Societario


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 02/12/2013 Scarica PDF

Problematiche fiscali relative alla retrodatazione della fusione societaria

Andrea Crenca, Dottore commercialista e Revisore legale in Roma


Una delle problematiche più discusse concernenti i profili fiscali delle operazioni straordinarie riguarda il tema della retrodatazione della fusione societaria. L’articolo 2501-ter, numeri 5 e 6, codice civile prevede, infatti, la possibilità di stabilire, nel progetto di fusione, determinati effetti obbligatori, quali la data dalla quale le azioni o quote partecipano agli utili nonché il momento da cui le operazioni sono imputate al bilancio dell’incorporante o della risultante dall’operazione. La norma tributaria di riferimento, ovvero l’articolo 172, comma 9 Tuir, stabilisce, al riguardo, che nell’atto di fusione è possibile decidere che (ai fini delle imposte sui redditi) gli effetti della fusione decorrano da un momento non precedente a quello in cui si è chiuso l’ultimo esercizio di ciascuna delle società fuse o incorporate o da quello, se più vicino temporalmente, in cui si è chiuso l’ultimo esercizio della società incorporante (1).

Il vantaggio della retrodatazione contabile consiste, oltre che nel ritenere già fermo il rapporto di cambio, soprattutto nell’evitare la redazione di un bilancio intermedio per la società incorporata, con la conseguenza che quest’ultima può semplicemente chiudere i conti patrimoniali e reddituali, redigendo una semplice situazione contabile alla data di efficacia reale dell’operazione, senza, peraltro, effettuare le scritture di rettifica e integrazione.

Per il periodo intercorrente fra la data di effetto contabile e la data di effetto giuridico, l’incorporata agisce come un ramo dell’incorporante, proseguendo a osservare gli obblighi di tenuta della contabilità (non è possibile, quindi, impiegare un unico libro giornale né schede contabili comuni) ma gli atti gestionali sono posti in essere per conto di quest’ultima (che rimane l’effettiva entità responsabile del risultato economico di periodo) alla quale, infatti, sono imputati gli effetti patrimoniali e reddituali; ciò comporta che deve essere solo l’incorporante a presentare un solo Modello Unico entro i termini ordinari (2).

Ciò premesso, l’aspetto più complesso e anche, per certi versi, più paradossale, riguarda la sorte delle perdite fiscali in caso di fusione societaria retrodatata perché l’interpretazione data in materia dall’Agenzia delle Entrate, si può rivelare, in taluni casi di cui si parlerà più avanti, estremamente (e ingiustamente) penalizzante.

Obiter dictum, se quanto sostenuto dall’Amministrazione finanziaria con riferimento a questa particolare facoltà trova un fondamento (sia pure ampiamente discutibile) in una norma di legge, singolare è invece quanto richiesto dall’Amministrazione stessa in relazione alle “normali” fusioni, perché si tratta di un’esegesi che non ha alcun diretto riferimento nel dettato normativo.

Le regole generali che valgono per qualsiasi tipo di fusione  sono dettate dal comma 7 dell’articolo 172 Tuir. Per la deducibilità delle perdite fiscali delle società partecipanti all’operazione, è previsto il rispetto di una prima “griglia” di carattere patrimoniale (c.d. “limite patrimoniale”): esse possono essere portate in diminuzione del reddito dell’incorporante (o della società risultante) per la parte che non eccede l'ammontare del rispettivo patrimonio netto quale risulta dall'ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale di cui all'art. 2501-quater del Codice Civile, senza tener conto dei conferimenti e versamenti fatti negli ultimi ventiquattro mesi anteriori alla data cui si riferisce la situazione stessa (3). Ma il riporto delle perdite è condizionato anche dalla verifica scaturente da un ulteriore calcolo (c.d. “test di operatività” o“vitality test” o “requisiti economici”); infatti, dal conto economico della società le cui perdite sono riportabili, relativo all'esercizio precedente a quello in cui l’operazione è stata deliberata, deve risultare un ammontare di ricavi e proventi dell'attività caratteristica, e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, di cui all'articolo 2425 del codice civile, superiore al 40 per cento di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori.

Il primo punto da analizzare concerne, dunque, il destino delle perdite fiscali in caso di retrodatazione della fusione.

La norma di riferimento diretta a regolare questa particolare fattispecie è contenuta in una parte “ad hoc” del comma 7 ove è scritto che le restrizioni prima descritte vanno applicate anche al risultato negativo, determinabile utilizzando le regole ordinarie, che si sarebbe generato in modo autonomo in capo ai soggetti che partecipano alla fusione in relazione al periodo che intercorre tra l’inizio del periodo d’imposta  e il giorno precedente a quello di efficacia giuridica dell’operazione straordinaria; le risultanze relative a questo lasso di tempo, confrontate con quelle dei due esercizi precedenti, costituiscono, dunque, un passaggio aggiuntivo obbligatorio.

La soluzione adottata dal legislatore tributario. se interpretata “alla lettera”, può comportare risultati addirittura più penalizzanti di quelli che si sarebbero verificati in assenza di retrodatazione, giacché costringe a effettuare ulteriori e complessi riscontri numerici, che era proprio ciò che si voleva evitare optando per la retrodatazione. Infatti sarà necessario, come sopra accennato, sottoporre il periodo intercorrente fra l’inizio del periodo d’imposta e quello di efficacia giuridica della fusione a un doppio test (plafond patrimoniale e activity test). Non solo: detto procedimento deve essere rispettato sia dall’incorporante che dall’incorporata, con la conseguenze che il suo mancato superamento porterà (in tutto o in parte) alla perdita della possibilità dell’utilizzabilità delle perdite (4). In sostanza, la scelta della retrodatazione costringe a prendere in considerazione, su un duplice livello, l’intervallo infrannuale descritto, laddove se fosse posta in essere una “normale” fusione, non vi sarebbe stata necessità di questa ulteriore prova numerica composta di due parti. Orbene, l’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria, soprattutto nella parte che impone il test anche all’incorporante, è in contrasto (come, peraltro, sostenuto dalla Circolare Assonime n. 31 del 31 maggio 2007) con i motivi ispiratori della disciplina in esame, che sono solo quelli di non permettere che si riescano a porre in essere compensazioni reddituali strutturalmente elusive in virtù dell’opzione di precorrere gli effetti della fusione. Come accennato sopra, quanto detto vanifica in parte  i vantaggi della retrodatazione, costringendo a dei calcoli infrannuali che invece tale istituto non prevede, visto che, come esplicitato in altra parte del presente lavoro, i risultati teoricamente attribuibili alle diverse società partecipanti all’operazione si conglobano fra loro.

Va però precisato che, anche se la fusione non fosse stata retrodatata, vi sarebbe comunque stato bisogno, per il periodo considerato, di effettuare almeno il test di operatività; ciò sulla base di quanto scritto nelle Risoluzioni n. 116/E del 24 ottobre 2006, n. 143/E del 10 aprile 2008 nonché nella Circolare n. 9/E del 09 marzo 2010.

Ritengo, peraltro, necessario effettuare una digressione di carattere terminologico circa l’individuazione della data di efficacia giuridica della fusione da considerare come termine finale dell’intervallo infrannuale da prendere in considerazione. Infatti, la Risoluzione n. 116/E/2006 parla esclusivamente di “deliberazione”; la Risoluzione n. 143/E/2008 indica sia la “deliberazione”, sia l’“efficacia giuridica”; la Circolare n. 9/E/2010 si esprime in termini di “momento in cui la fusione viene attuata” e di “data di efficacia giuridica”.

Mi sembra che, al di là delle varie espressioni usate,  la data di riferimento intesa dall’Agenzia delle Entrate sia quella prevista dall’articolo 2504-bis, comma 2, prima parte, del codice civile, secondo cui la fusione ha effetto da quando è stata eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte dall’articolo 2504 del codice civile.

I parametri dei requisiti economici, sia in caso di retrodatazione (v. Risoluzione n. 143/E/2008, pagina 8) che nelle fusioni “normali” (v. Circolare n. 9/E/2010, pagina 4) devono essere ragguagliati ad anno, per consentire un raffronto omogeneo con la media dell’ammontare dei medesimi elementi contabili degli ultimi due esercizi precedenti (come aveva suggerito, pur criticando l’impianto complessivo, l’Assonime nella citata Circolare n. 31/2007).

Tornando al tema della fusione senza retrodatazione, occorre svolgere alcune considerazioni ulteriori, perché, in questo caso, si tratta di effettuare un solo test invece di due, il che facilita la possibilità di accedere al normale regime di riportabilità delle perdite. Inoltre, tale verifica è prevista, come sopra accennato, solamente da Risoluzioni e Circolari dell’Agenzia delle Entrate e non da norme di legge; esse, com’è noto, sono atti che vincolano solo l’Amministrazione finanziaria, ragion  per cui, in sede contenziosa, ci si troverebbe eventualmente a controbattere un orientamento che non trova alcuna fonte esplicita nella legge e che, quindi, costituisce un’aperta violazione del principio quid lex voluit dixit (5). Peraltro, nelle stesse istruzioni al Modello UNICOSC 2013 (come si dirà più avanti) non vi sono richiami a questa particolare lettura data dall’Amministrazione finanziaria.

Riassumendo, la questione è di una certa gravità perché il contribuente:

a) pur usando la normale diligenza e seguendo le modalità di compilazione del Modello Unico SC, non trova traccia della necessità di questo ulteriore test; infatti le istruzioni concernenti i righi RV27-RV28 (posizione dell’incorporante o della risultante dalla fusione) e RV60-RV61 (posizione dell’incorporata o fusa) non tratteggiano questa particolare fattispecie.

b) anche essendo a conoscenza delle Risoluzioni citate, egli si trova a dover scegliere fra due possibilità entrambe gravose: o riempire detti righi, ove ne ricorrano i presupposti previsti dal test aggiuntivi e subendo, di conseguenza, un danno che la legge non ha previsto, oppure assumersi il rischio e i costi di un contenzioso con l’Agenzia delle Entrate, che potrebbe avere esito positivo ma che, comunque, costituirebbe un onere per la società sotto diversi punti di vista.

Va segnalato che la citata Circolare 9/E/2010 ammette che l’Amministrazione finanziaria possa disapplicare la disposizione, su istanza del contribuente ex articolo 37-bis, comma 8 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, solo allorché venga dimostrato che la fusione non costituisce l’ultima di una serie di operazioni elusive, consistente nella fusione di una società senza vitalità economica ma “ricca” di perdite fiscali riportabili, al solo fine di diminuire il reddito imponibile di una della altre società partecipanti. Ritengo però che si tratti di un rimedio di dubbia efficacia, sia per le scarse possibilità che la domanda venga accolta (visto il rigido atteggiamento dell’Agenzia delle Entrate), sia per l’impatto negativo che l’assai probabile risposta negativa avrebbe sull’effettivo realizzarsi dell’operazione.

Tornando al tema dell’informativa del contribuente, le istruzioni del Mod. Unico SC 2013, in caso di retrodatazione (contrariamente all’altra fattispecie prima affrontata), sono ricche di spiegazioni per le perdite, con riferimento sia al rigo RV 30 (posizione dell’incorporante o della risultante dalla fusione) che al rigo RV63 (posizione dell’incorporata o fusa).

In definitiva, le perdite, in assenza della scelta in esame, sono più facilmente riportabili, mentre rischiano di non esserlo più in caso di opzione, vista il delineato obbligo di effettuare il doppio test aggiuntivo sia in capo all’incorporante che all’incorporata.

Ma le difficoltà di coordinamento fra le varie norme e le interpretazioni dell’Amministrazione finanziaria non finiscono qui; infatti, da una prospettiva civile, appare palesemente illogico retrodatare un’operazione di fusione pura (giacché non è possibile precorrere l’esistenza giuridica di una società che verrà costituita a causa della fusione) (6). Come sopra accennato, la fusione per incorporazione viene preferita (oltre che per la sua inferiore gravosità economica) anche perchè permette, appunto, l’attribuzione di data anteriore agli effetti contabili e fiscali, circostanza non possibile nella fusione per unione.

L’Amministrazione finanziaria, invece, nella Risoluzione del Ministero delle Finanze del 30 maggio 1997, n. 134/E ha sostenuto, con una presa di posizione quantomeno sorprendente, che non sussistono motivi ostativi al fatto che, fiscalmente, in una fusione per unione di due società di capitali, i cui esercizi sociali chiudono al 31 dicembre di ogni anno, le operazioni compiute dalle società partecipanti confluiscano in un unico periodo di imposta (relativo alla società risultante) compreso tra l'1 gennaio  e il 31 dicembre dell’anno medesimo.

Un’ulteriore complicazione sussiste in tema di versamento degli acconti, perché l’articolo 4 del Decreto legge 11 marzo 1997, n. 50 (convertito  dalla L. 9 maggio 1997, n. 122) stabilisce che gli obblighi di versamento dei soggetti che si estinguono a causa della fusione devono essere adempiuti dagli stessi fino alla data di efficacia dell’operazione. Siccome quest’ultima, a norma dell’articolo  2504-bis, comma 2,  codice civile, decorre da quando sono stati completati tutti gli adempimenti prescritti dall’articolo 2504 codice civile, ne deriva che il momento rilevante, anche al fine del versamento degli acconti, è quello in cui l’ultimo atto pubblico di  fusione viene depositato per l’iscrizione nell’Ufficio del Registro delle Imprese, che è appunto ciò che è stabilito dal citato articolo  2504 codice civile (7). A questo riguardo e con specifico riferimento alla retrodatazione, la Circolare del Ministero delle Finanze del 12.11.1998, n. 263/E (Paragrafo 2.15) ha precisato che la società fusa o incorporata deve eseguire, comunque, i versamenti in acconto i cui termini sono anteriori alla data di perfezionamento che ho prima indicato. Ovviamente, tali erogazioni potranno poi essere scomputate dalla risultante della fusione o dall’incorporante ma la complicazione operativa è evidente, visto che per la società fusa o incorporata si tratta di un periodo d’imposta tecnicamente non esistente.

In conclusione, emerge un quadro interpretativo dell’Agenzia delle Entrate che tende sovente a vanificare i vantaggi dello retrodatazione della fusione, soprattutto per quanto attiene all’utilizzabilità delle perdite fiscali ma anche con riferimento a complicazioni operative che le società avrebbero voluto evitare proprio con la scelta di anticipare taluni effetti dell’operazione. Non resta che augurarsi che l’Agenzia delle Entrate riconsideri il proprio punto di vista, non rendendo la situazione peggiorativa di quanto sarebbe senza tale opzione. Tale rivisitazione dovrebbe, a mio parere, riguardare finanche la tematica della riportabilità delle perdite fiscali per quanto attiene alle fusioni “ordinarie”, non costringendo il contribuente a comportamenti non previsti da una specifica norma vigente.

         

Note:

(1) A titolo esemplificativo, in presenza di un atto pubblico di fusione del 2013, laddove l’incorporante avesse chiuso l’ultimo esercizio il 31 dicembre 2012 e l’incorporata il 30 settembre 2012, la retrodatazione contabile non potrebbe avere effetto prima del 1° gennaio 2013. Ciò proprio perché laretrodatazione contabile e fiscale non può oltrepassare il termine finale dell’ultimo esercizio dell’incorporata ovvero, se più vicino, dell’incorporante.

(2) L’Agenzia delle Entrate, comunque, nella Risoluzione n. 22/E del 28 gennaio 2009 ha subordinato la possibilità (ai fini fiscali) della retrodatazione alla condizione che le società partecipanti siano assoggettate alla stessa tipologia di imposta.

(3) E’ importante sottolineare che fra gli importi da portare in diminuzione del plafond sono esclusi i contributi concessi dallo Stato o da altri enti pubblici in base alla legge. La norma prevede ulteriori fattispecie, di più rara applicazione; per un loro esame approfondito, si può esaminare l’articolo dello scrivente “il riporto delle perdite fiscali nella scissione con riferimento al limite del patrimonio netto contabile” rinvenibile su “IL CASO.IT”, anno 2013 “http://www.ilcaso.it/opinioni/fal.php?id_cont=346”.

(4) Un utile prospetto esplicativo è reperibile nello scritto di Lo Presti Ventura E.,“Le perdite fiscali e gli interessi passivi indeducibili nelle fusioni e nelle scissioni” in “La rivista delle operazioni straordinarie” – Euroconference, Verona, ottobre 2012, pagg. 32-35.

(5) Nello steso senso si è espresso, fra gli altri, Meneghetti P. Il Sole 24 Ore - Norme e Tributi 5 luglio 2010 – pag. 33Fusioni, due test sulle perdite”.

(6) Giova ricordare che esistono due tipologie di fusione. La prima è la “fusione propria” o “fusione per unione”, mediante la quale più società trasferiscono l’intero patrimonio a una società che viene costituita in tale occasione. La seconda è la “fusione per incorporazione” nella quale una o più società trasmettono l’intero patrimonio a una preesistente società.

(7) La parte finale dell’articolo 2504-bis, comma 2,stabilisce che, comunque, nella fusione mediante incorporazione può essere stabilita una data successiva.


Scarica Articolo PDF