CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 31/01/2018 Scarica PDF
La natura giuridica dei "Piani di Risanamento Attestati" e degli "Accordi di Ristrutturazione"
Sido Bonfatti, ProfessoreCass. Civ., Sez. I, Sentenza (ud. 25-10-2017) 25-1-2018, n. 1895. Pres. Didone Antonio. Est. Dolmetta Aldo Angelo.
Fallimento – Credito (professionale) sorto in funzione della predisposizione di un “Piano di Risanamento Attestato” – Prededucibilità nel fallimento consecutivo – Esclusione
Il credito (professionale) sorto per la prestazione di attività (professionale) in favore della predisposizione di un “Piano di Risanamento Attestato” non è collocabile in prededuzione nel fallimento consecutivo.
Cass. Civ., Sez. I, Sentenza (ud. 25-10-2017) 25-1-2018, n. 1896. Pres. Didone Antonio. Est. Terrusi Francesco.
Fallimento – Credito (professionale) sorto in funzione della omologazione di un “Accordo di Ristrutturazione” – Prededucibilità nel fallimento consecutivo – Ammissione
Il credito (professionale) sorto per la prestazione di attività (professionale) in favore della omologazione di un “Accordo di Ristrutturazione” è collocabile in prededuzione nel fallimento consecutivo.
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Cass. Civ., Sez. I, Sentenza (ud. 25-10-2017) 25-1-2018, n. 1895. Pres. Didone Antonio. Est. Dolmetta Aldo Angelo.
Fatti di causa
1. – MAD ricorre per cassazione nei confronti del fallimento I s.r.l., esponendo tre motivi avverso il decreto emesso dal Tribunale di Bari in data16/20 febbraio 2015 nel giudizio R.G. 16003/2013, come anche integrato dai successivi due decreti resi in proposito dal medesimo Tribunale in data 23/24 marzo 2015.
Con queste decisioni, il Tribunale pugliese ha rigettato l’opposizione formulata dall’avv. D contro il provvedimento preso dal giudice delegato in sede di formazione dello stato passivo del fallimento I . Che è consistito – per quanto qui rileva – nel negare la qualifica di “credito prededucibile”a quello esposto dall’avvocato per l’attività prestata a favore della società di poi fallita in relazione alla predisposizione di un piano di risanamento aziendale ai sensi dell’art. 67, comma 3, lett. d), legge fall.; e altresì nel negare il riconoscimento di interessi per le voci creditorie avanzate dall’avvocato (in sorte capitale ammesse, per una parte, in privilegio e in chirografo, per l’altra), come anche carattere privilegiato alle “spese sostenute per il recupero del credito “
Nei confronti del ricorso resiste il fallimento I, che ha depositato apposito controricorso, con annesso ricorso incidentale condizionato.
Ragioni della decisione
2. I motivi di ricorso sollevano i vizi che qui di seguito vengono richiamati.
Il primo motivo assume, in particolare, “violazione dell’art. 111 della legge fallimentare nell’omesso riconoscimento della natura prededucibile del credito professionale derivante dall’espletamento di attività utile all’interesse della massa dei creditori “.
Il secondo motivo riscontra, poi, “insufficiente motivazione in punto di interessi e di spese documentate (art. 360 cod. pro. civ., n. 5) “.
Il terzo motivo rileva, inoltre “carenza di motivazione con riferimento all’applicabilità al caso di specie del DPR 115/112 “.
3. Come dichiara la relativa intestazione, il primo motivo di ricorso si incentra sul tema dell’eventuale prededucibilità ex art. 111, comma 2 seconda parte, legge fall. (“sono considerati crediti prededucibili … quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge “) del credito inerente ad attività prestata per la elaborazione di un piano di risanamento, secondo quanto previsto e disciplinato dalla norma dell’art. 67, comma 3 lett. d) legge fall.
Nel concreto, il riferimento della controversia va all’attività professionale di “consulenza e assistenza stragiudiziale “svolta dall’avv. D per la predisposizione del piano della poi fallita s.r.l. I.
La questione, nei termini generali tratteggiati nel primo capoverso del presente numero, non è stata ancora affrontata dalla giurisprudenza di questa Corte.
4. Il Tribunale di Bari ha respinto la richiesta di prededuzione, formulata dall’avvocato, sulla base del rilievo che “al “procedimento” previsto per la predisposizione e la attestazione del “Piano” di cui all’art. 67 co. 3, lett d) legge fall. non può essere attribuita natura di “procedura concorsuale” “.
La soluzione è stata motivata essenzialmente con il rilievo che la predisposizione di tale piano si connota per “la mancanza di un preventivo accordo dei creditori “, “per mancanza di preventiva pubblicazione nel registro delle imprese “, per la “mancanza di qualsiasi intervento omologatorio del tribunale “. “Ulteriormente “, il Tribunale ha pure precisato che la “natura del Piano di risanamento attestato “è stata “mantenuta distinta “, secondo la prospettiva del vigente sistema normativo, da quella assegnata agli accordi di ristrutturazione, di cui pure alla legge fallimentare.
5. Contestata la pertinenza di un qualunque richiamo specifico alla normativa degli accordi di ristrutturazione, il motivo di ricorso assume invece, nell’ambito per la verità di un percorso argomentativo non sempre lineare, che la prededucibilità del credito inerente alla predisposizione del piano ex art. 67 è mostrata da più ragioni, tra loro anche concorrenti.
Quella dell’art. 67 – si afferma dunque – rientra nel novero delle “procedure concorsuali “di cui alle previsioni della legge fallimentare.
Comunque, l’applicazione della norma dell’art. 111, comma 2 seconda parte, si si rapporta in realtà con il genere dell’” attività funzionale alla composizione negoziale della crisi “ovvero al contesto delle “procedure di composizione negoziale della crisi “. Comunque, “determinante ai fini dell’attribuzione della prededucibilità “è che si tratti di attività “funzionale in termini di accrescimento dell’attivo o di salvaguardia dell’integrità del patrimonio “. Non si può non tenere adeguato conto, d’altro canto, della “comunanza di ratio tra il novellato art. 67 legge fall. e l’art. 111 legge fall. “, secondo quanto già rilevato – segnala il ricorso, richiamandosi alle pronunce di Cass., 5 marzo 2014, n. 5098 e di Cass., 9 settembre 2014, n. 18922 – dalla giurisprudenza di questa Corte.
6. Il motivo è infondato.
In proposito va prima di tutto rilevato che, come correttamente riscontrato dal decreto impugnato, il piano di risanamento ex art. 67 non è una “procedura concorsuale “. La sua natura non partecipa, per essere più precisi, né al primo, né al secondo termine della richiamata espressione.
Alla vicenda di strutturazione e conformazione del piano non concorre alcun intervento giudiziale, sia esso di valutazione oppure di controllo.
Né ha luogo discorrersi di una partecipazione del ceto creditorio (tanto meno se assunta in termini di necessaria partecipazione).
La giurisprudenza di questa Corte ha già rilevato, d’altro canto, che la vicenda espressa dal piano non raffigura una “procedura “, rientrando invece nell’amplissimo genere delle “convenzioni stragiudiziali “(cfr. Cass. 5 luglio 2016, n. 13719). Sulla scia di questa indicazione si può in via di specificazione procedere pure rilevando che il piano in questione è in realtà frutto di una decisione dell’impresa, come attinente alla programmazione della propria futura attività e intesa al risanamento della relativa “situazione finanziaria “. Decisione che nella sua traduzione operativa, poi viene di necessità ad avvalersi dell’attività contrattuale di un professionista indipendente, per la funzione di attestatore, e che può anche venire a comportare, nel caso, la conclusione di convenzioni con creditori o terzi in genere: secondo un ventaglio di ipotesi per la verità assai articolato, che nel suo ambito va a ricomprendere tanto i consulenti tecnici di effettiva predisposizione al piano, quanto gli eventuali acquirenti di assets aziendali. Decisione così determinante, in ogni caso, da riguardare addirittura la stessa eventualità di “esternalizzazione “del piano, portandolo così a conoscenza dei creditori in genere e del mercato: a mezzo appunto della scelta di pubblicarlo o meno nel registro delle imprese a mente dell’ultimo periodo dell’art. 67, comma 3, lett. d), che di per sé rappresenta una scelta propria dell’autonomia di impresa.
7. È senz’altro da escludere, d’altra parte, che la norma dell’art. 111 sia da leggere e interpretare come se essa di riferisse anche alle composizioni negoziali delle crisi di impresa.
Al di là della constatazione che l’allegazione formulata dalla ricorrente è rimasta sguarnita di un qualunque supporto argomentativo, è da osservare in proposito come nella specie manchino propriamente le basi per aprire pure solo l’ipotesi di interpretazioni analogiche o anche solo estensive.
La prededuzione è in sé stessa vicenda di tratto sostanzialmente eccezionale o comunque singolare: come all’evidenza indica, ben al di là della prima parte del comma 2 dell’art. 111, il fatto che essa importa deroga al principio generale della par condicio. Per altro verso, il riferimento alle “composizioni negoziali delle crisi “nemmeno rimanda all’idea di una categoria dotata di una qualche omogeneità, la stessa risultando per contro sfrangiata in una serie indeterminata (e non predeterminabile) di ipotesi.
Finisce poi per giungere a una vera e propria interpretatio abrogans di parte della norma dell’art. 111 l’ulteriore affermazione della ricorrente, per cui a risultare davvero determinante, ai fini della applicazione della prededuzione, sarebbe esclusivamente l’effettiva sussistenza in concreto di un nesso di “funzionalità “ovvero di “occasionalità “.
8. Poste le precedenti osservazioni, non può non risaltare la genericità della “comunanza di ratio “che la ricorrente ritiene venga a correre tra la norma dell’art. 67 e quella dell’art. 111: con riferimento almeno al profilo qui concretamente in esame, tale comunanza rimane, per così dire, sul mero piano della superficie esterna.
D’altronde, il richiamo dei precedenti di questa Corte, a cui la ricorrente si rifà, non appare per nulla centrato.
L’ordinanza n. 18922/2014 concerne un’ipotesi di assistenza alla preparazione di un’istanza di fallimento; e non risulta presentare o proporre richiami alla norma dell’art. 67: la decisione identificando, piuttosto, quella dell’art. 111 come “norma generale, applicabile alla pluralità delle procedure concorsuali “.
La ricorrente sembra poi cadere in un equivoco là dove richiama a proprio sostegno la sentenza n. 5098/2014 (che riguarda un caso di credito professionale concernente la domanda di concordato preventivo): la pronuncia afferma, in realtà, che la norma dell’art. 111 è intesa a “favorire il ricorso alla procedura di concordato preventivo “, come “strumento di composizione della crisi idonea a favorire la conservazione dei valori aziendali “, e che tale ultimo obiettivo è condiviso pure dalla norma dell’art. 67, comma 3, lett. d), perché quest’ultima “sottrae alla revocatoria fallimentare i pagamenti dei debiti liquidi ed esigibili eseguiti dall’imprenditore alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alla procedura di concordato preventivo “.
9. Con il secondo motivo la ricorrente assume l’insufficienza motivazionale della statuizione relativa all’esclusione dallo stato passivo della voce inerente a interessi e della statuizione inerente alla collocazione al chirografo della voce inerente a “spese bancarie maturate a seguito dei protesti delle cambiali “.
Il motivo è inammissibile.
In effetti, la normativa vigente al tempo della presentazione del ricorso (marzo 2015) non ammette più la ricorribilità per cassazione del vizio c.d. motivazionale.
10. Il terzo motivo di ricorso censura la rilevazione del Tribunale di Bari che dà atto della sussistenza, nella fattispecie concreta, dei presupposti di applicazione del c.d. “raddoppio di contributo “ex art. 13 quater d.p.r. n. 115/2002.
Il motivo va accolto.
In effetti, la motivazione addotta al riguardo dal Tribunale si va a fermare “esclusivamente sul presupposto oggettivo del rigetto integrale della impugnazione “. Così facendo, peraltro, la stessa trascura del tutto di considerare natura e caratteri del procedimento nel cui ambito la stessa viene a ritenere applicabile la normativa del “raddoppio di contributo “, che consta in un’opposizione all’esclusione di un credito dallo stato passivo.
La statuizione in questione viene in tale modo a integrare una falsa applicazione della normativa di cui al citato decreto. L’opposizione all’esclusione dallo stato passivo del fallimento non può essere considerata un’impugnazione in senso proprio, la stessa risultando piuttosto un gravame che apre un procedimento a cognizione piena, tale non potendo essere considerato, per l’appunto, quella di cui alla verifica dei crediti compiuto dal giudice delegato.
11. Il ricorso incidentale presentato dal fallimento I è stato condizionato all’eventuale accoglimento del primo o del secondo motivo di ricorso.
Il mancato accoglimento dei medesimi importa dunque assorbimento di questo ricorso.
12. In conclusione, va rigettato il primo motivo del ricorso principale e dichiarato inammissibile il secondo; va invece accolto il terzo motivo. Rimane assorbito il ricorso incidentale. Di conseguenza, vanno cassati i decreti impugnati in relazione alla determinazione relative al “raddoppio di contributo “.
Le spese vanno compensate, anche in ragione della novità della questione posta all’attenzione di questa Corte con il primo motivo del ricorso principale.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo del ricorso principale e dichiara
inammissibile il secondo, assorbito il motivo di ricorso incidentale.
Accoglie il terzo motivo del ricorso principale. Cassa, in relazione alle
relative determinazioni, i decreti impugnati e, decidendo nel merito, esclude
il raddoppio del contributo e compensa le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, addì
25 ottobre 2017.
Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2018
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Cass. Civ., Sez. I, Sentenza (ud. 25-10-2017) 25-1-2018, n. 1896. Pres. Didone Antonio. Est. Terrusi Francesco.
Svolgimento del processo
Gli avvocati C.M. e P.M. chiesero di essere ammessi al passivo del fallimento di (OMISSIS) s.p.a.: (i) in prededuzione, per prestazioni di assistenza e consulenza giudiziale e stragiudiziale funzionali all'omologazione di un accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis l. fall.; (ii) in privilegio ex art. 2751 bis c.c., n. 2, per prestazioni effettuate nel biennio anteriore al fallimento; (iii) al chirografo, per prestazioni effettuate prima del biennio suddetto.
Col decreto di esecutività dello stato passivo, il credito venne ammesso in privilegio, ai sensi dell'art. 2751 bis c.c., n. 2, per la minor somma di Euro 15.102,82, considerati gli acconti già percepiti, e al chirografo per le spese forfetarie quantificate in Euro 1.274,13.
Il tribunale di Verona, adito ai sensi della l. fall., art. 98, ha respinto l'opposizione rilevando che per la predisposizione dell'accordo di ristrutturazione il credito dei professionisti era stato ammesso in via privilegiata, e non, come invece richiesto, in prededuzione. Ha quindi osservato che la fattispecie, ex art. 182 bis, era estranea, per il carattere privatistico, alla disciplina delle procedure concorsuali e che l'accordo di ristrutturazione, pur omologato, non aveva apportato alcuna utilità alla massa dei creditori, essendo stato dichiarato il fallimento a distanza di poco tempo dall'omologa: segnatamente il 26-7-2013 a fronte della data di omologazione del 16-3-2012.
Ciò premesso, il tribunale ha anche osservato che per le somme correlate all'accordo di ristrutturazione gli istanti avevano già proposto una separata opposizione (ivi rubricata al n. 4353-149), unitamente all'avv. Lambertini, e che quanto alle ulteriori somme era da confermare la valutazione del giudice delegato. In particolare gli atti ricognitivi di debito erano suscettibili di revocatoria e la riduzione degli importi rispetto ai parametri di legge era giustificata in base alla oggettiva inutilità, per la massa dei creditori, dell'attività professionale svolta.
Per la cassazione del decreto del tribunale di Verona, depositato il 16-2-2015 e comunicato via Pec in pari data, gli avvocati C. e P. hanno proposto ricorso affidato a cinque motivi.
La curatela ha resistito con controricorso.
Le parti hanno depositato una memoria.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e conseguente vizio di ultrapetizione, i ricorrenti sostengono che il tribunale abbia erroneamente pronunciato su un fatto - la presunta duplicazione dei compensi rispetto a quanto preteso dal collegio difensivo Lambertini, C. e P. - che non era stato considerato nel decreto del giudice delegato, e che pertanto "non era stato oggetto delle domande" di essi opponenti.
Col secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione della l. fall., art. 182.bis, censurano il provvedimento del tribunale per avere erroneamente escluso che l'accordo di ristrutturazione dovesse rientrare tra le procedure concorsuali.
Col terzo motivo, ancora deducendo violazione e falsa applicazione della l. fall., art. 111, ascrivono al tribunale l'erronea esclusione della prededuzione in base al fatto di non avere l'accordo di ristrutturazione, pur omologato, apportato un' effettiva utilità alla massa dei creditori, attesa la successiva dichiarazione di fallimento.
Col quarto e col quinto motivo, infine, i ricorrenti denunziano rispettivamente la violazione e falsa applicazione della l. fall., art. 67, per avere il tribunale ritenuto corretta la decisione del giudice delegato in punto di revocabilità degli atti di ricognizione di debito relativi al compenso pattuito per l'attività giudiziale e stragiudiziale estranea all'accordo di ristrutturazione, e l'omesso esame di fatto decisivo in ordine alla motivazione spesa per giustificare la correttezza della riduzione del compenso rispetto ai parametri di legge.
2. Nelle memorie depositate ai sensi dell’art. 378 c.p.c., le parti hanno rappresentato di aver raggiunto un accordo per comporre bonariamente la controversia.
L'accordo prevede l'ammissione dei ricorrenti al passivo fallimentare in prededuzione, secondo l'ammontare per ciascuno indicato in Euro 5.000,00.
Ciò postula un provvedimento di modifica dello stato passivo, per adottare il quale il collegio reputa di dover esaminare il fondamento del secondo e del terzo motivo di ricorso, onde fissare i principi di diritto rilevanti in materia, visto che la questione sottostante, relativa al particolare atteggiarsi del rapporto tra la l. fall., art. 111, e l'istituto dell'accordo di ristrutturazione, non ha precedenti nella giurisprudenza della Corte.
3. La tesi dai ricorrenti sostenuta nel secondo e nel terzo motivo è fondata.
4. Per quanto suscettibile di venir in considerazione come ipotesi intermedia tra le forme di composizione stragiudiziale e le soluzioni concordatarie della crisi dell'impresa, e per quanto oggetto di annosi dibattiti dottrinali, l'accordo di ristrutturazione di cui all'art. 182 bis, appartiene agli istituti del diritto concorsuale, come è dato desumere dalla disciplina alla quale nel tempo è stato assoggettato dal legislatore; disciplina che, in punto di condizioni di ammissibilità, deposito presso il tribunale competente, pubblicazione al registro delle imprese e necessità di omologazione, da un lato, e meccanismi di protezione temporanea, esonero dalla revocabilità di atti, pagamenti e garanzie posti in essere in sua esecuzione, dall'altro, (v. la L. Fall., art. 182 bis, nei suoi vari commi, e la L. Fall., art. 67, comma 3, lett. e)) suppone realizzate, nel pur rilevante spazio di autonomia privata accordato alle parti, forme di controllo e pubblicità sulla composizione negoziata, ed effetti protettivi, coerenti con le caratteristiche dei procedimenti concorsuali.
L'appartenenza al diritto concorsuale può del resto considerarsi implicitamente contrassegnata dalle decisione nelle quali questa Corte ha accostato l'accordo al concordato preventivo, quale istituto affine nell'ottica delle procedure alternative al fallimento (v. per spunti Cass. n. 2311-14; n. 16950-16).
5. Quanto poi al fatto che la prededuzione sia stata esclusa in base alla successiva dichiarazione di fallimento, è necessario evidenziare che questa Corte ha già affermato, sebbene in relazione al concordato preventivo, che il credito del professionista (nella specie, un avvocato) che abbia svolto attività di assistenza e consulenza per la redazione e la presentazione della domanda, rientra de plano tra i crediti sorti "in funzione" della procedura e, come tale, a norma della L. Fall., art. 111, comma 2, va soddisfatto in prededuzione nel successivo fallimento, senza che, ai fini di tale collocazione, debba essere accertato, con valutazione ex post, che la prestazione resa sia stata concretamente utile per la massa in ragione dei risultati raggiunti (v. Cass. n. 22450-15).
La ragione specifica di tale affermazione va rinvenuta nell'essere l'ammissione al concordato in sè sintomatica della funzionalità delle attività di assistenza e consulenza connesse alla presentazione della domanda e alle eventualmente successive sue integrazioni, giacchè la norma detta un precetto di carattere generale che, per favorire il ricorso a forme di soluzione concordata della crisi d'impresa, ha introdotto un'eccezione al principio della par condicio (v. pure Cass. n. 8533-13 e n. 8958-14).
La spiegazione rileva anche a proposito delle prestazioni funzionali all'accordo di ristrutturazione, nel senso che, avutasi l'omologazione, non è necessario verificare la definitiva tenuta del "risultato" delle prestazioni medesime (il risultato ultimo).
Invero le prestazioni vanno correlate al segno della funzionalità di accesso alla procedura minore per la quale sono state svolte. L'utilità concreta per la massa dei creditori, ove poi consegua il fallimento, non è richiesta, atteso che i concetti - di funzionalità e di utilità concreta - non possono essere sovrapposti, e men che meno confusi tra loro. In particolare la norma di cui all'art. 111, secondo comma legge fall., come è stato osservato per il concordato preventivo (appunto da Cass. n. 22450-15), risulterebbe priva di senso e non potrebbe mai ricevere applicazione nel fallimento consecutivo se la funzionalità delle prestazioni svolte allo scopo di ottenere l'ammissione alla procedura alternativa dovesse essere nuovamente valutata ex post con riguardo al fallimento che sia stato infine comunque dichiarato.
Ciò sta a significare che non può escludersi la funzionalità della prestazione, per gli effetti di cui alla L. Fall., art. 111, per il semplice fatto che all'omologazione dell'accordo di ristrutturazione sia conseguito il fallimento. Mentre è possibile che l'opera intellettuale prestata dal difensore sia valutata di nessuna utilità per la massa dei creditori poichè prestata in condizioni che sin dall'inizio non consentivano nessun salvataggio dell'impresa.
6. I restanti motivi di ricorso debbono ritenersi rinunciati dai ricorrenti, i quali, concorde la curatela all'esito dell'accordo raggiunto, hanno concluso nel senso della ammissione dei sopra detti specifici crediti secondo la disciplina della prededuzione.
Il decreto del tribunale di Verona va dunque cassato soltanto in parte qua, previa fissazione dei menzionati principi di diritto.
L'accordo inter partes rende ovviamente non necessari ulteriori accertamenti di fatto, sicchè la Corte può decidere la causa anche nel merito, ammettendo i crediti in prededuzione al passivo del fallimento di (OMISSIS) s.p.a. nella misura per ciascun creditore indicata.
In tal senso il curatore effettuerà le opportune variazioni dello stato passivo.
Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese dell'intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso, cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, ammette in prededuzione allo stato passivo del fallimento di (OMISSIS) s.p.a. gli avv. C. e P. per l'importo di Euro 5.000,00 ciascuno; ordina la variazione dello stato passivo del fallimento; compensa le spese dell'intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 25 ottobre 2017.
Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2018.
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1. Premessa. Due sentenze contemporanee su due questioni affini
Con due sentenze contemporanee, depositate lo stesso giorno, e con due numeri progressivi contigui, la Sezione Prima della Corte di Cassazione prende posizione sul medesimo quesito, riferito in un caso ai “Piani di Risanamento Attestati” ex art. 67, co. 3, lett d) l. fall.; e nell’altro agli “Accordi di Ristrutturazione “ex art. 182 – bis l. fall. [1]
Il quesito è rappresentato, in entrambi i casi, dal dubbio se i crediti professionali, derivanti da attività prestate in funzione della predisposizione di un “Piano”, ovvero in funzione della omologazione di un “Accordo”, debbano trovare, nel fallimento consecutivo, collocazione prededucibile, oppure no: e nel primo caso la Suprema Corte conclude in senso negativo, mentre nel secondo conclude in senso positivo.
In entrambi i casi – ancora – la Suprema Corte dà atto della circostanza che “la questione …. non è stata ancora affrontata dalla giurisprudenza di questa Corte” (ovvero “la questione …. non ha precedenti nella giurisprudenza della Corte”).
In entrambi i casi – infine – la motivazione delle due sentenze appare ingiustificatamente sintetica (o sommaria?) se si ha riguardo: (i) alla dichiarata mancanza di precedenti della Suprema Corte; e (ii) alla rilevante importanza, sistematica oltre che economica, dei profili e dei problemi sottesi ad entrambe le fattispecie affrontate.
Chi scrive vuole premettere e sottolineare di condividere la conclusione della prima decisione, e di dissentire – invece – dalla seconda: ma di accomunare entrambe in un unico giudizio perplesso con riguardo alla inadeguatezza delle motivazioni addotte per pervenire tanto al risultato condiviso, quanto a quello contrastato. Peraltro, il segnalato carattere delle due decisioni in commento spiegherà (se non giustificherà) il carattere sommario (o sintetico?) anche del presente commento.
2. I crediti (professionali) sorti “in funzione” del Piano di Risanamento Attestato, e la natura giuridica dell’istituto
Con la prima delle sentenze in commento la Corte di Cassazione (i) esclude che i crediti professionali derivanti da prestazione di attività funzionali alla predisposizione di un “Piano” ex art. 67, co. 3, lett. d) l. fall. possano essere collocati in prededuzione nel fallimento consecutivo; e (ii) nega che il Piano di Risanamento attestato abbia natura giuridica di “Procedura concorsuale”.
Come detto, la conclusione merita di essere condivisa, non essendo rinvenibili nel “Piano” ex art. 67, co. 3, lett. d), l. fall., quei presupposti che si devono ritenere caratteristici delle “procedure concorsuali” – per quanto le stesse non risultino espressamente definite dal diritto positivo -.
Il “Piano” in discussione non è neppure necessariamente una “Procedura” – potendosi risolvere (non già in uno o più accordi, bensì) anche in atti unilaterali dell’imprenditore (attraverso il compimento dei quali dare esecuzione al “Piano”, accompagnato dalla attestazione descritta dalla norma richiamata al solo fine di proteggerli dal rischio revocatorio) -.
Il “Piano” in discussione non postula neppure la sussistenza di un “concorso” – potendosi risolvere nel compimento di atti con soggetti diversi dai creditori dell’imprenditore in crisi, quali acquirenti di prodotti o di asset; quali sottoscrittori di aumenti di capitale della società in difficoltà; eccetera -.
Tuttavia ciò non giustifica – a parere di chi scrive – la insufficiente attenzione dedicata all’argomento della parte ricorrente, incentrato sul parallelo tra l’art. 67 l. fall. – da intendersi l’art. 67, co .3, lett. d) – e l’art. 111 l. fall.
L’invocata “comunanza di ratio” fra le due norme, addotta dalla parte ricorrente, viene bollata (in modo non più soltanto sintetico ovvero sommario, ma propriamente criptico) come argomento che “rimane, per così dire, sul mero piano della superficie esterna”. A prescindere dalla non facile intelleggibilità del senso dell’obiezione formulata - sul punto – alla tesi della ricorrente, va detto che in realtà il parallelo tra il disposto dell’art. 67, co. 3, lett. d) l. fall. ed il disposto dell’art. 111 l. fall. non può essere liquidato con troppa disinvoltura, perché pone il problema dei rapporti tra la esenzione dall’azione revocatoria fallimentare e la prededucibilità nel concorso tra i creditori.
Il pagamento che il credito del professionista, derivante da attività funzionali all’esecuzione di un “Piano” di Risanamento Attestato, ricevesse in epoca pur prossima al fallimento, e pur nella piena consapevolezza dello stato di insolvenza dell’imprenditore, sarebbe sottratto all’azione revocatoria fallimentare (rimanendo per ciò soddisfatto in misura integrale senza essere ri–attratto al concorso con i creditori): art. 67, co.3, lett. d), l. fall.
Il mancato pagamento di questo stesso credito non comporterebbe invece il collocamento in prededuzione della relativa pretesa nel fallimento consecutivo (soggiacendo pertanto alla falcidia fallimentare, con assoggettamento al concorso).
Due crediti (professionali) sorti entrambi in esecuzione di un “Piano”, di cui uno pagato (con sottrazione della relativa liquidità all’imprenditore), e l’altro non pagato (con conseguente effetto di sostegno finanziario all’imprenditore), subirebbero sorti contrarie l’una all’altra, premiando il primo – esenzione dalla revocatoria –, e sanzionando il secondo – negazione della prededuzione -.
E’ per questa ragione che, a parere di chi scrive, dovrebbe essere affermato, in via interpretativa, il principio secondo il quale – a prescindere dal dato normativo disponibile nel singolo caso di specie; ed a prescindere dalla natura giuridica attribuibile al procedimento di volta in volta interessato dal fenomeno – i crediti dichiarati esenti dall’azione revocatoria fallimentare, se soddisfatti prima del fallimento, dovrebbero trovare collocazione preducibile nell’ambito dello stesso, se ancora insoddisfatti al momento della sua apertura; e - viceversa - i crediti collocati in prededuzione nel fallimento, se ancora insoddisfatti al momento della sua apertura, dovrebbero essere considerati esentati dall’azione revocatoria fallimentare, se soddisfatti in precedenza. Conclusione, questa, sulla quale è certamente lecito dissentire, ma senza che si possa dire che insiste su una problematica banale [2]
3. I crediti (professionali) sorti “in funzione” di un Accordo di Ristrutturazione, e la natura giuridica dell’istituto
Con la seconda delle sentenze in commento la Corte di Cassazione (i) afferma che i crediti professionali derivanti da prestazione di attività funzionali alla omologazione di un “Accordo” ex art. 182 – bis l. fall. devono essere collocati in prededuzione nel fallimento consecutivo; ma (ii) non dichiara che l’Accordo di Ristrutturazione ha natura di “procedura concorsuale”. La sentenza, infatti - e lo stesso deve dirsi per l’identica decisione n. 1182/ 2018, di cui alla nota 1) -, pur dando atto che il ricorso era fondato sull’asserita violazione dell’art. 111 l. fall., maiqualifica gli “Accordi” ex art. 182 – bis l. fall. come una “procedura concorsuale”.
Quale sia la ragione, è difficile dire: tuttavia a tale circostanza non può essere attribuito un rilievo decisivo.
In un contesto nel quale “una specifica disposizione di legge” (cfr. art. 111, co. 2, prima parte, l. fall.) che attribuisca natura prededucibile ai crediti da prestazioni professionali rese nell’ambito di un “Accordo” non c’è - essendocene invece, come è noto, per i “finanziamenti” -, delle due l’una: o allo “Accordo” si attribuisce natura di “procedura concorsuale” (con conseguente applicabilità dall’art. 111, co. 2, seconda parte, l. fall.); oppure non si comprende come possa essere affermata la prededucibilità di tali pretese.
Non vale quindi sottolineare la inadeguatezza (o timidezza) definitoria della sentenza in commento (e della citata decisione n. 1182/2018): la conclusione alla quale essa è pervenuta postula l’attribuzione agli Accordi di Ristrutturazione della natura di “procedura concorsuale”, ed è tale assunto che a parere di chi scrive – come già osservato a commento della decisione n. 1182/2018 [3] - non è condivisibile.
4. Segue. La “timidezza definitoria” negli Schemi di decreti delegati di riforma della legge fallimentare
Per una coincidenza strana (ma forse neanche tanto), la “timidezza definitoria” rinvenuta nelle due contemporanee sentenze della Corte di Cassazione n° 1182/2018 e n° 1896/2018 a proposito della natura giuridica attribuibile agli “Accordi di Ristrutturazione” è rinvenibile, sulla medesima questione, anche negli Schemi di decreti delegati che dovrebbero dare corpo al Codice della Crisi e dell’Insolvenza (C. C. I.), che dovrebbe mandare in pensione l’attuale legge fallimentare.
Tali “Schemi” esordiscono (art. 2 C. C. I.) con ben 25 “definizioni”: ma nessuna precisa cosa si debba intendere per “procedura concorsuale”.
La omissione è, ad avviso di chi scrive, gravissima: giacché rappresenta la premessa di rinnovate discussioni ed incertezze su problematiche dotate di impatto (se non altro) economico rilevantissimo, nonché deputate a giocare, per ciò che concerne l’aspirazione a favorire il risanamento delle imprese in crisi, un ruolo letteralmente decisivo.
“Procedura concorsuale” significa – e continuerebbe a significare: cfr. art. 9, co. 1, lett. e); cfr art. 50, cpo. 3, C. C. I. – prededuzione dei crediti sorti “in funzione” o “durante” il tentativo di superamento della crisi.
“Procedura concorsuale” significa – almeno oggi: cfr art. 69–bis, co. 2, l. fall. - “consecuzione” tra procedure susseguitesi l’una all’altra, in funzione della retrodatazione del termine di decorrenza a ritroso del “periodo sospetto” in funzione dell’esercizio delle azioni revocatorie fallimentari: e non pare cosa da poco.
Che la “nuova legge fallimentare” non si preoccupi di definire (nel vero termine della parola) quali dei molti procedimenti disciplinati siano “procedure concorsuali”, e quali no, è sinceramente incomprensibile (o comunque difficilmente accettabile).
La affermazione deve essere tanto più sottolineata, quanto più la disciplina attribuita agli Accordi di Ristrutturazione nell’ipotizzato “Codice” avvicina oggettivamente l’istituto al Concordato preventivo (sulla cui natura di “Procedura concorsuale” non possono esservi dubbi).
Secondo il “Codice”, infatti, gli “Accordi” sarebbero caratterizzati da nuovi profili di “concorsualità”, quali:
a) la esistenza di una fase preliminare di (sostanziale) “ammissione” – cfr. artt. 41 ss. C. C. I.;
b) la possibile nomina di un Commissario giudiziale nel procedimento di omologa dello “Accordo” (cfr. art. 48, co. 4, C. C. I);
c) la limitazione ai soli atti di amministrazione ordinaria dei poteri dispositivi del proprio patrimonio per l’imprenditore che abbia richiesto l’accesso al giudizio di omologazione di un “Accordo” – cfr. art. 50, co. 1, c. c. I. -;
d) la attribuzione del carattere prededucibile ai “crediti di terzi sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore” (cfr. art. 50, co.3, C. C. I.);
e) la estensione dell’efficacia degli “Accordi di Ristrutturazione” posti in essere dalle ocietà con soci a responsabilità illimitata banche ai soci (art. 63, co. 3, C.C.I);
f) la possibilità di effetti vincolanti dello “Accordo” nei confronti dei creditori non aderenti (cfr. art. 65 C. C. I);
Ad avviso di chi scrive, il fenomeno rilevato – l’avvicinamento degli “Accordi” al Concordato – non giova all’istituto, che perde la flessibilità e la duttilità che lo caratterizza attualmente[4].
Le modifiche proposte potranno rivelarsi produttive di effetti che vanno in senso contrario rispetto a quelli universalmente perseguiti.
Secondo quanto previsto dall’art. 45, co. 7, C. C. I., “la domanda del debitore” – tanto in funzione dell’accesso ad un Concordato; quanto in funzione della (necessaria!) richiesta di concessione di un termine per il deposito di un “Accordo” di cui si richieda l’omologazione - “entro il giorno successivo al deposito è comunicata dal Cancelliere al registro delle imprese per la sua iscrizione, da farsi entro il giorno successivo al ricevimento.”
Ciò comporta l’immediata pubblicità della “crisi”: e non è difficile immaginare che ciò, nonché essere un incentivo ad anticiparne la emersione, potrà essere (rectius: sarà) un incentivo a ritardare fino all’ultimo il ricorso ai futuri istituti di risanamento dell’impresa.
Ma non è questo di cui si stava discorrendo: ci si stava interrogando sulle ragioni per le quali le sentenze della Cassazione e i redattori degli “Schemi” di riforma della legge fallimentare creino i presupposti per l’aggravamento del fenomeno della incertezza del diritto, omettendo anche questa volta di precisare una volta per tutte cosa è “procedura concorsuale”, e cosa non lo è [5]: ma al momento non pare disponibile una risposta appagante.
5. Segue. Caratteri di “perennità” e di “precarietà” della prededuzione negli Schemi di decreti delegati di riforma della legge fallimentare
L’accenno alla disciplina che sarebbe riservata agli “Accordi di Ristrutturazione” nella riforma della legge fallimentare che si sta approntando, con specifico riguardo all’effetto di attribuire carattere prededucibile ai crediti sorti in funzione della loro omologazione, rappresenta l’occasione per un sintetico (o sommario) commento anche a tale importante tema.
Da una parte, la prededuzione assegnata ai crediti sorti (anche) in funzione dell’omologazione degli Accordi di Ristrutturazione, acquisirebbe un carattere di “perennità”: in via generale, infatti, l’art. 9, co. 2, C. C. I., afferma che: “La prededucibilità permane anche nell’ambito delle successive procedure esecutive o concorsuali”.
La norma non precisa - e ciò induce a risolvere il dubbio in senso negativo – se la permanenza dell’effetto de quo sia circoscritta alle procedure consecutive a quella – quale che essa sia – produttiva della prededucibilità del credito: d’altro canto, mentre per una successiva “procedura concorsuale” potrebbe effettivamente porsi l’alternativa di un rapporto di “consecutività” con la procedura precedente, ovvero di mancanza di tale rapporto; per una successiva “procedura esecutiva” (da intendersi: di carattere individuale), il rapporto di “consecutività” non sarebbe comunque facile da individuare mai. La prededucibilità, pertanto, “permane”, negli Schemi di decreti delegati di riforma alla legge fallimentare, “in eterno” (fino al soddisfacimento del credito): il chè (i) ne avvicina la natura al privilegio; e (ii) suscita la domanda per quale ragione allora la prelazione che si è inteso attribuire ai crediti in discussione non sia stata veicolata attraverso la più collaudata strada dell’attribuzione di un privilegio.
Sta di fatto che, a seguito dell’apertura di una “procedura concorsuale” (ivi compresa l’apertura di un Accordo di Ristrutturazione, come lo si voglia qualificare, stante la riferita estensione dell’art. 9, co. 2, C.C.I. anche allo “Accordo”) si creerà un indebitamento caratterizzato da una perenne attitudine a trovare collocazione prededucibile in qualsiasi futuro “concorso” - finanche quello prodotto dall’avvio di una esecuzione forzata individuale, mobiliare o immobiliare -, che imporrà alla società prima; ed ai gestori dell’eventuale crisi successiva (consecutiva o non consecutiva che essa sia), poi; una attenta “catalogazione” delle passività di qualsiasi natura (finanziaria; commerciale; erariale; extra-contrattuale; ecc.), che per il solo fatto di essere stata prodotta da atti posti in essere, o da fatti occorsi, “in funzione”, ovvero “durante” la procedura originaria, sono destinati a vedersi attribuita una collocazione preferenziale rispetto al diverso indebitamento dell’impresa, sia esso anteriore o posteriore all’epoca di maturazione della prededuzione in commento.
Da un’altra parte, però, la prededuzione in futuro sarà caratterizzata anche da connotati di precarietà: giacché pur essendosi prodotta in conseguenza dell’avveramento dei presupposti di legge che variamente la condizionano, potrà andare incontro a fenomeni di “revoca” ovvero di “decadenza”: comunque tali da privare i crediti interessati del diritto di essere soddisfatti con preferenza rispetto agli altri.
Secondo gli artt. 104 e 106 C.C.I., infatti, i finanziamenti pur autorizzati per l’erogazione di “finanza- ponte”; ovvero per l’erogazione di “finanza–interinale”; o ancora per l’erogazione di “finanza–in esecuzione” di un Concordato preventivo ovvero di un Accordo di ristrutturazione, “non potranno beneficiare della prededuzione laddove risulti” la falsità o l’incompletezza o la presenza di atti fraudolenti nel ricorso per la richiesta dell’autorizzazione giudiziale o nella relativa attestazione, e “i soggetti che abbiano erogato tali finanziamenti fossero, o potessero essere sulla base dell’ordinaria diligenza, a conoscenza delle predette circostanze”.
Per converso, a proposito dei finanziamenti erogati “in esecuzione” di un Concordato preventivo o di un Accordo di Ristrutturazione, oltre all’ipotesi di “revoca” sopra descritta, può intervenire una ipotesi di “decadenza” dal diritto alla collocabilità in prededuzione nel concorso con gli altri creditori, allorché “nel corso dell’esecuzione del piano si siano verificati scostamenti tra i dati di piano e i dati consuntivi tali da rendere, sulla base di una valutazione da riferirsi all’epoca, il predetto piano manifestamente inattuabile”.
Tale previsione desta particolare interesse perché mette l’accento su un profilo critico che appartiene già al dibattito che investe il diritto della crisi d’impresa attuale. Ferma restando l’attribuibilità del carattere prededucibile ai finanziamenti erogati “in esecuzione” di un Concordato o di un “Accordo” omologati – cfr. art. 182–quater, co. 1, l. fall. -, infatti, è già oggi pertinente la domanda sulla “perennità” di questa attitudine (nel senso di prescindere dagli eventuali “scostamenti” nel frattempo prodottisi), ovvero sulla sua possibile “precarietà” (nel senso di essere condizionata alla perdurante “fattibilità” del Piano, per l’accertata mancanza di “scostamenti” o per il carattere non decisivo della loro produzione): con la conseguenza di introdurre l’interrogativo – che ad avviso di chi scrive deve ricevere risposta positiva [6] - della necessità o meno (della previsione nel contesto della stessa proposta concordataria della programmazione di una puntuale attività di “monitoraggio” dei risultati conseguiti dalla esecuzione del “Piano”, ed a valle di essa) della acquisizione e della pubblicazione di una Attestazione integrativa sulla perdurante “fattibilità” del Piano originario, in presenza di scostamenti significativi.
La esecuzione di un “Piano” di ristrutturazione dell’indebitamento pregresso attraverso – poniamo – la “continuità aziendale” può richiedere anni: e ad avviso di chi scrive è impensabile che tutto l’indebitamento (di qualsiasi natura) che si produce per il sostegno dell’attività d’impresa, per quanto qualificabile “esecutivo” del “Piano”, sia destinato ad essere anteposto ad ogni altra pretesa nell’eventuale fallimento consecutivo, senza il conforto di periodiche verifiche della perdurante “fattibilità” del “Piano” stesso.
[1] Per la verità, come si dirà nel testo, la decisione n. 1896/2018, concernente gli “Accordi di Ristrutturazione”, depositata in data 25 gennaio 2018, è stata preceduta, di pochi giorni, dalla sentenza n. 1182/2018, depositata in data 18 gennaio 2018. La circostanza non ha rilievo, peraltro – a parere di chi scrive -, in quanto (i) le due controversie riguardavano la stessa fattispecie (crediti professionali) verificatasi nel contesto della stessa procedura concorsuale (concordato preventivo di tale società UCF S.p.A., poi sfociato in fallimento), e sono state decise dal medesimo tribunale fallimentare (di Verona); (ii) le due sentenze sono identiche; e (iii) le due sentenze sono state adottate nella stessa Camera di Consiglio del 25 ottobre 2017. La diversa data di pubblicazione non ha pertanto significato.
[2] Sulla considerazione di “esenzione” e “prededuzione” come due facce della stessa medaglia v. ad es. COSTA, Esenzione dall’azione revocatoria e prededuzione nelle procedure stragiudiziali di risanamento delle imprese, in Dir. fall., 2010, I, 536.
[3] BONFATTI, La natura giuridica degli accordi di ristrutturazione, in Diritto bancario, gennaio 2018.
[4] Sulle complessità originate dalla generalizzazione della possibilità (oggi circoscritta ai creditori bancari e finanziari) di estensione degli effetti dello “Accordo” anche ai creditori non aderenti non altrimenti qualificati, v. BOZZA, Gli Accordi di Ristrutturazione nella legge delega, in Diritto bancario, novembre 2017
[5] Maliziosamente si può tuttavia osservare che l’economia che si sarebbe realizzata prevenendo le prevedibilmente innumerevoli controversie originate dalla “timidezza definitoria” segnalata, avrebbe più che compensato la rinuncia a “taglieggiare” le spettanze dei professionisti che operano nel settore delle imprese in crisi - cfr. art. 9, co. 1, lett. c) ed e) del C.C.I., che limita al 75% del dovuto il collocamento in prededuzione dei crediti professionali – solo loro! – sorti in funzione della domanda di omologazione degli “Accordi” oppure in funzione della presentazione della domanda di Concordato - .
[6] Cfr. BONFATTI, La prededuzione dei crediti verso l’impresa in crisi tra natura della procedura e “consecutio” di procedimenti, in Rivista di Diritto bancario, novembre 2017. D’altro canto la “timidezza definitoria” denunciata investe anche almeno un altro importante profilo dell’argomento in commento. L’effetto della retrodatazione della decadenza a ritroso dei “periodi soggetti” rilevanti ai fini dell’esercizio delle azioni revocatorie fallimentari, infatti, oggi è attribuito per diritto positivo (art. 69–bis, co. 2, l. fall.) alla sequenza di procedure rappresentate dal fallimento apertosi consecutivamente ad un precedente Concordato preventivo: il chè consente di escludere che si possa produrre in occasione di una sequenza di provvedimenti diversa da quella descritta (“Accordo”–Concordato; “Accordo”-Fallimento; eccetera).
Non pare che una disposizione analoga sia riproposta – quale che ne fosse il contenuto di specie – nella progettata “riforma”: il chè non può non suscitare ulteriori perplessità, essendo sicuro che su questo tema si confronteranno opinioni divergenti, con quanto di inefficienza ne può derivare nel campo delle procedure di comparizione negoziale delle crisi.
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