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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 28/10/2013 Scarica PDF

La disciplina dei crediti privilegiati nel concordato preventivo con continuità aziendale

Sido Bonfatti, Professore


Sommario: 1. Premessa. La disciplina dei crediti privilegiati nel Concordato preventivo “con continuità aziendale”; 2. Profili problematici di carattere generale della disciplina dei crediti privilegiati nel Concordato preventivo. 2.1. Contenuto della domanda di concordato in presenza di crediti privilegiati (e di beni concessi in locazione finanziaria); 2.2. Sospensione degli interessi sui crediti privilegiati; compensazione; credito di regresso del coobbligato o fideiussione dell’impresa in concordato con diritto di garanzia; 2.3. Ipoteche giudiziali iscritte in forza di decreto ingiuntivo opposto dall’imprenditore in Concordato; 2.4. Crediti privilegiati conseguenti alla mancata esecuzione di contratti preliminari immobiliari; 2.5. Soddisfacimento dei creditori nel Concordato preventivo dilatorio. Estensione del privilegio agli interessi e ammissibilità di un pagamento dilazionato (rinvio); 2.6. Ammissibilità del mancato soddisfacimento integrale dei crediti privilegiati nel Concordato preventivo; 2.7. Ambito di applicazione della norma concernente il possibile soddisfacimento parziale dei crediti privilegiati. In particolare: A) le pretese assistite da cessione di credito pro solvendo; 2.8. B) Crediti assistiti da privilegio per rivalsa IVA; 2.9. C) Crediti assistiti da privilegio generale; 2.10. Requisiti dell’“esperto stimatore”, rapporti con lo “esperto attestatore”, ruolo, forma e contenuto della “relazione di stima”; 2.11. Ammissibilità della soddisfazione dei crediti privilegiati in percentuale decrescente correlata al rispettivo grado di prelazione ma senza necessario soddisfacimento integrale dei crediti poziori; 2.12. Effetti della previsione di un soddisfacimento solo parziale dei crediti privilegiati sull’ammissione (parziale) al voto e sulla collocazione (parziale) tra i crediti chirografari; 2.14. Ammissibilità del pagamento dilazionato dei crediti privilegiati ed effetti sull’esercizio del voto; 3. Effetti dell’applicabilità dell’art. 160, co. 2, l.fall. anche al Concordato preventivo “con continuità aziendale”.

 

 

1. Premessa. La disciplina dei crediti privilegiati nel Concordato preventivo “con continuità aziendale”

Nell’ambito della disciplina del Concordato preventivo oggi definito dal legislatore “con continuità aziendale” (art. 186-bis l.fall.; art. 182-quinquies, co. 4, l.fall.), e precedentemente definito dagli interpreti (anche) “Concordato di risanamento” – in contrapposizione al c.d. “Concordato di liquidazione”, rappresentato dal Concordato eseguito tramite cessio honorum -, si prevede che il “Piano” sotteso alla proposta concordataria possa contemplare, “fermo quanto disposto dall’articolo 160, secondo comma, una moratoria sino ad un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno od ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o die diritti sui quali sussiste la causa di prelazione”.

Per questo caso, la norma prevede altresì che i creditori muniti di cause di prelazione non abbiano il diritto di voto (art. 186-bis, co. 2, lett. c) l.fall.).

A prima vista – ed effettivamente, a detta di molti – la norma parrebbe esprimere un elemento di favor per la forma di Concordato preventivo che si propone di assicurare la continuità aziendale (in maniera “diretta” od “indiretta”), e con essa la protezione dei livelli occupazionali; la salvaguardia degli organismi produttivi; eccetera.   In tale prospettiva, la disciplina dei crediti privilegiati nel Concordato “con continuità aziendale” non potrebbe risultare per l’imprenditore più onerosa di quella prevista per il soddisfacimento dei creditori privilegiati nel Concordato preventivo “di liquidazione”.   Ciò fatta salva l’esigenza di individuazione comunque dell’esatta portata della norma.

La lettura così prospettata della innovazione apportata alla disciplina del Concordato preventivo dall’art. 33 del d.l. n. 83/2012 (convertito nella legge n. 134/20129 non risulta però l’unica astrattamente possibile[2].

Tenuto conto della circostanza che nel Concordato “con continuità aziendale” gli attivi patrimoniali (o comunque la parte di essi impegnata nel ciclo produttivo) non sono destinati alla liquidazione, bensì al mantenimento in capo all’imprenditore (o al cessionario o alla società conferitaria dell’azienda), in funzione – per l’appunto – della continuazione dell’attività aziendale; e che il soddisfacimento dei crediti assistiti da privilegio dovrà avvenire prescindendo dalla liquidazione degli attivi patrimoniali (o da quella parte di essi vincolata alla continuazione dell’attività), ivi compresi quelli dalla cui liquidazione sarebbe stato ricavato quanto necessario a soddisfare i crediti privilegiati (tanto più se garantiti da cause di prelazione costituite proprio su quei beni); la norma potrebbe essere intesa come espressiva del principio secondo il quale la proposta sottesa ad un Concordato “con continuità aziendale” non potrebbe mai prevedere una dilazione nel pagamento dei crediti privilegiati superiore ad un anno (trascurando per ora di considerare la portata della previsione che fa salve le fattispecie di crediti privilegiati assistiti da cause di prelazione su beni o diritti di cui “sia prevista la liquidazione”), come forma di salvaguardia delle aspettative di soddisfacimento dei creditori privilegiati, che potrebbero essere gravemente pregiudicate da una proposta di dilazione eccessiva, considerati i possibili effetti pregiudizievoli sul patrimonio dell’imprenditore di una continuazione dell’attività che non conseguisse i risultati sperati (a causa della produzione di un ingente ammontare di crediti prededucibili, nel Concordato “con continuità aziendale” definibile “diretto”; ed a causa del possibile inadempimento del cessionario – o del possibile andamento negativo dell’attività della società conferitaria – nel Concordato “con continuità aziendale” definibile “indiretto”).

E’ riscontrabile del resto nella prassi affermatasi presso diversi Tribunali l’orientamento secondo il quale deve essere dichiarata inammissibile la domanda di Concordato preventivo, le cui caratteristiche inducano a qualificarlo come Concordato “con continuità aziendale”, che non preveda (e “garantisca”, tramite una attestazione ex art. 161, co. 3, l.fall. che attesti la “fattibilità” della previsione) il pagamento di tutti i crediti privilegiati entro un anno (anche qui prescindendo per il momento, per esigenze di semplificazione espositiva, dalla considerazione dei crediti muniti di cause di prelazione su beni o diritti di cui “sia prevista la liquidazione”).

A mio avviso la lettura della norma che si fa preferire è la prima, che risulta maggiormente coerente con la filosofia che ha caratterizzato l’intervento normativo di cui al decreto c.d. “sviluppo”: intervento che, nella materia che ci interessa, ha certamente rivolto l’attenzione più alla introduzione di misure agevolative dell’accesso a procedure di composizione negoziale delle crisi, che di tutela della tempestività del soddisfacimento dei creditori privilegiati - ne è testimone la contestuale modificazione dell’art. 182-bis, co. 1, l.fall., che nel contesto della disciplina degli “Accordi di ristrutturazione” impone ai creditori privilegiati non aderenti all’Accordo una “moratoria coatta” di 120 giorni (che può seguire alla precedente “moratoria coatta” di un periodo anche superiore, se il deposito dello “Accordo” per l’omologazione è stato preceduto dal deposito della “istanza di sospensioneex art. 182-bis, co. 6, l.fall.: con un risultato complessivo che può pervenire ad una “moratoria coatta” per i creditori privilegiati non aderenti non lontano dal periodo di un anno previsto, per il Concordato “con continuità aziendale”, dall’art. 186-bis, co. 2, lett. c), qui in commento) -.

Oltre a ciò, la lettura della norma che si giudica non condividibile sarebbe rivolta a soddisfare una esigenza (la tutela dei creditori privilegiati nei confronti di una prospettiva di possibile deterioramento del patrimonio dell’imprenditore, suscettibile di comprometterne le aspettative di soddisfacimento, nonostante le cause di prelazione possedute) rispetto alla quale la soluzione individuata (limitazione ad un anno dalla omologazione della possibile dilazione del soddisfacimento di creditori privilegiati) né risulterebbe adeguatamente efficace; né risulterebbe non perseguibile nel contesto conseguente alla lettura dell’art. 186-bis, co. 2, lett. c), l.fall. qui preferita. Da un lato, infatti, l’entità della dilazione comunque consentita (non meno di diciotto mesi, considerati i tempi dello sviluppo del Concordato e del giudizio di omologazione), ove caratterizzata da una gestione aziendale (“diretta” od “indiretta” che sia) produttiva di perdite di conto economico, sarebbe spesso più che sufficiente a compromettere gravemente le aspettative di recupero di qualsiasi creditore (onde la ricerca della tutela dei creditori privilegiati, come del resto quella di tutti i creditori, deve essere affidata, per il concordato “con continuità aziendale”, ad altre misure). Da un altro canto, poi, la tutela dei creditori privilegiati nei confronti dei pericoli derivanti dalla previsione di una dilazione eccessiva per il pagamento delle loro pretese è già rinvenibile nella attribuzione del diritto di voto ricavabile dall’art. 186-bis, co. 2, lett. c) l.fall., nel momento in cui esclude il diritto di voto dei creditori privilegiati soltanto “in tal caso”, ovverosia per l’ipotesi della previsione di una dilazione non eccedente l’anno dalla omologazione: riconoscendolo, invece, nell’ipotesi di dilazione superiore, e con ciò creando i presupposti di una possibile legittimazione alla opposizione all’omologazione, comportante l’attribuzione al tribunale fallimentare della competenza a valutare se effettivamente i crediti privilegiati “possa(no) risultare soddisfatt(i) dal Concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili” – art. 180, co. 4, l.fall. novellato -[3].

   

2. Profili problematici di carattere generale della disciplina dei crediti privilegiati nel Concordato preventivo

2.1. Contenuto della domanda di concordato in presenza di crediti privilegiati (e di beni concessi in locazione finanziaria)

Secondo quanto previsto dall’art. 161 co. 2 lett. b) L. fall. il debitore che chiede l’ammissione al concordato preventivo deve presentare con il ricorso “l’elenco nominativo dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione”.

Tale adempimento, che si considera richiesto a pena di inammissibilità della domanda[4], può risultare più impegnativo di quanto non si sia portati a ritenere ad una prima valutazione, venendo richiesto – inter alia – che[5]:

· per i crediti ipotecari venga indicato distintamente l’ammontare del credito capitale e di quello per interessi, nella misura a cui si estende la prelazione ex artt. 54 e 55 L. fall. (richiamati dall’art. 169);

· per i crediti privilegiati, venga precisata la norma che attribuisce la reclamata causa di prelazione;

· per i crediti commerciali, o comunque comportanti l’applicazione dell’IVA, venga tenuto distinto il credito “imponibile” dal credito per rivalsa IVA inquanto assistito quest’ultimo da privilegio speciale ex art. 2758, co. 2 c.c. – con la precisazione che in caso di incapienza del bene che dovrebbe risultare gravato dal privilegio dovrebbe farsi ricorso alla disciplina di cui all’art. 160 co. 2 L. fall., perché solo la presenza della “relazione giurata” ivi prevista – a sua volta qualificata come presupposto di ammissione al Concordato la cui sussistenza deve essere verificata d’ufficio – consentirebbe il pagamento non integrale dei crediti (astrattamente) privilegiati[6];

· per i crediti privilegiati di cui si prevede un soddisfacimento solo parziale, per incapienza dei beni vincolati, la “Relazione di Stimaex art. 160 co. 2 L. fall. non si limiti a dare atto che le relative pretese troverebbero un soddisfacimento inferiore “in caso di liquidazione”, ma precisi la percentuale nella quale sarebbero soddisfatte fuori dal Concordato preventivo.

 

Per ciò che concerne i beni concessi all’imprenditore in locazione finanziaria, la giurisprudenza ha affermato che la non riconducibilità della posizione dell’Istituto concedente a quella del creditore privilegiato impedisce di prevedere il soddisfacimento solo parziale delle relative pretese, in quanto “il pagamento differenziato di tali crediti … viola … la par condicio creditorum”[7].

La conclusione non pare condividibile, non comprendendosi per quale ragione non possa essere proposto all’Istituto o agli Istituti di leasing un pagamento solo parziale del debito residuo dell’imprenditore-utilizzatore, particolarmente (ma non necessariamente solo) nelle ipotesi di “incapienza” del valore di mercato dei cespiti concessi in locazione finanziaria rispetto a quanto dovuto agli Istituti concedenti.

Il problema consiste se mai nello stabilire se, attesa la funzione finanziaria del contratto di leasing (finanziario); e la conseguente funzione di garanzia dell’intestazione all’istituto concedente della proprietà di un bene utilizzato nel ciclo produttivo (non suo, bensì) del soggetto utilizzatore; la previsione di un pagamento dei debiti non integrale debba considerarsi subordinata alla condizione del deposito di una “Relazione di stima” analoga a quella di cui all’art. 160 co. 2 L. fall. che garantisca “una soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile [in ragione della titolarità del bene concesso in locazione finanziaria] … in caso di liquidazione”.

La risposta che si fa preferire è quella negativa, in considerazione dell’evidente carattere eccezionale della disposizione che impone la “Relazione di stima” giurata in aggiunta alla “Relazione di attestazione”[8]; nonché del carattere irrazionale di tale disciplina, figlia del risalente equivoco che induceva a ritenere inconcepibile il soddisfacimento non integrale dei crediti (privilegiati, ergo) “garantiti”[9].

   

2.2 Sospensione degli interessi sui crediti privilegiati; compensazione; credito di regresso del coobbligato o fideiussione dell’impresa in concordato con diritto di garanzia

Con il rinvio contenuto nel nuovo art. 169 L. fall. vengono dichiarate applicabili al Concordato preventivo le disposizioni dettate per la disciplina della decorrenza degli interessi su crediti privilegiati nel fallimento (art. 55); della compensazione (che produce effetti equivalenti, sotto il profilo economico, alla sussistenza di una “garanzia” che sottrae al concorso il creditore che è in condizione di opporre all’imprenditore in “crisi” un proprio controcredito compensabile, conseguendo il soddisfacimento integrale, per corrispondente importo, della propria pretesa) – art. 56 – ; del coobbligato o fideiussione con diritto di garanzia su beni del fallito – qui, dell’imprenditore ammesso al Concordato (art. 63) -. I problemi interpretativi suscitati da questi profili della disciplina dei crediti privilegiati nel Concordato preventivo trovano pertanto risposta nelle soluzioni variamente prospettate per le corrispondenti questioni che si pongono in sede fallimentare[10].

 

2.3 Ipoteche giudiziali iscritte in forza di decreto ingiuntivo opposto dall’imprenditore in Concordato

Nel concordato preventivo non sono applicabili - perché l’art. 169 L. fall. non le richiama e perché una interpretazione estensiva non sarebbe giustificata - le disposizioni che nella legge fallimentare disciplinano i giudizi pendenti.

Non si applica quindi l’art. 43 u.c. L. fall. (interruzione dei giudizi pendenti); né, soprattutto, l’art. 96, co. 2, n. 3, L. fall., che limita la efficacia dei giudizi pendenti nei confronti del fallimento a quelle sole ipotesi nelle quali i crediti fatti valere contro il fallito risultano “accertati con sentenza … pronunciata prima della dichiarazione di fallimento”, così privando di effetti – secondo la non condivisibile ma unanime giurisprudenza[11]i decreti ingiuntivi pronunciati prima della dichiarazione di fallimento (che non si ritengono equiparabile a “sentenze”), e non ancora definitivi (perché ancora soggetti ad opposizione, oppure opposti), e in aggiunta privando automaticamente di effetti anche le ipoteche giudiziali iscritte in base ai decreti ingiuntivi “caducati”.

In conseguenza di quanto sopra, le ipoteche giudiziali iscritte sugli immobili dell’imprenditore “in crisi”, che poi venga ammesso al Concordato preventivo, prendono grado anche in caso di proposizione di opposizione da parte del debitore, o di prosecuzione dell’opposizione già pendente, e “si consolidano” in ipotesi di mancata proposizione dell’opposizione nei termini, o di rigetto dell’opposizione pur presentata. I crediti così garantiti devono quindi essere collocati con la prelazione ipotecaria conseguente all’iscrizione, dovendosi se mai osservare la cautela di accantonare le somme loro spettanti in occasione delle ripartizioni del ricavato dalla liquidazione, in attesa dell’esito degli eventuali giudizi di opposizione in corso.

   

2.4 Crediti privilegiati conseguenti alla mancata esecuzione di contratti preliminari immobiliari

Secondo l’opinione che si fa preferire[12] non è applicabile al concordato preventivo la disciplina dettata per i rapporti giuridici pendenti in caso di fallimento. Con riguardo a quel che ci interessa in questa sede, non sono quindi applicabili all’imprenditore ammesso al Concordato preventivo le disposizioni di cui all’art. 72 co. 1, 4 e 7 L. fall. (facoltà del curatore fallimentare di scioglimento del contratto pendente e inopponibilità al fallimento del credito risarcitorio del contraente in bonis per i danni conseguenti allo scioglimento dei contratti pendenti causato dal fallimento della controparte), né l’art. 72 (è tuttavia oggi applicabile la nuova disciplina di cui all’art. 169-bis l. fall.)

In linea di principio, pertanto, e salvo che risulti applicabile  l’art. 186-bis, co. 3, l.fall., i promissari acquirenti dell’imprenditore ammesso al Concordato preventivo, pertanto, hanno diritto, in caso di inadempimento dello stesso, di scegliere tra l’azione di adempimento e quella di risoluzione del contratto, e di far valere nel Concordato il privilegio speciale immobiliare assegnato ai loro crediti restitutori (per gli acconti versati) dall’art. 2775-bis c.c., nonché il credito per il risarcimento del danno subito, ivi compreso quello conseguente all’eventuale versamento di somme a titolo di caparra confirmatoria.

   

2.5 Soddisfacimento dei creditori nel Concordato preventivo dilatorio. Estensione del privilegio agli interessi e ammissibilità di un pagamento dilazionato (rinvio)

Si intende per Concordato preventivo “dilatorio” quella domanda di Concordato basata su un “Piano” che prevede il pagamento integrale dei creditori, ma sulla scorta di una più o meno ampia dilazione. L’ipotesi non appartiene ai casi di scuola, essendo la conseguenza della crisi attraversata dal mercato dell’edilizia e immobiliare in generale, che registra la presenza di situazioni nelle quali l’attivo patrimoniale dell’impresa ha l’attitudine a fronteggiare l’intero passivo, ma non ha sufficienti caratteristiche di liquidità.

In queste situazioni si pone un problema interpretativo che in altri tempi sarebbe stato giudicato del tutto teorico, rappresentato dalla domanda se l’esecuzione del Concordato, con l’effetto esdebitatorio che ne consegue, possa essere realizzata soddisfacendo i creditori per le pretese vantate a titolo di capitale, ma senza interessi (nel caso di creditori chirografari: art. 55 co. 1 L. fall., richiamato dall’art. 169 L. fall.), o con gli interessi commisurati alla sola quota meritevole di essere collocata nella stessa prelazione attribuita al capitale nel caso di crediti privilegiati[13]; oppure se la previsione di una capienza integrale del patrimonio del debitore impedisca di concepire una procedura concorsale liquidatoria che lasci parzialmente insoddisfatti i creditori (per gli interessi) e conservi una porzione di patrimonio al debitore esdebitato.

Per ciò che concerne il trattamento riservato ai creditori chirografari (soddisfacimento limitato al capitale, nonostante la sussistenza di un residuo attivo che consentirebbe il pagamento anche per una quota di interessi), il dubbio non condiziona, ad avviso di chi scrive, la ammissibilità della proposta concordataria (che il Tribunale non può disconoscere), quanto piuttosto il giudizio di convenienza da parte dei creditori (che potrebbero preferire la maggiore probabilità dell’introito “parziale” in esecuzione del Concordato alla possibile integralità del soddisfacimento nel più incerto contesto fallimentare).

Per ciò che concerne invece il trattamento dei creditori privilegiati si pone il dubbio se la domanda di Concordato incentrata su un soddisfacimento solo parziale degli interessi (perché limitato alla misura in cui essi sarebbero collocabili nello stesso grado prelatizio riconosciuto al credito per capitale), in presenza di un attivo “esuberante”, non debba essere giudicata inammissibile per il mancato rispetto della condizione (art. 160 co. 2 L. fall.) di assicurare ai creditori privilegiati una soddisfazione non inferiore a quella conseguibile in sede di liquidazione (alternativa).

Il dubbio è fondato, stante l’affermazione del principio, insito nell’art. 160 co. 2 L. fall, che la maggioranza dei creditori non può disporre degli effetti conseguenti alla sussistenza di titoli di prelazione, in caso di valutazione comparativa negativa rispetto alla liquidazione non concordataria.

Diverso da questo è il problema se in presenza di una valutazione comparativa favorevole rispetto alla liquidazione non concordataria, il pagamento dei crediti privilegiati possa avvenire in modo dilazionato (eventualmente con riconoscimento di interessi), oppure debba necessariamente essere prospettato (ed eseguito) come immediato[14].

   

2.6. Ammissibilità del mancato soddisfacimento integrale dei crediti privilegiati nel Concordato preventivo

La disciplina previgente del Concordato preventivo, com’è noto, prevedeva l’esclusione dal voto dei creditori privilegiati: e la spiegazione comune che se ne forniva consisteva nella constatazione (e nell’affermazione) che una possibile falcidia delle loro pretese non era prevista (quindi, non era consentita), onde gli interessati potevano considerarsi indifferenti alle sorti del concordato preventivo (o troppo propensi a favorirne il successo, stante l’aspettativa di un pagamento integrale).

Di fronte all’ipotesi, di fatto largamente ricorrente, di crediti privilegiati (sulla carta, ma) garantiti su beni incapienti, quindi privi dell’attitudine ad assicurarne, in concreto, un soddisfacimento integrale, la soluzione interpretativa di limitare la collocazione prelatizia ed il corrispondente divieto di voto alla sola quota di credito destinata ad un effettivo soddisfacimento preferenziale, non aveva trovato credito presso la giurisprudenza, che era rimasta ferma sulla pretesa di un pagamento integrale dei crediti privilegiati sempre e comunque (nonché senza dilazione: infra, n. 2. 14). Di qui una difficoltà supplementare per il successo del Concordato preventivo ante riforma, vincolato a soddisfare integralmente anche i crediti garantiti da cespiti incapaci di liberare sufficienti risorse per un adempimento integrale (e immediato).

La riforma, com’è altrettanto noto, ha superato questa vistosa stortura, consentendo il soddisfacimento parziale, nel nuovo concordato preventivo, anche dei creditori privilegiati, “purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione” (art. 160 co. 2 L. fall.). Questo risultato può essere prospettato alla duplice condizione che il presumibile valore di mercato dei beni gravati dalla causa di prelazione sia attestato da un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67 co. 3 lett. d) L. fall. – il c.d. “esperto stimatore” – ; e che non si produca l’effetto di “alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione[15].

La soluzione, per quanto benvenuta – per quel che si dirà –, desta in se e per se più di una perplessità, e sembra costituire il frutto di un duplice perdurante equivoco.

Sotto un primo profilo, si deve osservare che forse solo con riguardo ai crediti assistiti da privilegio legale propriamente detto – quello che è attribuito dalla legge automaticamente, senza necessità di espressione di una volontà negoziale da parte del debitore – sarebbe lecito ipotizzare una indisponibilità (per decisione di una maggioranza di creditori, con effetti immediati per la minoranza) del titolo di prelazione, con conseguente inammissibilità di un soddisfacimento dei crediti per ammontare inferiore al presumibile ricavato dal bene vincolato, se non previa consenso individuale di ogni singolo creditore interessato. Per ciò che concerne invece i crediti assistiti da ipoteca, pegno e privilegi convenzionali, l’ipotesi di una proposta concordataria comportante un soddisfacimento soltanto parziale anche al di sotto del prevedibile risultato della liquidazione dei beni vincolati, non potrebbe essere esclusa a priori, risolvendosi il tutto in una questione di mera opportunità (che potrebbe allora consigliare di condizionare l’accettazione di una proposta di tale contenuto alla adesione di una maggioranza qualificata dei crediti incisi dalla stessa).

La perdurante affermazione del principio della inammissibilità legale di una proposta Concordataria comportante la falcidia dei crediti assistiti da titoli di prelazione (di natura convenzionale) oltre il limite del prevedibile ricavato dalla liquidazione dei beni vincolati, sembra pertanto costituire il retaggio di un “tabù”, rappresentato dall’idea che i creditori privilegiati non potessero essere ammessi al voto nel Concordato preventivo, e quindi dovessero essere pagati integralmente (o per lo meno in misura non inferiore al soddisfacimento conseguibile in sede di liquidazione); laddove in realtà la privazione del voto avrebbe dovuto essere una conseguenza dell’accertata capienza dei beni vincolati, e per ciò limitata alla quota di credito utilmente collocabile sul relativo ricavato.

Sotto un secondo profilo – e soprattutto –, quando l’ipotesi presa in considerazione riguarda – come è il caso della disposizione in commento (art. 160 co. 2 L. fall.) – una situazione di oggettiva incapienza del bene vincolato, non si comprende la necessità di una “Relazione di stima” supplementare, rispetto agli accertamenti ed alle valutazioni che stanno alla base della “Relazione di attestazione”, tenuto conto delle circostanze che:

(i) i requisiti dello “esperto stimatore” coincidono con quelli dello “esperto attestatore” – onde i due esperti potrebbero anche coincidere nella stessa persona[16] -;

e (ii) la “Relazione di stima” è chiamata ad assolvere una funzione (la messa a disposizione dei creditori – privilegiati – dei dati e delle informazioni necessari a formulare un giudizio di convenienzao di “non sconvenienza” – della proposta concordataria), che è propria anche della “Relazione di attestazione”, onde sarebbe risultato più razionale che anche la comparazione tra il soddisfacimento prospettato dalla proposta concordataria per i creditori privilegiati e il prevedibile risultato della liquidazione dei beni vincolati fosse sviluppata all’interno della (unica) “Relazione di attestazione” – come comunque non appare vietato fare, con l’avvertenza di conferire al documento la forma di una Relazione giurata - [17].

 

La norma riveste un grande interesse pratico, oggi enfatizzato dalla gravissima crisi che ha colpito i mercati finanziari (con conseguente perdita di capienza delle garanzie pignoratizie costituite su valori mobiliari, specie azionari); e in prospettiva ancor più sottolineata dalla crisi del mercato immobiliare (con la conseguente incapienza di molte garanzie ipotecarie).

Le prime applicazioni della nuova disciplina hanno però fatto emergere numerose incertezze interpretative, molte delle quali non hanno ancora trovato una definitiva soluzione.

   

2.7. Ambito di applicazione della norma concernente il possibile soddisfacimento parziale dei crediti privilegiati. In particolare: A) le pretese assistite da cessione di credito pro solvendo

Secondo l’art. 160 co. 2 L. fall. la proposta di Concordato preventivo può prevedere un soddisfacimento solo parziale (alle condizioni sopra ricordate) dei creditori “muniti di privilegio, pegno od ipoteca”: ed origina in via preliminare la domanda se tale disposizione debba o possa essere applicata alle cause di prelazione diverse, e perciò atipiche (come la cessione di credito pro solvendo), ed anche ai crediti assistititi da privilegio generale.

Premesso che in ogni caso la disposizione non riguarda i crediti assistiti da cause di prelazione su beni altrui, ma esclusivamente quelli garantiti su beni dell’imprenditore richiedente l’ammissione al Concordato preventivo, la prima risposta deve essere senz’altro positiva, per l’evidente analogia intercorrente tra la garanzia “atipica” della cessione di credito pro solvendo e la garanzia tipica del pegno (di crediti), come inequivocabilmente confermato dalla disciplina delle garanzie finanziarie – art. 1 co. 1 lett. d) DLgs. 170/2004 -. La conclusione non è priva di qualche effetto pratico.

Se si considera il largo ricorso delle imprese (tanto più se in “crisi”) al credito bancario nelle forme dello “smobilizzo” di crediti commerciali; e se si pone mente alla circostanza che di norma i contratti di anticipo-fatture, o di anticipazione s.b.f. di ricevute bancarie, comportano la cessione alla banca dei crediti commerciali sottostanti alle fatture e/o alle ricevute bancarie anticipate; se ne dovrebbe ricavare la triplice conclusione che:

- le passività originate da anticipazioni di crediti commerciali potrebbero dovere (o potere) essere accompagnate, nella domanda di ammissione al Concordato, dalla “indicazione … delle cause di prelazione” (atipiche) possedute dalle banche cessionarie – cfr. art. 161 co. 2 lett. b) L. fall. -;

- le passività de quibus dovrebbero essere inserite tra i crediti privilegiati (né più ne meno che nell’ipotesi di passività assistite da pegno su crediti), e per tale ragione essere escluse dal voto; e

- le passività in questione dovrebbero anch’esse potere essere assoggettate alla disciplina prevista dall’art. 160, co. 2, L. fall. – alle condizioni ivi previste, compresa la valutazione dello “esperto stimatore” nella “Relazione di stima” prevista dalla norma –, in caso di accertata incapienza della garanzia (i.e. presumibile insolvenza, parziale o totale, dei debitori ceduti).

L’argomento non risulta trattato (o non risulta trattato diffusamente) in dottrina ed in giurisprudenza, perché la sua rilevanza dipende da situazioni di fatto, non sempre facilmente ricostruibili.

Ciò è dovuto alla circostanza che la cessione di crediti pro solvendo produce oggi effetti equiparabili (a nostro avviso) a quelli prodotti dal pegno di crediti – quindi dalla costituzione di un titolo di prelazione in favore del creditore cessionario – alla condizione che prima dell’apertura della procedura di concordato preventivo (con il deposito della domanda di ammissione alla stessa) siano state compiute le formalità necessarie (notificazione al debitore ceduto; accettazione di questi con atto di “data certa”) a rendere opponibile la cessione ai terzi, in omaggio a quanto previsto dall’art. 45 L. fall., reso applicabile al Concordato preventivo dall’art. 169 L. fall.

Tale circostanza non è però nota all’impresa che presenti domanda di ammissione al Concordato preventivo, e che in tale contesto debba “indicare” i titoli di prelazione (anche atipica) posseduti da taluni creditori (es. banche finanziatrici attraverso linee di credito di “smobilizzo”), e collocare le relative pretese tra i crediti (assimilabili a quelli) privilegiati, laddove la costituzione della garanzia della cessione di credito pro solvendo sia stata integrata dalle richiamate formalità pubblicitarie, in data anteriore al deposito del ricorso introduttivo.

È dubbio se le informazioni necessarie al debitore-cedente per formulare ed impostare correttamente la domanda di ammissione al Concordato appartengano o meno all’ambito di applicazione delle norme che assicurano la “trasparenza” bancaria con riguardo ai “dati personali” dei titolari di rapporti bancari[18]: laddove è certo, per converso, che ad una domanda di questo genere le banche risponderebbero, in primo luogo, perfezionando le cessioni di credito non ancora integrate dalle formalità pubblicitarie richieste, e poi dandone (eventualmente) comunicazione al cedente.

D’altro canto, l’accertamento di tali circostanze successivamente alla presentazione della domanda di Concordato, che nella ignoranza del fenomeno non avesse considerato (assimilabili ai) privilegiati i crediti bancari della specie, farebbe sì che la domanda di concordato dovrebbe essere (sensibilmente) modificata, ove si conseguisse l’informazione che tutte o parte delle cessioni di credito inerenti ai finanziamenti per “smobilizzo” erogati dalle banche fossero state integrate dalle formalità pubblicitarie di cui all’art. 1265 c.c. prima dell’apertura della procedura di Concordato.

L’eventuale accoglimento delle conclusioni sopra formulate – la cui correttezza teorica appare poco discutibile, a fronte di una sostanziale disapplicazione nella prassi dei Concordati preventivi odierni – origina conseguenze pratiche di un qualche rilievo.

Si deve infatti tenere presente che il principio implicito nella disciplina dei crediti privilegiati nel Concordato preventivo è (ancora) nel senso che essi devono essere soddisfatti in misura integrale, a meno che il debitore dimostri, attraverso la Relazione di stima prevista dall’art. 160 co. 2 L. fall., che i beni o i diritti vincolati alla garanzia del credito privilegiato sono in tutto od in parte incapienti (in prospettiva liquidativa). L’applicazione del principio al caso di specie della cessione di credito pro solvendo, conseguita dalle banche a garanzia dei finanziamenti erogati all’impresa nelle ricordate forme tecniche dello “smobilizzo” di crediti commerciali, comporta l’attribuzione ai crediti de quibus di una collocazione (equiparabile a quella) privilegiata, per l’intero importo delle esposizioni bancarie di tale natura alla data di apertura della procedura, a meno che attraverso la Relazione di Stima ex art. 160 co. 2 L. fall. l’imprenditore dimostri che l’oggetto della prelazione (i.e. i crediti ceduti) è, in tutto o in parte, incapiente: il ché si traduce nella necessaria stima della presumibile solvibilità dei debitori ceduti.

In mancanza del ricorso alla Relazione di stima ex art. 160, co. 2, l.fall, pare inevitabile che la domanda di Concordato preventivo debba:

- collocare tra i crediti privilegiati l’intero ammontare delle esposizioni bancarie derivanti dall’utilizzo di forme tecniche di finanziamento per “smobilizzo crediti” (commerciali);

- escludere dall’attivo liquidabile in favore dei creditori chirografari l’ammontare dei crediti (commerciali) verso i clienti, fino a concorrenza delle esposizioni bancarie di cui alla lettera precedente, siccome vincolati (i crediti verso clienti) a soddisfare prioritariamente le passività presentate dall’impresa nei confronti delle banche-finanziatrici-cessionarie;

e che nella esecuzione del Concordato preventivo si debba soddisfare integralmente le passività bancarie de quibus, anche al di là degli incassi effettivamente percepiti dalle banche cessionarie a seguito dell’attività di riscossione dei crediti anticipati nei confronti dei debitori ceduti. Una volta equiparati i crediti assistiti da cessione di credito pro solvendo ai crediti privilegiati propriamente detti, infatti, risulta inevitabile fare applicazione della regola generale secondo la quale, in mancanza di una falcidia conseguita nei modi e termini disciplinati dall’art. 160 co. 2 L. fall., i crediti privilegiati devono essere soddisfatti integralmente sempre e comunque: a prescindere – dunque – dall’effettivo risultato della liquidazione dei beni agli stessi vincolati, onde ad una eventuale incapienza del ricavato dagli stessi non corrisponde (in mancanza, come detto, della “falcidia” formalizzata ex art. 160 co. 2 L. fall.) una riduzione del soddisfacimento dei crediti privilegiati, bensì una ulteriore riduzione del soddisfacimento dei crediti chirografari, dovendosi sopperire all’insufficienza del ricavato dai beni vincolati ai creditori privilegiati mediante “prelievo” dal ricavato dalla liquidazione del restante patrimonio del debitore (infra, nt. 49).

   

2.8 B) Crediti assistiti da privilegio per rivalsa IVA

Il ricordato principio, introdotto dalla riforma della legge fallimentare, secondo il quale il pagamento parziale dei crediti privilegiati è consentito esclusivamente nella misura in cui essi non trovino prevedibile capienza sui beni o sui diritti vincolati alla garanzia del loro soddisfacimento, ed alla ulteriore condizione che tale circostanza risulti attestata da una specifica “Relazione di stima” predisposta da un esperto qualificato ed asseverata con il giuramento, produce il risultato pratico di obbligare l’esecutore del Concordato preventivo a soddisfare in misura integrale tutti i crediti privilegiati per i quali non sia stata prodotta la Relazione di stima ex art. 160, co. 2,. L. fall. a comprovarne la prevedibile incapienza sui beni o sui diritti vincolati al loro soddisfacimento, con la già ricordata conseguenza di dovere attingere dal ricavato dalla liquidazione del restante patrimonio del debitore concordatario quanto non fosse stato ottenuto dalla liquidazione dei cespiti o dei diritti vincolati al soddisfacimento del singolo creditore privilegiato.

Tale considerazione investe anche il ricorrente caso del “credito per rivalsa IVA”, rappresentato dalle pretese dei creditori che, avendo emesso nei confronti del debitore concordatario delle fatture integrate dall’IVA pertinente, ed avendo provveduto a versare il tributo all’Erario, sono titolari del credito (“di rivalsa”) per il suo rimborso nei confronti del debitore concordatario. Il credito per rivalsa IVA è assistito da privilegio speciale sui beni oggetto della prestazione del creditore: ed è assolutamente ricorrente l’ipotesi nella quale tale privilegio non possa essere concretamente fatto valere, per mancanza (originaria o sopravvenuta) dei “beni” di riferimento – come è tipico nelle ipotesi di crediti derivanti da prestazione di servizi, ad esempio di natura professionale -.

La necessaria degradazione al chirografo del credito per rivalsa IVA rappresenta, in questi casi, un “fatto notorio”: ma va segnalato che tale risultato è condizionato, a rigore, all’avveramento della condizione che l’incapienza dei beni o dei diritti (teoricamente) vincolati al soddisfacimento del credito per rivalsa IVA risulti “attestato” dalla Relazione (giurata) ex art. 160 co. 2 L. fall. In caso contrario, non si producono, come detto, i presupposti per un soddisfacimento “falcidiato” del credito privilegiato in discussione[19].

   

2.9. C) Crediti assistiti da privilegio generale

Per ciò che concerne invece i crediti assistiti da privilegio generale, la soluzione del problema della ammissibilità di un soddisfacimento solo parziale appare più tormentata.

Concettualmente pare perfettamente prospettabile l’ipotesi di un attivo patrimoniale insufficiente a soddisfare integralmente i crediti privilegiati, in presenza – ad esempio – di rilevanti passività arretrate verso i lavoratori dipendenti, o, più probabilmente, di rilevanti esposizioni di natura fiscale (attesa la sempre maggiore estensione dell’area delle passività tributarie assistite da privilegio generale mobiliare)[20].

Peraltro tale ipotesi implica necessariamente la insoddisfazione integrale dei creditori chirografari – non potendosi concepire una ripartizione in favore dei chirografari che non sia stata preceduta dal soddisfacimento integrale dell’ultimo dei creditori privilegiati – , e prospetta l’emersione di una ritenuta causa di inammissibilità della domanda di concordato[21] – benché, si deve ritenere, la prospettiva del fallimento possa evocare un risultato economico (per i creditori privilegiati) anche più mortificante -.

L’equivoco che continua dunque a caratterizzare, benché con conseguenze meno rilevanti rispetto al passato, la disciplina dei crediti privilegiati nel concordato preventivo, sembrerebbe imporre l’inammissibilità di una domanda, che quantunque prospettasse per i creditori un risultato più favorevole dalla esecuzione del Concordato rispetto alle soluzioni alternative disponibili (o inevitabili), non consentisse di prospettare per i crediti chirografari alcun riparto (per l’integrale assorbimento dell’attivo da parte dei creditori privilegiati, sino ad un certo grado).

La conclusione merita tuttora almeno due precisazioni.

La prima va nella direzione di dubitare che una domanda caratterizzata dal contenuto sopra ipotizzato dovrebbe essere giudicata inammissibile da parte del tribunale fallimentare; e destinata comunque al rigetto da parte dei creditori.

Sotto il primo profilo, si deve osservare che al postutto tra i presupposti e le condizioni di ammissibilità della domanda di Concordato non è prevista la prospettazione di una percentuale minima per i creditori chirografari. Il ché, sotto un profilo formale, apre la via all’ammissibilità di proposte di Concordato anche caratterizzate dal c.d. “trattamento zero” dei creditori (o certamente di talune classi di essi)[22].

Sotto il secondo profilo, non può essere esclusa a priori l’ipotesi che il concordato preventivo raccolga il voto favorevole dei creditori privilegiati parzialmente soddisfatti (ammessi al voto “per la parte residua”: art. 177 co. 3 L. fall.) – magari perché consapevoli che il fallimento prospetterebbe risultati peggiori -; nonché (di parte) dei creditori chirografari pur totalmente insoddisfatti, magari perché timorosi che l’alternativa fallimentare comporti pregiudizi anche maggiori – vuoi sotto il profilo della interruzione di un rapporto (per esempio di franchising) destinato invece a permanere in seguito all’esecuzione del Concordato; vuoi sotto il profilo della esposizione ad azioni revocatorie fallimentari altrimenti proponibili -.

In secondo luogo va aggiunto che il risultato della prospettazione di un certo soddisfacimento anche per i creditori chirografari, nonostante l’insufficienza dell’attivo ad estinguere tutte le passività privilegiate ad essi anteposte, può essere conseguito con l’intervento della c.d. “finanza terza”, cioè da apporti alla esecuzione del concordato provenienti dall’esterno del patrimonio dell’imprenditore ammesso alla procedura, che ben potrebbero assicurare un certo soddisfacimento ai creditori chirografari, pure lasciando parzialmente insoddisfatti i creditori privilegiati. È da ritenere, infatti, che la “finanza terza” sia liberamente disponibile, e non soggiaccia al principio affermato dall’ultima parte del co. 2 dall’art. 160 L. fall. (divieto di alterare l’ordine delle cause legittime di prelazione)[23] .

Semmai è necessario valutare cosa si debba (o si possa) intendere per “finanza terza”.

Fuor di dubbio che debba essere intesa come tale quella costituita da apporti di soggetti diversi dall’imprenditore richiedente, che non sarebbero tenuti ad integrarne il patrimonio aggredibile dai suoi creditori; può essere dubbio riservare la stessa conclusione – come peraltro a chi scrive parrebbe sostenibile e preferibile – agli apporti rappresentati dall’assicurazione di un ricavato dalla liquidazione di beni pur facenti parte del patrimonio del debitore maggiore del presumibile valore di mercato (quindi maggiore di quanto sarebbe presumibilmente ricavabile senza l’esecuzione del Concordato)[24].

Un’altra ipotesi di difficile valutazione è quella consistente nella considerazione della c.d. “finanza dinamica”, cioè delle risorse finanziarie che, anche con l’intervento di terzi, la stessa impresa potrebbe liberare in caso di esecuzione del concordato (che assumesse ad esempio la forma del Concordato c.d. “di risanamento diretto”, che postula cioè la continuazione dell’esercizio dell’impresa), e che mancherebbero, invece, nel caso contrario. L’idea che l’impiego delle risorse prodotte con il concorso di terzi all’esecuzione del Concordato da parte della stessa impresa possa sottrarsi al divieto di alterazione dell’ordine delle cause legittime di prelazione è indubbiamente innovativa, ma mette conto segnalarne l’accoglimento in giurisprudenza[25].

   

2.10. Requisiti dell’“esperto stimatore”, rapporti con lo “esperto attestatore”, ruolo, forma e contenuto della “relazione di stima”

L’art. 160 co. 2 L. fall condiziona l’ammissibilità di una proposta di Concordato preventivo comportante il soddisfacimento solo parziale dei crediti privilegiati al deposito di una relazione giurata (che definiremo, per comodità espositiva, “Relazione di stima”), predisposta da un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67 co. 3 lett. d) L. fall. – che definiremo “esperto stimatore” – (la relazione, come vedremo, deve attestare il valore di mercato attribuibile ai beni od ai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione che si asserisca non totalmente capiente).

Come è evidente, i requisiti dello “esperto stimatore” sono quelli stessi richiesti per il professionista che deve attestare “la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano” sotteso al Concordato, previsto dall’art. 161 co. 3 L. fall. – che definiremo “esperto attestatore” – : e la circostanza moltiplica le incertezze interpretative originate da una disposizione già di per sé poco perspicace. Non pare infatti felice la scelta di indicare come candidato necessario al conferimento dell’incarico di “stimatore” un avvocato o ad un dottore commercialista (per esemplificare i professionisti evocati in causa dal richiamato art. 67, co. 3, lett. d) L. fall.), quando le competenze professionali per la predisposizione della relazione di stima possono essere le più varie (quelle proprie di un geometra, per i cespiti immobiliari; quelle tipiche dell’analista finanziario, per i valori mobiliari; quelle possedute – solo – dall’ingegnere navale, per i natanti; eccetera).

Proprio tale circostanza, che origina la ineludibile esigenza per lo “esperto stimatore” di ricorrere a suo volta alla collaborazione professionale di tecnici in grado di accertare (e motivare) il presumibile valore di mercato di beni e diritti di volta in volta tra i più vari; unita alla circostanza che i requisiti dei due “esperti” indicati dagli artt. 160 e 161 L. fall. sono identici; impone di porsi la domanda se essi possano coincidere nello stesso professionista. In altre parole: poiché lo “esperto attestatore” deve presentare gli stessi requisiti che deve possedere lo “esperto stimatore”, tutti egualmente incongrui rispetto allo svolgimento dell’incarico professionale concernente la stima dei beni o dei diritti vincolati alla causa di prelazione asserita incapiente, tanto vale, che anche la Relazione di stima sia predisposta dal professionista che predispone la Relazione di attestazione.

La soluzione positiva, talora contrastata in dottrina[26] e in giurisprudenza[27], si fa largamente preferire, anche perché idonea a prevenire possibili divergenze di vedute, di cui non si sente la necessità[28] – stante la circostanza che la relazione di stima è rivolta a garantire la tendenziale legittimità della prospettata falcidia dei crediti privilegiati, laddove l’approfondimento della condividibilità nel merito della effettiva sussistenza dei relativi presupposti non potrà che provenire dalla Relazione del Commissario giudiziale ai sensi dell’art. 172 L. fall. -.

Quanto al ruolo rivestito dalla relazione di stima, è largamente diffusa l’opinione che le attribuisce il carattere di presupposto di ammissibilità della domanda di Concordato preventivo, attesa la collocazione normativa (art. 160 L. fall., rubricato “Presupposti per l’ammissione alla procedura”), e nonostante la mancata inclusione nell’elenco della documentazione che deve essere depositata a corredo della domanda (art. 161 L. fall.)[29]. Ciò non deve peraltro portare ad escludere – a parere di chi scrive – che in presenza di una omissione del deposito (e quindi dell’allegazione) della relazione di stima, non possa il tribunale invitare il ricorrente a colmare la lacuna, ai sensi dell’art. 162 co. 1 L. fall.

Relativamente alla forma che deve rivestire la Relazione di stima, si è discusso se, una volta ammessane la predisposizione da parte dello stesso professionista chiamato a redigere la Relazione di attestazione ex art. 161 L. fall., le due relazioni possano costituire un unico documento, oppure debbano originare due documenti distinti[30].

Concettualmente non vi sarebbero ostacoli ad ammettere che le due relazioni, se predisposte dallo stesso professionista (una volta giudicato ciò ammissibile), confluiscano in un unico documento – anche se non si comprende facilmente la ragione di creare i presupposti per un dubbio applicativo in più, quando sarebbe così semplice allegare due documenti distinti – : rimane però il fatto che la relazione di stima deve essere, a norma dell’art. 160 co. 2, una Relazione “giurata”, per cui o l’unica relazione predisposta dall’unico professionista incaricato di entrambe è rispettosa di questo requisito; oppure l’inserimento della relazione di stima nella relazione di attestazione non giurata contrasta inevitabilmente con il dettato di legge.

Per ciò che concerne infine il contenuto della relazione di stima, pare condivisibile l’opinione di chi lo confina alla determinazione del valore di realizzo (al netto delle spese prevedibilmente necessarie) dei beni o dei diritti sui quali grava la causa di prelazione asserita incapiente, senza estensione alla comparazione di tale prevedibile risultato con il trattamento riservato al credito interessato nella proposta di concordato, che spetterà se mai alla relazione di attestazione ed al suo autore[31] – evidente essendo che ove le due figure di esperti coincidano nello stesso professionista, ogni possibile disguido anche in argomento è per definizione prevenuto -.

   

2.11. Ammissibilità della soddisfazione dei crediti privilegiati in percentuale decrescente correlata al rispettivo grado di prelazione ma senza necessario soddisfacimento integrale dei crediti poziori

Come detto, una ulteriore condizione che viene comunemente posta – sulla scorta della disposizione dell’ultima parte del co. 2 dell’art. 160 L. fall. – all’ammissibilità di un soddisfacimento non integrale dei crediti privilegiati è rappresentata dal rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione.

Ciò ha indotto a discutere se nell’applicazione della norma in commento si debba subordinare il soddisfacimento di un credito privilegiato al pagamento integrale del credito assistito da una causa di prelazione poziore[32], oppure se sia possibile prescindere da tale condizione, a patto che il trattamento riservato alle pretese di rango poziore risulti più favorevole di quello riservato a quelle assistite da una prelazione deteriore.

La seconda soluzione, che viene talora ricavata dalla giurisprudenza[33] e dalla dottrina[34] dal favor che caratterizza la disciplina del nuovo Concordato preventivo – essendo più probabile il successo di una domanda di Concordato che rifletta (soltanto) “una differente e graduale soddisfazione in percentuale, decrescente a misura della progressiva graduazione dei diritti di prelazione[35], anziché la rigida applicazione dell’ordine dei privilegi assegnabili alle pretese dei creditori – , pare rappresentare la conclusione preferibile, a condizione di condividere due necessarie precisazioni.

La prima consiste nella considerazione che, vertendosi nella fattispecie caratterizzata dalla parziale incapienza dei beni o dei diritti gravati dai titoli di prelazione in discussione, il problema non pare costituito tanto dallo stabilire se sia necessario o meno il pagamento integrale dei creditori poziori (possibilmente non conseguibile per l’oggettiva incapienza del bene gravato); quanto piuttosto dal valutare la necessità o meno di destinare l’intero ricavato dalla liquidazione del bene al soddisfacimento preliminare del credito poziore in grado.

La seconda, e più importante, condizione da apporre alla ipotizzata risposta positiva alla sostituzione del rigido criterio dell’osservanza dell’ordine dei privilegi con la più flessibile regola della “graduale soddisfazione in percentuale … decrescente a misura della progressiva graduazione dei diritti di prelazione”, è rappresentata dalla affermazione del presupposto del miglior trattamento comunque assicurato, a tutti i creditori (privilegiati), in confronto a quanto sarebbe loro rispettivamente assicurato (prevedibilmente) in sede di liquidazione alternativa (i.e. fallimentare).

In altre parole, tenuto conto della circostanza che, a mente di quanto previsto dall’art. 177 co. 3 L. fall., i creditori privilegiati di cui la proposta di concordato prevede, in presenza delle condizioni di cui all’art. 160 co. 2 la soddisfazione non integrale, “sono equiparati ai chirografari, per la parte residua del credito”; e che il “piano” sotteso al concordato ben può prevedere un trattamento differenziato delle (classi di) pretese dei creditori chirografari; una volta rispettato il requisito della assicurazione ai creditori privilegiati di un trattamento (complessivo) comunque più favorevole rispetto al fallimento (per esemplificare), si può ritenere che il debitore riacquisti uno spazio negoziale per proporre ai propri creditori una deroga al tendenziale principio della subordinazione della soddisfacibilità del credito posteriore in grado all’integrale pagamento (rectius: al pagamento nella maggiore percentuale possibile) del credito poziore, prevedendo una graduazione meno rigida, sia pure nel confermato rispetto della esigenza di un trattamento progressivamente decrescente a misura della progressione verso il basso nella scala dell’ordine legale delle cause di prelazione.

   

2.12. Effetti della previsione di un soddisfacimento solo parziale dei crediti privilegiati sull’ammissione (parziale) al voto e sulla collocazione (parziale) tra i crediti chirografari

L’ipotesi di un soddisfacimento solo parziale dei crediti privilegiati nel Concordato preventivo non è presa in considerazione soltanto dal citato art. 160 co. 2 L. fall. – per indicarne le condizioni di ammissibilità – , ma anche dall’art. 177 co. 3 che per tali creditori (parzialmente) “declassati” prevede la equiparazione ai crediti chirografari “per la parte residua del credito”.

È pacifico che la norma sia dettata (principalmente) per regolare la legittimazione alla partecipazione al voto dei creditori privilegiati (parzialmente) “declassati”[36]; ed è altrettanto pacifico che la partecipazione al voto, per costoro, avviene in ragione dell’importo della quota di credito “declassata” – la c.d. “parte residua” – , e non per l’intera pretesa[37].

Ciò che rimane da stabilire, allora, è: (i) se per la parte residua delle pretese dei creditori privilegiati “declassati” debba essere sempre costituita una apposita “classe”, nell’ambito dei crediti chirografari, distinta dalle pretese che sono (interamente) chirografarie per loro natura; (ii) se per la parte residua delle pretese dei creditori privilegiati de quibus possa essere previsto un trattamento diverso rispetto a quello riservato ai creditori chirografari “generici”; (iii) se il diverso trattamento ipotizzato per la parte residua del credito privilegiato “declassato” possa essere deteriore rispetto a quello riservato ai credito chirografari “generici”, ed in particolare se sia possibile prevederne il mancato pagamento integrale; e infine (iv) se l’eventuale differenziazione del trattamento della “parte residua” del credito privilegiato “declassato” rispetto ai crediti chirografari “generici” abbia effetti sull’esercizio del diritto di voto.

Prendendo le mosse dal primo quesito, è opinione di chi scrive che nell’ipotesi nella quale alla “parte residua” del credito privilegiato “declassato” sia attribuito lo stesso trattamento riservato ai creditori chirografari “generici”, l’imprenditore possa prevedere una “classe” distinta dalle altre – sussistendo sufficienti ragioni di differenziazione delle due categorie di creditori – , senza peraltro esserne obbligato, in omaggio al principio generale – che deve essere affermato salva l’ipotesi di fattispecie del tutto eccezionali[38] – della facoltatività della suddivisione dei creditori (chirografari) in “classi”, in mancanza di una differenziazione del trattamento economico.

Ciò premesso, la “equiparazione” al chirografo della porzione di credito (astrattamente) privilegiata “declassata” ai sensi dell’art. 160 co. 2 L. fall., sottende anche – a parere di chi scrive – la soggezione alla facoltà di trattamento differenziato rispetto a crediti appartenenti alla medesima categoria[39]. Il ché – questa volta sì – ne imporrà un raggruppamento in una “classe” distinta (essendo facoltativa, e comunque possibile, la suddivisione in “classi” dei creditori destinatari di un trattamento economico identico: ma divenendo inevitabile per i creditori destinatari di un trattamento economico differenziato).

Affermata l’ammissibilità di un trattamento diverso per la “classe” di crediti chirografari composta dalle quote dei crediti privilegiati “declassati” in conseguenza dell’applicazione dell’art. 160 co. 2 L. fall., non vi è ragione di escludere che tale differenziazione possa esprimersi anche in un trattamento deteriore per questa “classe” rispetto a quella costituita dai crediti chirografari “generici”, alla duplice condizione: (i) dell’attribuzione ai titolari delle pretese della specie di un trattamento comunque complessivamente più favorevole rispetto a quello che riceverebbero all’esito di una liquidazione alternativa (prevedibilmente fallimentare) – art. 160 co. 2 prima parte L. fall. – ; e (ii) dell’attribuzione ai crediti de quibus di un trattamento complessivamente (cioè tenuto conto anche della collocazione in privilegio per una parte del credito) più favorevole rispetto a quello riservato ai titolari di pretese aventi natura chirografaria originaria – e ciò in omaggio al principio espresso dalla seconda parte dell’art. 160, co. 2, L. fall. -. In presenza di tali condizioni, non sussistono ostacoli – a parere di chi scrive – alla segregazione (delle quote) dei crediti de quibus in una classe anche “a trattamento zero”[40].

Tutto ciò non avrà peraltro effetti sull’esercizio del voto da parte dei creditori interessati, che potranno esprimere la propria opinione sulla proposta di concordato del debitore in proporzione all’ammontare della “parte residua” del credito “declassata” dal rango prelatizio, eventualmente anche per contrastare il trattamento deteriore che fosse stato previsto per questa parte della loro pretesa rispetto ai titolari degli altri crediti chirografari.

   

2.13. “Declassamento” del credito privilegiato per rinuncia del creditore

L’art. 160 co. 2 L. fall. prende in considerazione l’ipotesi del “declassamento” coattivo” – per così dire – del credito privilegiato, ammettendolo solo al ricorrere delle condizioni sopra precisate.

L’art. 177 co. 2 L. fall., invece, confermando il principio generale – su cui ci si è già soffermati[41] – della disponibilità (certamente, e per lo meno, “ su base individuale”) del diritto di credito anche privilegiato, prevede che i titolari di pretese aventi diritto di prelazione sui beni del debitore possano rinunciare, in tutto od in parte, al diritto di prelazione, con la conseguenza di essere “equiparati ai creditori chirografari .. per la parte del credito non coperta dalla garanzia”.

È opinione di chi scrive che gli effetti del “declassamento” volontario (per rinuncia) al privilegio siano per larga parte analoghi a quelli prodotti dal “declassamento” coattivo del titolo di prelazione per incapienza dei beni o dei diritti vincolati. In particolare: (i) anche per l’ipotesi qui considerata, l’effetto principale è rappresentato dall’ammissione del creditore “declassato” al voto; (ii) anche per l’ipotesi della rinuncia, l’ammissione al voto è circoscritta alla “parte del credito non coperta dalla garanzia”; e infine (iii) anche in caso di “declassamento” volontario l’equiparazione del credito (“per la parte … non coperta dalla garanzia”) ai crediti chirografari implica la possibilità di un trattamento economico differente rispetto a quello riservato ai titolari di pretese chirografarie per loro natura.

Per il resto appare solamente opportuno ribadire in questa sede quanto già osservato altrove[42] circa la necessaria manifestazione esplicita della rinuncia al voto da parte del creditore privilegiato, non bastando (più), dopo l’abrogazione della seconda parte dell’art. 177 co. 3 L. fall. previgente, l’esercizio del voto a comportare la rinuncia (implicita) al titolo di prelazione[43].

   

2.14. Ammissibilità del pagamento dilazionato dei crediti privilegiati ed effetti sull’esercizio del voto

Il problema dell’ammissibilità di una domanda di Concordato preventivo basata su un “Piano”, che preveda il pagamento dei creditori non nell’immediato ma in via dilazionata, è variamente risolto dalla dottrina[44] e della giurisprudenza[45], attraverso percorsi interpretativi che non paiono sempre rigorosi, e che talora attribuiscono rilievo a profili che non sembrano decisivi (come quello relativo alla circostanza se per la dilazione prevista per il pagamento dei crediti privilegiati sia o non sia contemplata la corresponsione di interessi, ed in quale misura)[46].

In via preliminare occorre stabilire se il pagamento dei creditori privilegiati per l’intero ammontare della pretesa ma in via dilazionata configuri un “soddisfacimento non integrale”, con riguardo a quanto previsto dall’art. 160 co. 2 L. fall., che subordina l’ammissibilità di tale ipotesi, come si è già avuto modo di vedere, alla ricorrenza di precise condizioni.

La risposta deve essere positiva senza riserve, laddove per il periodo di dilazione non sia prevista la corresponsione di interessi, giacché è evidente che un pagamenti dilazionato del debito scaduto (cfr. art. 55 co. 2 L. fall. dichiarato applicabile al concordato preventivo dall’art. 169 L. fall.), senza interessi, non soddisfa “integralmente” la pretesa del creditore[47].

Ma ad uguale conclusione si deve pervenire, a parere di chi scrive, anche per l’ipotesi nella quale sia prevista la corresponsione di interessi[48], perché non è accertabile in sede di ammissione alla procedura di concordato preventivo l’equivalenza, per ciascun creditore privilegiato, del risultato economico del pagamento dilazionato con interessi a quello che sarebbe conseguito al soddisfacimento “integrale” della propria pretesa alla data di omologazione del concordato preventivo – tenuto anche conto del grave profilo di incertezza che investe la proposta di pagamento con dilazione, a prescindere dal carattere sufficientemente remuneratorio o meno del riconoscimento di interessi in termini strettamente finanziari -.

Ciò precisato, una prima conclusione si impone al fine di apportare un contributo al dibattito in atto sull’ammissibilità del pagamento dilazionato dei crediti privilegiati nel Concordato preventivo: la previsione di una dilazione è ammissibile nei limiti in cui risulti compatibile con la disciplina del “declassamento” coattivo della pretesa munita di titolo di prelazione, come delineata dall’art. 160 co. 2 L. fall. nei termini già sopra ricordati.

Non pare condividibile, infatti, la tesi (che, sia detto per inciso, comporterebbe la disapplicazione tout court dell’istituto del Concordato preventivo, per quanto sarà osservato in appresso) secondo la quale un pagamento dilazionato dei crediti privilegiati (anche in misura integrale) non sarebbe ammissibile mai, se non alla condizione della espressione “del previo consenso esplicito del (singolo) creditore prelatizio da allegare alla domanda di concordato[49]. A non dir d’altro, la disposizione dell’art. 183-ter è lì a dimostrare che (anche) i crediti privilegiati (tributari) possono essere soddisfatti, nel concordato preventivo, con “dilazione del pagamento”, prevedendo i relativi “tempi di pagamento”, anche diversificati: e l’idea che sia vietato prevedere per i crediti privilegiati “ordinari” un trattamento corrispondente a quello consentito per i crediti privilegiati tributari appare francamente irrazionale.

Nella stessa direzione va la considerazione della disciplina pregressa (o della supposta disciplina pregressa) riservata ai crediti privilegiati prima dell’avvio della riforma della legge fallimentare.

Non rileva, a tale proposito, la circostanza che dal tenore dell’art. 160, co. 2, n. 1 l.fall. previgente - che prevedeva una dilazione nel soddisfacimento delle passività dell’imprenditore concordatario per i soli creditori chirografari – si potesse (a torto od a ragione) ricavare la inammissibilità della dilazione del pagamento dei crediti privilegiati.

Rileva piuttosto, se mai, la considerazione della circostanza che, com’è noto, il “nuovo” Concordato preventivo assolve (oltre alle funzioni del “vecchio” Concordato ante-riforma) anche le funzioni (e, per quanto di ragione, anche la disciplina) della “vecchia” procedura di amministrazione controllata (oggi abrogata): procedura che faceva della dilazione del pagamento di tutti i crediti pregressi la propria ragione d’essere!  Di tal chè, parrebbe logicamente inconcepibile che la fusione tra due procedure caratterizzate: l’una, dallo “stralcio”; l’altra, dalla dilazione, producesse un istituto contrassegnato dalla inammissibilità tout court della dilazione nel pagamento dei crediti (privilegiati) concorrenti.

Per tutte queste ragioni – come detto – non v’è ragione di escludere che una volta ammessa la ipotesi del “declassamento” c.d. “economico”, non possa essere ammessa quella (certamente di minor portata) del “declassamento” c.d. “finanziario”

L’argomento affrontato suggerisce diversi ordini di considerazioni.

Il primo è rappresentato dalla denuncia di marcata ipocrisia che caratterizza le decisioni giudiziali che sembrano postulare come una prospettiva effettivamente realistica quella del pagamento integrale ed immediato dei crediti privilegiati, che rappresenta invece una ipotesi priva di qualsiasi probabilità di corrispondenza con la realtà. La condizione di “crisi” che rappresenta il presupposto dell’ammissione al Concordato consiste di norma proprio (benché non soltanto) in una situazione di “stallo” finanziaria (o già in atto, o altrimenti incombente), che esclude l’ipotesi di un pagamento immediato dei crediti privilegiati, non solo nell’ambito di una procedura di Concordato preventivo, ma anche nel contesto di qualsiasi altra soluzione liquidativa alternativa (compresa la liquidazione fallimentare, che appare la meno adatta a rendere immediatamente liquido il patrimonio dell’imprenditore fallito).

Il secondo ordine di considerazioni suggerito dall’argomento in commento è rappresentato dalla constatazione che, per le ragioni sopra indicate, il pagamento dilazionato (anche) dei crediti privilegiati è destinato a rappresentare “la regola” delle ristrutturazioni concordatizie, appartenendo al mondo delle isolate eccezioni (rectius: delle illusioni) lo scenario ipotizzato dalle decisioni giudiziali alle quali si è fatto riferimento, capace cioè di assicurare l’immediato pagamento dei dipendenti; dei professionisti; degli artigiani; delle cooperative, e – con quel che deriva dalle recenti riforme sul trattamento dei crediti erariali – del fisco.

Il terzo ordine di considerazioni che merita segnalare all’attenzione del lettore riguarda la riflessione che se effettivamente il pagamento dilazionato dei crediti privilegiati (poniamo, per rendere più chiaro il ragionamento, senza interessi) rappresenta un “soddisfacimento non integrale” della pretesa; e se effettivamente – come a chi scrive pare inevitabile di dovere concludere – l’ammissione di un “declassamento” dei crediti privilegiarti, sub specie di un soddisfacimento rinviato a tempi (possibilmente) corrispondenti a quelli del pagamento dei crediti chirografari, è subordinata all’osservanza delle condizioni fissate dall’art. 160 co. 2 L. fall.; allora, stante la ricordata improbabilità della presentazione di una domanda di concordato caratterizzata da un “piano” che preveda l’immediato pagamento (integrale) di tutti i crediti privilegiati, la necessità della predisposizione e del deposito della “relazione di stima” (giurata) ex art. 160 co. 2 L. fall. rappresenterà una costante di tutte (o quasi) le domande di ammissione al Concordato preventivo, dovendo tutti i ricorsi (o quasi) per l’ammissione alla procedura dar conto del carattere non pregiudizievole del trattamento (in senso cronologico) riservato ai creditori privilegiati rispetto al trattamento che sarebbe ipotizzabile assicurare loro in esecuzione di una liquidazione (prevedibilmente fallimentare) alternativa.

Riprendendo ora il filo del discorso dei termini in cui poter considerare ammissibile il pagamento dilazionato dei crediti privilegiati nel Concordato preventivo, pare di potere osservare quanto segue.

Una volta valutati, a seguito di apposita “relazione di stima”, i prevedibili tempi di liquidazione dei beni e dei diritti gravati dai titoli di prelazione posseduti dai creditori privilegiati; nonché l’ammontare degli accantonamenti per spese di varia natura comportate dalla liquidazione (prevedibilmente fallimentare) alternativa al concordato, sarà consentito derogare al pagamento (integrale e) immediato dei crediti privilegiati nei limiti in cui ciò comporti una “soddisfazione … non inferiore a quella realizzabile … sul ricavato in caso di liquidazione”, sotto il profilo temporale.

Da tale prima conclusione è agevole ricavare anche la soluzione del problema della necessità o meno della corresponsione degli interessi, per il periodo dilazionato, e della entità della loro misura.

Dovrà infatti accertarsi, a tale proposito, che la mancata corresponsione di interessi, o la corresponsione di interessi nella misura e per il periodo previsti nella proposta di Concordato preventivo, assicuri alle pretese dei creditori privilegiati una “soddisfazione … non inferiore” a quella che presumibilmente riceverebbero, sotto il profilo considerato, nella liquidazione (prevedibilmente fallimentare) alternativa al concordato.

Proseguendo su questa ipotesi di iter argomentativo, si dovrebbe potere pervenire agli ulteriori risultati interpretativi a mente dei quali: (i) sino alla soglia di “compatibilità” con i prevedibili risultati (cronologici) della liquidazione fallimentare (assunta a paradigma delle possibili liquidazioni alternative a quella conseguente all’accoglimento della proposta di Concordato), ogni soluzione è inseribile nel “piano” di Concordato: da quella comportante tempi (e condizioni) di pagamento equivalenti a quelli ipotizzabili in uno scenario liquidativo alternativo; a quella comportante tempi (e condizioni) leggermente più favorevoli; a quella che prospetti – infine – tempi (e condizioni) largamente più soddisfacenti (essendo evidente che a maggiore brillantezza di risultati prospettati corrisponderà una maggior probabilità di adesione dei creditori interessati – su cui in appresso -); (ii) i creditori privilegiati così (cronologicamente) “declassati” saranno ammessi al voto “per la parte residua del credito” (art. 177 co. 3 L. fall.); e (iii) la “parte residua del credito”, nell’ipotesi di pagamento integrale della pretesa nell’ammontare determinato alla data di apertura della procedura, ma in modo dilazionato (con o senza corresponsione di interessi), sarà determinata dalla entità della perdita (sempre compatibile con la valutazione del prevedibile ricavato dai beni e dai diritti gravati dai titoli di prelazione che assistono i crediti in questione), quantificata non già in termini economici (l’entità della passività iscritta nel bilancio del debitore che non è possibile soddisfare), ma in termini finanziari (la differenza tra il soddisfacimento prospettato al creditore privilegiato nella proposta di Concordato preventivo, per capitale ed – eventualmente – interessi, ed il soddisfacimento che sarebbe conseguito ad un pagamento immediato.

In tale prospettiva è necessario fare spazio alla applicazione di meccanismi di attualizzazione del pagamento differito ad una scadenza protratta, espressione della perdita (del potere di acquisto) dell’importo dovuto al creditore nel corso del tempo[50].

   

3. Effetti dell’applicabilità dell’art. 160, co. 2, l.fall. anche al Concordato preventivo “con continuità aziendale”

Come già precisato in premessa, la disciplina dei crediti privilegiati nel Concordato preventivo “con continuità aziendale” fa salvo innanzitutto quanto disposto dall’art. 160, co. 2, l.fall.    Alla stregua di quanto sopra considerato, pertanto, anche il Concordato “con continuità aziendale” potrà prevedere, ricorrendone i presupposti -  costituiti dall’esito non pregiudizievole con la comparazione con il trattamento presumibilmente conseguibile attraverso una liquidazione alternativa -, tanto lo “stralcio” c.d. economico (pagamento non integrale); quanto lo “stralcio” c.d. finanziario (pagamento dilazionato) dei crediti anche privilegiati (nonché, ovviamente, anche per tali pretese, l’uno e l’altro “stralcio”, in ipotesi di incapienza del bene oggetto della prelazione e di mancanza dei presupposti per una immediata liquidabilità).

Questa conclusione è destinata a rimanere ferma, nel Concordato “con continuità aziendale”, innanzitutto per i crediti assistiti da causa di prelazione su beni o diritti di cui “sia prevista la liquidazione”: per tale crediti, infatti, la natura particolare del Concordato “con continuità aziendale” è priva di rilievo, stante l’affidamento delle loro aspettative di soddisfacimento alla liquidazione dei beni vincolati (alla stregua di quel che sarebbe occorso nel contesto di un Concordato “liquidativo”): donde la immutabilità della disciplina loro riservata anche relativamente ai presupposti ed ai termini della legittimazione all’esercizio del diritto di voto (che rimarranno regolati dall’art. 177, co. 3, l.fall., con conseguente attribuzione del diritto di voto “per la parte residua”, corrispondente all’entità dello “stralcio” economico e/o finanziario).

 

Trattasi peraltro di una conclusione alla quale deve essere attribuita una portata generale.

 

La circostanza che mentre nel Concordato c.d. “liquidativo” il patrimonio attivo dell’imprenditore è destinato ad essere ceduto a terzi e monetizzato (perché il ricavato venga distribuito tra i creditori), nel Concordato “con continuità aziendale”, invece, una parte degli attivi – magari di assoluta rilevanza – sia invece destinata a rimanere all’imprenditore ( o all’impresa), in funzione del sostegno della continuazione della gestione aziendale, non muta di per sé i termini della questione.   L’affermazione della “salvezza” del principio affermato dall’art. 160, co. 2, l.fall. continuerà a consentire lo “stralcio” (economico e/o finanziario) dei creditori privilegiati nei limiti (quantitativi e cronologici) nei quali una astratta liquidazione consentirebbe il soddisfacimento dei crediti prelatizi: la prospettiva di una vendita concordataria differita a tempo indeterminato ed addirittura tendenzialmente esclusa (nel Concordato “con continuità”) non ha rilevanza, giacchè anche nel Concordato c.d. “liquidativo” la valutazione comparatistica sottesa alla stima ex art. 160, co. 2, l.fall. viene effettuata in relazione ad una astratta prospettiva liquidativa, senza che poi rilevi la circostanza che la previsione risulti o non risulti confermata a seguito della effettiva esecuzione della proposta concordataria[51].

Alla “salvezza” del principio affermato dall’art. 160, co. 2, l.fall. anche nel Concordato “con continuità aziendale” non va peraltro attribuito il solo effetto di vietare un trattamento (economico e/o finanziario) dei crediti privilegiati deteriore a quello che essi riceverebbero “in caso di liquidazione”; deve invece essere attribuito anche l’effetto di vietare un trattamento (economico e/o finanziario) dei crediti privilegiati disancorato da quello che essi riceverebbero “in caso di liquidazione”, laddove l’imprenditore ne dimostri i limiti quantitativi e cronologici intrinseci, attraverso la valutazione dell’esperto stimatore di cui all’art. 160, co. 2, l.fall. – a nulla rilevando, si ripete, la circostanza che a detta stima segua poi o non segua effettivamente la liquidazione presa in esame ai fini della valutazione comparativa, come del resto accade anche nel contesto del Concordato c.d. “liquidativo” -.

La particolarità della disciplina dei crediti privilegiati nel Concordato “con continuità aziendale” sta se mai nella circostanza che mentre nel Concordato c.d. “liquidativo” i crediti privilegiati che subiscano lo “stralcio” (poniamo soltanto) “finanziario” sono incondizionatamente ammessi al voto “per la parte residua” – rappresentata, come detto, dalla perdita loro imposta dalla proposta concordataria, misura attraverso la attualizzazione del pagamento dilazionato -; nel Concordato invece “con continuità” l’effetto dell’ammissione al voto è condizionato alla previsione di una dilazione ultrannuale – dopo l’omologa -: sempre che, beninteso, la dilazione ultrannuale sia giustificata alla stregua della valutazione comparativa compiuta dall’esperto stimatore ex art. 160, co. 2.

La “salvezza” del disposto di cui all’art. 160, co. 2, l.fall.; e la conseguente limitazione dell’incidenza dell’art. 186 bis, co. 2, lett. c) sul solo piano della ammissione al voto del credito privilegiato “stralciato”; comportano, come effetti principali, che: (i) nel Concordato “con continuità aziendale” l’imprenditore concordatario abbia il diritto di soddisfare con dilazione di un anno dall’omologa i crediti privilegiati (sempre beninteso che la valutazione comparativa ex art. 160, co. 2, l.fall. dimostri che essi non riceverebbero un trattamento più favorevole “in caso di liquidazione” dei beni o dei diritti vincolati) senza doverne temere l’espressione di voto, al quale non sono legittimati (a differenza di quel che avverrebbe nel Concordato c.d. “liquidativo”); e (ii) anche nel Concordato “con continuità aziendale” il pagamento dilazionato dei crediti privilegiati non è ammesso – neppure nei limiti dei dodici mesi successivi all’omologa – per quelle pretese che, “in caso di liquidazione” dei beni o dei diritti vincolati, troverebbero immediata soddisfazione (per esempio crediti assistiti da pegno su strumenti finanziari quotati; o su merci destinate alla vendita sul mercato; o ancora crediti assistititi da ipoteche su immobili in via di dismissione).



[1] Il presente contributo sarà indirizzato all’Opera Organizzazione, finanziamento e crisi dell’impresa – Scritti in onore di Pietro Abbadessa.

[2] Per un ampio panorama delle opinioni espresse in dottrina e dei precedenti giurisprudenziali v. ora STANGHELLINI L, Il concordato con continuità aziendale, in Fallimento, 2013 (10), 1222 ss.

[3] La valutazione comparativa del Tribunale fallimentare non sarebbe qui solo innescata dall’ipotesi che i creditori privilegiai opponenti rappresentassero almeno il venti per cento dei creditori ammessi al voto, ma soprattutto dalla ipotesi di emersione di una “classe” dissenziente, dovendosi ritenere che i creditori privilegiati ammessi al voto in conseguenza di una dilazione ultrannuale nel soddisfacimento delle loro pretese debbano essere costituiti in apposita “classe” (in termini Trib. Terni, 2 aprile 2013, www.ilcaso.it).

[4] Trib. Roma 2.8.2010, in www.ilcaso.it

[5] Trib. Roma 2.8.2010, cit.

[6] Trib. Roma 2.8.2010, cit.

[7] Trib. Roma 2.8.2010, cit.

[8] Anche tenuto conto della circostanza che, a questa stregua, la disposizione in commento potrebbe dovere essere ritenuta applicabile anche all’ipotesi di pagamento non integrale dei debiti derivanti da contratti di vendita a rate ai sensi dell’art. 1523 c.c., attesa l’analoga funzione di “garanzia” assolta dalla riserva di proprietà.

[9] Infra, n. 2.6.

[10] A proposito della disciplina degli interessi sui crediti privilegiati nel fallimento (con l’opzione per la soluzione interpretativa secondo la quale essi sono sottratti alla regola della sospensione – art. 55 co. 1 L. fall. – negli esclusivi limiti quantitativi e cronologici della collocazione prelatizia riconosciuta al capitale – Bonfatti S., “Gli interessi sui crediti assistiti da prelazione generale nel fallimento”, Giur.comm., 1979, II, p. 291; Id., “Decorrenza e collocazione nel fallimento degli interessi sui crediti assistiti da privilegio generale”, ivi, 1979, II, p. 1042.

A proposito della disciplina della compensazione nel fallimento v., per tutti, Celentano W., “Effetti del fallimento per i creditori”, Fauceglia G., Panzani C. (diretto da), “Fallimento e altre procedure concorsuali”, UTET, Torino, 2009, p. 526 ss.

Circa la disciplina del coobbligato o fideiussione con diritto di garanzia su beni del fallito v. Bonfatti S., “Il coobbligato del fallito nel fallimento”, Giuffrè, Milano, 1989.

[11] Bonfatti S., Bonfatti S. Censoni P.F., “Manuale di diritto fallimentare”, cit., p. 364.

[12] Censoni P.F., Bonfatti S. Censoni P.F. “Manuale di diritto fallimentare”, cit., p. 591.

[13] Supra, n. 2.2.

[14] Infra, n. 2.12.

[15] L’ultima parte del co. 2 dell’art. 160 L. fall. riferisce tale divieto, testualmente, all’ipotesi che i creditori vengano suddivisi in “classi”, ma è comune l’opinione che la disposizione debba applicarsi ad ogni ipotesi di soddisfacimento non integrale dei crediti privilegiati, si accompagni o meno tale fenomeno alla costituzione di singoli “classi” di creditori (in argomento Genoviva P., “La relazione del professionista ex art. 160 L. fall. ed il trattamento dei creditori prelatizi nel difficile percorso del nuovo Concordato preventivo”, Il Fallimento, 2011, (3), p. 352 ss., spec. 356).

[16] Infra, n. 2.8.

[17] Infra, n. 2.8.

[18] Cfr. in particolare l’art. 119 DLgs. 385/93 (“Testo unico bancario”); e in generale l’art. 13 L. 675/96 e successive modificazioni ed integrazioni. In argomento v. anche il provv. Autorità Garante per la Protezione di Dati Personali 29.10.2003, Bollettino n. 43, ottobre 2003.

[19] In argomento v. Trib. Roma 2.8.2010, in www.ilcaso.it, che pretende che per i crediti interessati (per esempio i crediti dei fornitori) venga indicato nella domanda di ammissione al Concordato l’importo corrispondente alla parte imponibile della pretesa distintamente da quello riguardante la parte per rivalsa IVA.

[20] Cfr. in particolare le disposizioni di cui al DL 98/2011, conv. L. 111/211, su cui cfr Ferro M., “Manovra fiscale: più tutela ai crediti tributari e prime procedure concorsuali per gli imprenditori agricoli”, Il Fallimento, 2011 (8), p. 909 ss.

[21] V. in argomento – in una ipotesi di previsione di un riparto “irrisorio” per i creditori chirografari – Trib. Roma 16.4.2008, Dir.fall., 2008, II, p. 551.

[22] In argomento Fabiani M., Diritto fallimentare ecc., cit., 627. Il tema peraltro dovrebbe oggi essere ulteriormente approfondito alla luce della nota sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 1521/2013, che ha individuato la “causa concreta” della procedura di Concordato preventivo nella assicurazione ai creditori di un soddisfacimento “minimale”.

[23] Censoni P.F., in Bonfatti S. Censoni P.F., “Manuale di diritto fallimentare”, IV ed., Cedam, Padova, 2011, p. 554 ss.; Fabiani M., “Diritto fallimentare. Un profilo organico”, Zanichelli, Bologna, 2011, p. 617.

In senso contrario, peraltro, Zanichelli V., “I concordati giudiziali”, UTET, Torino, 2010, p. 165.

[24] In senso dubitativo Fabiani M., op.loc.ultt.citt.

[25] Trib. Monza 22.12.2011, in www.ilcaso.it, documento n. 6852. In argomento v. anche Trib. Palermo 9.11.2010, Giur.it., 2011, p. 347; Fauceglia G., “Ruolo del tribunale e concordato preventivo: quando la scelta risiede nel favorire la soluzione della crisi d’impresa”, ivi, p. 349 ss.

[26] Perugini G.M., “Il «professionista» nel concordato preventivo”, in Il Fallimento, 2009, p. 901.

[27] Trib. Piacenza 3.7.2008, www.ilcaso.it, e Il Fallimento, 2009, p. 120 (s.m.).

[28] Condividono la soluzione proposta nel testo Genoviva P., “La relazione del professionista ex art. 160 L. fall.”, cit.; Zorzi A., “La redazione della relazione giurata del professionista ex art. 160 L. fall.”, Il Fallimento, 2010, p. 518; Zanichelli V., “I concordati giudiziali”, UTET, Torino, 2010.

[29] Genoviva P. op.cit., p. 356; Trib. Roma 2.8.2010, Il Fallimento, 2011, (3), p. 351. In senso opposto – per quanto ne viene riferito da App. Torino 14.10.2010, Il Fallimento, 2011, (3), p. 349 – , Trib. Novara 29.7.2010, inedita.

[30] Nel secondo senso Trib. Piacenza, 3.7.2008, cit. e Trib. Roma, 2.8.2010, cit. V. in argomento Genoviva P,. op.cit., p. 357.

[31] In questo senso Genoviva P., op.cit., p. 355. In senso difforme, a quel che pare, Trib. Roma 2.8.2010, cit., il quale pretende che la relazione di stima determini (anche) “in quale precisa misura percentuale ciascun credito prelatizio … potrebbe essere soddisfatto sul bene …in caso di liquidazione” fallimentare; Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili “Negoziazione delle crisi, concordato preventivo e fallimentare: scopo e oggetto delle relazioni del professionista”, Il Fallimento, 2009, p. 745.

[32] Bozza G., “Formazione delle classi e alterabilità delle graduazioni legislative”, Il Fallimento, Allegato 1, 2009, p. 7; Paluchowski A. “I poteri del tribunale in sede di ammissione e nel corso della procedura di concordato preventivo”, Dir.fall., 2006, p. 595; Trib. Treviso, 11.1.2009, Il Fallimento, 2009, p. 1439.

[33] App. Torino, 14.10.2010, cit.; Trib. Firenze, 14.6.2008, Foro pad., 2008, 2, p. 393.

[34] Zanichelli V., “I concordati giudiziali”, cit., 165 e Genoviva P., “La relazione del professionista”, cit., p. 358.

[35] App. Torino, 4.10.2010, cit.

[36] App. Torino 6.5.2010, Il Fallimento, 2010, (11), p. 1275; Penta A., “Obbligatorietà o facoltatività nel classamento dei creditori e carattere autonomo o dipendente della transazione fiscale”, Il Fallimento, 2010, p. 232 ss.; Guiotto A., “Opportunità della transazione fiscale e disciplina dei crediti privilegiati insoddisfatti”, Il Fallimento, 2010, (11), p. 1278 ss., ove ampi riferimenti di giurisprudenza e dottrina.

[37] Guiotto A., op.cit., p. 1283. Per l’ipotesi particolare che il “declassamento” sia rappresentato dalla previsione di un pagamento dilazionato, con conseguente perdita parziale del valore del credito, infra, nel testo, n. 2.13.

[38] Come la fattispecie dei crediti per finanziamenti-soci postergati ex artt. 2447 e 2497-quinquies c.c., per i quali la necessità della costituzione in “classe” separata è giustificata dalla loro appartenenza ad una categoria distinta da quella dei crediti chirografari, alla stregua della distinzione che divide questi ultimi dai creditori privilegiati (tanto da dovere considerare i creditori postergati come una categoria caratterizzata da una sorta di antiprivilegio).

[39] App. Torino 6.5.2010, cit.; Guiotto A., op.cit., p. 1282 ss. (al quale si rinvia anche per gli esaurienti richiami della dottrina e della giurisprudenza che si sono pronunciate in materia).

[40] App. Torino 6.5.2010, cit.; e, per tutti, Guiotto A., op.loc.ultt.citt.

[41] Supra, n. 3.6.

[42] Censoni P.F., in Bonfatti S., Censoni P.F., “Manuale di diritto fallimentare”, cit., p. 602.

[43] App. L’Aquila 16.3.2011, Il Fallimento, 2011, (10), p. 1211; Marelli F., “Il voto di adesione alla proposta di concordato preventivo e la transazione fiscale”, ivi, p. 1215 ss. (ove anche ulteriori riferimenti di giurisprudenza e dottrina).

[44] Panzani L., “Creditori privilegiati, creditori chirografari e classi nel Concordato preventivo”, in AA.VV., “La crisi d’impresa. Questioni controverse del nuovo diritto fallimentare”, Cedam, Padova, 2010, p. 370 ss.; Bottai L.A., “Crediti prelatizi dilazionati e diritto di voto nel concordato: un falso problema”, Il Fallimento, 2011, (5), p. 617 ss., ove ampi riferimenti di giurisprudenza e dottrina.

[45] Trib. Sulmona 2.11.2010, Il Fallimento, 2011, (5), p. 616; Trib. Roma 29.7.2010, ivi, 2011, (2), p. 225; Trib. Udine 14.2.2011, www.ilcaso.it; Trib. Tolmezzo 7.7.2011, www.unijuris.it e Trib. Mantova 16.9.2010, www.ilcaso.it, documento n. 2372/2010.

[46] V. in particolare Trib. Sulmona, 2.11.2010, cit., ma anche Trib. Pescara 16.9.2010, www.ilcaso.it, Trib. Catania 27.7.2007, Giur.comm., 2008, II, p. 677 e Trib. Milano 30.9.2005, Il Fallimento, 2006, p. 580.

[47] Trib. Sulmona, 2.11.2010, cit.

[48] Trib. Tolmezzo 7.7.2011, www.ilcaso.it e Trib. Pescara, 16.10.2008, cit. Ritengono invece che la corresponsione degli interessi per il periodo di dilazione del pagamento dei creditori privilegiati integri il “soddisfacimento integrale” delle loro pretese Trib. Mantova 16.9.2010, cit., Trib. Catania, 27.7.2007, cit. e Trib. Milano, 30.9.2005, cit.

[49] Bottai L.A., “Crediti prelatizi dilazionati e diritto di voto nel concordato: un falso problema”, cit., p. 626; Trib. Udine, 14.2.2011, cit. e Trib. Roma 29.7.2010, Il Fallimento, 2011, (2), p. 225. In senso opposto Nisivoccia N., “Concordato preventivo e continuazione dell’attività aziendale: due decisioni dal contenuto vario e molteplice”, Il Fallimento, 2011, 829, 228.

[50] Trib. Mantova, 16.9.2010, cit., che dichiarando ammissibile la domanda di Concordato preventivo fondata sul pagamento dilazionato dei crediti privilegiati e la corresponsione in loro favore degli interessi legali, determina la parte residua del credito ai fini dell’esercizio del voto (senza precisazioni sull’incidenza o meno del provvedimento anche in sede di riparto) liquidando un importo supplementare del 5% annuo a titolo di “danno da mancato pagamento”, prendendo a riferimento la differenza tra il possibile tasso di interesse che potrebbe essere applicato dal sistema bancario in ipotesi di ricorso al credito e l’interesse legale riconosciuto dalla proposta di Concordato preventivo.

[51] A parere di chi scrive, una volta determinato nella proposta concordataria lo “stralcio” praticato sui crediti privilegiati (sorretto dalla valutazione comparativa dell’esperto stimatore ex art. 160, co. 2, l.fall.), il risultato proposto va “garantito” al creditore privilegiato “stralciato”, anche nelle ipotesi nelle quali il bene oggetto della garanzia fosse liquidato a condizioni e/o in tempi diversi da quelli immaginati. In ciò si annida per un verso, un residuo del regime previgente, che pretendeva – nella interpretazione giurisprudenziale consolidata – il pagamento integrale dei crediti privilegiati sempre e comunque (oggi invece pretendendosi il pagamento della porzione di credito ammessa in privilegio a seguito della stima ex art. 160, co. 2, l.fall., sempre e comunque); e per un altro verso, un possibile effetto distorsivo, per l’ipotesi nella quale il bene interessato da una collocazione prelatizia “stralciata” di crediti prelatizi relativi, sia liquidato a condizioni ed in tempi più favorevoli di quelli immaginati – originando in tal senso un “plusvalore” rispetto alla porzione di credito ammessa al passivo come privilegiata. Per tale evenienza si ritiene ammissibile prevedere, nella proposta di Concordato, il c.d. “diritto di accrescimento”, in forza del quale il credito assistito da prelazione su beni o diritti di cui l’esecuzione della proposta concordataria comporta la liquidazione è ammesso a soddisfarsi sul ricavato dalla stessa fino a concorrenza del suo ammontare, anche al di là della porzione conseguente allo “stralcio” operato nell’ambito della proposta concordataria.


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