CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 19/03/2007 Scarica PDF
L'abusiva concessione di credito: pregiudizio per i creditori e per il patrimonio del destinatario del credito
Bruno Inzitari, ProfessoreL'abusiva
concessione di credito comporta un pregiudizio di carattere plurioffensivo sia
al patrimonio dell'impresa ingiustificatamente finanziata, sia alla garanzia
patrimoniale offerta ai creditori concorrenti; tale pregiudizio, in entrambi
gli aspetti può essere fatto valere dal curatore fallimentare. Per
l'incompatibilità dell'impiego del finanziamento con le capacità produttive del
finanziato, la cui operatività viene definitivamente ed inevitabilmente
compromessa dall'insostenibilità degli oneri finanziari e dall'allargamento
dell'insolvenza, l'abusiva concessione di credito comporta un pregiudizio e non
un arricchimento del patrimonio del finanziato. Le previsioni di esenzione
dalla revocatoria della novella fallimentare piuttosto che affievolire, impongono
una perizia specifica alla banca che finanzia l'impresa in difficoltà con
necessità di valutare le effettive e concrete potenzialità di risanamento, di
escludere vantaggi egoistici della finanziatrice, come pure di tenere indenni
gli altri creditori dal rischio di un ampliamento dell'insolvenza.
Considerazioni Generali
Gli interventi legislativi sulle procedure concorsuali, è stato osservato,
hanno arrecato alle banche un regime di netto favore rispetto agli altri
creditori concorsuali. I pagamenti effettuati alla banca con rimesse in conto
corrente sono stati sostanzialmente esclusi dalla revocatoria e sono state
introdotte anche altre ipotesi, invero ancora tutte da sperimentare, connesse
all'esecuzione di un accordo omologato ex art. 182 bis o all'esecuzione di un
piano di risanamento oppure accordi di ristrutturazione, nelle quali gli atti,
i pagamenti, le garanzie concesse alla banca dal debitore, in presenza di
specifici presupposti di idoneità ad assicurare l'equilibrio finanziario e di ragionevolezza
(tra l'altro attestata da un terzo), vengono esentati dalla revocatoria
fallimentare.
Una disciplina di così aperto favore e privilegio, può essere giustificata,
secondo Alessandro Nigro, solo se la si interpreta in chiave di incentivo alle
banche perché queste si impegnino nell'assistenza finanziaria delle imprese in
difficoltà: la novella fallimentare avrebbe dato vita ad una disciplina
incentivante l'erogazione del credito alle imprese dissestate ed insolventi.
Pur prescindendo da una valutazione della effettiva giustificazione circa la
concessione di questi privilegi alle imprese bancarie e della effettiva
efficienza per il sistema delle imprese e per il mercato, di tali nuove
previsioni, non risulta in ogni caso possibile far derivare "a
catena" il ridimensionamento o addirittura l'esenzione della banca dalla
responsabilità per abusiva concessione di credito.
Allo stesso modo non appare possibile fondare il ridimensionamento,
distinguendo la gravità del comportamento a seconda della colpa o del dolo, in
guisa che non incorrerebbe nella responsabilità in parola, la banca che il
comportamento abusivo ha tenuto solo per negligenza, mentre l'imputazione di
responsabilità potrebbe avvenire, piuttosto, quando la banca ha agito per il
proprio egoistico interesse con consapevolezza e/o intenzionalità del proprio
comportamento e degli effetti pregiudizievoli che esso arrecava ai terzi ed ai
creditori.
In realtà, l'esperienza pratica ed anche lo stesso concetto di abusività
dell'erogazione del credito, portano a ritenere che le ipotesi in cui il
comportamento della banca è censurabile solo sul piano della diligenza, non
solo risultano in concreto assai circoscritte ed in realtà anche poco
ipotizzabili. Va considerato che la capacità e l'esperienza professionale
consentono sicuramente alla banca di valutare in ogni occasione di erogazione o
mantenimento del credito al sovvenuto, i vantaggi che essa può conseguire e i
pregiudizi che può arrecare ai terzi ed ai creditori con essa concorrenti.
In altre parole, vanno considerate le modalità in cui avviene il comportamento
della banca. L'erogazione del credito oltre che per la consolidata disciplina
in materia, oggi anche per quella ancora più severa e sistematica, denominata
nel jargon del settore come principi di Basilea 2, non costituisce per
definizione un atto istantaneo ed immediato, che la banca può porre in essere
in modo non meditato. Pertanto, è difficile ipotizzare che una concessione di
credito che presenta i caratteri dell'abusività non rechi con sé come elemento
costante anche la consapevolezza e l'intenzionalità del comportamento da parte
della banca che tale credito governa e ne è responsabile.
Al contrario, la nuova disciplina fallimentare, cui è stato fatto riferimento,
comporta semmai, piuttosto che un affievolimento dei doveri di comportamento
della banca, la necessità di un maggior rigore e trasparenza nella concessione
di credito. Alla professionalità normalmente richiesta, la banca nel valutare
la meritevolezza del sovvenuto a ricevere credito o a mantenerlo, dovrà
aggiungere la perizia specificamente necessaria perché la erogazione di credito
all'impresa in difficoltà sia giustificata sulla base di una valutazione di
idoneità in concreto (e non certo in modo generico), al risanamento
dell'impresa. Come pure dovrà risultare altrettanto chiaro e trasparente che
tale erogazione o mantenimento del credito non era finalizzato allo scopo egoistico
della banca stessa di rientrare dalla sua esposizione o di consolidare garanzie
o comunque di trarre vantaggi a danno degli altri creditori concorrenti, i
quali tanto più saranno danneggiati se le condizioni concrete in cui essi si
trovano gli impedivano di opporsi efficacemente o addirittura di conoscere e
valutare il carattere pregiudizievole del comportamento della banca.
In altre parole la avvenuta introduzione di una disciplina di privilegio della
banca nella revocatoria e la previsione di esenzione dalla revocatoria per gli
atti posti in essere a favore del rilancio e salvataggio dell'impresa in crisi,
non risulta influire sulla valutazione dell'elemento soggettivo del
comportamento abusivo della banca, al punto da escludere la rilevanza dei
comportamenti meramente colposi e mantenerla per quelli dolosi, non solo per il
carattere altamente specializzato e professionale della attività di credito,
che difficilmente lascia spazi alla mera colpa, ma anche perché secondo la più
comune e diffusa esperienza il comportamento abusivo è sempre accompagnato
dalla consapevolezza degli effetti pregiudizievoli e degli intenti egoistici
dell'autore.
La giurisprudenza anche della Suprema Corte e da ultimo delle stesse Sezioni
unite riconoscono la responsabilità della banca per concessione abusiva di
credito, qualificandola come responsabilità da fatto illecito[1].
Il pregiudizio viene identificato nell'insufficienza del patrimonio del
debitore causata dal peggioramento della situazione patrimoniale di questi,
conseguente al comportamento abusivo della banca che ha svolto in modo non
corretto l'attività di erogazione del credito.
A subire il pregiudizio non sono solo i creditori ed i terzi che sul patrimonio
dell'impresa non possono più realizzare le proprie pretese (o comunque possono
realizzarle in misura ridotta), ma è la stessa impresa che, con l'allargamento dell'esposizione
verso la banca e gli altri creditori risulta definitivamente ed in modo
irreversibile schiacciato dai debiti e senza più vie di uscita gravata da un
volume di debito che impedisce qualsiasi ulteriore permanenza sul mercato, se
non a costo di un ulteriore allargamento della esposizione debitoria con
aumento del pregiudizio per i terzi e per la stessa impresa ormai del tutto
decotta.
Il problema della legittimazione del curatore a far valere l'azione di
responsabilità per abusiva concessione di credito nei confronti della banca, è
stato esaminato nella citata sentenza delle Sezioni unite, muovendo da una
interpretazione dell'azione proposta dal curatore del tutto parziale, quale
azione di massa, al pari delle altre azioni tipicamente fallimentari dirette a
far valere un indistinto danno appunto alla massa.
L'esclusione della legittimazione del curatore nella decisione della Cassazione
discende dal fatto che il giudice di legittimità ha potuto (e ritenuto), di
esaminare la ricorrenza di tale legittimazione solo con riguardo all'ipotesi
concretamente prospettata nella domanda giudiziale proposta dalla curatela,
che, secondo la cassazione, sarebbe stata formulata come azione di massa, che
il curatore, al pari che per la revocatoria, faceva valere con fini
recuperatori quale indistinto danno alla massa. La Corte non ha ritenuto
pertanto di esaminare l'altro accennato profilo del pregiudizio arrecato al
patrimonio dell'impresa poi fallita e che il curatore può far valere in qualità
di successore dello stesso fallito: un danno diretto ed immediato al patrimonio
della fallita,quale presupposto dell'azione che al curatore spetta come
successore nei rapporti del fallito e titolare dei diritti sorti in capo a
questi, non venne mai dedotto. La questione come tale è nuova perché avanzata
per la prima volta in questa sede, e pertanto inammissibile .
È stato osservato pertanto che "la sentenza è di grande interesse nel
momento in cui, pur affermando la mancanza di legittimazione del curatore con
riferimento alle azioni risarcitorie che potevano essere proposte dai singoli
creditori, delinea con precisione l'ambito dell'azione che potrà essere
proposta dal curatore fallimentare nei giudizi di danno conseguenti alla
concessione abusiva di credito da parte degli istituti bancari, precisando che
il danno deve essere diretto ed immediato così aderendo ad alcune indicazioni
espresse di recente dalla dottrina"[2].
Il criterio della compatibilità dell'impiego del finanziamento con le capacità
produttive del finanziato al fine della valutazione degli effetti vantaggiosi o
pregiudizievoli sul patrimonio del destinatario dell'operazione di credito
Come ho già avuto modo di rilevare[3] l'abusiva concessione di credito comporta
un pregiudizio che sostanzialmente nello stesso tempo si ripercuote,
addirittura secondo modalità di assoluta contemporaneità, sia sul patrimonio
del soggetto finanziato ingiustificatamente, sia sul patrimonio dei terzi
creditori del finanziato.
Il pregiudizio si manifesta, pertanto, in primo luogo nella sfera del soggetto
finanziato, vale a dire nella sfera del patrimonio di questo, verso il quale si
è svolta la condotta della banca che ha erogato il credito al di fuori dei
presupposti che tale erogazione consentivano. Il pregiudizio viene quindi (ma
possiamo dire contemporaneamente) a manifestarsi nella sfera degli altri
soggetti creditori del soggetto sovvenuto.
La dottrina e la giurisprudenza che hanno affrontato il tema degli effetti
pregiudizievoli della ingiustificata erogazione di credito hanno dedicato
prevalente attenzione alle conseguenze di tali operazioni sui terzi e sui
creditori del soggetto finanziato[4]. Quest'ultimo profilo delle conseguenze
sul patrimonio del finanziato del fatto del terzo non è stato preso in adeguata
considerazione o è stato addirittura negato da alcune voci della dottrina e
della giurisprudenza che hanno preferito dare rilievo principale, assorbente o
addirittura esclusivo a quella dei creditori le cui ragioni di credito
risultano compromesse dal deterioramento del patrimonio del debitore.
Le ragioni dell'incertezza a tenere conto del danno subito dal soggetto
sovvenuto nel suo patrimonio, risiedono nella particolare natura dell'atto
compiuto dalla banca, vale a dire l'operazione di credito.
Il finanziamento è infatti percepito comunemente come atto che avvantaggia
colui che lo riceve, in quanto - normalmente -, l'affluenza di liquidità
fornisce maggiori disponibilità economiche al sovvenuto ed allarga la gamma
delle iniziative economiche che questi potrà avviare.
Questa affermazione che potrebbe suonare come convincente secondo un approccio
fin troppo semplicistico e atecnico, risulta in realtà assolutamente erronea in
mancanza di una adeguata precisazione di quali siano le condizioni sulla base
delle quali il finanziamento possa costituire un vantaggio per il finanziato.
Basta pensare che, attraverso l'erogazione di credito, l'imprenditore dota la sua
organizzazione produttiva di un capitale la cui acquisizione si giustifica
perché esso viene a costituire uno strumento di produzione dell'impresa stessa.
Ma questo significa che, al pari di tutti gli strumenti di produzione, anche il
finanziamento ricevuto ha i suoi costi ed i suoi oneri: il costo degli
interessi ed altre spese dovute quale corrispettivo alla banca e l'onere di
dovere restituire l'intera somma ricevuta alla scadenza.
L'imprenditore dovrà quindi necessariamente realizzare un piano industriale che
gli consenta di trarre utili in una misura sufficiente almeno a coprire il
costo degli interessi dovuti al finanziatore. Infatti, in mancanza di un
equilibrio tra misura degli utili e misura degli interessi, l'intero patrimonio
dell'impresa sarà progressivamente ed inesorabilmente pregiudicato, si
verificherà un aumento irreversibile del passivo, come pure si verificherà una
inevitabile erosione di risorse che verranno distolte ad usi produttivi per far
fronte al crescente debito degli interessi. Nella sua forma estrema tale
pregiudizio si osserva nei finanziamenti usurai caratterizzati dal fatto che
l'abnorme costo degli interessi è, per definizione, di molto superiore a
qualsiasi possibile remunerazione e reimpiego che l'imprenditore può trarre
dall'uso del danaro acquisito con il finanziamento.
Ma non basta. L'imprenditore finanziato dovrà necessariamente essere in grado
di governare e soprattutto dominare l'altro onere connesso per definizione ad
ogni finanziamento, vale a dire quello della restituzione del capitale
ricevuto. Ciò significa che l'impiego della somma ricevuta deve essere tale da
consentire all'imprenditore di ripristinare nel suo patrimonio la somma
ricevuta e utilizzata in tempi tali da averne la disponibilità alla scadenza.
Pertanto l'imprenditore deve essere in grado di utilizzare la disponibilità
ricevuta all'interno di un ciclo economico che consenta, senza intaccare le
capacità produttive dell'azienda, di produrre una liquidità adeguata alla
restituzione dell'investimento ricevuto.
È evidente, dunque, che tali obbiettivi sono rinvenibili nella gran parte delle
operazioni usualmente e correttamente intraprese da un'impresa efficiente che
agisce nella normalità patrimoniale. Essa infatti è in grado di utilizzare con
profitto i finanziamenti ricevuti. Al contrario, quando un siffatto utile ed
efficiente impiego non è possibile, e comunque non viene attuato
dall'imprenditore, sarà proprio il finanziamento ricevuto (che si aggiunge il
più delle volte ad altri elementi negativi), a pesare come un macigno sempre
più schiacciante sull'impresa. E questo avverrà il più delle volte in modo
progressivo sino al punto di non ritorno, che di solito si individua nel
momento in cui anche l'imprenditore o i soci dell' impresa societaria, non
trovano più conveniente reintegrare o ricostituire il capitale, in quanto
l'investimento da effettuare dovrebbe essere di dimensioni talmente elevate per
poter ripianare il debito, che nessun utile futuro potrebbe realisticamente
ripagare l'investimento erogato.
Nella ipotesi che qui si prende in considerazione e cioè di una operazione di
credito avvenuta quando l'imprenditore si trova già in situazione di insolvenza
o comunque di palese incapacità a continuare regolarmente la propria attività
imprenditoriale e ad utilizzare proficuamente il finanziamento (vale a dire nel
rispetto delle regole e dei criteri prima accennati), il credito ricevuto
arreca solo ed unicamente pregiudizio. Infatti, oltre agli effetti prima
accennati di irreversibile appesantimento debitorio sul patrimonio,
inevitabilmente induce l'imprenditore a rimanere sul mercato senza essere in
grado di soddisfare le regole di un mercato efficiente e produttivo.
Erronee sono quindi le affermazioni che sono state talora avanzate al riguardo,
che vorrebbero vedere nel finanziamento sempre e per definizione un
arricchimento[5] per chi lo riceve. Si tratta di affermazioni che rilevano un
approccio semplicistico e del tutto generico. Seguendo un irrealistico
atteggiamento naif si viene ad attribuire al fatto materiale dell'acquisizione
di una liquidità il carattere di arricchimento e questo perchè evidentemente la
ricezione di una somma viene avvertita come incremento delle proprie
disponibilità, senza però minimamente considerare che tale incremento è del
tutto apparente perchè bilanciato completamente dall'obbligo di restituire la
somma ricevuta aumentata per di più di interessi, oneri e spese. Ciò in un
contesto di profonda incertezza su come l'imprenditore potrà restituire alla
scadenza una somma impiegata in condizioni produttive negative che quasi
certamente non consentono di ripristinare la provvista.
L'inadeguatezza argomentativa di siffatta opinione è dimostrata del resto dal
ricorso a espressioni descrittive che risultano generiche ed insufficienti a
rendere il ben più complesso contesto e specialistico che ci occupa.
Non solo infatti non si può dire che il finanziamento, che immeritevolmente è
stato erogato dalla banca all'imprenditore in stato di insolvenza o di
preinsolvenza, possa costituire per quest'ultimo un arricchimento ma risulta
arbitrario e in contrasto con evidenze notorie e di comune esperienza, ritenere
che l'erogazione abusiva di un finanziamento non arrechi pregiudizio
all'imprenditore immeritatamente finanziato ed al suo patrimonio.
E' del resto noto infatti che il finanziamento non comporta una attribuzione
patrimoniale definitiva e senza corrispettivo, bensì dà luogo, nello stesso
momento della consegna del denaro, ad un debito di restituzione di pari
importo.
Basta ricordare la definizione del contratto che costituisce il paradigma della
categoria economica e giuridica del finanziamento, vale a dire il contratto di
mutuo, che all'art. 1813 c.c., definisce appunto il mutuo il contratto in cui
una parte consegna.... e l'altra si obbliga a restituire ... . Pertanto il
finanziamento, facendo sorgere nello stesso momento della consegna del denaro,
l'obbligo della restituzione, come pure l'obbligo della corresponsione di
interessi corrispettivi ed, in caso di ritardo, degli interessi moratori
convenzionali art. 1815 c.c., non potrà mai essere considerato neanche sulla
base della più estrema semplificazione, quale evento che incrementa e
arricchisce il patrimonio del soggetto finanziato.
E' ancora nello stesso sistema generale di diritto comune che si riscontra la
piena consapevolezza del fatto che l'attribuzione patrimoniale non comporta di
per sé arricchimento o vantaggio per l'accipiens. Nel codice civile all'art.
1190 proprio a proposito del pagamento, che a differenza del finanziamento
costituisce peraltro un atto dovuto, viene stabilita la regola secondo cui il
pagamento al creditore incapace è liberatorio solo se la prestazione è stata
rivolta a vantaggio dell'incapace. E questo in quanto l'attribuzione
patrimoniale e l'ingresso attraverso il pagamento di una somma di danaro nel
patrimonio del debitore, non è detto che di per sé comporti un vantaggio, né un
arricchimento; infatti come richiesto dalla norma è necessario che la
prestazione (pecuniaria nel nostro caso), si sia consolidata nel patrimonio del
creditore vale a dire, come ha rilevato la dottrina sia stata utilmente
utilizzata tenuto conto dell'interesse del debitore [6].
Le condizioni che infatti rendono utile o meno l'ingresso di una somma di
danaro nel patrimonio dipendono strettamente dalle modalità di utilizzazione
delle stesse: questo vale per la somma incassata dal creditore che, se non
viene utilmente impiegata viene dispersa e non si consolida nel patrimonio e
vale logicamente ancor di più per una somma che è ricevuta a titolo di
finanziamento, in quanto anche se questa non viene adeguatamente consolidata
nel patrimonio inevitabilmente viene dispersa mentre nello stesso tempo resta e
si consolida nel patrimonio dell'accipiens, il debito, anzi un crescente
debito, di restituzione aumentato degli interessi.
In conclusione se la somma ricevuta col finanziamento non viene utilmente
impiegata essa non solo non arreca in ogni caso alcun vantaggio ma, al
contrario, allarga ed aggrava l'esposizione diretta e indiretta del debitore,
il quale viene ad assumere altre obbligazioni, schiacciando così con crescenti
debiti il suo patrimonio.
L'abusiva concessione di credito comporta un pregiudizio e non un arricchimento
per il patrimonio del destinatario del finanziamento. Inconciliabilità con la
disciplina di diritto comune delle affermazioni che vedono nel finanziamento un
arricchimento: regole di bilancio quale prototipo dell'operazione di credito
Come abbiamo accennato, la comprensione e la definizione della esatta portata
della fattispecie risarcitoria della abusiva concessione di credito risiede in
primo luogo nell'identificare il bene e gli interessi sui quali il danno
causato dal comportamento della banca viene ad incidere. A tale riguardo deve
essere considerato che l'operazione di credito effettuata dalla banca comporta
proprio sul patrimonio del debitore sovvenuto diversi effetti. Questi
consistono: a) nell'aumento del volume del debito che grava sul patrimonio del
debitore e cioè almeno nella misura del credito immeritatamente ed
ingiustificatamente erogato, in quanto viene aumentata l'esposizione debitoria
per un volume pari al credito ricevuto dal debitore; b) nel far sì che il
debitore persista nella sua ormai ingiustificata presenza nel mercato, la quale
inevitabilmente reca con sé l'ampliamento dell'esposizione debitoria verso una
ampia serie di terzi, nei confronti dei quali vengono assunte obbligazioni, che
discendono dalla stessa continuazione della presenza dell'impresa sul mercato,
con conseguente aumento del debito verso il mercato e cioè verso i terzi.
È necessario, pertanto, andare ad identificare quali possono essere le radici
più profonde e significative del danno causato attraverso la erogazione di
credito all'insolvente.
La lesione al patrimonio, in questo caso, riguarda un insieme di beni e
soprattutto di rapporti giuridici. Va ricordato, infatti, che buona parte degli
strumenti della produzione non vengono direttamente acquisiti in proprietà
dall'imprenditore. Questi, piuttosto, organizza gli strumenti della produzione
attraverso l'instaurazione di rapporti obbligatori che comprendono l'erogazione
a suo favore di servizi della più diversa natura e l'utilizzazione di beni che
consentono all'impresa di svolgere con successo, la sua funzione di produzione
degli utili[7].
Si tratta pertanto di un danno che può benissimo non riguardare la distruzione
totale o parziale di questo o di quel bene ma, piuttosto, consiste nella
complessiva diminuzione o perdita di valore del patrimonio aziendale, che viene
reso sostanzialmente inservibile, per effetto del volume e del peso
dell'esposizione debitoria complessivamente e ulteriormente aumentata a causa
della irregolare e non corretta erogazione del credito.
Nel caso in cui questo finanziamento sia palesemente improduttivo, perché non
suscettibile di un impiego utile nell'azienda, gli effetti che si producono sul
patrimonio sociale sono i seguenti: a) dal lato del passivo si consolida il
debito contratto; b) dal lato dell'attivo i capitali affluiti non si
consolidano in poste patrimoniali e che conservano valore. Ne consegue,
pertanto, che l'effetto finale è un depauperamento del patrimonio sociale, e
quindi in ultima analisi una lesione dell'integrità del patrimonio del
debitore.
In definitiva nel caso di finanziamento di una impresa insolvente, nella
stragrande maggioranza dei casi, i capitali acquisiti difficilmente vengono
indirizzati in impieghi produttivi e di consolidato valore, ma vengono per lo
più dispersi. Da ciò consegue che l'aumento del passivo si risolve in una
perdita concreta ed effettiva dei corrispondenti valori dell'attivo.
Il finanziamento dell'impresa insolvente comporta così effetti del tutto
negativi e antieconomici, in quanto questa prosegue nell'attività e nella
produzione che inevitabilmente viene a causare solo perdite che non saranno
bilanciate da utili. L'impresa viene meno dunque alla funzione ed allo scopo
che ne giustificava l'esistenza: in termini di mercato l'impresa viene meno
alla sua missione o finalità economica.
Non appaiono, pertanto, convincenti alcune opinioni[8] manifestate dalla
dottrina e dalla giurisprudenza secondo cui, il finanziamento ricevuto
dall'imprenditore insolvente costituirebbe un incremento del patrimonio e che
il finanziamento di per sé non potrebbe che arrecare un vantaggio al finanziato
che ha percepito il finanziamento. Va rilevato al contrario che tale danno al
patrimonio dell'insolvente finanziato è certamente configurabile e consiste nel
fatto che l'attivo fallimentare dell'impresa risulta gravato da quei crediti
che sono stati insinuati al passivo stesso e sono sorti quale conseguenza della
continuazione di attività del debitore insolvente, per effetto del
finanziamento ottenuto dalla banca.
Del resto è noto che, anche come risulta dalla disciplina sul bilancio degli
artt. 2424 e ss. c.c., l'appostazione dei finanziamenti concessi dagli istituti
bancari deve essere effettuata attraverso l'iscrizione degli stessi nell'attivo
tra le "disponibilità liquide" e la contemporanea iscrizione nel
passivo tra i "debiti verso banche", con riferimento al loro valore
attuale. Inoltre, trattandosi di debiti gravati di interessi, la valutazione
del valore attuale del debito si ottiene aumentando il valore del debito in
linea capitale delle somme relative agli interessi maturati, come pure delle
altre spese e commissioni maturate all'epoca della redazione del bilancio.
Pertanto, la concessione di finanziamenti a qualsivoglia soggetto economico, se
pure necessaria ed utile per lo svolgimento dell'attività, certo non può
considerarsi vantaggiosa dal punto di vista strettamente finanziario, in quanto
il valore rappresentato dall'importo finanziato è sempre neutralizzato, nel
patrimonio della società, dal corrispondente debito nei confronti dell'istituto
finanziatore, e deve anche essere maggiorato degli interessi relativi e delle
ulteriori spese inerenti al servizio espletato.
Conseguentemente, non solo la concessione di finanziamenti si presenta neutra
nello stato patrimoniale delle società, ma ha addirittura un effetto negativo
laddove si consideri la necessità di conteggiare a debito le somme relative
agli interessi maturati nell'esercizio, come pure il corrispettivo spettante
all'istituto di credito per il servizio espletato.
Tale effetto negativo potrà certo essere controbilanciato dagli effetti
positivi dell'impiego del finanziamento nell'impresa ma questo solo a
condizione che tale impiego sia produttivo di ricavi operativi.
Gli oneri connessi al finanziamento potranno, infatti, essere coperti solo ed
in quanto i ricavi derivanti dall'utilizzazione produttiva del finanziamento
siano più elevati. In questo caso l'impresa efficiente può effettivamente ben
trarre utilità dal finanziamento. Questo si verifica quando l'impresa è in
grado di elaborare e soprattutto di attuare un ragionevole piano industriale,
che consenta di utilizzare il capitale proveniente da finanziamento per
investimenti.
Da ciò consegue che in tutti i casi in cui le condizioni economiche
dell'impresa finanziata (in particolare le sue capacità produttive), siano tali
da non consentire una efficiente utilizzazione della liquidità ottenuta con il
finanziamento, il peso degli oneri del finanziamento (la cd. leva finanziaria)
eroderà in modo progressivo il patrimonio della società.
Infatti, nella migliore delle ipotesi, tale capitale verrà destinato a pagare
debiti correnti a breve (fornitori, lavoratori, ecc.), sostituendo in questo
modo ad un debito preesistente, un debito verso le banche. Il debito bancario,
peraltro, come è ben noto, è sempre ben più oneroso di qualsiasi debito verso
fornitori, terzi contraenti, ecc. e questo per effetto dell'alto volume degli
interessi, della capitalizzazione periodica degli stessi interessi, la quale è
consentita solo alle banche, come pure delle spese e commissioni di massimo
scoperto ecc., oneri questi propri dei contratti bancari. Tale finanziamento di
conseguenza graverà pesantemente e rigidamente sul patrimonio, facendo
aumentare il passivo e quindi impoverendo il patrimonio stesso. Inoltre tanto
più la società finanziata sarà squilibrata dal punto di vista
economico-finanziario, tanto più vi sarà difficoltà da parte della stessa di
restituire in tempi brevi i finanziamenti ottenuti; da ciò ne conseguirà
l'aumento progressivo del suo debito relativo ad oneri finanziari maturati sul
finanziamento da restituire.
Da quanto rappresentato emerge che il danno che può derivare dalla condotta
della banca che abbia finanziato in modo irregolare l'impresa investe proprio
la società ed il suo patrimonio, il quale, per effetto degli ingiustificati
finanziamenti concessi dalla banca stessa, verrà ad essere progressivamente
eroso fino a diventare deficitario. In particolare il deficit della società già
decotta si amplia per effetto dei nuovi gravosi debiti bancari derivanti da
ingiustificati finanziamenti. Nello stesso tempo, quegli stessi abusivi e
ingiustificati finanziamenti provocano una ulteriore espansione
dell'indebitamento in quanto la società, ritardando la dichiarazione di
fallimento, viene ad assumere nuovi debiti che, per lo stato di decozione già
verificatosi ed abusivamente e scorrettamente tenuto occultato dal
comportamento delle banche, aumentano ulteriormente il passivo della società.
E' del resto questo il primo dei motivi per cui qualsiasi ordinamento giuridico
prevede nel caso di insolvenza dell'impresa, la apertura di una procedura
concorsuale e comunque la cessazione dell'attività dell'impresa stessa.
Costituisce, infatti, principio universalmente riconosciuto e consolidato che
la continuazione della attività da parte dell'impresa insolvente risulti
dannosa sia per l'impresa, che per il mercato. E' per questo che qualsiasi
ordinamento giuridico impone, anche attraverso strumenti coercitivi che possono
arrivare ad un contenuto repressivo penalistico, la cessazione della attività
per salvaguardare il residuo patrimonio dell'impresa e non dilatare
ulteriormente il danno nel mercato, in quanto sino a che l'impresa continua ad
essere presente sul mercato, essa tenderà ad accumulare sul suo patrimonio gli
effetti pregiudizievoli dell'insolvenza, i quali si propagano verso i terzi
nelle forme dell'aumento dell'esposizione debitoria.
Risulta pertanto del tutto evidente che, se la situazione di insolvenza
impedisce al debitore di continuare in modo efficiente l'impresa (al punto che
è l'ordinamento stesso che impone la cessazione dell'attività di impresa),
allorquando il debitore insolvente riceve credito o mantiene la disponibilità
di un finanziamento, l'esposizione debitoria per effetto della continuazione
della attività nel mercato sicuramente si accresce senza alcuna logica di
copertura economica con pregiudizio per il patrimonio dell'imprenditore e per i
creditori che su quel patrimonio giocavano l'unica possibilità di
soddisfazione.
L'impresa viene fatta così permanere sul mercato al di fuori di ogni regola e
criterio di giustificata operatività, al solo fine di protrarne nel tempo
l'esistenza (si potrebbe molto realisticamente dire al solo fine di non far
fallire l'impresa), con il risultato di avere una attività che gira a vuoto (ci
sia consentita l'espressione), completamente al di fuori delle finalità e dei
presupposti che giustificano il riconoscimento dell'impresa nel mercato e
nell'ordinamento giuridico.
Si tratta di un danno che colpisce direttamente il patrimonio della stessa
impresa fallita e deve necessariamente essere inteso quale danno alla integrità
patrimoniale della impresa.
L'emersione del pregiudizio in seguito alla dichiarazione di fallimento del
soggetto abusivamente finanziato: lesione del patrimonio del debitore e lesione
della garanzie patrimoniale offerta ai creditori concorrenti
Le modificazioni del patrimonio del soggetto, che in condizioni di insolvenza è
stato destinatario del finanziamento, costituiscono per quest'ultimo un
pregiudizio che presenta diverse articolazioni. Queste, per il loro contenuto e
carattere, sono suscettibili di colpire nello stesso tempo una pluralità di
interessi interni ed esterni rispetto al soggetto finanziato.
La portata plurioffensiva risiede nel fatto che la stessa azione del soggetto
agente proietta in un rapporto di causalità prossima, indiretta o remota,
conseguenze pregiudizievoli nella sfera di situazioni giuridiche protette che
fanno capo a soggetti giuridici diversi.
La sopravvenuta dichiarazione di fallimento, nello stesso tempo, viene a creare
un contesto nel quale per i soggetti direttamente colpiti, far valere il danno
verso la banca, responsabile dell'ingiustificato sostegno creditizio, si
presenta tutt'altro che agevole. Il destinatario della ingiustificata
operazione di credito è difficilmente nelle condizioni di far valere il danno
subito al suo patrimonio. Infatti quando il finanziamento ingiustificato sta
propagando i suoi effetti pregiudiziveoli sul suo patrimonio, non è ancora
possibile valutare in pieno la portata e soprattutto la definitività del
pregiudizio, mentre successivamente alla dichiarazione di fallimento, cessa la
sua legittimazione a favore di quella del curatore fallimentare.
Anche per i terzi danneggiati l'azione è tutt'altro che agevole. Essi sono
danneggiati dal declino o addirittura annientamento della garanzia
patrimoniale, che era costituita dal patrimonio del debitore. Se infatti
quest'ultimo patrimonio si presentava poco capiente per coprire le aspettative
dei creditori, come in precedenza ampiamente argomentato successivamente
all'ampliamento dell'indebitamento, conseguente alla protrazione dell'attività
del debitore ingiustificatamente sostenuta dalla abusiva concessione di credito,
la garanzia patrimoniale offerta dal patrimonio del debitore, si presenta ancor
più insufficiente o addirittura inesistente.
Nello stesso tempo l'instaurazione di un procedimento concorsuale, conseguente
all'insolvenza del debitore, comporta proprio per poter realizzare la più
soddisfacente ripartizione in modo paritario del ricavato della liquidazione
del patrimonio, la necessità di ricostruire il patrimonio con tutte le azioni
fallimentari e di diritto comune, in guisa che sia possibile recuperare valori
e beni o, come nel nostro caso, far valere diritti di credito contro i terzi
che per il loro comportamento abbiano leso, vale a dire, diminuito il valore
del patrimonio.
I singoli creditori (che, dunque, hanno subito per effetto della procedura
concorsuale la trasformazione del loro diritto di credito da pretesa verso il
debitore ad ottenere la prestazione dovuta, a pretesa a partecipare pro quota
paritariamente sul ricavato della liquidazione del patrimonio), non possono far
valere un danno così generale e globale che investe appunto la totalità dei
crediti, in quanto tale danno è relativo al patrimonio da liquidare quale
oggetto della garanzia patrimoniale dell'intera massa dei creditori.
E' il curatore, quindi, il soggetto che deve assolvere al compito di tutelare
il patrimonio oggetto della liquidazione fallimentare, al fine di tutelare la
salvaguardia della garanzia patrimoniale che esso stesso dovrà realizzare,
distribuendo il ricavato secondo le quote di spettanza.
Ciascun creditore mantiene piuttosto la legittimazione a far valere i danni che
abbia individualmente subito da terzi, come ad esempio quelli che potrebbero
derivare da scorrette informazioni fornite dalla banca sulla solvibilità del
debitore poi fallito e che abbiano indotto al compimento di scelte contrattuali
o dispositive pregiudizievoli (individuali e diverse per ciascun creditore).
Ne consegue, pertanto, che il diritto al risarcimento dei creditori deve essere
ben distinto in due profili che risultano autonomi: quello a far valere una
tutela individuale per un pregiudizio singolarmente patito, per il quale
ciascun creditore può mantenere singulatim la legittimazione e quello al
risarcimento per il danno subito dalla garanzia patrimoniale, ulteriormente
indebolita per il protrarsi dell'attività nell'insolvenza e per il ritardo
nella dichiarazione di fallimento, per la quale la legittimazione non può che
essere complessiva e spettare al curatore, quale soggetto che funzionalmente è
in grado di tutelare la lesione alla garanzia patrimoniale.
Le prese di posizione volte a negare la proponibilità dell'azione da parte del
curatore fallimentare non appaiono pertanto convincenti. Esse possono essere
così sinteticamente riassunte. Al curatore non potrebbe essere riconosciuto un
potere generale di rappresentanza degli interessi dei creditori, esso è
piuttosto legittimato a sostituirsi a questi solo nelle fattispecie
dell'articolo 2394, c.c., dell'articolo 146 l.f., 67 l.f. e 240 l.f.[9]. Il
pregiudizio non sarebbe riferibile alla massa, in quanto le ragioni e la misura
del danno dovrebbero essere distribuite in modo diverso tra i creditori
anteriori e posteriori al finanziamento abusivo, essi dovrebbero fornire
elementi di prova diversi a seconda degli specifici presupposti in cui si è manifestato
nella singola sfera individuale il pregiudizio suscettibile di dare luogo alla
responsabilità risarcitorie della banca[10].
Si è detto a questo proposito che la legittimazione del curatore a tale azione
troverebbe ostacolo nel fatto che il pregiudizio che verrebbe fatto valere non
potrebbe essere configurato quale pregiudizio alla massa, e questo in quanto il
curatore non potrebbe far valere la sommatoria di tutti pregiudizi
singolarmente subiti da ciascuno dei creditori del debitore insolvente[11].
In realtà in questo modo le conseguenze dannose del comportamento della banca
vengono proiettate solo sulla sfera individuale di ciascuno dei creditori. Al
contrario, il riconoscimento della legittimazione del curatore fallimentare a
proporre tale azione, non è certo diretto ad affidare al curatore il potere ed
il compito di sostituirsi nella rappresentanza processuale e sostanziale dei
diritti e delle pretese che spettano individualmente a ciascuno dei creditori.
E' pacifico, infatti, che l'assunzione di un ruolo di questo genere da parte
del curatore non risulta configurabile. Infatti, sulla base della disciplina
della procedura concorsuale una sostituzione del genere potrebbe in astratto
essere concepibile sul piano civilistico sostanziale, come pure sul piano
processuale, solo attraverso il conferimento non certo al curatore ma ad un
terzo difensore di uno specifico mandato giudiziale da parte di ciascuno dei
creditori a svolgere una azione dal contenuto seriale verso coloro che
pregiudizievolmente hanno finanziato il debitore insolvente: sul difensore
incomberebbe poi il compito di differenziare la domanda e le argomentazioni
difensive e probatorie in relazione allo specifico rapporto di causalità e con
riguardo alla dimensione stessa del danno singolarmente subito dai suoi
assistiti.
Si deve, quindi, concludere che quelle tesi che vogliono escludere la
legittimazione del curatore fallimentare sulla base della considerazione che il
curatore verrebbe a far valere la sommatoria di tutti i pregiudizi subiti dai
creditori, risulta basarsi su un fraintendimento dell'oggetto e del contenuto
dell'azione per abusiva concessione di credito.
Se infatti si dovesse ritenere che la portata dell'azione sia la rimozione di
un pregiudizio così strettamente soggettivo ed individualistico di ciascun
creditore, l'esercizio di essa da parte del curatore risulterebbe indubbiamente
incompatibile, oltre che con i compiti riconosciuti al curatore, anche con gli
stessi strumenti processuali volti a consentire il più realistico ed efficiente
accesso alla giustizia da parte di ciascuno dei creditori danneggiati[12].
Appare, in conclusione, necessario distinguere tra il pregiudizio che colpisce
la singola sfera individuale di ciascun creditore e quella tipologia di pregiudizio
che ha una dimensione di danno del tutto diversa, in quanto si presenta
caratterizzata dal fatto di risultare uniforme e generalizzata per tutti i
terzi che per il fatto di avere contrattato con il debitore sono divenuti
creditori danneggiati dal depauperamento o annientamento della garanzia
patrimoniale sulla quale fondavano le loro aspettative di soddisfazione.
Mentre, infatti, per quanto concerne il pregiudizio subito dal singolo
creditore (il quale, ad esempio, potrebbe essere stato ingannato da dichiarazioni
e affidamenti creati dalla specifica della banca), si tratterà di dimostrare un
danno specifico, peculiare nella dimensione e qualità, rispetto a quello subito
da ciascuno degli altri creditori. Nell'azione aquiliana che viene fatta valere
nel fallimento, al contrario, ciò che conta è una dimensione di danno che
investe indistintamente qualsiasi creditore, in una dimensione diversa, vale a
dire non specifica ma piuttosto, come abbiamo detto, generalizzata e
uniforme[13]. È un danno che investe tutti terzi che hanno contrattato con il
debitore, i quali, proprio per effetto di tale contrattazione hanno maturato un
diritto di credito, che, per effetto della aumentata esposizione debitoria
dell'imprenditore finanziato in modo "irregolare", potrà ottenere una
soddisfazione ulteriormente ridotta nella quota di spettanza dell'esecuzione
concorsuale.
Né ritengo sia possibile distinguere tra creditori i cui crediti siano sorti
anteriormente o successivamente agli atti di abusiva concessione di credito[14].
Con questa distinzione si vorrebbe forse escludere che i creditori anteriori
possano avere subito un danno dall'abusiva concessione di credito, in quanto
essi hanno contrattato con il debitore (poi fallito), prima dell'ingiustificato
finanziamento e ricomprendere solo coloro che hanno contrattato dopo il
finanziamento perchè senza di esso, essi non avrebbero contrattato[15].
Sia i creditori anteriori, che quelli successivi all'abusiva concessione del
credito sono danneggiati dalla sopravvenuta inidoneità o assottigliamento della
garanzia patrimoniale offerta dal patrimonio del debitore. Sono infatti la
garanzia patrimoniale ed il patrimonio del debitore che vengono in
considerazione per una valutazione del pregiudizio arrecato dall'irregolare
comportamento di ingiustificata erogazione di credito. Infatti il patrimonio
del debitore ha subito un aggravamento del volume e del peso dei crediti per i
quali avrebbe dovuto assicurare la copertura, e conseguentemente esso è
divenuto del tutto o parzialmente inidoneo a soddisfare i creditori.
Questo vuol dire che sia i creditori anteriori, che quelli successivi sono
stati pregiudicati dall'incremento dell'indebitamento successivo
all'ingiustificata erogazione di credito. La garanzia patrimoniale offerta dal
debitore si è infatti diluita con l'effetto di far perdere percentuali di
soddisfazione nella stessa misura sia ai creditori anteriori, che percepiranno
meno di quanto avrebbero ricavato senza il ritardo alla dichiarazione di
fallimento, sia quelli successivi parimenti danneggiati dall'annacquamento
della garanzia patrimoniale causata dal ritardo nella dichiarazione di
fallimento.
E' proprio la natura del pregiudizio subito da tutti i creditori concorrenti
che non consente di fare distinzioni tra creditori anteriori e successivi al
finanziamento. Entrambi partecipano al concorso, entrambi riceveranno in moneta
fallimentare un livello di riparto più basso di quello che avrebbero potuto
percepire se l'insolvenza e la procedura non fossero state ritardate, e se fosse
stato evitato che il volume del passivo fosse ulteriormente incrementato per
effetto della ingiustificata operazione di credito.
La peculiarità della partecipazione al concorso risiede infatti, come è noto,
nella ripartizione della perdita dovuta all'insolvenza in modo paritario per
tutti i partecipanti. Non a caso si parla a questo riguardo del concorso
fallimentare come della comunità della perdita (Verlustgemeinschaft). Nel
nostro caso, l'azione per abusiva concessione del credito è rivolta a far valere
quale danno proprio l'incremento della complessiva e generale perdita subita
dai creditori per effetto, appunto, del procurato ritardo nella dichiarazione
di fallimento. Si tratta di un danno che subiscono tutti i partecipanti al
concorso senza che, quindi, possa essere individuata una distinzione rilevante
a questi fini, tra quelli anteriori o successivi al pregiudizievole
finanziamento.
Non vi è, pertanto, alcuna possibilità di intendere tale lesione della garanzia
patrimoniale come la sommatoria di pregiudizi patiti dai singoli creditori. Non
si tratta, infatti, di far valere il complesso delle voci di pregiudizio e di
danno che ciascuno dei creditori ha subito, come se si volesse sommare in un
unica azione e domanda giudiziale una pluralità variegata di pretese
individuali che fanno capo ad una serie di soggetti creditori del debitore
insolvente e che verrebbero ad essere rappresentati unitariamente dal solo
curatore fallimentare. Si tratta piuttosto di consentire proprio al curatore
fallimentare di individuare quanto l'esposizione debitoria sorta
successivamente all'erogazione del credito abbia pregiudicato il patrimonio del
debitore onerandolo di nuovi debiti e quanto tale pregiudizio abbia inciso sul
modo in cui opera funzionalmente la garanzia patrimoniale offerta da tale
patrimonio su tutti i creditori concorrenti. Nel fallimento il livello di
efficacia della garanzia patrimoniale destinata ai creditori è determinato
dallo stretto collegamento tra valore del patrimonio, risultante dalla liquidazione
e volume totale dei crediti concorrenti: far valere il pregiudizio al
patrimonio del finanziato e contemporaneamente alla garanzia patrimoniale vuol
dire quindi individuare e far valere quella percentuale di soddisfazione
concorsuale che è andata compromessa e perduta a causa del ritardo nella
dichiarazione di fallimento per effetto dell'abusiva concessione di credito,
con pregiudizio al patrimonio dell'imprenditore e conseguentemente a tutti i
creditori concorrenti, la cui perdita, indistintamente per tutti risulterà
appunto incrementata di una percentuale corrispondente.
Allorquando, dunque, il curatore venga ad accertare che il patrimonio
dell'imprenditore fallito per effetto del ritardo nell'emergere dell'insolvenza
a causa del finanziamento abusivo, ha perso in tutto o in parte la sua idoneità
a coprire i crediti iscritti al passivo fallimentare, ha il compito di valutare
e, se ne ricorrono le condizioni, di proporre l'azione aquiliana contro il
finanziatore danneggiante, al fine di ripristinare quel valore del patrimonio
andato perduto per effetto dell'illecito e restituire quindi al patrimonio quel
livello di idoneità a coprire i crediti concorrenti che, quale garanzia
patrimoniale, il patrimonio avrebbe avuto se il ritardo nell'emergere dall'insolvenza
non si fosse verificato. La legittimazione all'azione del curatore fallimentare
poggia pertanto sulla considerazione che si tratta di una azione che non solo
fa parte del patrimonio sottoposto a liquidazione, perché rivolta a rimuovere
una lesione patrimoniale subita dallo stesso patrimonio e dal suo titolare poi
dichiarato fallito, ma anche sul fatto che é rivolta a rimuovere la lesione
all'integrità della garanzia patrimoniale offerta ai creditori, in modo tale da
poter riportare, per tutti i creditori indistintamente, la quota di
partecipazione alla soddisfazione concorsuale al livello che essa avrebbe avuto
se il patrimonio del fallito e la garanzia patrimoniale non fossero state lese
nei loro valori.
Allo stesso modo non appaiono fondati anche gli altri profili di dubbio
accennati dalla stessa dottrina precedentemente citata in ordine alla
legittimazione del curatore fallimentare.
Come si è visto, è stato osservato che la banca cui viene imputato il
comportamento lesivo risulta il più delle volte creditore concorrente e sarebbe
pertanto contraddittorio riconoscere al danneggiante di trarre vantaggio,
attraverso la partecipazione al concorso, al risultato del risarcimento del
danno da essa provocato e da essa risarcito[16].
In altre parole risulterebbe singolare e contraddittorio che la banca venisse a
godere quale creditore partecipante al concorso degli effetti favorevoli del
risarcimento per il ripristino del valore del patrimonio fallimentare cui ella
stessa con la prestazione risarcitoria ha contribuito. In realtà non vi è
alcuna contraddizione sotto nessun profilo nel fatto che la banca venga
chiamata a pagare una somma a titolo del risarcimento del danno e che quella
somma venga ad incrementare il patrimonio da destinare ai creditori e che
pertanto una porzione di questa quota aumentata e migliorata dal risarcimento
pagato dalla banca, vada ad aumentare percentualmente anche la quota da
assegnare alla banca. La contraddizione non vi è perchè il titolo sulla base
del quale la banca partecipa al concorso è fondato sul credito che essa ha
maturato, che è stato accertato ed ammesso allo stato passivo. Non vi è tra
l'altro alcun rapporto tra il credito che la banca ha insinuato al passivo ed
il risarcimento che essa stessa pagherà ed andrà ad incrementare il passivo.
Potrebbe benissimo accadere, infatti, che la banca sia riuscita prima del
fallimento a rientrare dalla anche ingente esposizione verso il debitore, che
tutti i crediti che vantava verso l'impresa finanziata siano risultati completamente
saldati e che, pertanto, non ricoprendo la qualità di creditore concorsuale,
non abbia diritto ad alcun riparto senza, quindi, percepire alcun vantaggio per
avere risarcito la perdita dell'integrità patrimoniale del patrimonio
fallimentare. Come pure può accadere che la banca abbia insinuato al passivo un
modesto o ingente credito e che quindi venga a godere di un modesto o più
rilevante vantaggio per avere risarcito il patrimonio fallimentare. In
conclusione il titolo su cui si basa la eventuale partecipazione al concorso,
nulla ha a che fare con il risarcimento dovuto dalla banca per la lesione alla
garanzia patrimoniale. Se questa è creditore concorsuale essa ha il diritto di
godere paritariamente con gli altri concorrenti del valore e dei vantaggi
offerti dal patrimonio fallimentare oggetto dell'esecuzione collettiva. Infatti
essa con il pagamento del risarcimento del danno estingue integralmente il suo
debito risarcitorio e, quale creditore concorsuale e concorrente, ha diritto ad
ottenere la quota di riparto che gli spetta secondo l'ammontare del credito
accertato e secondo l'ammontare del valore del patrimonio fallimentare al
momento della liquidazione. Né ha alcuna rilevanza o pone alcun interrogativo
il fatto che anche alla banca sia destinata una quota percentuale della somma
da essa stessa versata al curatore per ripristinare il valore da essa stessa
leso del patrimonio fallimentare.
Questa situazione del resto si verifica e si è sempre verificata ogni qualvolta
un creditore concorsuale viene chiamato dal curatore a rispondere di atti che
hanno leso l'integrità del patrimonio fallimentare. Non sussiste, infatti,
nessuna contraddizione nel fatto che colui che, per il danno arrecato, ha
risarcito il patrimonio fallimentare, partecipi poi, quale creditore
fallimentare, al concorso il cui livello di soddisfazione risulta naturalmente
più elevato per l'incremento che egli stesso ha procurato attraverso la
avvenuta reintegrazione del patrimonio. La diversità del titolo e delle ragioni
di credito escludono in radice che si possa configurare una qualsiasi
contraddizione. Del resto, allo stesso modo in cui il fornitore di merci può
essere nello stesso tempo creditore concorsuale per le forniture non pagate e
debitore obbligato al risarcimento del danno per i danni subiti dall'impresa
per le partite di merci avariate, allo stesso modo la banca è creditore
concorsuale per la restituzione delle somme prestate ed è obbligata al
risarcimento per il pregiudizio arrecato con la concessione ingiustificata di credito.
Entrambi sopporteranno da un lato il peso del risarcimento e dall'altro avranno
il pieno diritto di soddisfare il loro credito concorsuale avvalendosi al pari
degli altri creditori concorsuali degli incrementi del patrimonio fallimentare
procurati dalle iniziative del curatore di ricostruzione del patrimonio del
fallito.
Deve inoltre essere considerata la diversa natura delle due posizioni della
banca: quella creditoria al riparto di natura meramente concorsuale e che può
essere pagata solo in moneta fallimentare e quella debitoria - risarcitoria
verso il fallimento fuori del concorso, da adempiere normalmente in moneta
corrente e non in moneta fallimentare. La percezione da parte della banca
dunque, a titolo di riparto, di una somma che sarà più elevata se essa stessa
ha effettuato il risarcimento, non costituisce restituzione alla banca di una
parte di quanto percepito, ma soltanto la conseguenza del fatto che l'azione
risarcitoria del curatore ha ottenuto il risultato di reintegrare la diminuita garanzia
patrimoniale e che quindi tutti i creditori concorrenti, in quanto partecipanti
al concorso sul patrimonio appunto reintegrato, avranno la possibilità e il
pieno diritto di ottenere una quota di riparto più elevata, compresa quindi la
banca che ha soddisfatto il suo debito risarcitorio e che in ogni caso ha
diritto di essere trattata in modo paritario al pari di tutti gli altri
creditori concorrenti.
Il concorso del fatto colposo dell'imprenditore destinatario del finanziamento:
presupposti e limiti
Nella identificazione della responsabilità della banca è stata talora avanzata
l'osservazione secondo cui la banca dovrebbe comunque andare indenne da tale
responsabilità in virtù del fatto che il finanziamento è stato richiesto
dall'imprenditore. La colpa del pregiudizio conseguente ricadrebbe quindi
sull'imprenditore e non sulla banca che lo ha concesso.
Una tale lettura della vicenda del finanziamento abusivo come tutto collegato
alla persona del soggetto finanziato, appare in qualche modo risentire di
quella prospettiva secondo cui il finanziamento, piuttosto che dar luogo ad un
pregiudizio darebbe luogo ad un arricchimento per il finanziato. Anche in
questo caso l'intera operazione viene ricondotta nella ristrettissima
prospettiva che vede nel soggetto finanziato il motore assorbente dell'intera
azione pregiudizievole. Quest'ultimo, con la propria iniziativa, che in realtà
consiste solamente in una domanda diretta a far sì che la banca esamini la
possibilità di concedere un finanziamento, determinerebbe la erogazione a suo
favore del credito e il sovvenuto verrebbe così per effetto della propria
decisione, ad avvantaggiarsi, anzi ad arricchirsi, della somma di danaro così
ricevuta dalla banca.
Tale ricostruzione, suona del tutto unilaterale e parziale per la
rappresentazione e interpretazione della realtà economica e giuridica del
fenomeno. In particolare, non tiene conto che è la banca il soggetto agente
della azione che si rileva dannosa. È infatti incontestabile che l'autore del
finanziamento o più in generale dell'operazione di credito è la banca, ed è
egualmente incontestabile che la erogazione di credito costituisca una
prestazione tecnica di carattere professionale che si svolge addirittura
nell'ambito di una attività riservata e sottoposta a controlli autorizzativi da
parte dell'autorità che ha il compito di vigilare sulla attività creditizia.
Il credito percepito dall'accipiens è quindi il risultato di una attività
tecnico professionale della banca che necessariamente deve giungere a
conclusione di una valutazione compiuta attraverso una adeguata istruttoria che
investe il merito del credito del soggetto destinatario del finanziamento. Il
finanziamento, in altre parole non può essere considerato al pari di una merce
anonima ed indifferenziata, offerta ed indiscriminatamente accessibile a tutti
senza distinzione, come quella esposta negli scaffali di un grande magazzino in
attesa della clientela. In quest'ultimo caso delle conseguenze dell'acquisto o
dell'uso ed abuso di siffatti beni, l'acquirente non potrà dolersi verso il
venditore, considerato che la missione commerciale di questi è per definizione
quella di invadere il mercato con il più alto volume di offerta di beni e
servizi.
Al contrario, le operazioni di credito e di finanziamento sono espressione del
massimo livello che nella contrattazione può essere raggiunta della più ampia
valutazione di tutti gli elementi di affidamento e di meritevolezza. Questo
riguarda, in particolare, la valutazione della persona, del patrimonio, dell'azienda
e delle prospettive del settore rispetto all'operazione contrattuale che si va
a compiere.
Le operazioni di credito hanno come presupposto indefettibile la valutazione
dell'intuitus personae nella forma più articolata e complessa che si può
riscontrare nel diritto privato. L'apprezzamento personale del destinatario del
finanziamento deve essere infatti coniugato dalla banca con la valutazione
tecnico-economica delle condizioni patrimoniali e delle potenzialità produttive
dello stesso. Tale apprezzamento è, quindi, accompagnato necessariamente da una
valutazione di merito del credito che per tutte le considerazioni già svolte,
la banca deve necessariamente compiere con la professionalità propria di questa
delicata materia. Di qui il dovere per la banca di astenersi e rifiutare
credito ai soggetti che risultino immeritevoli e che per le loro condizioni
patrimoniali non saranno in grado di utilizzare produttivamente il credito
ottenuto, cioè di consolidarlo produttivamente nel patrimonio, e che, piuttosto,
si troveranno nella condizione di disperderlo, continuando senza
giustificazione una presenza sul mercato che inevitabilmente porterà ad un
ulteriore ampliamento della esposizione debitoria anche nei confronti dei
terzi.
Rispetto, dunque, alla produzione dell'evento dannoso non si può certo ritenere
che di per sé l'eventuale richiesta formulata alla banca da parte del soggetto
finanziato, di ottenere l'erogazione del finanziamento, possa costituire evento
idoneo ad interrompere o deviare la catena causale, in realtà molto stretta,
solida e serrata, che vede quale fatto agente nella causazione dell'illecito e
del danno la banca quale responsabile di un comportamento che deve essere di
valutazione, delibera, erogazione e una volta effettuata l'erogazione, di
verifica nel tempo delle condizioni patrimoniali e anche di utilizzo della
liquidità.
Le regole che disciplinano l'incidenza causale dei comportamenti tenuti
distintamente da più soggetti nella produzione del danno portano piuttosto ad
escludere che la richiesta di finanziamento da parte dell'imprenditore
insolvente possa comportare l'esclusione della responsabilità della banca come
soggetto agente nei confronti dello stesso finanziato[17].
La prima parte del primo comma dell'art. 1227 c.c. (se il fatto colposo del
creditore ha concorso a cagionare il danno), indica la modalità attraverso la
quale è possibile ricostruire il fatto dannoso quale risultato di cause
concorrenti che insieme hanno contribuito a determinare l'evento. A questo fine
la norma in parola stabilisce, quindi, quale requisito tecnico e logico
giuridico del concorso, il fatto che con certezza si possa dire che senza
l'incidenza eziologia di ciascuna delle cause concorrenti, l'evento dannoso non
avrebbe potuto verificarsi[18].
Sulla base di questi principi, la richiesta dell'imprenditore, volta ad
ottenere la concessione di un fido o di un finanziamento, costituisce e svolge,
nel processo di causazione dell'evento dannoso, soltanto il ruolo di una forma
di invito rivolta alla banca di esaminare, valutare e deliberare la erogazione
del credito. La richiesta può, quindi, certamente costituire l'occasione che ha
dato inizio alla azione della banca ma resta comunque evidente che, sul piano
eziologico, essa non concorre nella causazione del danno se non altro per il
fatto che l'attività di erogazione del credito posta in essere dalla banca,
deve essere attuata in via autonoma ed indipendente, in guisa che la
concessione del credito sia il risultato di una valutazione tecnica di
carattere economico-giuridico, che sarebbe assurdo pensare che possa essere
influenzata, e per di più in modo determinante, dalla richiesta
dell'imprenditore cui il finanziamento dovrà essere rivolto.
Il comportamento dell'imprenditore richiedente potrebbe rilevare quale causa
efficiente, eziologicamente determinante nel concorso, in ipotesi del tutto
particolari. Quando, ad esempio, il richiedente avesse posto in essere un
comportamento diretto, e soprattutto effettivamente idoneo, a trarre in inganno
la banca circa la situazione produttivo patrimoniale dell'azienda. Si dovrebbe
certamente trattare di un comportamento rispetto al quale risulti che le
indagini e le valutazioni effettivamente compiute dalla banca, non sarebbero
state in grado di smascherare l'inganno e comunque di far comprendere
l'effettiva situazione della azienda. In questo caso, il livello del concorso
potrebbe anche arrivare alla esclusione della responsabilità della banca ove
l'intervento decettivo del finanziato costituisca causa unica ed esclusiva
dell'evento dannoso, in grado di assorbire l'azione della banca quale
comportamento dannoso posto in essere in una situazione di inconsapevolezza non
colposa e di assoluto sviamento della volontà della banca agente.
Se si prescinde però da queste ipotesi estreme, nelle quali il soggetto
finanziato è effettivamente riuscito a trarre in inganno la banca, al punto che
questa, anche svolgendo le dovute indagini di meritevolezza dovuta, non ha
potuto e non avrebbe potuto scoprire la situazione di insolvenza, va osservato
che compito specifico e professionale della banca è sottoporre ad adeguata
verifica critica tutti i dati raccolti per valutare la meritevolezza del
credito e quindi, in primo luogo, i dati forniti dallo stesso richiedente.
Infatti l'operazione di concessione di credito, per l'elevato significato
tecnico che la contraddistingue, non può in nessun modo essere assimilata e
ridotta alla mera accettazione di una richiesta di finanziamento. In altre
parole il credito viene concesso dalla banca non certo per esaudire una
richiesta dell'imprenditore, la quale di per sé può condurre soltanto alla
apertura di una procedura di istruttoria, vale a dire alla raccolta di dati e
di elementi che consentono alla banca una valutazione tecnico discrezionale di
meritevolezza e cioè di concedibilità o meno del credito. Il credito la banca
lo concede, infatti, alla fine di un itinerario valutativo che deve essere
svolto attenendosi ai diversi criteri tecnici a seconda dell'ammontare del
credito, della tipologia economico produttiva dell'imprenditore, delle
caratteristiche di credito stesso, e cioè di diversi criteri che diverranno
sempre più stringenti ed obbligatori con la prospettiva di applicazione del
2006 dei criteri vincolanti del cosiddetto accordo di Basilea 2. Pertanto anche
nell'ipotesi della falsa ed ingannevole rappresentazione o meglio distorsione
della realtà da parte dell'imprenditore, l'esclusione della responsabilità
della banca potrà avvenire solo attraverso la prova fornita dalla banca, che
l'esito delle indagini da essa svolte, secondo adeguati profili di
professionalità e di approfondimento, non le consentivano di far emergere la
realtà della situazione patrimoniale-produttiva rispetto a quella simulata
dall'imprenditore richiedente.
Sotto altro profilo va peraltro osservato che il concorso di colpa del
danneggiato potrebbe avere uno spazio applicativo, piuttosto che sotto il
profilo del concorso nella determinazione dell'evento (di cui alla prima parte
del primo comma dell'art 1227 c.c.), sotto il profilo della valutazione
economica del pregiudizio che il danneggiato avrebbe potuto evitare usando la
normale diligenza (di cui alla secondo comma dell'art. 1227 c.c.).
La considerazione potrebbe investire non la fase produttiva dell'evento
dannoso, ma quella successiva in cui il danno è stato già realizzato. E' questa
infatti la fase in cui si valutano i pregiudizi ulteriori che la vittima poteva
evitare con l'ordinaria diligenza.
In quest'ultima ipotesi, il danneggiato non concorre nella produzione
dell'evento dannoso ma piuttosto concorre con il comportamento da esso posto in
essere successivamente al verificarsi del danno, questo potrebbe venire a
svolgere il ruolo di elemento interruttivo del nesso causale tra l'illecito ed
il pregiudizio da lui stesso subito. In sostanza, il danneggiato potrebbe
essere responsabile per il concorso solamente sotto l'aspetto di non avere
evitato le conseguenze pregiudizievoli che, al contrario, era in suo potere di
evitare con la normale diligenza.
Si tratta di una particolare modalità di concorso tutta imperniata sul profilo
economico delle conseguenze patrimoniali dell'evento dannoso. La banca
danneggiante potrebbe far valere questa modalità di concorso, al fine di
ottenere avanti al giudici di merito, il riconoscimento della parziale
limitazione del danno risarcibile. Ciò potrebbe accadere nei casi in cui, ad
esempio, l'imprenditore ingiustificatamente danneggiato, dopo aver ricevuto
l'ingiustificato finanziamento, piuttosto che limitarsi alla normale gestione
dell'azienda, utilizzi il finanziamento ricevuto per assumere ulteriori del
tutto azzardate iniziative estranee alla normale gestione dell'impresa, venendo
in questo modo a gravare il già dissestato patrimonio con obbligazioni che,
appunto, avrebbe potuto più prudentemente evitare di contrarre.
Deve, peraltro, essere osservato che il riconoscimento della possibilità di
limitare per alcune voci di danno la responsabilità della banca, in presenza di
una prova del concorso del debitore nella causazione di ulteriori danni che, al
contrario, con la sua diligenza sarebbero stati evitati, deve essere, nella
fattispecie aquiliana che qui ci occupa, contenuta entro rigorosi confini. Va
infatti considerato che l'autore del fatto dannoso risponde, comunque, anche
per i danni che sono conseguenza dell'illecito e non potevano prevedersi al
momento in cui questo è stato commesso, considerato che, come è noto l'art 2056
c.c. non richiama l'art 1225 c.c.. L'imprenditore che riceve un finanziamento
lo utilizza, infatti, normalmente quale strumento per assumere nuove
obbligazioni e la banca risponde del pregiudizio derivante da questa
contrattazione già sulla base della regola generale dell'addossamento delle
conseguenze prevedibili secondo la struttura dell'illecito. Considerata,
inoltre, la natura extracontrattuale dell'illecito, la responsabilità della
banca si estende anche al pregiudizio sorto per effetto di una utilizzazione
non prevedibile del finanziamento, con il correttivo già accennato della
possibile esclusione di quei pregiudizi che il patrimonio del soggetto
finanziato ha subito e che l'uso della ordinaria diligenza avrebbe potuto
impedire, ad es. poteva astenersi di obbligarsi verso soggetti che già nel
momento della contrattazione risultavano non sufficientemente affidabili o
insolventi oppure ha omesso di esercitare diritti contrattuali compromettendo
ulteriormente ragioni creditorie, con l'effetto di subire perdite che avrebbero
potute essere evitate e che invece vengono ad aggravare ulteriormente il
passivo[19].
Deve essere, infine, rilevato che la imputazione del pregiudizio arrecato dal
finanziamento al patrimonio dell' imprenditore finanziato, in alcuni casi, a
seconda di come si configuri il comportamento del danneggiante, dovrà tenere
conto del fatto che il criterio di imputazione potrebbe risultare il dolo,
piuttosto che la colpa. È possibile, infatti, che nel comportamento di colui
che eroga il finanziamento sia riscontrabile una consapevolezza anche nitida
delle conseguenze della condotta, suscettibile addirittura di essere
qualificata quale volontà dell'evento dannoso. Sono questi i casi del credito
erogato al fine di ritardare la dichiarazione di fallimento dell'imprenditore
insolvente, o al fine di far decorrere i termini per l'esercizio dell'azione revocatoria
fallimentare e spostare in avanti nel tempo il periodo sospetto ed ottenere,
quindi, il consolidamento di atti altrimenti revocabili, di cui la banca si è
potuta avvantaggiare, oppure i casi in cui il finanziamento all'insolvente è
stato effettuato per esaudire un debito politico o di lobby di qualsiasi
natura, oppure ancora per permettere ad una società collegata di ripianare
l'esposizione che la società insolvente ha maturato nei confronti della banca
finanziatrice, estinzione che non potrebbe essere possibile se il fallimento
fosse dichiarato tempestivamente, oppure ancora per dotare il soggetto
finanziato di una provvista di liquidità monetaria con la quale sostenere in
borsa titoli che la banca finanziatrice ha interesse che non perdano valore
nella quotazione in quanto ad es. dalla stessa finanziatrice detenuti in
garanzia, o perché addirittura si tratta delle stesse azioni della banca,
oppure ancora per far sì che il soggetto finanziato possa usare quella
liquidità per rastrellare per conto della banca finanziatrice titoli di una
società ber la cui acquisizione la banca finanziatrice intende o deve
successivamente lanciare un'opa, e così in molte altre pressoché infinite
ipotesi nelle quali l'illiceità della abusiva concessione di credito è un
aspetto di una più ampia sequenza di illeciti finanziari e societari.
L'emergere dell'elemento del dolo, come è noto, può assumere rilevanza ai fini
della valutazione ed applicazione da parte del giudice della sanzione che potrà
essere applicata con maggior rigore nei confronti del danneggiante che ha agito
appunto con dolo[20].
[1] Cfr. Cass. SS. UU. Civili, 16 febbraio -28 marzo 2006, n. 7029, in Dir
fall. 2006, II, 216, con nota di NARDECCHIA, L'abusiva concessione di credito
all'esame delle Sezioni Unite.
[2] Così BERSANI, La legittimazione del curatore fallimentare nell'azione di
responsabilità nei confronti delle banche per la concessione abusiva di
credito. La pronuncia delle Sezioni Unite,in Il fisco, 2006, 4662. Nello stesso
senso NARDECCHIA, op. cit., il quale peraltro sottolinea che la questione della
legittimazione del curatore, in realtà è tutt'altro che chiusa, particolarmente
in relazione alla legittimazione del curatore a far valere il danno subito dal
patrimonio del finanziato poi fallito.
[3] INZITARI, in Legittimazione del curatore per abusiva concessione del
credito: plurioffensività dell'illecito al patrimonio e alla garanzia
patrimoniale, in Le obbligazioni nel diritto civile degli affari, Padova, 2006
[4] V. le recenti monografie VISCUSI, Profili di responsabilità della banca
nella concessione del credito, Milano, 2004, che non solo fornisce una
ricostruzione completa ed esaustiva del tema, ma fornisce anche articolate
risposte ai maggiori problemi interpretativi; del medesimo autore v. anche
Concessione abusiva di credito e legittimazione del curatore fallimentare
all'esercizio dell'azione di responsabilità, in Banca, borsa e titoli di
credito, II, 2004, 648; DI MARZIO, Abuso nella concessione di credito, Napoli,
2004 e dello stesso autore, Abuso e lesione della libertà contrattuale nel
finanziamento dell'impresa insolvente, in Riv., dir. civ., 2004, I, 145.
L'argomento costituisce ormai un capitolo obbligato nei trattati e nei
commentari sulla responsabilità civile come pure sulla banca e i contratti
bancari, v. FRANZONI, Dei fatti illeciti artt. 2043-2096-2059, in Commentario
Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 2004, 157; MONTANARI, La responsabilità
civile, in Trattato di diritto civile, diretto da Rodolfo Sacco, Torino, 1998,
789; FAUCEGLIA, I contratti bancari, in Trattato di Diritto Commerciale,
diretto da Buonocore, Torino, 2005, 246. INZITARI, Concessione abusiva di
credito: irregolarità del fido, false informazioni e danni conseguenti alla
lesione della autonomia contrattuale, in Dir. banc. merc. fin. 1993, 412 ss;
ID, Le responsabilità della banca nell'esercizio del credito: abuso nella
concessione e rottura del credito, in Banca, borsa e titoli di credito, 2001,
I, 280.
[5] Accenti in questo senso si avvertono nelle sentenze, App. Bari 17 giugno
2002, in Banca, borsa, tit. cred., 2003, II, 582-583, App. Bari 2 luglio 2002,
in Fallimento, 2002, 1164; App. Bari 18 febbraio 2003, in Fallimento, 2004,
427, in dottrina, CASTIELLO D'ANTONIO, Il rischio per le banche nel finanziamento
di imprese in difficoltà: la concessione abusiva del credito, in Dir. fall.,
1995, I, 250-251; LO CASCIO, Iniziative giudiziarie del curatore fallimentare
nei confronti delle banche, in Fallimento, 2002, 1182 ss.
[6] V. DI MAJO, Dell'adempimento in generale, in Commentario Scialoja e Branca,
sub art. 1190, 1994, 286; BIANCA, Diritto civile, L'obbligazione, IV, Milano
1990; CANNATA, L'adempimento delle obbligazioni, Trattato Rescigno, IX, Torino
1999, 69.
[7] V. sul punto INZITARI, Il mandato, in Profili del diritto delle
obbligazioni, Padova, 2000, 541.
[8] V. supra, nt. 5. Si tratta in realtà di opinioni che sembrano esprimere più
preferenze personali su come gli autori che questa opinione hanno espresso
personalmente "sentono" o interpretano il significato del
finanziamento, ma in realtà manca in queste affermazioni qualsiasi tentativo di
fornire una giustificazione tecnico-scientifica e pertanto, anche nel piano
metodologico, non appaiono conclusioni rilevanti sul piano ermeneutico o metodologico.
[9] Cfr. altresì, dopo la riforma del diritto societario, artt. 2394 bis e 2497
c.c. Nel senso indicato nel testo, CASTIELLO D'ANTONIO, La responsabilità della
banca per «concessione abusiva di credito», in AA. VV., La «riforma urgente»
del diritto fallimentare e le banche. Problemi risolti e irrisolti, Atti del
Convegno di Lanciano, 31 maggio - 1 giugno 2002, a cura di Bonfatti e Falcone,
Milano, 2003, 218 ss.; LIACE, La responsabilità della banca, Milano, 2003, 215
ss.; LO CASCIO, op. cit., 1182 ss.; NIGRO, Note minime in tema di
responsabilità per concessione abusiva del credito e di legittimazione del
curatore fallimentare, in Dir. banc. E merc. Fin., 2002, I, 298 ss.; ROBLES,
Erogazione "abusiva" di credito, responsabilità della banca
finanziatrice e (presunta) legittimazione attiva del curatore fallimentare del
sovvenuto, in Banca, Borsa e Tit. cred., 2002, II, 281 ss. e 297 ss.; ID., Nota
ad App. Bari 2 febbraio 2002 e App. Bari 16 giugno 2002, in Banca, Borsa e Tit.
cred., 2003, II, 582 ss.; TARANTINO, Concessione abusiva del credito e
legittimazione attiva del curatore all'azione risarcitoria, in Riv. dir. comm,
2003, II, 194 ss.; App. Bari, 17 giugno 2002, in Banca, borsa, tit. cred.,
2003, II, 582-583; App. Bari, 2 luglio 2002, in Fallimento, 2002, 1164; Trib.
Milano, 21 maggio 2001, in Banca, Borsa e tit. cred., 2002, II, 264; App. Bari,
18 febbraio 2003, in Fallimento, 2004, 427; App. Milano, 11 maggio 2004, in
Banca, Borsa e tit. di cred., 2004, II, 643; valorizzano invece il ruolo assunto
dalle citate norme ai fini della soluzione della questione in oggetto,
INZITARI, Le responsabilità, cit., 294 ss.; PATINI, Abusiva concessione di
credito e poteri del curatore, in Fallimento, 2004, 431 ss.; ROLFI, Curatore e
abusiva concessione di credito, in Corr. Giur., 2201, 12, 1646 (in nota a Trib.
Milano 9 maggio 2001); RAGUSA MAGGIORE, La concessione abusiva del credito e la
dichiarazione di fallimento, in Dir. fall. 2002, II, 510 ss.; VISCUSI, Profili,
cit., 142 ss. e 160 ss.; ID., Concessione, cit., 677 ss. e 683 ss.; Trib.
Foggia, 7 maggio 2002, in Dir. fall. 2002, II, 510; Trib. Foggia, 12 dicembre
2000, in Dir. banc. Merc. fin., 2002, I, 294.
[10] ANELLI, La responsabilità risarcitoria della banca per illeciti connessi
nell'erogazione del credito, in Dir. banc. merc. fin. 1998, 154-155; BIBOLINI,
Responsabilità della banca per finanziamento ad imprenditore insolvente, in AA.
Vv., Responsabilità contrattuale, cit., 29 ss. (il quale non prende tuttavia
espressamente posizione sul tema della legittimazione del curatore); CASTIELLO
D'ANTONIO, La responsabilità, cit., 215 ss.; LO CASCIO, op. cit., 1182 ss.;
NIGRO, La responsabilità della banca per concessione abusiva di credito, in
Portale (a cura di) Le operazioni bancarie, Milano, 1978, 250-251; ROBLES,
Erogazione, cit., 278 ss.; TARANTINO, op. cit., 190 ss.; Cass., 9 ottobre 2002,
n. 12368 (ord) in Fallimento 2002, 1157; App. Milano, 11 maggio 2004, cit.;
App. Bari, 3 febbraio 2003, cit.; App. Bari, 2 luglio 2002, cit.; App. Bari, 17
giugno 2002, cit.; contra, DI MARZIO, Abuso e lesione, cit., 171 ss.; INZITARI,
Le responsabilità, cit., 293 ss.; VISCUSI, Profili, cit., 145; ID.,
Concessione, 657 ss., ad avviso della quale l'impostazione descritta è frutto
dell'erronea tendenza a porre l'accento esclusivamente sul profilo della
interferenza della banca sulla formazione della volontà negoziale del singolo
(pur in astratto ipotizzabile), a discapito dell'aspetto di pertinenza
«collettiva», rappresentato dalla lesione della garanzia patrimoniale della massa
dei creditori.
[11] Cfr. nt. 10; v. inoltre, NIGRO, Note e minime, cit., 294.
La posizione di questo Autore che, come ho avuto modo già di osservare (cfr.
INZITARI, Concessione abusiva del credito, cit. supra nota 4) ha avuto quasi
trent'anni or sono il grande merito di avere dato il primo impulso
all'approfondimento di questo tema dell'abusiva concessione di credito (V.
NIGRO, La responsabilità, cit., 301 ss.) appare contrassegnata dalla
preoccupazione che il curatore possa farsi portatore degli interessi delle
pretese individuali di ciascuno dei creditori. Sulla base di questo timore egli
sembrerebbe giungere ad escludere la possibilità per il curatore fallimentare
di far valere in giudizio l'azione in parola. In realtà negli scritti citati lo
stesso Nigro riconosce che il ritardo nell'apertura della procedura concorsuale
comporta una lesione della garanzia patrimoniale dei creditori nel loro
complesso suscettibile di far entrare in gioco la responsabilità della banca,
come pure riconosce la configurabilità di una lesione risarcibile in capo
all'impresa sovvenzionata e la legittimazione all'esercizio dell'azione in capo
al curatore fallimentare nei casi in cui la concessione abusiva sia frutto di
concerto tra la banca e gli amministratori della società (NIGRO, Note minime,
cit., 209); ipotesi, questa, che tra l'altro è molto diffusa, considerato che
dell'aver proseguito l'attività sociale dopo la perdita del capitale sociale
sono responsabili gli amministratori i quali pertanto il più delle volte hanno
avuto uncomportamento collusivo con la banca o perchè con essa concertato o
comunque perchè agevolato e reciprocamente non contrastato. In effetti sembra
che il motivo che porta questo Autore ad escludere la legittimazione del
curatore risieda nella affermazione secondo cui non vi sarebbe possibilità di
configurare un danno alla massa ma piuttosto solo a ciascun creditore. Questo,
secondo l'Autore, sarebbe confermato dal fatto che alla massa dei creditori
partecipa anche la banca cui viene imputato il comportamento lesivo:
risulterebbe pertanto contraddittorio riconoscere al danneggiante la
possibilità di trarre vantaggio dal risultato del risarcimento del danno da
essa provocato e da essa risarcito. E' questo un profilo significativo che in
realtà è rivelatore del fatto che il pregiudizio causato dalla banca viene
sempre inteso quale lesione di un diritto o di un interesse specifico del
singolo creditore e non come lesione al patrimonio del debitore e quindi alla
integrità della garanzia patrimoniale. Se infatti il pregiudizio viene liberato
da ogni connotato soggettivo individualistico e riportato alla sua generale
portata nella dinamica già illustrata della interferenza nei rapporti di
mercato, ciò che rileva quale bene colpito e da tutelare è solo ed unicamente
la pregiudizievole modificazione del livello di garanzia generica e potremo
dire di "copertura" delle obbligazioni indistintamente di tutti i
creditori. L'azione in parola è diretta a reagire e ripristinare le condizioni
di integrità patrimoniale della garanzia patrimoniale, vale a dire che è
diretta a far sì che vengano ripristinati quei livelli di soddisfazione che vi
sarebbero stati senza il ritardo nella dichiarazione di fallimento. Quanto alla
posizione della banca che quale danneggiante non potrebbe godere del
risarcimento, va osservato che questa, se insinuata al passivo, mantiene
naturalmente del tutto intatto il suo diritto di partecipare al concorso quale
creditore concorrente e partecipante al complessivo concorso fallimentare. In
realtà come si vedrà in prosieguo, non vi è alcuna contraddizione sotto nessun
profilo nel fatto che la banca venga chiamata a pagare una somma a titolo del
risarcimento del danno, che quella somma venga ad incrementare il patrimonio da
destinare ai creditori e che pertanto una quota di essa vada ad aumentare
percentualmente anche la quota da assegnare alla banca.
[12] Questo se non altro perché, secondo l'esperienza del giudizio civile,
allorquando una pluralità di danneggiati affida ad un unico difensore il
compito di far valere diverse pretese riconducibili a ciascuno di essi, assai
scarse sono le possibilità di rappresentare in modo efficiente i diritti e le
pretese di ciascuno: tale cumulo soggettivo è efficiente solo se le pretese
fatte valere risultino caratterizzate da sufficiente omogeneità e
intercambiabilità, vale a dire, da un elevato livello di serialità,
caratteristiche che non sono ipotizzabili nei casi in cui è, al contrario,
necessaria, per ogni pretesa fatta valere, un'istruttoria e di una allegazione
probatoria specifica.
[13] In senso analogo, ROLFI, op. cit., 1651-1652; VISCUSI, Profili, cit., 167
SS.; ID., Concessione, 662 ss.
[14] Per l'unitarietà del fenomeno v. anche DI MARZIO, Abuso e lesione, cit.,
171 ss.; INZITARI, Le responsabilità, cit., 293 ss.; VISCUSI, Profili, cit.,
158 ss.; ID., Concessione, 678 ss.
[15] Cfr., BIBOLINI, op. cit., 45, sulla scorta di CASTRONOVO, Diritto privato
generale e diritti secondi. Responsabilità civile e impresa bancaria, in AA.
Vv., Funzione bancaria, rischio e responsabilità della banca, a cura di
Maccarone e Nigro, Milano, 1981, 275 ss.; sul punto si v. i rilievi critici di
ANELLI, op. cit., 155, nt. 41; VISCUSI, Profili, 159 ss.; ID., Concessione, 679
ss.
[16] V. supra, nt. 27; cfr., inoltre, ANELLI, op. cit., 155; CASTIELLO
D'ANTONIO, La responsabilità, cit., 216-217; LIACE, op. cit, 215 ss.; LO
CASCIO, op. cit., 1182; TARANTINO, op. cit., 192-193; Cass., 9 ottobre 2002, n.
12368 (ord.), cit.; App. Milano, 11 maggio 2004; App. Bari, 2 luglio 2002,
cit.; App. Bari, 17 giugno 2002, cit.; contra, VISCUSI, Profili, 169 ss.; ID.,
Concessione, 685 ss. Poco coerenti, sul punto, appaiono Trib. Foggia, 12
dicembre 2000, cit.; Trib. Foggia, 7 maggio 2002, cit., (peraltro condizionate
dalla domanda introduttiva); tali pronunce, infatti, affermano la natura
concorsuale dell'azione ma al tempo stesso escludono le banche dal novero dei
beneficiari della stessa.
[17] Contra, VISCUSI, Concessione, cit., 654, nt. 10; ma v. anche CASTIELLO
D'ANTONIO, Il rischio, cit., 250-251; DI MARZIO, Abuso e lesione, cit.,
180-181; ID., Abuso nella concessione, cit., 207- 208; NIGRO, Note, cit., 297.
Talora al comportamento del debitore è stata attribuita sotto altro profilo
rilevanza decisiva, allo scopo di negare aprioristicamente ogni responsabilità
della banca sin anche nei confronti dei terzi creditori, il cui pregiudizio ?
si afferma ? sarebbe imputabile non già al finanziamento ma all'impiego che
l'imprenditore ne abbia fatto: cfr., particolarmente, VASSEUR, in Aa. Vv.,
Funzione bancaria, cit., 253-254. L'opinione pare tuttavia frutto di una non
condivisibile applicazione dei principi in tema di nesso causale, oltre che
dell'omessa considerazione del fatto che il finanziamento abusivo è, in quanto
tale, effettuato a favore di soggetto che già versa in stato di dissesto e la
prosecuzione della cui attività non potrebbe, dunque, che sortire effetti
sfavorevoli. A questo riguardo deve essere osservato che anche l'eventuale
richiamo ai principi del nesso causale non potrà comportare l'esclusione della
responsabilità della banca: se anche si dovesse ritenere che la banca ha
erogato il credito in adesione alla richiesta dell'immeritevole sovvenuto, tale
concessione di credito manterrebbe quel carattere ingiustificato rispetto ai
criteri professionali e bancari che la banca era tenuta ad osservare con
conseguente responsabilità per il pregiudizio arrecato.
[18] Ricordiamo le parole di GORLA "ogni fatto non è che una serie di
eventi" in Sulla cosiddetta causalità giuridica "fatto dannoso e
conseguenze", in Riv. dir. comm. 1951, cit., 410. Il Maestro pertanto
osservava che il "fatto" è dunque sintesi o unificazione di eventi,
compiuta nella nostra mente in vista di un interessa pratico, teorico o storico
(il cosiddetto "fatto storico" è un caratteristico esempio di questo
processo mentale nel campo della storiografia). E' questo interesse che ci
anima nel momento della sintesi e la determina. Per una ricostruzione del nesso
di casualità, da elemento della fattispecie del fatto illecito a criterio di
limitazione del risarcimento del danno, v. da ultimo, CAPECCHI M., Il nesso di
causalità, in Le monografie di contratto e impresa, Padova 2005.
[19] Cfr. FRANZONI, Fatti illeciti sub art. 2043, in Commentario al codice
civile a cura di Scialoja e Branca, Bologna, 2004, 40; MONATERI, La
responsabilità civile, in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco,
Torino, 1998, 114.
[20] Cfr. MONATERI, cit., 142.
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