Diritto della Famiglia e dei Minori
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 22771 - pubb. 28/11/2019
Delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio religioso per esclusione da parte di un coniuge di uno dei 'bona' matrimoniali
Cassazione civile, sez. I, 14 Febbraio 2019, n. 4517. Pres. Genovese. Est. Laura Tricomi.
Matrimonio - Nullità - Sentenza dei tribunali ecclesiastici - Delibazione - Condizioni - Fattispecie relativa alla esclusione da parte di uno dei coniugi del bene matrimoniale relativo alla indissolubilità del vincolo
La declaratoria di esecutività della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio religioso per esclusione da parte di un coniuge di uno dei "bona" matrimoniali, postula che la divergenza unilaterale tra volontà e dichiarazione sia stata manifestata all'altro coniuge, ovvero sia stata da questo effettivamente conosciuta o ignorata esclusivamente per sua negligenza. Ne consegue che ove tale condizione non ricorra la delibazione troverà ostacolo nella contrarietà al principio di ordine pubblico italiano di tutela della buona fede e dell'affidamento incolpevole. (massima ufficiale)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco A. - Presidente -
Dott. MELONI Marina - Consigliere -
Dott. DI MARZIO Mauro - Consigliere -
Dott. TRICOMI Laura - rel. Consigliere -
Dott. CAIAZZO Rosario - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23142/2015 proposto da:
F.R., elettivamente domiciliato in Roma, Via *, presso lo studio dell'avvocato M. D. A., che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
S.A., elettivamente domiciliata in Roma, Via *, presso lo studio dell'avvocato M. S., che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato L. G., giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 310/2015 della CORTE D'APPELLO di L'AQUILA, pubblicata il 03/03/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 16/11/2018 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
che:
La Corte di appello dell'Aquila, con la sentenza in epigrafe indicata, ha rigettato la domanda, proposta da F.R., di dichiarazione di efficacia nel territorio italiano della sentenza del Tribunale Ecclesiastico Regionale Abruzzese che, in data 19/10/2011, aveva dichiarato nullo per "esclusione dell'indissolubilità nell'uomo attore" il matrimonio celebrato con rito concordatario in Teramo il 23/6/1991 tra lo stesso F. e S.A.. La sentenza del Tribunale Ecclesiastico Abruzzese era stata ratificata dal Tribunale Ecclesiastico d'Appello di Benevento con decreto del 28/11/2012 e resa esecutiva dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica con decreto dell'11/7/2013.
Secondo la Corte di appello la sentenza non poteva essere delibata per contrarietà al principio di ordine pubblico costituito dalla ineludibile tutela della buona fede e dell'affidamento incolpevole dell'altro coniuge, per essere rimasta l'esclusione dei bona matrimonii o l'apposizione di una condizione nella sfera psichica del solo nubendo F.: invero la Corte territoriale ha escluso che il F. avesse reso partecipe la S. della volontà di non riconoscere alcuna indissolubilità al vincolo matrimoniale, pur avendolo esternato a suoi amici e congiunti.
F. ha proposto ricorso per cassazione con due mezzi, corredato da memoria; S. ha replicato con controricorso seguito da memoria.
Il ricorso è stato fissato per l'adunanza in camera di consiglio ai sensi dell'art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c..
Il PG ha concluso per il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
che:
1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 797 c.p.c., implicitamente richiamato dall'art. 8, n. 2, lett. C) dell'accordo 18 febbraio 1984, ratificato con L. 23 marzo 1985, n. 121 e l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in merito alla conoscibilità della esclusione di uno dei bona matrimonii da parte dell'altro coniuge e della inattendibilità delle dichiarazioni della parte convenuta appurata dal decreto di ratifica del Tribunale ecclesiastico beneventano.
Con il primo profilo il ricorrente si duole che la Corte territoriale si sia limitata ad esaminare il materiale probatorio in relazione alla conoscenza o meno da parte della moglie della simulazione attuata dal marito, senza svolgere alcuna verifica specifica e considerazione in merito alla distinta questione della conoscibilità della stessa.
Quanto al secondo profilo il ricorrente sostiene che non sarebbero state valorizzate adeguatamente: le dichiarazioni rese dallo stesso F. nel corso del giudizio ecclesiastico, dalle quali era emerso che la sua riserva circa la indissolubilità del matrimonio era stata palesata nel periodo prematrimoniale; la narrazione della preoccupazione maturata dal F. che la S., che aveva rifiutato rapporti intimi prima del matrimonio, proseguisse in questo suo atteggiamento; il giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla S. formulato dal Tribunale Ecclesiastico Beneventano nel decreto di ratifica.
1.2. Il motivo è inammissibile perchè sostanzialmente sollecita un riesame dei fatti e delle emergenze istruttorie al fine di pervenire ad una decisone conforme alle aspettative del ricorrente.
Costituisce principio consolidato, al quale la Corte territoriale si è attenuta, quello secondo il quale la declaratoria di esecutività della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio religioso per esclusione da parte di un coniuge di uno dei "bona" matrimoniali, postula che la divergenza unilaterale tra volontà e dichiarazione sia stata manifestata all'altro coniuge, ovvero sia stata da questo effettivamente conosciuta o che non gli sia stata nota esclusivamente per sua negligenza, atteso che, qualora dette situazioni non ricorrano, la delibazione trova ostacolo nella contrarietà all'ordine pubblico italiano nel cui ambito va ricompresi il principio fondamentale di tutela della buona fede e dell'affidamento incolpevole (cfr. Cass. nn. 11226 del 21/05/2014, 3378 del 5/3/2012).
A fronte di ciò l'astratta prospettazione da parte del ricorrente della mancata disamina dei profili di conoscibilità risulta assorbita dalla complessiva valutazione compiuta dalla Corte di appello circa l'assenza di elementi di conoscenza da parte della S..
Inoltre i fatti di cui sarebbe stato omesso l'esame, non risultano affatto pertinenti, e quindi decisivi, con il thema probatorio concernente la conoscenza o conoscibilità da parte della S. della riserva mentale del coniuge sull'indissolubilità del matrimonio: invero, non si evince affatto che quanto dichiarato dal F. nel periodo prematrimoniale sia stato manifestato proprio alla S.; le problematiche concernenti l'assenza di rapporti intimi prima del matrimonio ed i timori prospettici del F. non appaiono sintoniche con la causa di nullità del matrimonio accertata dal Tribunale ecclesiastico (che non riguarda la non consumazione o il rifiuto di procreare); infine, il giudizio di inattendibilità della S. - le cui dichiarazioni peraltro il ricorrente non trascrive, come sarebbe stato suo onere, per dovere di autosufficienza - appare circoscritto alla valutazione dell'andamento del rapporto con il partner all'epoca del fidanzamento e durante il matrimonio, alla luce dell'infedeltà coniugale del F. e non già della riserva mentale di questi circa l'indissolubilità del vincolo matrimoniale e, pertanto, non appaiono sufficienti ad integrare una negligenza da parte della S., valutabile dalla Corte di appello al fine di verificare la conoscibilità da parte della stessa della riserva mentale del F..
2.1. Con il secondo motivo si denuncia la violazione falsa applicazione dell'art. 797 c.p.c., implicitamente richiamato dall'art. 8, n. 2, lett. C) dell'accordo 18 febbraio 1984 e punto 4 lett. B) del Protocollo addizionale ratificati con L. 23 marzo 1985, n. 121 e degli artt. 99, 112, 187 e 279 c.p.c. e dei canoni 1536 e 1679 del codice di diritto canonico, in relazione all'omessa trattazione della questione pregiudiziale (dal punto di vista logico/giuridico) della pretesa convivenza "come coniugi" per almeno tre anni ostativa all'ammissibilità della delibazione ed all'esame di documentazione inammissibile; si denuncia altresì l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio con riferimento alla durata effettiva della convivenza coniugale durante il matrimonio.
La complessa censura riguarda la pronuncia di assorbimento di tutte le altre questioni proposte dalla S. per opporsi alla delibazione della sentenza ecclesiastica, formulata dalla Corte di appello all'esito del rigetto della domanda del F.. Segnatamente, il ricorrente si duole che la Corte di appello non abbia prima esaminato la opposizione alla delibazione fondata sulla protrazione della convivenza coniugale per oltre tre anni che, a suo dire, sarebbe risultata insussistente.
2.2. Il motivo è inammissibile perchè il ricorrente è carente di interesse.
Invero, trattasi di questioni introdotte dalla controparte, peraltro inidonee - anche ove espressamente respinte, invece che dichiarate assorbite - a mutare l'esito del giudizio, attesa l'accertata ricorrenza di altra ragione di ordine pubblico ostativa alla delibazione con statuizione della Corte di appello immune da vizi per le ragioni espresse al par. 1.2.
3. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
Sussistono i presupposti di cui del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.
P.Q.M.
- Dichiara inammissibile il ricorso;
- Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00, oltre ad Euro 200,00, per esborsi, alle spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed agli accessori di legge;
- Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis;
- Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, il 16 novembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2019