositor preference nella liquidazione delle banche in crisi
1. Depositanti protetti”, “depositanti preferiti” e sistemi di garanzia dei depositanti
La disciplina della depositor preference è rivolta ad apportare una speciale tutela ai risparmiatori (qualificabili “depositanti”: infra) nelle situazioni di “crisi” delle imprese bancarie.
Tradizionalmente, come detto, detta protezione viene intesa come l’intervento di un “terzo” (un Fondo di garanzia), che rimborsa il depositante (entro certi limiti) delle somme messe a rischio dal dissesto della banca. I depositanti aventi i requisiti per accedere a tale forma di protezione, limitatamente agli importi per i quali la garanzia sia operante – quando dei “limiti di rimborso” siano effettivamente previsti – , sono definibili (e così comunque saranno definiti, per comodità espositiva, nel presente contributo) “depositanti protetti” (ed i rispettivi crediti saranno quindi definiti “depositi protetti”).
Tuttavia una diversa protezione può essere assicurata (ed in fatto è assicurata tanto dall’ordinamento comunitario quanto dall’ordinamento nazionale) attraverso una collocazione preferenziale dei crediti dei depositanti nell’ambito del concorso con gli altri creditori della banca “in crisi”.
Detta forma di protezione quindi non si traduce nella previsione di un rimborso da parte di “un terzo”, bensì nella creazione delle condizioni perché il rimborso dovuto dalla banca sia assicurato nonostante l’intervento del dissesto: e ciò attraverso l’affermazione del diritto dei depositanti a vedere “preferiti” i loro crediti rispetto agli altri creditori, con conseguente aumento di probabilità di soddisfacimento.
I depositanti aventi i requisiti per vedere attribuita ai propri crediti una collocazione preferenziale verranno definiti nel presente contributo, per comodità espositiva, “depositanti preferiti”: ed i crediti di cui sono titolari verranno definiti “depositi preferiti”.
Con una avvertenza.
Come si dirà, tanto nell’ordinamento comunitario quanto nell’ordinamento nazionale, anche i “depositanti protetti” rientrano (prima di essere rimborsati; ovvero nelle ipotesi nelle quali, per qualsiasi ragione, non lo fossero) tra i “depositanti preferiti”, costituendo anzi la “classe” più favorita tra costoro.
Sul presupposto che il “rimborso” del “terzo” al quale hanno diritto i “depositanti protetti” avvenga più tempestivamente di quanto non intervenga il soddisfacimento dei “depositanti preferiti” attraverso la collocazione preferenziale dei loro crediti rispetto agli altri creditori (presupposto per lo più correttamente formulato, salve le ipotesi di incapienza dei Fondi di garanzia: infra), la condizione del “depositante protetto” è di norma immediatamente associata al diritto al rimborso: così che la attitudine del suo credito ad una collocazione preferenziale sul ricavato dalla liquidazione della banca tende ad essere trascurata (se non dimenticata). Tale circostanza deve invece essere tenuta ben presente all’attenzione dell’interprete, in quanto:
i. come già accennato, e come si riprenderà in prosieguo, non è detto che il “terzo” garante (il Fondo di garanzia di volta in volta evocabile) sia sempre capiente, o lo sia in misura integrale: in tal caso, la collocazione preferenziale del credito (anche residuo) del “depositante protetto” riacquista immediato interesse; e
ii. in ogni caso, va tenuta presente la circostanza che i Fondi di garanzia che abbiano provveduto a rimborsare i “depositanti protetti” sono surrogati nei diritti degli stessi (sia nell’ordinamento comunitario, sia nell’ordinamento nazionale) nei confronti della banca in “crisi”, con conseguente collocazione dei rispettivi crediti di regresso nella stessa collocazione preferenziale (che sarebbe stata) assicurata ai “depositanti protetti” garantiti (cioè, come detto, nel novero dei “depositi preferiti”, ed anzi al primo grado della sede di pertinenza).
La portata di tale precisazione è a prima vista priva di rilievo per il “depositante protetto” – che, una volta rimborsato, potrebbe essere ritenuto indifferente alle sorti del credito di regresso del Fondo di garanzia solvens, ed ai relativi effetti – : ma
i. non è priva di rilievo, come si dirà, per i restanti creditori, per la banca, e per i soggetti con i quali essa ha intrattenuto rapporti (in primo luogo, i clienti finanziati); e
ii. non è priva di rilevo neppure per il “depositante protetto”, con riguardo agli ulteriori crediti che lo stesso eventualmente vantasse verso la banca, non rientranti tra quelli ammessi al rimborso e concretamente rimborsati.
Alla esposizione delle ragioni sottese a tali conclusioni sono dedicate le pagine che seguono.
2 Il “primo scudo” dei depositanti: la “garanzia del rimborso”
2.1.La disciplina comunitaria della garanzia dei depositanti (Direttiva Comunitaria 2014/59/UE)
L’esigenza di prevedere, a livello comunitario, una forma di tutela speciale per i crediti dei “depositanti”, nelle situazioni di “crisi” delle banche operanti nella comunità Europea, è stata fronteggiata con la istituzione di sistemi di garanzia dei depositi, già oggetto di una “raccomandazione” risalente ad almeno trent’anni fa[9].
Il carattere insoddisfacente dei risultati conseguiti in tal modo suggerì di introdurre una disciplina di carattere cogente, in forza della quale nessun ente creditizio autorizzato ad operare in uno Stato membro avrebbe potuto accettare “depositi” dai clienti, “a meno che non abbia aderito ad uno di tali sistemi” (di garanzia dei depositi) – art. 3, co. 1, Direttiva 94/19/CE del 30 maggio 1994, in GU n. L 135/5, p. 6.-; e disponendo che “i sistemi di garanzia dei depositi prevedono che il totale dei depositi del medesimo depositante sia coperto fino ad un importo di 20.000,00 ECU…..” – art. 7, co. 1, Direttiva 94/19/CE -, e che il pagamento di tali “depositi coperti” dovesse essere effettuato dai sistemi di garanzia dei depositi “entro tre mesi” dall’accertamento da parte delle autorità di vigilanza competenti dell’impossibilità della banca di rimborsare (tutti) i propri depositi, ovvero dal provvedimento con il quale l’autorità giudiziaria avesse disposto la sospensione dell’esercizio dei diritti dei depositanti – art. 10, co. 1 -.
Successivamente la Direttiva 2009/14/CE dell’11 maggio 2009 (in GU n. L 68 del 13.3.2009, p. 3), giudicando l’importo così protetto “inadeguato per un gran numero di depositi nella comunità”, lo ha elevato alla soglia di 50.000,00 euro, innalzata a 100.000,00 euro a far tempo da (non oltre) il 1° gennaio 2011 – art. 1, co. 3, lett. a), direttiva 2009/14/CE –. Nel contempo ha ridotto da tre mesi a “venti giorni” il termine per il rimborso dei depositanti (art. 1, co. 6).
Infine la Direttiva 2014/49/UE del 16 aprile 2014 relativa ai sistemi di garanzia dei depositi (Deposit Guarantee Schemes Directive – “DGSD”, in GU n. L 173/190 del 12.6.2014, p. 149) ha confermato il principio secondo il quale “gli Stati membri assicurano che il livello di copertura del totale dei depositi di ciascun depositante sia di 100.000,00 EUR …” (art. 6, co. 1); ed ha sviluppato il concetto prevedendo, più dettagliatamente (art. 6, co. 2), che gli Stati membri assicurino che taluni depositi siano protetti anche oltre il limite di 100.000,00 EUR “per almeno tre mesi e per un massimo di 12 mesi dopo l’accredito dell’importo o a decorrere dal momento in cui tali depositi diventano legalmente trasferibili” nei casi di:
a) depositi derivanti da operazioni su beni immobili relativi a proprietà residenziali private;
b) depositi che soddisfano talune esigenze di carattere sociale fissate nel diritto nazionale e che sono collegati a particolari eventi della vita di un depositante, quali il matrimonio, il divorzio, il pensionamento, il licenziamento, l’esubero, l’invalidità o il decesso;
c) depositi che soddisfano talune esigenze di cui al diritto nazionale e che sono basati sul pagamento di prestazioni assicurative o indennità per lesioni personali dolose o ingiusta condanna.
La stessa Direttiva (art. 8, co. 1) ha ulteriormente ridotto il termine per il rimborso dei depositanti a “sette giorni lavorativi”, prevedendo peraltro un periodo transitorio fino al 31 dicembre 2023 per l’adattamento progressivo a tale modifica.
3. La disciplina nazionale di garanzia dei depositanti a seguito della attuazione della Direttiva Comunitaria 2014/49/UE. I “depositanti protetti”
Nell’ordinamento nazionale italiano la Direttiva Comunitaria 2014/49/UE relativa ai sistemi di garanzia dei depositi ha trovato attuazione con il d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 30, che ha apportato una serie di modificazioni a diverse norme del testo unico bancario (d.lgs. n. 385/1993).
Come detto, nell’ordinamento bancario italiano operano da tempo il Fondo Interbancario di Tutela dei depositi (“FITD”), al quale devono aderire le banche costituite in forma di s.p.a. e le banche popolari; e il Fondo di Garanzia dei Depositanti del Credito Cooperativo (“FGD”), al quale devono aderire le banche di credito cooperativo.
La loro disciplina è contenuta negli artt. 96 ss t.u.b., che prevede le situazioni nelle quali tali Fondi di garanzia possono (e devono) intervenire; e che dispone le condizioni ed i limiti dell’intervento sotto forma di “rimborso” dei depositanti protetti.
Secondo l’art. 96-bis 1 t.u.b. “sono ammissibili al rimborso i crediti ….. relativi ai fondi acquisiti dalla banca con obbligo di restituzione, sotto forma di depositi o sotto altra forma ….. ” (comma 1), nei limiti dello “ammontare massimo pari a 100.000,00 euro per ciascun depositante ..... ” (comma 3), ovvero senza limite, laddove trattisi di depositi:
(i) di persone fisiche;
(ii) accreditati o divenuti disponibili non oltre i nove mesi anteriori all’avvio della procedura di “crisi” della banca; e
(iii) derivanti da:
a. operazioni relative al trasferimento o alla costituzione di diritti reali su unità immobiliari adibite ad abitazioni;
b. divorzio, pensionamento, scioglimento del rapporto di lavoro, invalidità o morte;
c. il pagamento di prestazioni assicurative, di risarcimenti o di indennizzi in relazione a danni per fatti considerati dalla legge come reati contro la persona o per ingiusta detenzione.
4. La disciplina comunitaria della tutela dei depositanti mediante collocazione preferenziale (Direttiva Comunitaria 2014/59/UE). I “depositanti preferiti”
La Direttiva Comunitaria 2014/59/CE (“Bank Recovery and Resolution Directive” – di seguito, “BRRD”) esprime l’esigenza di attribuire una tutela particolare ai “depositors” già nell’esordio dell’articolato, nel contesto dei “considerando” che precedono il testo normativo.
Disciplinando il fenomeno dello “assorbimento” delle perdite bancarie da parte di talune categorie di creditori, in forza del quale la “cancellazione” di un certo ammontare di passività può concorrere a ricostituire l’equilibrio patrimoniale della banca, o comunque a conseguire la “risoluzione” della sua crisi, il “considerando” n. 72 auspica l’attribuzione all’autorità di risoluzione del potere di escludere dall’assorbimento delle perdite della banca talune passività, in astratto soggette a tale fenomeno, in circostanze particolari di speciale gravità[10]; e precisa che nell’effettuare tali valutazioni le autorità di risoluzione dovrebbero considerare le conseguenze che potrebbero essere provocate da un eventuale assorbimento di passività derivanti da depositi bancari teoricamente soggetti al fenomeno (perché eccedenti l’ammontare “protetto” di euro 100.000,00), allorché tali depositi siano detenuti da “persone fisiche, microimprese e piccole e medie imprese”.
Più in generale, a proposito delle passività della banca in crisi derivanti da depositi bancari “ammissibili” alla disciplina dell’assorbimento delle perdite in funzione della risoluzione delle crisi bancarie (fenomeno che definiremo, per comodità espositiva, bail-in), cioè assoggettabili alla “cancellazione” (o conversione) funzionale a ricondurre la banca ad una condizione di equilibrio patrimoniale, il successivo “considerando” n. 111 osserva che mentre i depositanti della banca sono tutelati, in ipotesi di dissesto della stessa, entro i limiti dell’importo che non può essere soggetto a falcidia (od a conversione) - importo pari a 100.000,00 euro, nel limite del quale i depositi dei risparmiatori assumono la qualità di “depositi protetti” - ; lo stesso non avviene per quei depositi ulteriori (o per quegli importi eccedenti l’ammontare protetto), che sono esposti al rischio dell’assorbimento in funzione della riduzione delle perdite della banca (e della soluzione, o per lo meno composizione, dello stato di crisi), alla pari delle altre passività. In virtù di tale “considerazione” si esprime l’auspicio che al fine di favorire un certo grado di protezione anche ai depositi bancari eccedenti l’importo di euro 100.000,00 (per l’ammontare eccedente, per l’appunto, tale soglia), sia attribuito ai corrispondenti crediti un livello di “ priorità” superiore a quello degli altri crediti non privilegiati, allorché ne siano titolari quelle “ persone fisiche, microimprese e piccole e medie imprese” già prese in considerazione dal ricordato “considerando” n. 72.
A tale proposito il “considerando” n. 111 precisa che la priorità che dovrebbe essere attribuita ai depositi dei soggetti presi in considerazione (persone fisiche, micro imprese e piccole e medie imprese) dovrebbe favorirne il soddisfacimento rispetto ai crediti vantati dai creditori ordinari non privilegiati non garantiti in virtù del diritto nazionale che disciplina “la procedura ordinario di insolvenza”: donde il dubbio che la disciplina rivolta a soddisfare l’esigenza qui rappresentata dovesse necessariamente essere circoscritta alle ipotesi di assoggettamento della banca a “procedure concorsuali”, senza potere essere estesa alle fattispecie nelle quali la crisi bancaria è affrontata con il ricorso ad istituti privi della natura di “procedura concorsuale” (come sarebbe per l’assoggettamento della banca ad amministrazione straordinaria)[11].
Passando dai “considerando”, che fanno da premessa al testo normativo, all’articolato della Direttiva BRRD, assume rilievo l’art. 108, secondo il quale “gli Stati membri garantiscono che, conformemente al diritto nazionale che disciplina la procedura ordinaria di insolvenza”:
a) La parte che supera il livello di copertura (di 100.000,00 EUR) previsto dell’art. 6 della Direttiva 2014/49/UE per i depositi facenti capo a “persone fisiche, micro imprese, piccole e medie imprese” abbia un “livello di priorità … superiore rispetto al livello previsto per i creditori ordinari non garantiti e non privilegiati”; e che
b) I “depositi protetti” (cioè quelli non superiori a 100.000,00 EUR, ovvero i depositi ad essi assimilati ai sensi dell’art. 6 della Direttiva 2014/49/UE)[12]abbiano un grado di priorità “superiore rispetto al grado previsto dalla lettera a)”[13].
Nel contempo si prevede – (art. 44, co. 3, lett. c) – che in “circostanze eccezionali” l’autorità di risoluzione (della crisi della banca) possa escludere talune passività, pur in astratto assoggettabili al bail-in, dall’assorbimento delle perdite della Banca, come ad esempio quando “ l’esclusione è strettamente necessaria e proporzionata per evitare di provocare un ampio contagio, in particolare per quanto riguarda depositi ammissibili detenuti da persone fisiche e da micro imprese e medie e piccole imprese, che perturberebbe gravemente il funzionamento dei mercati finanziari…”.
5. La disciplina nazionale della tutela dei depositanti mediante collocazione preferenziale. A) Lo schema di decreto legislativo modificativo del Testo Unico Bancario. La depositor preference “estesa”
Nello schema di d.lgs. di recepimento della Direttiva BRRD, recante modifiche al T.U.B. (ed al T.U.F.), trasmesso dal Ministero per le riforme costituzionali al Presidente del Senato in data 30 settembre 2015 (Schema n. 208)[14] le indicazioni sulla depositor preference di cui all’art. 108, co. 1, lett. a) della Direttiva erano recepite all’art. 1, co. 33, lett. b), che introduceva una nuova disposizione (il comma 1-bis dell’art. 91) nel Testo Unico Bancario.
Il nuovo art. 91, co. 1-bis, T.U.B. avrebbe dovuto recitare:
“In deroga a quanto previsto dall’articolo 2741 del codice civile e dall’articolo 111 della legge fallimentare, nella ripartizione dell’attivo liquidato ai sensi del comma 1 [dell’articolo 91 del TUB]:
a) i seguenti crediti sono soddisfatti con preferenza rispetto agli altri crediti chirografari:
1) La parte dei depositi di persone fisiche, microimprese, piccole e medie imprese ammessi al rimborso e superiore all’importo previsto dall’articolo 96-bis, comma 5 [vale a dire, 100.000 euro];
2) I medesimi depositi indicati al numero 1), effettuati presso succursali extracomunitarie di banche aventi sede legale in Italia;
b) sono soddisfatti con preferenza rispetto a quanto previsto dalla lettera a);
1) I depositi protetti;
2) I crediti vantati dai sistemi di garanzia dei depositanti a seguito della surroga nei diritti e negli obblighi dei depositanti protetti;
3) sono soddisfatti con preferenza rispetto agli altri crediti chirografari ma dopo che siano stati soddisfatti i crediti indicati alle lettere a) e b), gli altri depositi presso la banca”
Come si vede, le lettere a) e b) del nuovo art. 91, co. 1-bis T.U.B. avrebbero riprodotto quanto previsto dall’art. 108, co. 1, lett. a) della Direttiva BRRD.
La lettera c) del comma 1-bis dell’art. 91 T.U.B., invece, avrebbe introdotto una tutela (sia pure subordinata a quella prevista per i crediti di cui alle lettere precedenti) per qualsiasi “altro deposito presso la banca”, a prescindere dall’importo ed a prescindere dalla natura del depositante: inducendo pertanto a ricomprendervi anche i depositi cc.dd. corporate ed i depositi interbancari[15].
La tutela apprestata ad ogni “altro deposito” era rappresentata dal soddisfacimento “con preferenza rispetto agli altri crediti chirografari…” – ma, come detto, “dopo che siano stati soddisfatti i crediti indicati nelle lettere a) e b)” – .
Per ciò che concerne poi la previsione della entrata in vigore di tale disciplina, l’art. 3 dello schema n. 208 non prevedeva – come invece per altre disposizioni innovative – una disciplina transitoria per le disposizioni produttive della c.d. “depositor preference estesa”: sicché la stessa avrebbe dovuto entrare in vigore immediatamente dopo la pubblicazione della nuova legge sulla Gazzetta Ufficiale.
6. Segue. B) I commenti allo Schema di decreto legislativo modificativa del T.U.B. in materia di “depositor preference”(estesa)
Nel corso dell’intervento del 20 ottobre 2015 nell’ambito del Seminario istituzionale sulle tematiche relative agli schemi di Decreto legislativo relativi all’attuazione della direttiva 2014/59/UE, organizzato presso la sesta Commissione Finanze presso la Camera dei Deputati[16] si dava atto della proposta di introduzione della “c.d. “depositor preference estesa”, che concede un privilegio nel pecking order ai depositi di tutte le imprese (depositi “corporate”) e ai depositi interbancari non garantiti rispetto agli altri crediti chirografari, che si aggiunge al privilegio concesso ai depositi non garantiti di persone fisiche e delle PMI, come espressamente previsto dalla BRRD”.
Tuttavia traspariva dall’intervento la preoccupazione che la speciale tutela così assicurata ai depositanti (diversi da quelli tradizionalmente “protetti”) potesse tradursi in una sorprendente de-classazione dei risparmiatori che avessero investito i propri risparmi (non già in depositi, bensì) in obbligazioni bancarie (che si sarebbero viste “scavalcate”, nel diritto al rimborso in ipotesi di “crisi” di una banca, dai titolari di depositi bancari, pur non antergati alle obbligazioni bancarie al momento della sottoscrizione delle stesse).
Per tale ragione – si deve ritenere – l’intervento si concludeva con la proposta di uno slittamento dell’entrata in vigore della disciplina della depositor preference “estesa” al 1° gennaio 2019, allo scopo di assicurare che “le obbligazioni bancarie non garantite, emesse prima dell’entrata in vigore del Decreto legislativo (…) [avrebbero concorso] – sempre – pari passo con i depositi non garantiti diversi da quelli di persone fisiche e PMI fino al 31 dicembre 2018”.
Non diversamente il Presidente della CONSOB, nel corso dell’audizione del 22 ottobre 2015 presso la stessa Commissione Finanze del Senato[17] aveva sottolineato come in sede di recepimento “(…..) la necessità di privilegiare i depositanti oltre 100.000 euro [avrebbe dovuto essere] attentamente valutata dal Parlamento al fine di contemperarla al meglio con l’esigenza di tutelare le altre categorie di creditori e, in particolare, i portatori di obbligazioni non garantite che hanno sottoscritto i loro titoli prima dell’entrata in vigore di questa disposizione”.
A seguito di tali interventi la sesta Commissione Finanze, nel rendere il parere sull’atto del Governo n. 208, ritenuto che “lo schema di Decreto introduce la c.d. “depositor preference estesa”, che concede un privilegio nella gerarchia dei creditori ai depositi di tutte le imprese (depositi corporate) e ai depositi interbancari non garantiti rispetto agli altri creditori chirografari, che si aggiunge al privilegio concesso ai depositi non garantiti di persone fisiche e delle PMI, come espressamente previsto dalla BRRD”, ha richiesto di valutare l’opportunità che il privilegio dato agli “altri depositi”, di cui all’articolo 91, comma 1-bis, lettera c) del Testo unico bancario, come modificato dall’articolo 1, comma 33, dello Schema di Decreto, avesse una applicazione contestuale “con le altre norme comunitarie in tema di attività finanziarie minime disponibili per far fronte ad eventuali crisi aziendali, a partire dal 1° gennaio 2019”[18].
7. La depositor preference (“estesa” e non) nell’attuale diritto positivo nazionale. I “depositanti preferiti”
La depositor preference “estesa” ha fatto ingresso nel diritto positivo nazionale con il d.lgs. 16 novembre 2015, n. 181 (art. 1, comma 33), che ha modificato il T.U.B. (nonché, corrispondentemente, il T.U.F.).
Intervenendo nella disciplina delle attività di ripartizione dell’attivo ricavato dalla liquidazione del patrimonio della banca assoggettata a liquidazione coatta amministrativa, il d.lgs. n.181/2015 ha aggiunto all’art. 91 T.U.B., comma 1, il comma 1-bis, secondo il quale, in deroga a quanto previsto dall’articolo 2741 del codice civile e dall’articolo 111 della legge fallimentare, nella ripartizione dell’attivo:
a) i seguenti crediti sono soddisfatti con preferenza rispetto agli altri crediti chirografari:
1) la parte dei depositi di persone fisiche, microimprese, piccole e medie imprese ammissibili al rimborso e superiore all’importo previsto dall’articolo 96-bis. 1, commi 3 e 4 [cioè 100.000,00 euro, ovvero i “depositi protetti speciali” – infra –];
2) i medesimi depositi indicati al numero 1), effettuati presso succursali extracomunitarie di banche aventi sede legale in Italia;
b) sono soddisfatti con preferenza rispetto ai crediti indicati alla lettera a):
1) i depositi protetti;
2) (omissis)
3) Sono soddisfatti con preferenza rispetto agli altri crediti chirografari, ma dopo che siano stati soddisfatti i crediti indicati alle lettere a) e b), glialtri depositi presso la banca”.
La norma fa riferimento alla nozione di “depositi ammissibili al rimborso”, la cui definizione è rintracciabile nell’art. 69-bis, co. 1, lett. d) T.U.B., secondo il quale per “depositi ammissibili al rimborso” si intendono quelli che sono “astrattamente idonei ad essere rimborsati da parte di un sistema di garanzia dei depositanti” ai sensi dell’art. 96-bis.1, commi 1 e 2, t.u.b..
Tali disposizioni, a loro volta, precisano che “sono ammissibili al rimborso i crediti … relativi ai fondi acquisiti dalla banca con obbligo di restituzione …”, ma con esclusione (tra gli altri) di:
a) Depositi effettuati da banche, enti finanziari, enti pubblici, et similia;
b) Obbligazioni … e operazioni in titoli”.
Il sopra citato art. 91 t.u.b. fa riferimento anche alla nozione di “depositi protetti”, la cui definizione è rintracciabile nell’art. 69-bis, co. 1, lett. e) t.u.b., secondo il quale per “depositi protetti” si intendono “i depositi ammissibili al rimborso [quindi quelli riferiti appena sopra: depositi effettuati da soggetti diversi da banche, enti finanziari, enti pubblici, eccetera, e comunque ad esclusione delle “obbligazioni e …. operazioni in titoli”] che non superano il limite di rimborso da parte del sistema di garanzia dei depositanti previsto dall’articolo 96-bis.1, commi 3 e 4” t.u.b.: limite rappresentato da
a) “100.000,00 euro per ciascun depositante”, in termini generali[19];
b) nessun importo, per i depositi di persone fisiche, risalenti e non oltre 9 mesi dall’apertura della procedura di “crisi” della banca, aventi ad oggetto somme derivanti da:
i. operazioni relative al trasferimento o alla costituzione di diritti reali su unità immobiliari adibite ad abitazione;
ii. divorzio, pensionamento, scioglimento del rapporto di lavoro, invalidità o morte;
iii. il pagamento di prestazioni assicurative, di risarcimenti o di indennizzi in relazione a danni per fatti considerati dalla legge come reati contro la persona o per ingiusta detenzione.
Il decreto legislativo n. 181/2015 ha anche precisato, al comma 9 dell’articolo 3, che “l’articolo 91, comma 1-bis lettera c) del decreto legislativo 10 settembre 1993, n. 385, come modificato dall’art. 1, comma 33, del presente decreto, si applica nelle procedure di liquidazione coatta amministrativa e di risoluzione iniziate dopo il 1° gennaio 2019”.
Da tali interventi è pertanto legittimo desumere:
A) Che rispetto “agli altri crediti chirografari” sono soddisfatti con priorità, ma in via gradata,[20] tre categorie di crediti derivanti da rapporti di deposito bancario:
(I) I “depositi protetti”, intendendo per tali
i. i cc.dd. “depositi protetti stricto sensu”, costituiti dai depositi ammissibili al rimborso di importo non superiore a 100.000,00 euro; e
ii. i cc.dd. “depositi protetti speciali”, costituiti dai depositi ammissibili al rimborso anche di importo superiore a 100.000,00 euro, ma detenuti a) da persone fisiche; e b) da non più di 9 mesi; quando c) derivanti dalle particolari operazioni previste dall’art. 96-bis.1, co. 4, t.u.b. (supra);
(II) la parte dei depositi “ammissibili al rimborso” (quindi detenuti da persone fisiche, micro imprese, piccole e medie imprese) – ma diversi dai “depositi protetti speciali” – superiore ad euro 100.000,00; e
(III) tutti “gli altri depositi presso la banca”;
B) che la preferenza (sia pure “gradata”) della terza categoria di depositi rispetto agli altri creditori chirografari riguarderà le sole procedure di “crisi” bancarie “iniziate dopo il 1° gennaio 2019”; e
C) che la disciplina della depositor preference (“estesa” o non), nei termini che stiamo considerando, si applica alle procedure di “crisi” delle banche tanto allorché le stesse assumano la forma della (tradizionale) liquidazione coatta amministrativa, quanto nelle ipotesi (innovative) di “risoluzione” della banca[21].
8. Segue. C) La individuazione dei “depositi preferiti” di “Classe 3” (altri depositi presso la banca)
La attribuzione di una collocazione preferenziale rispetto a tutti gli altri creditori chirografari (a far tempo dal 1° gennaio 2019 nelle procedure di “crisi” aperte da quella data) agli “altri depositi ” costituiti presso la banca può generare qualche dubbio interpretativo.
In particolare ci si deve domandare se esista una relazione tra “depositi preferiti” e “depositi ammissibili al rimborso” (pur non rientranti fra i “depositi protetti” – stricto sensu o “speciali” che siano – ), oppure se sia concepibile che un deposito “non ammissibile al rimborso” possa tuttavia essere inserito fra i “depositi preferiti”, e precisamente nella “Classe 3” concernente gli “altri depositi presso la banca”.
Può insomma essere lecito il dubbio se per “altri depositi” presso la banca si intenda qualsiasi rapporto produttivo di un credito di restituzione (monetario) nei confronti della banca; oppure si intendano i soli depositi derivanti da operazioni idonee in astratto a generare “depositi ammissibili al rimborso” (con esclusione, per esempio – e soprattutto – delle “obbligazioni”: cfr. art. 96-bis.1, co. 2, lett. e), t.u.b.), ma non protetti perché (i) eccedenti l’importo di 100.000,00 euro; (ii) non coincidenti con le fattispecie dei depositi protetti speciali; e (iii) detenuti da soggetti diversi dalle persone fisiche, micro imprese, piccole e medie imprese.
A questa stregua, i “depositi preferiti” sarebbero qualificabili come i “depositi ammissibili al rimborso” che peraltro non rientrassero nel novero dei “depositi protetti” (intendendo per tali tanto i depositi protetti stricto sensu, quanto i depositi protetti “speciali”): la esclusione in concreto dalla “protezione”, alla luce della attitudine teorica alla ammissione al rimborso, verrebbe compensata con l’attribuzione di una collocazione preferenziale sul ricavato. Condizione privilegiata che, a questo punto, non potrebbe invece essere riconosciuta mai ai depositi neppure “ammissibili al rimborso”.
Il dubbio qui affacciato non investirebbe peraltro tutte le possibili categorie di “altri depositi” nello stesso modo.
Per ciò che concerne i cc.dd. “depositi corporate”, cioè concernenti rapporti intrattenuti con la banca da grandi imprese industriali e commerciali, la soluzione positiva dovrebbe essere suggerita dalla circostanza che l’entità del deposito non ne comporta, di per sé, l’esclusione dal novero dei depositi “ammissibili al rimborso”; onde, per la parte eccedente l’importo di 100.000,00 euro (sottratta alla disciplina dei “depositi protetti”), pur non essendone ammissibile la “protezione” per carenza dei requisiti (soprattutto soggettivi) dei titolari dei “depositi protetti speciali”[22], ne dovrebbe essere consentita la collocazione preferenziale assegnata ai depositi preferiti, sia pure di “Classe 3”[23] .
Per ciò che concerne invece i crediti derivanti dalla sottoscrizione di obbligazioni bancarie, è certo che essi facciano parte di quelli “non ammissibili al rimborso” (art. 96-bis 1, co. 2, t.u.b.): e se tale condizione non venisse considerata di per sé impeditiva alla collocazione preferenziale (di “Classe 3”) attribuibile agli “altri depositi presso la banca”, la conclusione dovrebbe essere affidata alla considerazione della assimilabilità o meno ai “depositi” delle somme impiegate dal risparmiatore nella sottoscrizione di obbligazioni bancarie.
L’opinione preferibile pare essere quella negativa, ricordando, come già detto, che le ragioni del differimento dell’entrata in vigore della disposizione di cui alla lettera c) del comma 1-bis dell’art. 91 t.u.b. sono state indicate nella volontà di prevenire il pericolo che i crediti derivanti dagli “altri depositi” risultassero preferiti a quelli derivanti da emissioni obbligazionarie (in corso)[24]: il ché indurrebbe ad escludere in termini assoluti (sia prima della data del 1° gennaio 2019, sia successivamente) che i crediti derivanti da sottoscrizione di obbligazioni bancarie appartengano allo stesso genere dei crediti derivanti da “altri depositi” presso la banca[25].
L’ultima categoria di “depositi” per la quale si pone il problema se considerarli o meno ammissibili alla collocazione preferenziale di cui alla lettera c) dell’art. 91, comma 1-bis, t.u.b. concerne i cc.dd. “depositi interbancari”.
Se si giudica (come chi scrive è portato a ritenere) che le obbligazioni siano destinate a rimanere postergate (anche) ai crediti derivanti dagli “altri depositi” [26], pare difficile pervenire ad una soluzione contraria per le altre fattispecie che sono accomunate alle obbligazioni quale contenuto della “deroga” apportata dal comma 2 dell’art. 96-bis.1 al novero dei crediti “ammissibili al rimborso”. D’altro canto, sono ricomprese in tale deroga fattispecie tali (come i depositi derivanti da fatti delittuosi, di cui alle lettera c) e d) della norma), da non giustificare certamente la previsione di un regime di speciale favore.
A questa stregua, i “depositi preferiti” collocabili in via preferenziale, in terza fascia, a far tempo dal 1° gennaio 2019, finirebbero con l’essere limitati ai depositi “generici” superiori a 100.000,00 euro detenuti da soggetti diversi dalle persone fisiche, microimprese, piccole e medie imprese, ma non rientranti tra quelli (banche, enti finanziari, ecc.) di cui al comma 2, lett. a), dell’art. 96-bis 1 t.u.b.) – in pratica: i depositi delle grandi imprese, ovvero i depositi delle entità non quantificabili “imprese” -; nonché ai depositi “speciali” di cui al comma 4 della norma richiamata, detenuti da persone fisiche (perché tali sono le fattispecie contemplate, da non potere prescindere da tale presupposto), ma da un’epoca più risalente rispetto al “periodo protetto” (di nove mesi anteriori all’apertura della procedura di “crisi” della banca).
Tuttavia l’opinione favorevole a considerare anche i depositi interbancari come facenti parte degli “altri depositi presso la banca” suscettibili di una collocazione preferenziale (a far tempo dal 1° gennaio 2019) ex art. 91, comma 1-bis, lett. c) t.u.b., è diffusa[27].
Occorre in ogni caso precisare, che anche a volere ritenere preferibile una interpretazione restrittiva (comportante la esclusione dai “depositi preferiti” tanto delle somme derivanti dalla sottoscrizione di obbligazioni bancarie, quanto dei cc.dd. “depositi interbancari”): anche così (eventualmente) circoscritta, la tutela riservata alla categoria di soggetti detentori di “altri depositi”, rispetto a tutti gli altri creditori chirografari della banca, può suscitare più di una perplessità. Trattandosi prevalentemente, come si può supporre – per quanto precisato sopra – di depositi costituiti da grandi imprese, assolutamente estranee al fenomeno del “cliente inconsapevole”, è lecita la preoccupazione che si verifichino ipotesi nelle quali la grande impresa collochi grandi depositi presso una banca notevolmente in crisi, ottenendo per tale ragione il riconoscimento di tassi di interesse elevati, nella certezza (o quasi) della assenza di rischio in caso di dissesto della banca, grazie alla collocazione preferenziale del proprio (ingente) credito di rimborso[28].
9. La “doppia garanzia” dei “depositi protetti”
Come visto, l’art. 91, co. 1-bis t.u.b., come introdotto dall’art. 1, co. 33, lett. b), del d.lgs. 16 novembre 2015, n. 181, dispone una collocazione preferenziale (“con preferenza rispetto agli altri crediti chirografari”), in via gradata
- per i “depositi protetti stricto sensu” [importo non superiore a 100.000,00 euro][29] e per i “depositi protetti speciali”;
- per la parte dei depositi ammissibili al rimborso di persone fisiche, microimprese, piccole e medie imprese superiore all’importo previsto per i “depositi protetti”; e
- per “gli altri depositi presso la banca” (a far tempo dal 1° gennaio 2019, per le procedure di “crisi” iniziate dopo tale data).
Trattasi dunque di una tutela affidata ad una collocazione “privilegiata” nel concorso per il soddisfacimento dei crediti (dei depositanti) nei confronti della banca in “crisi”: tutela che come tale dipende dalla consistenza del patrimonio ricavabile dalla liquidazione (o dalla “risoluzione”) della banca, giacché tale patrimonio potrebbe anche rivelarsi insufficiente a consentire il rimborso integrale dei “depositi preferiti” (ogni qualvolta il risultato della liquidazione o della “risoluzione” fosse assorbito dal soddisfacimento dei creditori privilegiati, che precede il soddisfacimento dei creditori chirografari, sia pure quelli da soddisfare “ con preferenza rispetto agli altri creditori chirografari”: infra).
Si è però anche sottolineato come l’ordinamento bancario preveda, ma limitatamente per i “depositi protetti”, anche una seconda forma di tutela per i depositanti (che poi rappresenta la tutela principale, da un punto di vista operativo): la garanzia di un “terzo”, che risponde dei debiti della banca in “crisi” (nei limiti della protezione accordata). Questo “terzo” è rappresentato dai Fondi di garanzia dei depositanti.
Si può pertanto concludere che i “depositi protetti”, cioè i depositi rientranti nella categoria dei “depositi ammissibili al rimborso” [perché non rientranti nella “deroga” preclusiva di cui al comma 2 dell’art. 96 – bis. 1 t.u.b.], e di importo non inferiore al “limite di rimborso” [cioè 100.000,00 euro, salve le fattispecie di cui al comma 4 dell’art. 96-bis. 1 t.u.b., per le quali il limite non vale] godono in realtà di due generi di protezione:
a) una collocazione preferenziale nel concorso con gli altri creditori nel dissesto della banca; e
b) la manleva di un Fondo di Garanzia,
di modo che
i. in caso di incapienza del patrimonio della banca in “crisi”, il soddisfacimento dovrebbe comunque derivare dall’intervento del “Fondo”; e
ii. in caso di insolvenza del “Fondo” – per esaurimento delle risorse finanziarie fatte affluire dalle banche, che ne costituiscono la dotazione patrimoniale mediante una contribuzione annuale disposta dalla legge (art. 96.1. t.u.b.)[30] – i crediti dei depositanti, nei limiti precisati, dovrebbero comunque trovare soddisfacimento in virtù della collocazione preferenziale loro accordata nel pagamento delle esposizioni della banca in “crisi”. [31]
Tenuto conto delle modalità e dei tempi di intervento delle due forme di “garanzia”, è da ritenere che la protezione dei titolari di “depositi protetti” sarà assicurata:
i. in primo luogo, e presumibilmente in misura integrale, dall’intervento dei “Fondi”; e
ii. solo successivamente, in via eventuale e per il residuo che non fosse stato possibile rimborsare con l’intervento dei “Fondi”, tramite la collocazione preferenziale nel concorso con gli altri creditori della banca in “crisi”.
L’art. 96-bis 2, infatti, per limitarsi all’ipotesi dell’assoggettamento della banca a liquidazione coatta amministrativa, dispone che “il rimborso è effettuato entro sette giorni lavorativi dalla data in cui si producono gli effetti del provvedimento” di l.c.a.[32]: ragione per cui, dopo pochi giorni dall’apertura della procedura, i depositanti non saranno più interessati al recupero dei loro crediti verso la banca (recupero che sarà curato dai “Fondi”, che si surrogheranno ai depositanti rimborsati nei diritti degli stessi già vantati verso la banca: infra).
10. Natura ed effetti della collocazione preferenziale dei crediti dei “depositanti preferiti”
I crediti dei depositanti che andiamo considerando in questa sede (quelli “protetti” dall’art. 91 t.u.b. quanto al concorso con gli altri creditori della banca in “crisi) sono dunque “soddisfatti con preferenza rispetto agli altri crediti chirografari” (art. 91, co. 1-bis, t.u.b.)
Benché a tale proposito ci si sia espressi in termini di “privilegio”, affermandosi che “la Direttiva BRRD ha introdotto dei criteri di privilegio dei crediti (la cosiddetta depositor prefence)…” [33], è da ritenere che il ricorso a tale categoria, nell’ordinamento nazionale, non sia corretto.
I crediti della specie non sono propriamente “privilegiati”, bensì (solamente) preferiti agli altri creditori chirografari: ad essi antergati, pertanto, senza per ciò assurgere propriamente alla “categoria” soprastante (dei crediti privilegiati).
Trattasi di una collocazione antitetica rispetto a quella dei crediti postergati (per es. quelli derivanti da finanziamenti-soci erogati in situazioni di squilibrio finanziario della s.r.l.: cfr. art. 2367 cod. civ.), che sono collocati dopo gli altri crediti chirografari, senza per ciò scadere nella “categoria” sottostante (rappresentata dal capitale sociale).
La antergazione di cui trattasi è poi caratterizzata da una “graduazione” interna, che potremmo avvicinare al fenomeno della suddivisione dei creditori in “classi” nel Concordato preventivo (come del resto accade per i crediti postergati – definiti anche subordinati –, che possono risultare graduati tra di loro piuttosto che destinatari di un unico trattamento omogeneo):
i. la “classe” dei “depositi protetti” (costituita dai depositi protetti stricto sensu e dai depositi protetti speciali) – “Classe 1” -;
ii. la “classe” della parte dei depositi ammissibili al rimborso superiore al limite dei depositi protetti (in pratica, superiore all’importo di 100.000,00 euro, se rappresentati da depositi protetti stricto sensu), qualora detenuti da “persone fisiche, micro imprese, piccole e medie imprese” – “Classe 2” -; e infine
iii. la “classe” degli “altri depositi presso la banca”, con riguardo però alle sole procedure di “crisi” bancarie iniziate dopo il 1° gennaio 2019 – “Classe 3”-.
Nessuna regola esplicita è dettata per la successione nel soddisfacimento dei crediti dei depositanti “preferiti”, né rispetto alla categoria anteposta (privilegiati) o rispetto a quella posposta (chirografari); né rispetto a ciascuna “fascia” dei crediti “protetti” nei reciproci confronti.
Pare ovvio che nessun soddisfacimento possano ricevere i crediti “preferiti”, prima del soddisfacimento integrale dei crediti privilegiati (e dei crediti prededucibili, ove sussistenti, nonché di quelli sorti per spese di procedura), di qualunque ordine e grado; e, per converso, che nessun soddisfacimento possano ricevere i crediti chirografari, se non dopo l’integrale pagamento dei depositanti “preferiti”.
Per ciò che concerne poi i rapporti tra i depositanti “preferiti” nei reciproci confronti, è da domandarsi se si possa fare riferimento alla figura delle “classi”, come introdotta nella disciplina delle procedure di composizione delle “crisi” delle imprese di diritto comune (con particolare riguardo al Concordato preventivo: cfr. art. 160, co. 1, lett. c) l. fall.); e quali rapporti debbano ritenersi esattamente sussistenti tra una “classe” ed un’altra.
A tale proposito occorre in primo luogo precisare che le “classi” qui costituite non sono il frutto di una opzione dell’imprenditore (o di chi, più in generale, imposti una procedura di composizione di una crisi d’impresa), bensì la conseguenza di una previsione legale. Per effetto di ciò, si deve ritenere che al soddisfacimento dei depositi “preferiti” appartenenti alla seconda “classe” non possa procedersi se non dopo il pagamento integrale dei depositi protetti di cui alla prima “classe”; e che ugualmente non si possa porre mano al soddisfacimento (nell’ambito delle procedure iniziate dopo il 1° gennaio 2019) dei crediti vantati dai depositanti “preferiti” della terza “classe”, se non dopo il soddisfacimento integrale dei depositi “preferiti” delle prime due.
In buona sostanza, dovrebbe farsi qui applicazione di un principio analogo a quello affermato in materia di cause di prelazione, in forza del quale non si può dare corso al pagamento (neppure in misura inferiore) di un credito di grado successivo ad altri, se non dopo il soddisfacimento integrale di tutti i crediti di grado superiore [34].
Come detto, peraltro, i crediti dei depositanti “preferiti”, per quanto antergati rispetto agli altri creditori chirografari, non sono definibili “privilegiati”: ne consegue (inter alia) che in sede di riparto dell’attivo destinato al soddisfacimento dei creditori della banca assoggettata a l.c.a. ovvero a “risoluzione”, i depositanti “preferiti” non si vedranno riconosciuti interessi, come devono essere riconosciuti invece – nei termini di legge – ai creditori privilegiati [35].
11. La depositor preference rispetto ai sistemi di garanzia dei depositi. A) La funzione di protezione dei sistemi di garanzia dei depositi
La direttiva 94/19/CE del 30 maggio 2014 aveva stabilito il principio secondo il quale “fatto salvo qualsiasi altro diritto che essi possano avere ai sensi della legislazione nazionale, i sistemi che effettuano pagamenti a titolo di garanzia, nella procedura di liquidazione hanno il diritto di subentrare nei diritti dei depositanti per un importo pari alla somma pagata” (art. 11).
Tale disposizione non era stata modificata dalla Direttiva 2009/14/CE dell’11 marzo 2009; ed è stata rinnovata dalla Direttiva 2014/49/UE del 16 aprile 2014, la quale prevede che “ fatto salvo qualsiasi altro diritto che esso possa avere ai sensi della legislazione nazionale, il sistema di garanzia dei depositi (“SGD”) che effettua pagamenti a titolo di garanzia in un contesto nazionale ha il diritto di subentrare nei diritti ai depositanti nell’ambito dei procedimenti di liquidazione o riorganizzazione per un importo pari alle somme pagate ai depositanti …” (art. 9, co. 2, prima parte).
Attualmente l’art. 96-bis.2, comma 5, t.u.b. (introdotto dall’art. 1, comma 6, d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 30) afferma che “i sistemi di garanzia, quando effettuano i rimborsi ai sensi dell’art. 96-bis, comma 1-bis, lettera a), subentrano nei diritti dei depositanti nei confronti della banca in liquidazione coatta amministrativa… beneficiando della preferenza di cui all’articolo 91, comma 1-bis, lettera b) numero 2”.
Il numero 2 della lettera b) del comma 1-bis dell’art. 91 t.u.b., a sua volta, afferma che “i crediti vantati dai sistemi di garanzia… a seguito della surroga nei diritti e negli obblighi dei depositanti protetti… sono soddisfatti [con preferenze rispetto agli altri crediti chirografari nonché] con preferenza rispetto ai crediti rientrati alla lettera a)” del comma 1-bis del medesimo art. 91.
Ciò vuol dire che, intervenuto il dissesto della banca, i Fondi di garanzia che rimborsano i depositanti (nei limiti dei “depositi protetti” e con le modalità del “rimborso…entro sette giorni lavorativi…”), sono surrogati nella loro condizione di “antergazione” rispetto a tutti gli altri creditori chirografari, nonché (in quanto collocati nella “Classe 1”)
i. rispetto ai crediti dei depositanti “preferiti” di “Classe 2”, pur preferiti ai chirografari in quanto persone fisiche, micro imprese, e piccole e medie imprese [per le somme superiori al limite di rimborso, ove applicabile]; e
ii. rispetto ai crediti dei depositanti “preferiti” di “Classe 3”, pur preferiti agli altri creditori chirografari (a far tempo dal 1° gennaio 2019) perché titolari di “altri depositi”.
In altre parole: i Fondi di garanzia rimborsano i “depositanti protetti”, nella misura in cui la garanzia di legge deve operare, ed immediatamente dopo sono collocati, “in esclusiva”, a ridosso dei creditori privilegiati e prima degli altri depositanti “preferiti” (di “Classe 2” e di “Classe 3”), e tanto più prima di tutti di altri creditori chirografari.
12. Segue. B) Il ruolo dei sistemi di garanzia nella soluzione delle crisi bancarie in Italia
Come abbiamo sottolineato in apertura del presente contributo, nel nostro Paese la tutela dei depositanti, nelle situazioni di crisi bancarie, è stata raramente perseguita con il “rimborso” dei rispettivi depositi (alle condizioni e nei limiti del diritto al rimborso verso il FITD o verso il FGD), e comunque in modo assolutamente marginale[36]. Essa è stata perseguita piuttosto attraverso la prevenzione dell’esplosione della crisi, ovvero la traslazione del pericolo di insolvenza della banca ad altra banca patrimonialmente rispondente – (o attraverso operazioni di incorporazione, o attraverso operazioni di cessione dell’azienda bancaria e/o delle relative attività e passività, con conseguente “accollo” alla banca cessionaria (anche) delle passività verso i depositanti protetti) – .
Tale tecnica di protezione (tra gli altri) dei depositanti è stata resa possibile da:
a) un quadro normativo, regolamentare e statutario che consentiva il perseguimento della tutela dei depositanti anche attraverso l’utilizzo di strumenti (come quelli descritti) alternativi al “rimborso” tout court delle somme depositate presso la banca in crisi; e
b) la presenza di condizioni di maggiore convenienza (il c.d. “minor onere”) del ricorso agli strumenti alternativi rispetto allo strumento del “rimborso”. Tali condizioni, che rappresentavano anche un presupposto normativo e statutario, hanno fatto sì che:
i. il sistema bancario abbia sopportato, per i “salvataggi” bancari, costi inferiori a quelli che avrebbe sopportato se avesse dovuto dare corso al rimborso dei depositanti protetti[37]; e
ii. le aziende bancarie delle banche in crisi non hanno, per lo più, cessato l’attività, così evitando le gravi ripercussioni che la chiusura della banca avrebbe avuto (non tanto e non solo sui depositanti, che comunque avrebbero beneficiato dei “rimborsi”, quanto piuttosto e soprattutto) dei clienti affidati, che non avrebbero più potuto essere sostenuti finanziariamente (essendo cessata l’attività bancaria); e infine
iii. anche i creditori diversi dai depositanti, e tra questi i depositanti estranei al perimetro (per caratteristiche soggettive e/o per tipologia di rapporto bancario e/o per entità delle somme depositate) dei “depositi protetti ”, nonché i “risparmiatori” non tecnicamente qualificabili “depositanti” (come i sottoscrittori di obbligazioni bancarie), si sono trovati a godere di una tutela integrale.
Abbiamo peraltro fatto notare come al momento la Commissione UE, alla luce della circostanza che l’adesione ai sistemi di garanzia da parte delle banche rappresenta un obbligo di legge, considera “aiuti di Stato”, e come tali in linea di principio non ammissibili, i contributi dei sistemi di garanzia dei depositanti diversi dal “rimborso” dei depositi: quella forma di contributo, cioè, che come tale è erogabile esclusivamente nel contesto di procedure concorsuali/liquidative, e comunque non surrogabile da interventi alternativi, come quelli posti in essere nel passato, in Italia, nella quasi totalità dei casi di “crisi” bancarie[38].
Abbiamo anche già evidenziato come, in conseguenza di ciò, il FITD e il FGD, come tali, non potranno più intervenire nelle crisi bancarie se non attraverso il mero rimborso dei depositanti protetti, per quanto oneroso (sotto i diversi profili sopra segnalati) ciò possa risultare: nel senso di
i. essere più costoso dell’adozione degli strumenti alternativi utilizzati nel passato dai Fondi di garanzia italiani; e
ii. rendere inevitabili le gravi ripercussioni della liquidazione della banca sui restanti creditori (al netto di quelli rimborsabili) e sull’economia del territorio di riferimento.
Abbiamo poi segnalato come a ciò sia stato posto rimedio con la costituzione di “Schemi (più o meno) volontari” attraverso i quali le banche italiane, “volontariamente” (e quindi potendo esercitare anche la facoltà di non provvedere in tal senso, come qualche banca effettivamente ha fatto), possono – aderendo agli “Schemi” - intervenire in situazioni di “crisi” al fine di prevenire il dissesto di una banca, in funzione della sua patrimonializzazione; del suo recupero ad una governance corretta e ad una gestione efficiente; della sua successiva cessione sul mercato, in vista della riscossione di un prezzo atto a rimborsare le banche intervenute – o a ricostituire la dotazione dello “Schema Volontario” – .
La natura volontaria dell’iniziativa ne esclude la rilevanza sotto il profilo dell’ammissibilità o meno degli “aiuti di Stato”: e ciò realizza nuovamente la prima delle condizioni originarie alle quali erano subordinati gli interventi di sostegno alle banche in crisi con strumenti alternativi al rimborso dei depositanti (cioè la conformità al quadro normativo e regolamentare vigente).
Per quel che riguarda invece la seconda condizione, alla quale erano subordinati gli interventi di “salvataggio” del FITD e del FGD attuati con strumenti alternativi al rimborso dei depositanti, rappresentata dal presupposto del “minor onere” dell’intervento alternativo, la conclusione è meno certa (e tendenzialmente dubbia).
Sotto questo profilo, infatti, va prestata speciale attenzione alle ricordate innovazioni normative, in forza delle quali gli interventi dei sistemi di garanzia in favore dei “depositanti protetti” ne determinano la surrogazione nei relativi diritti verso la banca, che si traduce in:
i. la collocazione, nel concorso con gli altri creditori, prima di ogni altro credito chirografario; nonché
ii. la collocazione, nel concorso con gli altri “depositanti preferiti”, antergati ai creditori chirografari, prima di ogni altro depositante antergato. In pratica, cioè, come detto, subito dopo i crediti privilegiati.
La surrogazione dei crediti dei Fondi di garanzia per i rimborsi effettuati ai depositanti protetti in una collocazione (“preferenziale”) così favorevole, mette in discussione (o può mettere in discussione, nei singoli casi di specie) la stretta convenienza economica del ricorso a strumenti alternativi di (prevenzione e) composizione delle situazioni di “crisi”, mediante il ricorso a strumenti alternativi: ovverosia, mediante il ricorso allo “Schema Volontario” [39] ed al “Fondo Temporaneo”.
Abbiamo già avuto modo di segnalare che gli Statuti di questi “Schemi volontari” non condizionano i propri interventi all’accertamento della sussistenza del presupposto del “minor onere”: donde l’interrogativo se ed in quali termini questo elemento possa avere rilievo nella decisione di procedere o non procedere ad un “intervento alternativo” in favore di una banca (aderente allo “Schema Volontario”) in crisi.
Per ciò che concerne lo “Schema Volontario” istituito all’interno del FITD, per esempio, nell’ambito della dotazione tempo per tempo determinata dalla Assemblea delle banche (“in seduta straordinaria”: art. 45, co. 2 Statuto FITD, quindi con la presenza di tante banche che rappresentino almeno la metà dei voti, e con il voto favorevole di almeno i due terzi dei voti spettanti alle banche presenti o rappresentate) – oggi come detto ammontante a 700 milioni di euro – , il Consiglio di gestione accerterà la sussistenza dei presupposti che condizionano gli “interventi” dello Schema Volontario. In caso di accertamento negativo, nulla quaestio; in caso di accertamento positivo, manca la indicazione dei criteri in base ai quali il Consiglio di gestione possa, in ipotesi, negare, in linea di principio, l’attuazione dell’intervento richiesto da una banca aderente “in crisi” (salva l’ipotesi, ovviamente, nella quale il Consiglio di gestione disconosca l’attitudine dell’intervento richiesto ad assicurare “concrete prospettive di risanamento della banca”: il chè si traduce peraltro proprio nell’accertamento della mancanza di uno dei presupposti richiesti dallo Statuto).
D’altro canto è necessario tenere presente che, come detto, l’adesione allo “Schema Volontario” è frutto di una scelta assolutamente volontaria, in funzione dell’approntamento di forme di tutela supplementari per i clienti della banca (sia in qualità di depositanti, sia in qualità di affidati), e per i creditori in generale. Ciò potrebbe originare, in prospettiva:
i. per un verso, l’acquisizione di un maggior grado di “reputazione” per le banche aderenti allo “Schema Volontario”, rispetto a quelle non aderenti (e come tali escluse per definizione dai possibili interventi alternativi, in caso di “crisi”); e
ii. per un altro, la creazione di una legittima aspettativa per ciascuna delle banche aderenti, che in quanto tale abbia contribuito alla costituzione dei fondi necessari a finanziare gli interventi dello “Schema Volontario” nelle situazioni di “crisi” di altre banche, a beneficiare del medesimo genere di interventi, allorché incappasse in una delle situazioni critiche che ne costituiscono il presupposto in base al dettato Statutario del Fondo: e ciò a prescindere dalla valutazione se l’intervento sollecitato presenti o meno l’attitudine a garantire un “minor onere” (per le banche aderenti allo “Schema Volontario”) rispetto al rimborso dei depositi protetti in sede liquidativa.
[1] Il presente contributo rappresenta lo sviluppo ed aggiornamento della Relazione presentata all’VIII° Convegno Nazionale della Associazione Italiana dei Professori Universitari di Diritto Commerciale – Orizzonti del Diritto Commerciale (Roma, Università di Roma Tre, Dipartimento di Studi Aziendali – 17 e 18 febbraio 2017 -).
[2] Per quanto riguarda le banche Sammarinesi, o comunque operanti nella Repubblica di San Marino, è operativo il Fondo di Garanzia dei Depositanti, disciplinato dal Regolamento n. 2016-1 emanato in data 30 agosto 2016 dal Direttore Generale della Banca Centrale della Repubblica di San Marino. La “protezione” assicurata ai depositanti è subordinata all’assoggettamento della banca alla procedura di “Liquidazione coatta”, e presenta contenuti e presupposti soggettivi ed oggettivi simili a quelli che caratterizzano il FITD.
[3] Infatti il Governo italiano ha disposto la costituzione di un “Fondo di Solidarietà” per il risarcimento (di parte) degli obbligazionisti subordinati sacrificati in esecuzione delle procedure di risoluzione delle “quattro banche”. Detto Fondo è alimentato dal FITD; e le relative disponibilità sono quindi sottratte ad un Fondo obbligatorio, per soddisfare una funzione diversa da quella alle quali le stesse sono obbligatoriamente destinate. Si produce in questo modo un contrasto oggettivo tra quanto disposto dalla Direttiva Comunitaria 2014/49/UE (Deposit Guarantee Scheme Directive -DGSD) - che destina le risorse dei Fondi Obbligatori di Tutela dei Depositi al rimborso dei depositanti – e quanto disposto dal ricordato provvedimento nazionale – che destina una parte di queste risorse all’indennizzo degli obbligazionisti subordinati delle “quattro banche” –, che non si vede come possa risolversi in favore del secondo.
[4] In argomento v. A. PEZZUTO, Nuove regole sui sistemi di Garanzia dei depositi, aiuti di Stato, completamento dell’UEM, in Il risparmio, 2016, 57 ss.
[5] Cfr. nota della Commissione europea del 27.2.2015 (C (2015) 1404 final).
[6] Non diversamente è a dirsi per l’altro “casus belli” prodottosi con la crisi delle cc.dd. “quattro banche”. Per conseguire il salvataggio di quattro banche sottoposte ad amministrazione straordinaria (Banca Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio della provincia di Chieti), le quali detenevano una quota di mercato complessiva dell’1 per cento circa in termini di depositi, il già prospettato “salvataggio” da parte del Fondo di tutela dei depositi non si è concretizzato per l’opposizione della Commissione europea che, anche in questo caso, ha ritenuto che l’intervento del Fondo fosse in contrasto con il quadro normativo in materia di aiuti di Stato. Conseguentemente il Governo italiano è intervenuto con il d.l. 22 novembre 2016, n …, che ha disposto la procedura di “risoluzione” delle quattro banche, disponendo l’assorbimento delle perdite da parte degli azionisti e degli obbligazionisti subordinati.
[7] Nonostante la recentissima costituzione il Fondo Temporaneo del Credito Cooperativo è già intervenuto in almeno due situazioni critiche: la prima , alla fine del 2015, con un intervento in favore della BCC di Paceco di complessivi 78 milioni di euro – di cui 67 milioni di euro destinati a rilevare le “sofferenze” della banca, e 11 milioni destinati al rafforzamento del patrimonio – ; la seconda, all’inizio del 2016, con un intervento di almeno 60 milioni di euro – per l’acquisto di crediti problematici – nel contesto della operazione di aggregazione fra il Banco Cooperativo Emiliano ed EmilBanca.
[8] La versione più recente dello Statuto del Fondo di Garanzia Istituzionale risulta quella approvata dalle BCC aderenti nel corso dell’Assemblea straordinaria del 10 dicembre 2015.Il FGI rimane tuttora ancorato al principio del “minor onere” (art. 21).
[9] Raccomandazione 87/63/CEE della Commissione Europea del 22 dicembre 1986 (in GU n. L 33 del 4.2.1987, p.16)
[10] Le circostanze in questione sono individuate, “ad esempio”, nella impossibilità di applicare il bail-in alle passività (pur “ammissibili” in astratto) “in tempi ragionevoli”; nell’ipotesi nella quale l’esclusione è necessaria per assicurare la continuità delle funzioni commerciali della banca; oppure al fine di “evitare un contagio che perturberebbe gravemente il funzionamento dei mercati finanziari”; e in altre ipotesi simili. In tali casi le perdite che le passività escluse avrebbero dovuto assorbire sono trasferite ai titolari delle passività soggette a bail-in, e/o al fondo di risoluzione. Il tema è stato più recentemente ripreso, e particolarmente approfondito, dal Regolamento Delegato (UE) 2016/860 della Commissione del 4febbraio 2016 (in G.U. n. L 144 dell’1 giugno 2016), il quale ha dettato norme “che precisano ulteriormente le circostanze eccezionali…nelle quali, quando è applicato lo strumento del bail-in, l’autorità di risoluzione può escludere, integralmente o parzialmente, talune passività dall’applicazione di poteri di svalutazione o di conversione”.
[11] Sulla esclusione della natura di “procedura concorsuale” della procedura di amministrazione straordinaria bancaria, disciplinata dagli artt. 70 ss. t.u.b., mi permetto di rinviare al mio lavoro “L’Amministrazione straordinaria delle imprese bancarie”, in BONFATTI – CENSONI, Manuale di diritto fallimentare, IV Ed., Padova, 2014.
[12] L’art. 2, co. 1, n. 94 della Direttiva BRRD definisce “depositi protetti” quelli disciplinati dall’art. 2, paragrafo 1, punto 5), della Direttiva DGSD, che li chiama “Depositi coperti”, disciplinandoli all’art. 6.
[13] La stessa disposizione prevede che “i sistemi di garanzia surrogati ai diritti e agli obblighi dei depositanti protetti in insolvenza” abbiano lo stesso grado di priorità dei “depositi protetti” (infra).
[14] Consultabile al link: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/315935.pdf
[15] Così infatti veniva evidenziato nel documento dei servizi e degli uffici del Senato e della Camera (consultabile al link: http://documenti.camera.it/Leg17/Dossier/PDF/FI0368pdf
[16] Consultabile al link:
https://www.abi.it/DOC_Info/Audizioniparlamentari/Intervento_DG_Sabatini_Seminario_BRRD_20_10_201
[17] Consultabile al link:
[18] Senato della Repubblica, Legislatura Diciassettesima, sesta Commissione Permanente – Resoconto sommario n. 294 del 4 novembre 2015.
[19] Secondo l’art. 96-bis, 1, comma 5, t.u.b., ai fini del calcolo del limite di 100.000,00 euro:
a) i depositi presso un conto di cui due o più soggetti sono titolari come partecipanti di un ente senza personalità giuridica sono trattati come se fossero effettuati da un unico depositante;
b) se più soggetti hanno pieno diritto sulle somme depositate su un conto, la quota spettante a ciascuno di essi è considerata solo nel calcolo;
c) si tiene conto della compensazione di eventuali debiti del depositante nei confronti della banca, se esigibili alla data in cui si producono gli effetti del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ai sensi dell’articolo 83, comma1, nella misura in cui la compensazione è possibile a norma delle disposizioni di legge o di previsioni contrattuali applicabili.
[20] Ricorre alla nozione di “classe” S. De Polis, La tutela dei depositi bancari nel quadro dell’Unione Bancaria Europea, intervento alla cerimonia di intitolazione dell’Aula “Francesco Parrillo” dell’Università degli studi di Roma La Sapienza, 27 aprile 2016 (in www.dirittobancario.it).
[21] S. De Polis, op. cit. .
[22] Vale a dire i depositi di persone fisiche, accreditati o divenuti esigibili da non oltre 9 mesi, e derivanti dalle causali speciali di cui all’art. 96-bis, 1, t.u.b., comma quattro.
[23] L’opinione favorevole a ritenere ricompresi i “depositi corporate” nel novero dei depositi collocabili in via preferenziale rispetto agli altri creditori chirografari (a partire dal 1° gennaio 2019) è pressoché unanime: in tal senso vedi S. De Polis, op. cit., secondo il quale “a partire dal 1° gennaio 2019 il regime preferenziale sarà esteso in Italia a tutti i depositi, ivi compresi quelli delle grandi aziende, che costituiranno una terza autonoma classe nella gerarchia concorsuale, antergata alle obbligazioni e alle altre passività”.
[24] Il ché origina peraltro l’interrogativo di quale sia la ragione per la quale dovrebbero trovarsi ad essere collocati in un grado postergato a quello dei “depositi preferiti” di Classe 3” i crediti derivanti dalla sottoscrizione di prestiti obbligazionari emessi nel passato – in totale assenza di questa graduazione - , ma non ancora scaduti alla data del 1° gennaio 2019.
[25] La esclusione delle obbligazioni bancarie del novero degli “altri depositi” collocabili in via preferenziale ai sensi della lettera c) dell’art. 91, comma 1-bis, t.u.b., ha costituito il presupposto di una interrogazione parlamentare (primo firmatario Carrescia Piergiorgio, del Gruppo del Partito Democratico) del 12 novembre 2015, che sottolineava gli effetti pregiudizievoli che sarebbero stati prodotti dalla entrata in vigore della depositor preference “estesa” sulle Fondazioni bancarie, con riguardo alle obbligazioni dalle stesse detenute, emesse dalle banche conferitarie La esclusione delle obbligazioni bancarie dalla protezione in questione è ribadita da S. Gargano, Depositor preference: un termine difficile per una garanzia in più, consultabile al link http://www.bankreciveryresolution.com/2015/12/30; G. sabatini (Direttore generale ABI), Audizione presso la VI Commissione (Finanze e Tesoro) del Senato del 27 ottobre 2015.
[26] In terminis, S. De Polis, op. cit..
[27] In questo senso S. Gargano, op. cit.; G. Sabatini, cit.; L. Davi, Banche, via libera al bail-in dal 2016, consultabile al link: https://www.ilsole24ore.com
[28] Per converso la preoccupazione che una intensa protezione dei depositanti induca alla assunzione di rischi opportunistici anche gli Istituti di credito è ben presente in dottrina. D.V. MASCIA, Assicurazione sui depositi e azzardo morale: quando la cura diventa il male, in Il Risparmio, 2016, 29 ss., osserva che “questa maggiore fiducia [nella stabilità del sistema bancario, come effetto della istituzione di sistemi di garanzia dei depositanti] “riduce quella che in letteratura viene chiamata “depositor discipline”, vale a dire quell’insieme di azioni – poste in essere dai risparmiatori – volte a monitorare l’operato della banca. Questo implica che gli istituti di credito si sentono liberi di intraprendere iniziative più rischiose di quanto altrimenti farebbero in assenza della predetta assicurazione – dando pertanto vita a condotte ascrivibili alla fattispecie del moral hazard. Come dire che, lo stesso schema di garanzia dei depositi potrebbe essere fonte di crisi”. L’A. pertanto effettua una disamina dei modelli di assicurazione esistenti, nel tentativo di evidenziarne costi e benefici, fornendo infine una valutazione dei comportamenti opportunistici latenti nei diversi schemi, quali risultano dalle valutazioni connesse alla recente crisi finanziaria.
[29] Ciò non deve peraltro ingenerare l’opinione che la individuazione dei “depositi preferiti” rappresenti una operazione semplice. È discusso, per esempio, se ne facciano parte i certificati di deposito, o meglio, tutti i prodotti denominati “certificati di deposito”. Secondo BONZANINI-LEIDI-ROTA, Certificati di deposito: distinzione di regime TUF/TUB ed effetti sulla tutela del FITD, in www.dirittobancario.it, occorre distinguere tra depositi (o prodotti) “bancari” e depositi (o prodotti) “finanziari”, sulla base del principio dettato dall’art. 69-bis T.U.B., secondo il quale “non costituiscono depositi i crediti relativi a fondi acquisiti dalla banca debitrice rappresentati da strumenti finanziari indicati dall’articolo1, comma2, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (v. Testo Unico della Finanza – TUF)… costituiscono depositi i certificati di deposito purché non rappresentati da valori mobiliari emessi in serie”. Ciò impone di distinguere, secondo gli Autori, tra “certificati di deposito emessi ai sensi del TUB” [denominati CD TUB] e “prodotti finanziari eventualmente costituiti in forma di depositi e regolati dal TUF (in particolare, per quanto di interesse, nella forma di certificati di deposito)” [denominati CD TUF]; e di concludere che i soli CD TUB sarebbero “soggetti alla tutela dei FITD e per l’effetto sottratti al bail-in fino all’importo di euro 100.000,00 per depositante”, laddove i CD TUF sarebbero “sottratti alla tutela del FITD, quindi all’opposto soggetti ai meccanismi di bail-in”. In argomento v. GRECO, La tutela del risparmio alla luce delle nuove discipline di “risoluzione” delle banche, in Banca, impresa, società, 2016, 75 ss.; ID., Note minime sulla protezione dei depositanti bancari dopo il recepimento della Direttiva 2014/49/U.E. Commento al d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 30, in Rivista della regolazione dei mercati, 2016. Analoghe incertezze sono state espresse con riguardo alle liquidità depositate (provvisoriamente) presso le banche (cc.dd. “banche depositarie”) dai Fondi Comuni di Investimento e dai Fondi Pensione. Allo stato parrebbe che nel contenuto della “manovra” correttiva dei conti pubblici in discussione in Parlamento (il d.l. n. 50/2017) venga inserita una disposizione funzionale ad escludere dal bail-in i depositi detenuti dai gestori di previdenza complementare presso le banche depositarie, nell’ipotesi di default di una di esse.
[30] Art. 96.1 (Dotazione finanziaria dei sistemi di garanzia).
1. I sistemi di garanzia hanno una dotazione finanziaria proporzionata alle proprie passività e comunque pari almeno allo 0,8 per cento dell’importo dei depositi protetti delle banche aderenti ad eccezione di quelli indicati all’articolo 96-bis.1, comma 4, come risultante al 31 dicembre dell’anno precedente.
2. In fase di prima applicazione, il livello-obiettivo indicato al comma 1 è raggiunto, in modo graduale, entro il 3 luglio 2024. Il termine è prorogato sino al 3 luglio 2028, se prima del 3 luglio 2024 il sistema ha impiegato le proprie risorse per un ammontare superiore allo 0,8 per cento dell’importo dei depositi protetti delle banche aderenti al 31 dicembre dell’anno precedente ad eccezione di quelli indicati all’articolo 96-bis.1, comma 4.
[31] L’ipotesi formulata nel testo non è totalmente scolastica. Va ricordato infatti che nell’esperienza italiana non sempre i Fondi di garanzia sono stati in grado di rimborsare integralmente i depositanti protetti (S. De Polis, La tutela dei depositi ecc., cit., ricorda che “nella soluzione della crisi della Sicilcassa .. il Fondo Interbancario ha coperto circa il 25% dell’onere stimato”. Non diversamente il presidente del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositanti, in una audizione presso la Commissione Finanze del Senato della fine del 2015 (riferita nel documento consultabile al link: https://www.forexinfo.it/Bail-in-confermato-dal-2016), ha dichiarato che in caso di assoggettamento alla liquidazione coatta amministrativa delle “quattro banche” poi assoggettate a “risoluzione” (con intervento del fondo di risoluzione) sarebbe scattata la garanzia per i titolari di depositi di ammontare non superiore a 100.000,00, per un rimborso totale di 12,5 miliardi di euro, che “il FITD non ha e non avrà mai”).
[32] L’art. 4, co. 4, del d. lgs. 15 febbraio 2016, n. 30, che ha dato attuazione alla direttiva 2014/49/UE relativa al sistema di garanzia dei depositi, precisa che “il termine di sette giorni lavorativi previsto dall’art. 96-bis.2, comma 1, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, si applica a partire dal 1° gennaio 2024. Fino a tale data, il termine entro il quale il sistema di garanzia dei depositanti effettua i rimborsi è pari a: a) 20 giorni lavorativi fino al 31 dicembre 2018; b) 15 giorni lavorativi dal 1° gennaio 2019 al 31 dicembre 2020; c) 10 giorni lavorativi dal 1° gennaio 2021 al 31 dicembre 2023.
Fino al 31 dicembre 2023, se il sistema di garanzia dei depositanti non è in grado di effettuare i rimborsi entro il termine di sette giorni lavorativi previsto dall’articolo 96-bis.2, comma 1, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, esso assicura comunque che ciascun titolare di un deposito protetto che ne abbia fatto richiesta riceva, entro cinque giorni lavorativi dalla richiesta, un importo sufficiente per consentirgli di far fronte alle spese correnti, a valere sull’importo dovuto per il rimborso. L’importo è determinato dal sistema di garanzia, sulla base di criteri stabiliti dallo statuto. Si applica l’articolo 96-bis.2, comma 2, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385”.
[33] Ministero dell’Economia e delle Finanze, “Unione Bancaria: con direttiva UE più tutele per depositi e creditori”, documento del 2 luglio 2015, consultabile al link: http://www.mef.gov.it/inevidenza/article_0141.html .
[34] In argomento v., da ultimo, G. D’Attorre, Concordato in continuità ad ordine delle cause di prelazione, in Giur. Comm., 2016, I, 39 ss.
[35] Un altro aspetto della negazione ai crediti dei depositanti “preferiti” della qualità di creditori privilegiati sarebbe rappresentato dalla attribuzione del diritto di voto, se nelle procedure di crisi delle imprese bancarie fossero previste occasioni di consultazione dei creditori concorrenti.
[36] Vengono citati, in ambito FITD, due casi, riferiti a banche di piccolissime dimensioni: e in generale – come già segnalato – tra FITD e GIG sono stati oltre novanta gli interventi effettuati, e soltanto in tre (non significativi) casi si è proceduto al rimborso dei depositanti. Più precisamente dal 1987 – anno di costituzione del Fondo – ad oggi sono stati emanati dalla Banca d’Italia 43 provvedimenti di Amministrazione straordinaria nei confronti di banche consorziate. Delle 43 procedure, 12 (27,9%) si sono chiuse con un intervento del FITD, 12 attraverso processi di concentrazione aziendale, con la restituzione delle banche alla gestione ordinaria; in 4 casi (9,3%) le banche sono state sottoposte a risoluzione; infine, in un caso (2,3%) è stata avviata una procedura di liquidazione volontari.
Al 31 dicembre 2016, le banche in amministrazione straordinaria sono 2 (4,7% del totale).
Dei 12 interventi del FITD, 7 sono stati erogati nell’ambito di operazioni di cessione di attività e passività di banche in liquidazione coatta, 2 con rimborso dei depositanti e 3 con interventi di sostegno.
[37] In molti casi i Fondi di garanzia nazionali hanno favorito il trasferimento di aziende bancarie da banche in crisi a banche patrimonialmente dotate (così disinnescando il pericolo di mancata restituzione dei depositi) integrando il deficit patrimoniale dei rapporti attivi e passivi trasferiti. Tale costo ha rappresentato un onere inferiore a quello che sarebbe derivato dall’immediato rimborso di tutti i depositi protetti, seguito dal recupero di quanto ottenibile con la partecipazione al ricavato dalla liquidazione “atomistica” degli attivi della banca in crisi, nel concorso con gli altri creditori.
[38] V. in argomento la Relazione Illustrativa allo Schema da d.lgs. recante attuazione
alla Direttiva 2014/49/UE, nella quale si dichiara – articolo 1, lett. (i) – che sulla fase di preparazione dello schema
di decreto legislativo, è emerso che, secondo la Direzione Concorrenza della
Commissione Europea, gli interventi di un meccanismo di garanzia dei depositi
diversi dal rimborso dei depositanti sono da ritenersi misure di supporto
pubblico, con la conseguente applicazione del quadro normativo dell’Unione Europea
in tema di aiuti di Stato. In assenza di un consolidato orientamento della
Corte di Giustizia sul punto, si è ritenuto opportuno prevedere la possibilità
che le banche aderenti istituiscano presso il sistema di garanzia uno schema
volontarie. La partecipazione allo schema volontario e, conseguentemente, ai
relativi interventi finanziari, sarà del tutto volontaria e le risorse
finanziarie dello schema volontario devono essere formalmente separate da
quelle del DGS, la cui dotazione finanziaria non deve essere interessata dagli
interventi posti in essere dallo schema volontario. Lo schema volontario con
tali caratteristiche esulerebbe completamente dal regime normativo degli aiuti
di Stato”. ______________________________
Emblematico in tale contesto si è rilevato il ricordato caso di Banca TERCAS,
nel quale il FITD era intervenuto, per circa 300 milioni, per appianare lo
sbilancio patrimoniale della banca al fine di favorire il subentro nelle
relative attività e passività da parte della Banca Popolare di Bari, e che quest’ultima ha dovuto restituire,
a seguito dell’intervento della Commissione, che ha giudicato il contributo del
FITD come un (illecito) “aiuto di Stato”. Il “salvataggio” di Banca TERCAS è
poi stato conseguito mediante un apporto
volontario di pari importo da parte di
quasi tutte le banche italiane, attraverso l’innovativo “Schema Volontario”
del FITD (supra, nel testo).
[39] Per un accenno a tale profilo v. C. Barbagallo, Intervento in sede di esame del d.d.l. di delegazione europea 2014 (A.S. 1758), consultabile al link: https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-vari/int-var-2015/Barbagallo-180315.pdf ; S. De Polis, op.cit.
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