CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 13/05/2017 Scarica PDF
Il problema della riportabilità delle perdite fiscali nella fusione connesso con le eccedenze degli interessi passivi e dell'ACE
Andrea Crenca, Dottore commercialista e Revisore legale in Roma1. Premessa
La problematica delle riportabilità delle perdite fiscali pregresse in caso di fusione (1) è una delle questioni più controverse del tributario italiano e che pone agli operatori scelte che sono ultimamente divenute ancor più delicate vista l’interazione con la materia delle eccedenze sia degli interessi passivi ex articolo 96 TUIR (2) che dell’ACE (Aiuto alla Crescita Economica). In particolare quest’ultima disciplina, che è stata inserita nell’ordinamento con l’articolo 1, comma 4, del Decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 (c.d. “decreto Salva Italia” convertito in legge, con modifiche, dalla L. 22.12/2011, n. 214), prevede una diminuzione dell'imposizione sui redditi derivanti dall'apporto di capitale di rischio. Giacché i particolari automatismi applicativi possono portare a residui a favore del contribuente da utilizzare in periodi successivi, di recente l’articolo 1, comma 549, della L. 11 dicembre 2016, n. 232 ha ritenuto di integrare (con decorrenza dal 01 gennaio 2017) l’articolo 172, comma 7, del TUIR, che è la norma di riferimento per quanto attiene alla riportabilità delle perdite fiscali, onde tenere conto anche delle eccedenze ACE. Detto comma 7, in estrema sintesi (3), stabilisce che le perdite anteriori alla fusione sono riportabili per l’importo che non supera l’ammontare del patrimonio netto quale risulta dall’ultimo bilancio o (se inferiore) dalla situazione ex art. 2501-quater (c.d. test del patrimonio netto). Il secondo esame (c.d. test di vitalità o vitality test) consta invece nell’analisi del conto economico della società (le cui perdite sono riportabili) relativo all’esercizio precedente alla fusione allo scopo di assodare che il livello di ricavi e proventi dell’attività caratteristica e il totale delle spese per lavoro subordinato (inclusive dei relativi contributi) non siano inferiori al 40% dei corrispondenti importi ottenuti dalla media degli ultimi due esercizi precedenti a quello in cui la fusione è stata deliberata.
Le complicazioni si sono accresciute proprio per il fatto che, per effetto delle le innovazioni sopra riportate, nel plafond del test nel patrimonio netto devono rientrare (a pena di indeducibilità) anche le eccedenze degli interessi passivi ex articolo 96 TUIR nonché quelle ACE. Per di più, in virtù del ritocco cha ha interessato l’articolo 181 Tuir (anch’esso variato, da ultimo, dall'articolo 1, comma 549, L. n. 232/2016, sempre con decorrenza dal 01 gennaio 2017), in presenza di fusioni transfrontaliere, è stata estesa anche alle eccedenze ACE la deducibilità, già prevista per le perdite e per gli interessi passivi, proporzionata alla differenza tra gli elementi dell’attivo e del passivo, collegati alla stabile organizzazione nel nostro Paese risultante dall’operazione e all’interno delle linee estreme della differenza medesima.
2. Inquadramento della fattispecie
L’incertezza viene da lontano e nasce, sostanzialmente, dall’interpretazione del citato articolo 172, comma 7, per la parte aggiunta dall'art. 35, comma 17, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla Legge 4 agosto 2006, n. 248, che dispone che, in caso di retrodatazione degli effetti fiscali dell’operazione le limitazioni suddette “si applicano anche al risultato negativo, determinabile applicando le regole ordinarie, che si sarebbe generato in modo autonomo in capo ai soggetti che partecipano alla fusione in relazione al periodo che intercorre tra l’inizio del periodo d’imposta e la data antecedente a quella di efficacia giuridica della fusione”.
Su questa importante aggiunta, l’Agenzia delle Entrate sostiene una discutibile tesi di fondo ovvero che gli indici di vitalità economica devono essere presenti non solo nel periodo antecedente alla fusione, ma anche fino al momento in cui l’operazione straordinaria viene effettivamente deliberata, ragguagliando proporzionalmente ad anno i ricavi e il costo del personale (compresivi, questi ultimi, dei contributi attinenti). In aggiunta a ciò, l’Agenzia medesima vorrebbe estendere questo suo orientamento (a mio avviso non supportato, come si vedrà più avanti, dal dato normativo) anche alle fusioni non retrodatate, il che genera, dunque, un doppio ordine di difficoltà, che tenterò di esaminare. Vale la pena di ricordare, preliminarmente che, la parte finale del comma 7 dell’articolo 172 TUIR stabilisce che il contribuente può cercare di far disapplicare le disposizioni descritte interpellando l’amministrazione secondo quanto previsto dall’articolo 11, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, attinente allo Statuto dei Contribuente. Si tratta, in sostanza, di fornire all’Agenzia delle Entrate la dimostrazione che, nella specifica fattispecie esaminata, gli effetti elusivi temuti non possono verificarsi. E’ importante sottolineare che nei casi (che temo siano numerosi) di responso sfavorevole, il contribuente potrà, comunque, fornire la dimostrazione della propria tesi ai fini dell’accertamento.
Non ritengo, purtroppo, che ci si debba attendere molto dalla strada dell’interpello giacché, come vedremo, gli orientamenti dell’Ufficio sono stati più volte ribaditi, per cui giudico arduo (tranne specifici casi evidenti) un suo ripensamento.
L’interpretazione sopra esposta dell’Agenzia delle Entrate è stata respinta in dottrina perché l’articolo 172, comma 7, TUIR menziona sì la parte dell’esercizio precedente al momento di effetto della fusione “ma lo fa solo per affermare che in caso di effetto retroattivo della fusione, un eventuale non superamento del test di vitalità genera una ricaduta anche sulla perdita prodotta nella frazione di periodo antecedente la fusione” (4). In questo senso si è espressa la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, Milano, Sezione 36, con l’importante Sentenza 01 dicembre 2016, n. 2653, negando che il test del riscontro di esistenza di detto indice di vitalità debba essere effettuato anche per la parte dell’esercizio precedente alla fusione (5).
L’Assonime, nella nota Circolare n. 31 del 31 ottobre 2017, ha articolato il proprio dissenso soffermandosi, in particolare, sulla posizione della società incorporante (6). Quest’ultima, infatti, avendo un periodo d’imposta che rimane unico al di là del fatto che nel mezzo sia intervenuta l’efficacia giuridica dell’operazione, sarebbe penalizzata ingiustamente in caso di perdita “infrannuale”. Questo perché, laddove non superasse i test relativi al lasso di tempo interessato, la società perderebbe il diritto a scalare detta perdita, cosa che non accadrebbe nel caso in cui non si fosse scelta la retrodatazione. L’Assonime ritiene allora che la perdita specifica annuale dell’incorporante (cioè quella ottenuta senza computare il risultato dell’incorporata) dovrebbe rimanere totalmente utilizzabile anche nell’eventualità di mancato oltrepassamento dell’esame dei descritti parametri, il che però (come vedremo) si scontra con la struttura di compilazione del Modello di dichiarazione Unico.
3. Inclusione nel plafond delle eccedenze relative agli interessi passivi riportabili e ACE
Le delineate limitazioni, come accennato, sono state allargate, dal 01 gennaio 2008, ex articolo 1, comma 33, lettera a) della L. 24 dicembre 2007, n. 244 anche alle eccedenze riportabili di interessi passivi non dedotti ai sensi dell’articolo 96 TUIR, comma 4 (vedi nota 2). Vale la pena di notare che né la disposizione stessa, né la relativa Circolare esplicativa 21 aprile 2009, n. 19/E, né i modelli dichiarativi prendono in considerazione la situazione contraria, ossia quella in cui vi sia un avanzo non già di interessi bensì di ROL: deve dunque presumersi che in quest’ultimo caso l’eccedenza si “conservi” senza alcuna barriera. Come sopra tratteggiato, ultimamente il comma 549, lettera c), dell’articolo 1 della L. n. 232/2016, è intervenuto per integrare ulteriormente l’articolo 172, comma 7, TUIR, inserendovi la disposizione secondo cui le norme sul contenimento del riporto delle perdite fiscali nella sfera delle fusioni si rendono applicabili non solo agli interessi indeducibili oggetto di riporto ma anche all’eccedenza relativa all’ACE di cui al menzionato articolo 1, comma 4, del D.L. n. 201/2011.
Ritengo opportuno ricordare che la normativa dell’A.C.E. (Aiuto alla Crescita Economica; si veda la proposito anche il D.M. 14 marzo 2012) ha come scopo il rinforzamento dei patrimoni aziendali mediante una riduzione dell'imposizione sui redditi scaturenti dagli apporti avvenuti concapitale di rischio, concretizzandosi il beneficio nell'esclusione dalla base imponibile del reddito d'impresa di un importo corrispondente al rendimento nozionale del nuovo capitale proprio. L’agevolazione infatti, prevede, in sintesi, che la parte del rendimento nozionale che oltrepassa il reddito totale netto è calcolata quale incremento dell'importo deducibile dal reddito dei periodi d'imposta posteriori oppure, applicando particolari parametri, si può fruire di un credito d'imposta ai fini IRAP. Cosa succede però se, unavolta superato il test di vitalità, la somma complessiva simultanea di perdite pregresse, eccedenze ACE e interessi passivi indeducibili supera il limite del patrimonio netto più volte citato? In questo caso l’unico riferimento al momento disponibile è rinvenibile nella citata Circolare 19/E/2009 (anche se, all’epoca dell’emanazione di detto documento di prassi, l’alternativa era solo fra perdite o interessi indeducibili), che, nel punto 2.8 ha stabilito che la società incorporante (o risultante dalla fusione) può scegliere, effettuando autonome valutazioni circa i possibili vantaggi fiscali, a quale dei due importi (perdite o interessi indeducibili) imputare l’eccedenza non utilizzabile. Addirittura, il documento di prassi afferma esplicitamente che “la scelta in questione deve essere valutata sulla base di una pluralità di fattori che tengano conto dei risultati attesi in termini di reddito fiscale, di margine della gestione finanziaria e di margine operativo lordo.” Ciò premesso, si può ritenere (in assenza di chiarimenti ufficiali), come anche sostenuto in dottrina (7), che lo stesso ragionamento possa essere esteso anche alle eccedenze ACE, per cui qualora la somma di perdite, interessi indeducibili ed eccedenze ACE risultasse superiore al tetto del patrimonio netto, sarà possibile scegliere qualità e quantità delle componenti da utilizzare.
4. Le perdite fiscali inerenti alle fusioni con effetto retroattivo
Circa le fusioni con effetto retroattivo, come sopra accennato, l’Agenzia delle Entrate sostiene una tesi che finisce con il diminuirne fortemente i vantaggi. Va dapprima ricordato che detta facoltà è prevista dall’articolo 172, comma 9, del TUIR, che considera esercitabile tale scelta se la decorrenza viene fissata a una data coincidente o posteriore a quella in cui si è chiuso l’ultimo esercizio di ognuna delle società incorporate o fuse oppure a quella (se più vicina) in cui si è concluso l’ultimo esercizio dell’incorporante. La retrodatazione è prevista dall’articolo 2504-bis, comma 3, c.c. soltanto nell’eventualità di fusione per incorporazione e assume rilevanza per la data di partecipazione agli utili delle azioni o delle quote attribuite alle società non più esistenti e per il momento a partire da cui le operazioni di dette società vengono ascritte al bilancio dell'incorporante. Ciò nondimeno, la Risoluzione 30 maggio 1997, n.134/E del Ministero delle Finanze ha ritenuto applicabile la retrodatazione, ovviamentedal solo punto di vista fiscale,finanche alle fusioni pure (detteproprie o per unione), nel qual casosi ha la cessazione l’estinzione delle società preesistenti e la costituzione di una nuova società, con la conseguenza che le operazioni svolte dalle società confluiscono in un unico periodo di imposta relativo alla società risultante dalla fusione. Va anche precisato che, secondo la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 28 gennaio 2009 n. 22/E, la retrodatazione fiscale non è consentita nell’ eventualità di fusione fra società di persone e società di capitali, giacché esse non sono soggette alle stesse imposte.
I benefici operativi della descritta opzione consistono, soprattutto, nella semplificazione degli adempimenti contabili e fiscali, facendo sì che, tra l’altro, per l'incorporata il lasso di tempo intercorrente fra l’inizio del periodo d'imposta e la data di iscrizione dell'atto pubblico di fusione non assurga al rango di un indipendente periodo d'imposta, vincolato alla relativa dichiarazione dei redditi.
In altri termini, con la retrodatazione non va compilata una dichiarazione “mediana”, giacché, facendo arretrare le registrazionidelle operazioni effettuate dalle società incorporate/estinte al primo giorno dell’esercizio sociale della incorporante/risultante (che, nel caso di gran lunga più frequente, sarà il 1° gennaio), sarà possibile redigere e depositare un solo bilancio, consolidando al suo interno anche le rilevazioni contabili di tutte le società partecipanti alla fusione. In altri termini, in virtù della retrodatazione contabile, le operazioni del periodo di esercizio precedente alla fusione convergono nel bilancio della società incorporante.
In tal modo, come sopra accennato, non trova applicazione lo scomodo adempimento di cui all'articolo 5-bis del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, per il qualela risultante o incorporante è tenuta a presentare il Modello attinente alla parte dell’esercizio delle società fuse o incorporate inclusa tra l'inizio del periodo d'imposta e la data in cui ha effetto la fusione nel termine dell'ultimo giorno del nono mese successivo alla predetta data.
Fin qui l’istituto della retrodatazione sembra comportare indubbiamente i descritti vantaggi sennonché l’Agenzia delle Entrate, basandosi su una singolare lettura della norma che qui si esamina (si veda, soprattutto, la Risoluzione 10 aprile 2008, n. 143/E), sostiene che il test di vitalità deve essere ripetuto, sia per l’incorporante che per le incorporate, anche per la frazione che di tempo che va dall’inizio del periodo d’imposta fino al momento dell’efficacia giuridica dell’operazione, che coincide con l’iscrizione dell’atto di fusione nel Registro delle Imprese. Va subito precisato, sottolineato che, operativamente, l’indagine sulla parte dell’esercizio anteriore alla fusione è (per fortuna) “limitato al test di vitalità su ricavi e costi del personale, pertanto il medesimo esame non va eseguito sul parametro del patrimonio netto che va determinato sempre e solo con riferimento all’ultimo bilancio ( o, se inferiore , alla situazione patrimoniale di cui all’articolo 2501 quater Codice civile)” (8), ragguagliando ad anno (come sopra detto) l’ammontare dei ricavi e proventi dell’attività caratteristica e delle spese per prestazioni di lavoro relativi a detto intervallo di tempo, per consentire un raffronto omogeneo con la media dell'ammontare degli elementi contabili degli ultimi due esercizi antecedenti.
In altri termini, le società si trovano costrette a eseguire, sia pure extra contabilmente, proprio uno degli adempimenti che avrebbero voluto evitare, cioè l’elaborazione di situazioni economiche infrannuali. La vicenda è pesantemente aggravata dal fatto che lo stesso Modello dichiarativo prevede l’apposito rigo RV30 (per l’incorporante o la risultante) e RV61 (per l’incorporata o fusa) ove indicare il risultato del predetto periodo parziale, con la conseguenza che se i limiti non vengono rispettati le perdite pregresse non vengono ammesse in deduzione, ragion per cui se anche se il dichiarante volesse negare l’interpretazione sostenuta dall’Agenzia delle Entrate, si troverebbe impossibilitato a farla tecnicamente valere.
Il problema si appesantisce ancor più con il Modello SC 2017, perché in esso (in forza delle novità legislative dianzi illustrate) vengono inseriti per la prima volta (oltre ai già esistenti agli spazi RV31/RV62 dedicati all’eccedenza di interessi passivi) finanche, rispettivamente, i nuovi righi RV32 e RV63, riservati alle eccedenze ACE, per cui le limitazioni, in caso di retrodatazione, aumentano, si complicano e vengono esplicitamente richiamate in particolari sezioni della dichiarazione dei redditi. Come accennato in premessa, detti due righi andranno compilati solo con riferimento alle fusioni avvenute durante l’anno 2017, in quanto scaturenti da una norma molto recente (ovvero l’articolo 1, comma 549, della L. 232/2016).
5. Le perdite fiscali inerenti alle fusioni senza effetto retroattivo
Come sopra si è cercato di evidenziare, secondo il tenore letterale della norma, i dati da prendere in considerazione ai fini del test di vitalità economica sono quelli relativi ai conti economici dell’esercizio anteriore alla delibera e dei due precedenti. In particolare, la legge non richiede alcuna verifica in merito ai dati di conto economico relativi all’esercizio in cui la fusione viene deliberata. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione 24 ottobre 2006, n.116/E, ha avvertito l’esigenza di fornire un’interpretazione estensiva della disposizione in esame, stabilendo che i requisiti di vitalità economica devono essere presenti non solo nel periodo precedente alla fusione ma perdurare fino a quando essa viene deliberata. Tale pensiero viene ribadito con la successiva Circolare 09 marzo 2010, n.9/E, con l’ulteriore precisazione del ragguaglio ad anno prima esposta.
Come sopra accennato, è interessante notare che né nel Modello SC 2017 né nelle connesse istruzioni, viene fatto alcun riferimento al meccanismo appena descritto. Infatti, le indicazioni ufficiali per compilare i righi interessati, ovvero RV27 (per l’incorporante o la risultante) RV58, (per l’incorporata o fusa) non citano il concetto di “allargamento” temporale delle perdite, limitandosi a richiamare “le perdite fiscali riportabili secondo il criterio previsto dall’art. 172, comma 7”. Ne deriva che il contribuente che si basasse su tali informazioni coordinate con la norma, sarebbe legittimato a ritenere che il periodo infrannuale non dovrebbe assumere rilievo alcuno. Anche le “coppie” dei righi relativi alle eccedenze degli interessi passivi e dell’ACE, rispettivamente RV33 - RV64 e RV34 - RV65, sono differenti da quelle delle fusioni retrodatate, il che evidenzia ulteriormente la differenza di trattamento fra le due fattispecie (si ribadisce, all’uopo, che i due righi RV34 - RV 65 vanno redatti solo se la fusione ha avuto luogo nel 2017, perché si tratta di eccedenze ACE solo da poco incluse nel plafond). Naturalmente, ben potrebbe l’Agenzia delle Entrate contestare il comportamento in tal modo adottato, ma si tratterebbe di un rilievo basato su quanto scritto in varie Circolari e Risoluzioni, non su un testo esplicito di legge.
E’ appena il caso di rammentare che tali atti interni non sono fonti del diritto e, dunque, non possono riformare l'ordinamento giuridico. In definitiva, si tratta di un caso ben diverso dalle fusioni retrodatate dove le istruzioni sono den dettagliate e non consentono, nemmeno implicitamente, comportamenti difformi.
6. Conclusioni
Come sopra esaminato, gli operatori che intendono procedere a una fusione potrebbero semplificare di molto gli adempimenti tramite la retrodatazione, soprattutto perché non dovrebbero redigere il bilancio delle società che vengono incorporate, liberandosi così anche dall’obbligo di presentare un particolare Modello attinente alle società non più esistenti e concernente il periodo compreso fra il principio del periodo d'imposta e la data di efficacia giuridica della fusione. Laddove, però, i periodi infrannuali presentino delle perdite fiscali, ci si troverà di fronte a difficili scelte, gravide di conseguenze. Le alternative, laddove si ritenga (come lo scrivente) non condivisibile l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate, si riducono sostanzialmente a tre:
1) Tentare di far disapplicare le disposizioni qui esaminate mediante interpello all’amministrazione ex articolo 11, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente);
2) Rinunciare alla retrodatazione, ignorare le Circolari sopra citate e scalare le perdite;
3) Optare per la retrodatazione, ma compilare il Modello ignorando le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate, con probabili difficoltà tecniche di trasmissione telematica della dichiarazione nel caso di un difforme utilizzo dalle istruzioni.
Sulla prima preferenza, nutro forti perplessità, visto l’orientamento consolidato dell’Agenzia delle Entrate.
La seconda opzione pone minori problemi dichiarativi ma, ovviamente, non consente i benefici della retrodatazione. E’ contestabile dall’Ufficio, ma con supporti meno suffraganti (si tratta di infatti di Circolari e Risoluzioni che interpretano assai estensivamente il dettato normativo).
Ove si preferisse la terza soluzione (che, peraltro pone problemi tecnici di dichiarazione, visto la struttura del Modello), vi sarebbero i benefici della retrodatazione ma la pressoché certa insorgenza di un contenzioso con l’Agenzia delle Entrate.
In definitiva, si renderà necessaria un’attenta analisi delle conseguenze dell’operazione straordinaria che non dovrà essere limitata alla sola opportunità di dare origine a sinergie tra imprese, ma estesa anche agli aspetti tributari, che potrebbero, in forza di un’interpretazione a mio avviso errata dell’articolo 172, coma 7. TUIR, comportare forti danni e complicazioni in termini di imposte e/o di ricorsi annessi.
(1) Il presente lavoro si occupa esclusivamente della fusione; le problematiche della scissione sono simili ma non eguali e vengono disciplinate all’articolo 173, comma 10, TUIR.
(2) L’articolo 96 TUIR sancisce, in via generale, l’indeducibilità, per i soggetti Ires, degli interessi passivi eccedenti il 30% del c.d. Rol (Risultato operativo lordo)ovvero della differenza tra il valore e i costi della produzione di cui alle lettere a) e b) dell’articolo 2425 c.c., con esclusione degli ammortamenti e dei canoni di locazione finanziaria di beni strumentali, così come risultanti dal conto economico dell’esercizio. E’ da sottolineare, per quanto qui interessa, che il quarto comma del citato articolo 96 TUIR prevede che gli interessi passivi e gli oneri finanziari a essi accomunati indeducibili in un dato periodo d'imposta (per effetto del meccanismo esposto nella medesima norma) possono diventare deducibili nei seguenti periodi d'imposta, se e nei limiti in cui in siffatti periodi essi trovino “spazio” all’interno del plafond del 30 per cento del risultato operativo lordo di competenza.
(3) Per maggiori dettagli sull’applicazione della norma, in particolar modo per quanto attiene ad alcune particolari regole per il computo del patrimonio netto, si può esaminare l’articolo dello scrivente che è pertinente, mutatis mutandis, anche alle operazioni di fusione: ”Il riporto delle perdite fiscali nella scissione con riferimento al limite del patrimonio netto contabile” in IL CASO.it Doc. 346/2013 del 14 febbraio 2013.
(4) ”Riportabilità delle perdite fiscali in ambito di fusioni” di Meneghetti P. in Guida alla Contabilità & Bilancio n. 9 dell’ 11 settembre 2013, pagina 65 ss.
(5) La Sentenza è stata commentata da Rota G., Benigni L. in “Un test libera le perdite pre-fusione” Il Sole 24 Ore, 09 gennaio 2017, pagina 18.
(6) Quanto detto è efficacemente esposto da Lo Presti Ventura E., “Le perdite fiscali e gli interessi passivi indeducibili nelle fusioni e nelle scissioni”, in “La rivista delle operazioni straordinarie” – Euroconference, Verona, ottobre 2012, pagg. 32-35.
(7) Giommoni F. “Legge di Bilancio 2017: le novità in materia di ACE e operazioni straordinarie” in “La rivista delle operazioni straordinarie” – Euroconference, Verona, n. 1/2017, pag. 9 dell’articolo. – Albano G. “Ace, stretta su fusioni e scissioni” in Il Sole 24 Ore 15 gennaio 2017, pagina 15 - Gaiani L. “Trasferimento di eccedenze di Ace nelle operazioni straordinarie”, in “Guida alla Contabilità & Bilancio”
02 febbraio 2017 - n. 2 - pagg. 20-23.
(8) Meneghetti P. “Trasferimento delle perdite alle prese con il doppio test”, in Il Sole 24 Ore, 09 marzo 2016, pagina 12. Nello stesso senso sempre Meneghetti P. “Fusioni, due test sulle perdite”, in Il Sole 24 Ore, 05 luglio 2010, pagina 33 e Gaiani L. “Perdite e interessi: per il riporto un doppio esame”, in Il Sole 24 Ore, 31 agosto 2010, pagina 34.
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