Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 19/10/2009 Scarica PDF
Violazione del divieto di agire in conflitto d'interessi nella negoziazione di strumenti finanziari
Bruno Inzitari, Professore1. La
fattispecie oggetto di giudizio
La sentenza del Tribunale di Milano che qui si commenta ha ad oggetto una delle
tante fattispecie in tema di negoziazione di strumenti finanziari che negli
ultimi anni sono state sottoposte al vaglio dell'autorità giudiziaria.
Tuttavia, nonostante il caso concreto non presenti particolari peculiarità
rispetto ai tanti altri fino ad ora giudicati, la pronuncia in esame merita di
essere segnalata per la pregevole applicazione, effettuata dai giudici, della
disciplina del conflitto di interessi nell'ambito della negoziazione di
strumenti finanziari e per le conseguenti soluzioni raggiunte, soprattutto in
tema di accertamento del nesso di causalità e di quantificazione del
risarcimento dei danni subiti dagli investitori.
Gli attori avevano effettuato per il tramite dell'istituto bancario convenuto
un'operazione di investimento in titoli Cirio Holding Sa 6,25%. A seguito delle
note vicende che hanno coinvolto il gruppo Cirio, chiedevano al Tribunale adito
che pronunciasse la nullità/invalidità/inefficacia dell'operazione effettuata
per violazione, da parte della Banca, delle diverse norme del TUF e del
Regolamento Consob 11522/98, che disciplinano gli obblighi di condotta e di
trasparenza di titolarità degli intermediari finanziari nell'attività di
prestazione di servizi di investimento, e comunque richiedevano che fosse loro
riconosciuta una somma di danaro a titolo di risarcimento per i danni subiti.
Il Tribunale accerta la responsabilità della Banca convenuta per violazione del
divieto legale di agire in conflitto di interessi e conseguentemente la
condanna al pagamento di una somma di danaro pari a quella che gli attori
avevano impiegato nell'operazione di investimento oltre, naturalmente, alla
rivalutazione ed agli interessi.
La sentenza merita segnalazione per le svariate tematiche affrontate per altro
ben trattate ed argomentate dal collegio giudicante: il modello di conflitto di
interessi rilevante nell'ambito dell'intermediazione finanziaria ed il
conseguente rimedio applicabile con particolare riferimento all'accertamento
del nesso di causalità ed alla quantificazione del danno risarcibile.
2. Il conflitto di interessi nell'ambito dell'attività di negoziazione di
strumenti finanziari
Nell'ambito dell'attività di negoziazione di strumenti finanziari, la
disciplina che attiene alla prevenzione ed alla gestione delle situazioni di
conflitto di interessi1 assume particolare rilievo poiché gli intermediari
finanziari abilitati, ed in particolare le banche, sono soggetti polifunzionali
e sono quindi autorizzati a svolgere differenti attività nei confronti della
clientela. Per questa ragione, gli intermediari finanziari possono trovarsi con
i clienti in situazioni di potenziale conflitto nelle quali anziché perseguire
interamente, come sarebbe loro d'obbligo, l'interesse del cliente, finiscono in
realtà per perseguire i propri.
L'art. 21, comma 1, lettera c) del TUF dispone che, nella prestazione dei
servizi di investimento ed accessori, i soggetti abilitati devono
"organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di
interesse e, in situazioni di conflitto, agire in modo tale da assicurare
comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento".
Si afferma tradizionalmente che questa norma di legge è strutturata su un
doppio livello: da un lato, il legislatore si premura di imporre agli
intermediari di organizzarsi strutturalmente in modo tale da prevenire, per
quanto possibile, il verificarsi di situazioni di conflitto di interessi;
dall'altro lato, lo stesso legislatore, consapevole dell'inevitabilità2 del
crearsi nella comune prassi di tali situazioni di conflitto, impone agli stessi
intermediari abilitati, allorché si presentino tali situazioni, di assumere una
condotta tale da assicurare in ogni caso ai clienti trasparenza ed un equo
trattamento, evidenziando in particolare la titolarità di interessi di natura
diversa che possono entrare in conflitto con quelli del cliente e
specificandone la natura oltre che l'estensione.
L'art. 27 del Regolamento Consob 11522/98 rubricato "Conflitti di
interesse", in attuazione dell'art. 21, comma 1, lettera c) del TUF
dispone che "1. Gli intermediari autorizzati vigilano per l'individuazione
dei conflitti di interessi. 2. Gli intermediari autorizzati non possono
effettuare operazioni con o per conto della propria clientela se hanno
direttamente o indirettamente un interesse in conflitto, anche derivante da
rapporti di gruppo, dalla prestazione congiunta di più servizi o da altri
rapporti di affari propri o di società del gruppo, a meno che non abbiano
preventivamente informato per iscritto l'investitore sulla natura e
l'estensione del loro interesse nell'operazione e l'investitore non abbia
consentito espressamente per iscritto all'effettuazione dell'operazione. Ove
l'operazione sia conclusa telefonicamente, l'assolvimento dei citati obblighi
informativi e il rilascio della relativa autorizzazione da parte
dell'investitore devono risultare da registrazione su nastro magnetico o su
altro supporto equivalente. 3. Ove gli intermediari autorizzati, ai fini
dell'assolvimento degli obblighi di cui al precedente comma 2, utilizzino
moduli o formulari prestampati, questi devono recare l'indicazione,
graficamente evidenziata, che l'operazione è in conflitto di interessi".
In primo luogo, quindi, gli intermediari abilitati devono organizzarsi in modo
tale da ridurre al minimo le situazioni di conflitto di interessi. Il
successivo art. 56, commi 3 e 4, del Regolamento Consob 11522/98 individua il
contenuto di questi obblighi organizzativi. Tale norma impone in capo agli
intermediari autorizzati l'obbligo di adottare procedure interne finalizzate ad
assicurare che non si verifichino scambi di informazioni fra i settori dell'
organizzazione aziendale che devono essere tenuti separati oppure con altre
società del gruppo che prestano servizi di negoziazione, ricezione e
trasmissione di ordini, collocamento oltre che servizi accessori.
La mancata osservanza dei principi dell'art. 56 appena citato, ha assunto
peraltro una particolare rilevanza anche sotto altri profili. La violazione
degli obblighi (previsti dall'art. 56), di dotarsi di una organizzazione
adeguata allo svolgimento dell'attività di contrattazione in derivati, è stato
alla base di provvedimenti sanzionatori della CONSOB, confermati dalla Corte
d'Appello di Milano3, per il comportamento tenuto da un intermediario appunto
nella contrattazione di prodotti derivati. Secondo l'autorità di vigilanza,
l'intermediario avrebbe dovuto dotarsi di una organizzazione caratterizzata da
risorse e procedure anche di controllo interno, idonea a fornire una
ricostruzione delle modalità, dei tempi e dei comportamenti posti in essere
nella prestazione di servizi, al fine di assicurare una adeguata vigilanza
interna sulle attività svolte dal personale della stessa banca. La attuazione
di questi obblighi e la predisposizione di questa misure da parte
dell'intermediario, quindi sono entrati a far parte dello stesso contenuto del
dovere di diligenza, a carico dell'intermediario, in quanto la mancata
osservanza di tali presupposti anche organizzativi comporta la violazione del
dovere di diligenza specificamente previsto all'art. 21 del TUF.
Qualora l'adozione di queste procedure interne, come può accadere, non sia
stata comunque in grado di evitare il sorgere di situazioni di conflitto di
interessi, si applica allora la regola del c.d. disclose or abstain:
l'intermediario deve riferire al cliente della situazione di conflitto di
interessi in cui si trova coinvolto, della sua natura e della sua estensione ed
ottenere la sua autorizzazione scritta, altrimenti dovrà astenersi dal
procedere con l'operazione.
Il legislatore consente dunque l'effettuazione di operazioni in conflitto di
interessi purché il tutto si verifichi nel rispetto di determinate condizioni
(preventiva informazione per iscritto sulla natura e l'estensione
dell'interesse nell'operazione e consenso dell'investitore espresso per
iscritto all'effettuazione dell'operazione) affinché il cliente sia reso edotto
chiaramente ed esaustivamente dell'esistenza di un conflitto che potrebbe
pregiudicare la soddisfazione dei suoi interessi. Non è, quindi, sufficiente la
mera dichiarazione dell'esistenza di un conflitto di interessi in mancanza
dell'indicazione contestuale riferita alla natura ed all'estensione
dell'interesse dell'intermediario nell'operazione che si presenta in conflitto
con quello del cliente investitore4.
La legge non vieta di concludere operazioni in conflitto di interessi in quanto
un divieto assoluto ex ante impedirebbe il compimento di un numero
considerevole di operazioni, a detrimento del regolare funzionamento del
mercato dei servizi di investimento, che invece l'ordinamento giuridico intende
tutelare. Tuttavia, lo stesso ordinamento, condiziona la conclusione di tale
tipologia di operazioni all'obbligo di rispettare due concorrenti oneri
ovverosia l'informativa da parte dell'intermediario e l'autorizzazione da parte
dell'investitore.
Giova tuttavia ribadire che la presenza dell'autorizzazione scritta rilasciata
dall'investitore non esime l'intermediario dall'osservanza sempre e comunque
delle regole di correttezza e diligenza: l'intermediario deve, infatti,
informare in ogni caso il cliente, non solo circa le caratteristiche del titolo
oggetto di negoziazione, ma anche relativamente alla natura e all'estensione
del conflitto di interessi.
Il giudice è dunque chiamato in primo luogo ad accertare se le operazioni
intercorse tra intermediario e cliente siano state svolte in una situazione di
conflitto di interessi e successivamente, in caso di esito positivo di tale
attività di accertamento, verificare se sia stata rispettata dall'intermediario
la disciplina imposta dalla normativa di legge e da quella regolamentare5.
L'intermediario ha l'obbligo di effettuare le comunicazioni prescritte - al di
là della speciale ipotesi prevista dall'art. 45 del Regolamento Consob 11522/98
- prima di ogni singola operazione e non, come da alcuni sostenuto6, solamente
nella fase iniziale e cioè al momento della stipulazione del contratto -
quadro. Ciò perché, al momento della sottoscrizione del contratto quadro,
l'intermediario ancora non sa quali saranno i prodotti finanziari oggetto dei
futuri ordini di acquisto dell'investitore ed in particolare non sa se presso
l'investitore saranno collocati prodotti emessi dallo stesso intermediario
oppure prodotti emessi da società terze; oppure ancora, non sa se la
negoziazione si svolgerà in contropartita diretta o meno. Al momento della
conclusione del contratto - quadro, l'intermediario non è, dunque, nelle
condizioni per acquisire tutte le informazioni necessarie e sufficienti per
effettuare una corretta e completa disclosure dell'eventuale situazione di
conflitto ma lo sarà solo nel momento antecedente le successive operazioni
allorquando saranno individuati in modo determinato i prodotti finanziari
oggetto di negoziazione.
3. segue: La disciplina del conflitto di interessi dopo la Direttiva MIFID
L'intervento comunitario avvenuto con la Direttiva MIFID e le successive
direttive di attuazione mostra un cambiamento di rotta, orientandosi per una
politica di gestione del conflitto piuttosto che per una politica di
prevenzione del conflitto, conflitto che il legislatore comunitario assume
essere sostanzialmente ineliminabile.
Il par. 3 dell'art. 13 della direttiva MIFID rubricato "Requisiti di
organizzazione" dispone che "le imprese di investimento mantengono e
applicano disposizioni organizzative ed amministrative efficaci al fine di
adottare tutte le misure ragionevoli destinate ad evitare che i conflitti di
interesse (...) incidano negativamente sugli interessi dei loro clienti".
Questa è un'impostazione diversa rispetto a quella risultante dal TUF e dal
Regolamento Consob 11522/98 appena esaminata in quanto non considera l'aspetto
preventivo della tutela costituito dal divieto di concludere operazioni in
conflitto di interessi ma impone all'intermediario di evitare che il conflitto
di interessi, che viene considerato alla stregua di una situazione
fisiologicamente inevitabile, incida negativamente sugli interessi dei
clienti7.
Si elimina sostanzialmente tutta la fase della disclosure e della conseguente
richiesta dell'autorizzazione al cliente, per concentrare tutte le forze sui
profili organizzativi in modo tale che l'eventuale conflitto di interessi non
possa incidere negativamente sugli interessi degli investitori.
E' infatti previsto che, in fase di recepimento della direttiva, l'obiettivo di
"evitare che i conflitti di interesse (...) incidano negativamente sugli
interessi dei clienti" deve essere perseguito mediante l'imposizione agli
intermediari finanziari dell'obbligo di emanare norme di organizzazione
preordinate al raggiungimento dell'obiettivo.
Tuttavia, non viene in alcun modo indicato il contenuto che devono possedere
queste norme ed, inoltre, è previsto che, qualora le disposizioni organizzative
adottate per gestire i conflitti di interessi non si rivelino sufficienti per
assicurare, con ragionevole certezza, che il rischio di nuocere agli interessi
dei clienti sia evitato, l'impresa di investimento è tenuta, prima di agire, ad
informare i clienti della natura e delle fonti di questi conflitti. Questa
previsione non precisa però se è necessaria una specifica autorizzazione da
parte del cliente oppure se è sufficiente la mera informazione perché l'impresa
di investimento possa procedere all'operazione.
Inoltre, il XXV "considerando" della Direttiva 2006/39/CE prevede che
lo status del cliente (cliente al dettaglio, cliente professionale o contraente
qualificato) al quale il servizio di investimento è fornito, è irrilevante al
fine dell'applicazione della disciplina del conflitto di interessi8. Per il
principio di prevalenza del diritto comunitario, l'art. 31 del Regolamento
Consob 11522/98 che esclude l'applicabilità di parte della normativa primaria e
secondaria agli operatori qualificati, deve intendersi quindi modificato nel
senso che deve ritenersi escluso l'art. 27 dall'elenco di norme che non si
applicano in caso di prestazione di servizi di investimento nei confronti dei
soggetti ivi indicati.
La disciplina del conflitto di interessi si applica quindi a tutti gli
investitori, indipendentemente dalla loro qualificazione quali clienti al
dettaglio, clienti professionali oppure contraenti qualificati.
Il nuovo Regolamento Consob 16190/2007 non contiene, a differenza del
precedente, alcuna norma in materia di conflitto di interessi. La sua
disciplina si trova, infatti, nel "Regolamento in materia di
organizzazione e procedure degli intermediari che prestano servizi di
investimento o di gestione collettiva del risparmio" adottato dalla Banca
d'Italia e dalla Consob con provvedimento del 29 ottobre 2007.
Al tema del conflitto di interessi è dedicata tutta la parte terza del
Regolamento che contiene quattro articoli, dal 23 al 26, rispettivamente
rubricati "Principi generali", "Conflitti di interesse
rilevanti", "Politica di gestione dei conflitti di interessi" e
"Registro".
L'art. 23 riprende in sostanza le finalità, espresse nella direttiva MIFID,
della creazione all'interno della struttura di ogni singolo intermediario di
una politica dell'organizzazione atta ad evitare che eventuali conflitti di
interesse possano pregiudicare negativamente gli intereressi degli investitori.
In primo luogo questa norma prevede che gli intermediari devono adottare ogni
misura ragionevole per identificare i conflitti di interesse che potrebbero
insorgere con il cliente o tra clienti al momento della prestazione dei servizi
di investimento. Il secondo comma, in considerazione della polifunzionalità che
caratterizza l'attività dell'intermediario, dispone che gli intermediari
gestiscano i conflitti di interesse anche adottando idonee misure organizzative
e assicurando che l'affidamento di una pluralità di funzioni ai soggetti
rilevanti impegnati in attività che implicano un conflitto di interesse non
impedisca loro di agire in modo indipendente, evitando così che questi
conflitti incidano negativamente sugli interessi dei clienti. Ad ogni modo, e
qui rientra il principio del disclose or abstain, quando le misure adottate ai
sensi delle precedenti disposizioni non sono sufficienti per assicurare che il
rischio di nuocere agli interessi dei clienti sia evitato, gli intermediari
informano chiaramente i clienti, prima di agire per loro conto, della natura
dei conflitti affinché essi possano assumere una decisione informata sui
servizi prestati, tenuto conto del contesto in cui le situazioni di conflitto
si manifestano. V'è peraltro da notare che la norma non è esaustivamente
chiara, non prevedendo se l'informazione fornita dall'intermediario è
sufficiente per poter procedere con l'operazione oppure se è necessario
ottenere l'espressa autorizzazione dell'investitore.
Il successivo art. 24 indica un criterio minimo attraverso il quale
identificare i conflitti di interesse che possono nuocere agli investitori. Se
a seguito della prestazione di servizi, l'intermediario (oppure un soggetto
rilevante o un soggetto avente con essi un legame di controllo, diretto o
indiretto) può realizzare un guadagno finanziario o evitare una perdita
finanziaria, a danno del cliente, oppure è portatore di un interesse nel
risultato del servizio prestato al cliente, distinto da quello del cliente,
oppure abbia un incentivo a privilegiare gli interessi di clienti diversi da
quello a cui il servizio è prestato, oppure svolga la medesima attività del
cliente, oppure ancora, ed infine, riceva o possa ricevere da una persona
diversa dal cliente, in relazione con il servizio a questi prestato, un
incentivo, sotto forma di denaro, beni o servizi, diverso dalle commissioni o
dalle competenze normalmente percepite per tale servizio, si deve ritenere che
l'intermediario abbia un interesse in conflitto con l'investitore tale da
potere incidere negativamente sui suoi interessi.
Il successivo art. 25 si occupa del profilo della politica di gestione dei
conflitti di interessi che, come abbiamo visto, costituisce il momento
essenziale della nuova disciplina di derivazione comunitaria. Esso prevede che
gli intermediari formulino per iscritto, applichino e mantengano un'efficace
politica di gestione dei conflitti di interesse in linea con il principio di
proporzionalità. In particolare, la politica di gestione dei conflitti di
interesse deve: a) consentire di individuare, in relazione ai servizi e alle
attività di investimento e ai servizi accessori prestati, le circostanze che
generano o potrebbero generare un conflitto di interesse idoneo a ledere
gravemente gli interessi di uno o più clienti; b) definire le procedure da
seguire e le misure da adottare per gestire tali conflitti. Queste ultime
procedure devono garantire che i soggetti rilevanti impegnati in varie attività
che implicano un conflitto di interesse svolgano tali attività con un grado di
indipendenza appropriato, tenuto conto delle dimensioni e delle attività
dell'intermediario e del suo gruppo nonché della rilevanza del rischio che gli
interessi del cliente siano danneggiati. Al fine di garantire questa indipendenza
gli intermediari devono adottare, laddove appropriato, misure e procedure volte
a: a) impedire o controllare lo scambio di informazioni tra i soggetti
rilevanti coinvolti in attività che comportano un rischio di conflitto di
interesse, quando lo scambio di tali informazioni possa ledere gli interessi di
uno o più clienti; b) garantire la vigilanza separata dei soggetti rilevanti le
cui principali funzioni coinvolgono interessi potenzialmente in conflitto con
quelli del cliente per conto del quale un servizio è prestato; c) eliminare
ogni connessione diretta tra le retribuzioni dei soggetti rilevanti che
esercitano in modo prevalente attività idonee a generare tra loro situazioni di
potenziale conflitto di interesse; d) impedire o limitare l'esercizio di
un'influenza indebita sullo svolgimento, da parte di un soggetto rilevante, di
servizi o attività di investimento o servizi accessori; e) impedire o
controllare la partecipazione simultanea o successiva di un soggetto rilevante
a distinti servizi o attività di investimento o servizi accessori, quando tale
partecipazione possa nuocere alla gestione corretta dei conflitti di interesse.
L'ultimo comma, contiene una disposizione di tipo residuale secondo la quale
qualora le misure e procedure non assicurino l'indipendenza richiesta, gli
intermediari adottano le misure e procedure alternative o aggiuntive necessarie
e appropriate a tal fine.
Da ultimo, l'art. 26 istituisce un registro nel quale gli intermediari devono
annotare i tipi di servizi di investimento o accessori o di attività di
investimento interessati, le situazioni nelle quali sia sorto, o, nel caso di
un servizio o di un'attività in corso, possa sorgere un conflitto di interesse
che rischia di ledere gravemente gli interessi di uno o più clienti.
4. Il rimedio applicabile nel caso di negoziazione in conflitto di interessi
Nella fattispecie sottoposta all'esame dei giudici milanesi, la quasi totalità
delle obbligazioni Cirio nelle quali avevano investito gli attori era in
origine destinata, come si è potuto rinvenire dalle "offering
circulars", ai c.d. investitori istituzionali. Nella realtà esse furono
successivamente collocate presso il pubblico dei piccoli risparmiatori,
nonostante nel contratto fosse stato garantito che in alcun modo nello Stato
italiano i titoli sarebbero stati venduti o collocati attraverso la forma della
sollecitazione al pubblico.
Ciò che in verità accadde fu che il Gruppo Cirio collocò i titoli in esame
presso le banche che vantavano crediti nei confronti del Gruppo stesso le quali
li ricollocarono quasi immediatamente presso il pubblico dei risparmiatori,
senza segnalare l'evidente conflitto di interessi di cui la banca era titolare.
In particolare, nell'operazione di lancio sul mercato dell'obbligazione facente
parte di ben sette emissioni, la Banca convenuta partecipò al consorzio di
collocamento come lead manager ed acquistò i titoli in esame ad un prezzo non
solo inferiore a quello di emissione ma anche a quello praticato
successivamente agli attori, perseguendo dunque il proprio interesse e
certamente non quello dei risparmiatori. Come se ciò non bastasse, l'istituto
di credito aveva, nel contempo, aperto linee di credito nei confronti di
diverse società dello stesso gruppo Cirio per svariati milioni di Euro.
In ragione del crack finanziario che ha successivamente investito il gruppo,
pare chiaro che la successiva collocazione presso i risparmiatori, avvenuta
nella c.d. fase di grey market, di tali titoli fosse finalizzata ad una loro
pronta e snella dismissione. A ciò si deve aggiungere che, l'emissione di
questi strumenti finanziari aveva consentito al Gruppo Cirio, che grazie a
questa operazione aveva ricevuto liquidità, di ridurre il debito nei confronti
della Banca stessa.
Come ben sottolineato nelle motivazioni della sentenza, la Banca aveva quindi
assunto una triplice veste: di finanziatore delle linee di credito (con diritto
di voto nelle assemblee in qualità di creditore pignoratizio), di lead manager
del consorzio di collocamento delle obbligazioni e di intermediario finanziario
nella vendita di alcune emissioni di obbligazioni.
La Banca convenuta aveva dunque chiaramente violato la regola del disclose or
abstain in precedenza analizzata.
Il particolare ed unico tema oggetto di analisi in questa sentenza, cioè il
conflitto di interessi, non consente di effettuare in questa sede digressioni
nel più ampio e dibattuto ambito che riguarda i rimedi applicabili in caso di
violazione da parte degli intermediari delle regole di condotta e degli
obblighi di informazione imposti dalla disciplina legislativa e regolamentare9.
Ci limitiamo a ricordare che la recente pronuncia delle Sezioni Unite della
Corte di Cassazione10, chiamate dalla Prima Sezione a risolvere una questione
di massima di particolare importanza e le cui conclusioni non sono state con
favore accolte da buona parte della dottrina11, ha escluso l'applicabilità del
rimedio della nullità per ogni caso di violazione della disciplina appena
citata, ribadendo che la violazione di norme di comportamento può solo
comportare la responsabilità delle parti contraenti e come tale essere causa di
risoluzione del contratto oppure di attribuzione di responsabilità a titolo
precontrattuale, ma che essa mai può incidere sull'atto negoziale nel senso di
comportarne la sua nullità.
Nonostante le conclusioni raggiunte nella citata pronuncia, un'attenta
dottrina12 ha riproposto l'applicabilità del rimedio della nullità del
contratto per le operazioni compiute in conflitto di interessi e per le
operazioni inadeguate, qualora siano state violate le norme dettate dal TUF e
dai decreti attuativi della Consob. Secondo questa ricostruzione queste
particolari fattispecie devono essere considerate diversamente rispetto a
quelle disciplinate dai più generali obblighi informativi imposti dalla
normativa di settore in quanto ad esse è imposto un preciso divieto legale di
condotta che può essere superato solamente allorquando si adempiano specifiche
modalità esecutive. Si tratta dunque della violazione di uno specifico divieto
legale di compiere operazioni inadeguate o in conflitto di interessi che
l'ordinamento giuridico disapprova e per il quale il rimedio applicabile più
appropriato appare dunque essere quello della nullità per illiceità della causa
per l'esigenza di ordine pubblico di evitare il diffondersi di operazioni
pericolose.
Ciò nonostante, in ragione della funzione nomofilattica svolta dalla della
giurisprudenza delle Sezioni Unite, il Tribunale di Milano rigetta la domanda
di nullità ma condanna la banca convenuta al risarcimento dei danni subiti
dall'attore.
5. Risarcimento del danno ed accertamento del nesso causale
La pronuncia che qui si commenta affronta in modo compiuto e convincente una
problematica che sino ad ora non era stata esaminata con il dovuto
approfondimento: il problema del nesso di causalità tra l'accertato
inadempimento degli obblighi imposti per il caso di conflitto di interessi ed
il danno subito dal cliente.
Le stesse Sezioni Unite appena citate, che poco spazio hanno dedicato a questo
particolare tema, avevano, nonostante le, a mio sommesso avviso, non
convincenti conclusioni a cui erano giunte in tema di rimedi applicabili, a tal
proposito esattamente affermato che, a differenza dalle altre fattispecie ove
assumono rilevanza le condotte concretamente poste in essere dall'intermediario
abilitato, nel caso di operazione conclusa in conflitto di interessi, è il
compimento stesso dell'operazione ad essere rilevante e non il fatto che
l'operazione compiuta possa comportare un risultato contrario agli interessi
del cliente.
I giudici della Suprema Corte avevano in tal modo valorizzato il divieto di
agire, a ciò facendo correttamente conseguire il principio che il nesso di
causalità tra risarcimento e danno patito dal cliente, consistente nella
perdita totale o parziale dell'investimento, deve considerarsi sussistente in
re ipsa13. A questo proposito, i giudici della Suprema Corte avevano, infatti,
affermato che "Ai fini dell'individuazione di un eventuale danno
risarcibile subito dal cliente e del nesso di causalità tra detto danno e
l'illegittimo comportamento imputabile all'intermediario, assumono rilievo le
conseguenze del fatto che l'intermediario medesimo non si sia astenuto dal
compiere un'operazione dalla quale, in quelle circostanze, avrebbe dovuto astenersi
(sempre che, s'intende, risulti provato che nel caso in esame aveva l'obbligo
di astenersene), non quelle derivanti dalle modalità con cui l'operazione è
stata in concreto realizzata o avrebbe potuto esserlo ipoteticamente da altro
intermediario". In sostanza, una volta accertata la presenza di un divieto
legale di agire, l'illecito si consuma nel semplice fatto di agire in
violazione di quel divieto.
A questo riguardo debbo rilevare che si tratta della applicazione di un
principio del tutto logico e che è infatti previsto nel codice civile come
principio di carattere generale.
La generale disciplina dell'inadempimento delle obbligazioni, dopo aver
regolato la responsabilità per inadempimento del debitore con gli artt.
1218-1221, relativi infatti alla costituzione in mora ed agli effetti della
mora sul rischio, dedica alle obbligazioni negative uno specifico articolo,
l'art. 1222, che ha la funzione di "staccare" le obbligazioni
negative dalla disciplina generale dell'inadempimento. Considerata la natura
dell'obbligo negativo, vale a dire di non fare, che incombe sul debitore,
l'inadempimento si manifesta per queste obbligazioni in modo immediato,
definitivo ed irreversibile.
L'art. 1222, stabilisce infatti l'inapplicabilità alle obbligazioni negative
delle disposizioni sul ritardo nell'adempimento, vale a dire le disposizioni
sulla mora, ed inoltre aggiunge che ogni fatto compiuto in violazione
dell'obbligazione negativa che incombe sul debitore, costituisce di per sé
inadempimento definitivo.
Pertanto, come ogni fatto compiuto in violazione dell'obbligo negativo,
costituisce per il debitore inadempimento definitivo, allo stesso modo l'agire
da parte dell'intermediario in conflitto di interessi realizza l'illecito, in
quanto l'illecito scaturisce dal fatto di avere agito in violazione del
divieto.
Questo principio, con riguardo alla negoziazione di strumenti finanziari, è
stato fatto proprio da una successiva pronuncia del Tribunale di Venezia che ha
statuito che "se in generale grava specificamente sull'investitore l'onere
di dimostrare il nesso di causalità tra inadempimento degli obblighi
comportamentali e danno (...) vi sono, tuttavia, talune ipotesi nelle quali,
come emerge inequivocabilmente dalla lettura della sentenza n. 27624/07 delle
S.U. della Suprema Corte, il nesso di causalità in questione deve ritenersi in
re ipsa (...), come nel conflitto di interessi e nelle operazioni inadeguate,
nelle quali (...) l'intermediario può legittimamente dar attuazione all'ordine
di investimento solo in presenza di determinate condizioni non ricorrendo le
quali lo stesso ha l'obbligo di astenersi. Ove l'intermediario non si sia
astenuto dal compiere un'operazione dalla quale avrebbe dovuto necessariamente
astenersi (...) deve ritenersi che l'intermediario abbia concorso causalmente
alla determinazione del danno"14.
Il Tribunale di Milano accoglie pienamente questo principio, riprendendo la
distinzione tra conflitto di interessi come situazione, come azione e come
risultato dell'azione, formulata da una dottrina che ha fornito un rilevante
contributo ricostruttivo sul tema15. In particolare, i giudici milanesi
correttamente sottolineano come il divieto legale di compiere un'operazione in
conflitto di interessi senza provvedere a fornire le informazioni ed ad ottenere
l'autorizzazione richiesta opera in presenza del semplice presupposto
dell'esistenza di un conflitto di interessi (da intendersi conflitto di
interessi come situazione) e ciò indipendentemente dall'incidenza effettiva
dell'interesse in conflitto sulla condotta tenuta dall'intermediario (conflitto
di interessi come azione) oppure sugli effetti dell'operazione (conflitto di
interessi come risultato dell'azione) conclusa con l'investitore.
Nell'ambito dell'attività di negoziazione degli strumenti finanziari è dunque
rilevante il solo conflitto di interessi come situazione.
Come è noto, ai sensi di quanto disposto dagli artt. 1394 e 1395 cod. civ., non
è sufficiente l'esistenza di una mera situazione di sospetto dell'esistenza di
un conflitto di interessi perché il rappresentato possa impugnare il contratto,
ma deve essersi prodotto un vero e proprio danno in capo al rappresentato
affinché l'atto giuridico concluso dal rappresentante possa essere sottoposto
alla sanzione della annullabilità16.
Nell'ambito dell'attività di negoziazione degli strumenti finanziari, per i
motivi appena enunciati, è irrilevante, ai fini della configurabilità di una
situazione di confitto di interessi, la concreta esistenza di un danno per il
cliente consistente nella differenza tra il prezzo effettivo di acquisto ed il
prezzo di mercato dei titoli.
La fattispecie del conflitto di interessi nel quadro della negoziazione degli
strumenti finanziari è, infatti, ben più complessa di quella di cui all'art.
1394 cod. civ.
Nell'ambito della negoziazione degli strumenti finanziari, la gestione delle
situazioni di conflitto di interessi è infatti caratterizzata da una
particolare disciplina informativa, diretta a salvaguardare gli interessi del
cliente e ad assicurare la tutela e l'integrità del mercato finanziario, che
pone l'accento, in particolare, sul pericolo di danno e sulla correttezza della
condotta dell'intermediario.
Gli obblighi informativi assumono dunque una peculiare ed autonoma valenza in
quanto la preventiva conoscenza del loro oggetto è un momento essenziale per la
formazione della volontà del risparmiatore nel concedere o meno la propria
autorizzazione all'operazione tanto che il cliente può successivamente
eventualmente agire nei confronti dell'intermediario in base al semplice
presupposto che questi, in una situazione di conflitto di interessi, non ha
adempiuto agli specifici obblighi impostigli dalla disciplina legislativa e
regolamentare.
Nella disciplina codicistica il conflitto di interessi è considerato quale risultato
della condotta ed è richiesto necessariamente il verificarsi di un danno per il
soggetto rappresentato perché possa trovare applicazione il rimedio
dell'annullabilità del contratto, indipendentemente dal fatto che il contratto
è contrario all'interesse del rappresentato per l'esistenza di un interesse in
conflitto o per la violazione, da parte del rappresentante, degli obblighi di
comportarsi secondo la specifica diligenza richiesta. Nella disciplina del
settore della negoziazione degli strumenti finanziari, invece, l'obbligo di
segnalazione del conflitto non viene mai meno, indipendentemente dall'esistenza
o meno di un danno17.
Solo questa interpretazione consente alla normativa emanata dal legislatore di
svolgere appieno la propria funzione preventiva e di evitare che, come spesso
accade, meri formalismi rappresentati da comunicazioni scritte ed
autorizzazioni (spontaneamente?) rilasciate, si attestino su piani di tutela
meramente letterali.
Sempre con riferimento alla problematica attinente l'accertamento del nesso di
causalità, i giudici milanesi affrontano poi anche il tema della rilevanza
dell'andamento sfavorevole del mercato.
Pur condividendo l'assunto secondo il quale, probabilmente, la perdita di
valore dello strumento finanziario oggetto della controversia si sarebbe
comunque verificata anche se l'operazione fosse stata posta in essere da un
intermediario diverso, non portatore di un interesse in conflitto, il Tribunale
di Milano esclude che questa circostanza possa eliminare la sussistenza del
nesso di causalità in virtù del fatto che la previsione di un divieto legale di
agire in conflitto di interessi svolge proprio una funzione di carattere
preventivo e, con la conseguenza che, nel caso in cui tale divieto venga
violato, il rischio della perdita di valore dello strumento finanziario viene
trasferito sull'intermediario autore della violazione del divieto di agire in
conflitto.
Ma v'è di più. Proprio perché l'andamento sfavorevole del mercato costituisce
il rischio tipico del settore di cui si discerne, esso non può valere quale
fattore di interruzione del nesso causale e ciò anche in ragione del principio,
teorizzato in dottrina18 e consolidato in giurisprudenza, secondo il quale
qualora un soggetto abbia violato un precetto specifico egli dovrà rispondere
per tutti quei danni che sono realizzazione di quel rischio che con la
previsione di quella norma si voleva evitare (c.d. teoria dello scopo della
norma).
Di particolare interesse è, infine, anche l'ultima statuizione formulata dai
giudici milanesi secondo i quali la mancata astensione dal compimento
dell'operazione comporta l'obbligo di risarcire l'intero interesse positivo e,
dunque, la perdita integrale, o anche solo parziale, del capitale investito,
essendo del tutto irrilevante, per i motivi che abbiamo prima esaminato, come
la stessa operazione avrebbe potuto essere in concreto realizzata se a porla in
essere fosse stato un altro intermediario privo di un interesse in conflitto
con quello del cliente.
La banca viene così condannata alla restituzione della somma investita dal
cliente, oltre rivalutazione ed interessi.
Per inciso, giova rilevare che il cliente ottiene invece lo stesso risultato
che avrebbe ottenuto se, invece di applicare il rimedio
inadempimento/risarcimento, come indicato dalle Sezioni Unite, il Tribunale
avesse accolto e quindi applicato il rimedio della nullità.
1) In dottrina, cfr. INZITARI - PICCININI, La tutela del cliente nella
negoziazione di strumenti finanziari, in Il diritto degli affari a cura di
Inzitari, Padova, 2008, 112 ss.; LUMINOSO, Il conflitto di interessi nel
rapporto di gestione, in Riv. dir. civ., 2007, 739 ss.; SCOTTI CAMUZZI, I
conflitti di interessi fra intermediari finanziari e clienti nella direttiva
MIFID, in Banca, borsa, tit. cred., 2007, I, 1 ss.; LENER, Il conflitto di
interessi nella gestione di patrimoni, individuali e collettive, in Banca,
borsa, tit. cred., 2007, I, 429 ss; MAFFEIS, Contro l'interpretazione abrogante
della disciplina preventiva del conflitto di interessi (e di altri pericoli)
nella prestazione dei servizi di investimento, in Riv. dir. civ., 2007, II, 71
ss.; ID., Forme organizzative, cura dell'interesse ed organizzazione
dell'attività nella prestazione di sevizi di investimento, in Riv. dir. priv.,
2005, 585 ss.; ID., Conflitto di interessi nel contratto e rimedi, Milano,
2002; BOCHICCHIO, Conflitto di interessi nella prestazione dei servizi
finanziari: contributo all'elaborazione del conflitto d'interesse dei rapporti
contrattuali di impresa, in Dir. fall., 2003, I, 781; ROSA, I "regolamenti
attuativi" in materia di sim: pluralità di competenze e varietà di scopi,
in CERA (a cura di) La regolazione dei soggetti finanziari nell'attività
normativa delle autorità, Milano, 2002, 167; RAZZANTE, Servizi di investimento
e conflitti di interesse tra lex specialis e norme civilistiche: un tentativo
di ricostruzione della disciplina applicabile, in Riv. dir. comm., 2004, 59;
VISENTINI, La disciplina del conflitto di interessi nel mercato mobiliare, in Nuova
giur. civ. comm., 2002, 456; SARTORI, Il conflitto di interessi tra
intermediari e clienti nello svolgimento di servizi di investimento e
accessori: un problema risolto?, in Riv. dir. civ., 2001, II, 208 ss.; PINORI,
Il conflitto d'interessi nell'intermediazione mobiliare, in L'intermediazione
mobiliare. Studi in memoria di Aldo Malsano a cura di Mazzamuto - Terranova,
Napoli, 1993, 150 ss.; AFFERNI, Rappresentanza e conflitto di interessi
nell'ambito dell'impresa, in Rappresentanza e gestione a cura di VISINTINI, Padova,
1992, 206 ss.
2) Sul punto cfr. RAZZANTE, op. cit., 56 il quale testualmente afferma che
"il legislatore sembra prendere atto del "conflitto" come di
qualcosa di ineluttabile, come di un'evenienza ineliminabile, ma solo evitabile
e al massimo comprimibile".
3) Cfr. App. Milano 13 novembre 2008, in ilcaso.it, ed in corso di
pubblicazione su Giurisprudenza Italiana, con nota di INZITARI, Sanzioni Consob
per l'attività in derivati: organizzazione procedure e controlli quali
parametri della nuova diligenza professionale e profili di ammissibilità delle
c.d. rimodulazioni.
4) Cfr. App. Torino, 9 novembre 2007; Trib. Rimini, 21 aprile 2007, cit.,
secondo il quale "L'informazione da parte dell'intermediario
dell'esistenza del conflitto di interessi deve espressamente illustrare la
natura e le caratteristiche del conflitto e la situazione concreta nella quale
lo stesso si esplica. In difetto non può ritenersi sussistente il consenso
informato dell'investitore".
5) Una deroga al meccanismo di cui all'art. 27, è prevista dall'art. 45 dello
stesso Regolamento Consob 11522/1998, in tema di prestazione del servizio di
gestione individuale di portafogli per conto terzi. Secondo tale norma, non v'è
il dovere di informare di volta in volta l'investitore circa l'estensione e la
natura di eventuali conflitti di interessi che si presentino in occasione
dell'esecuzione delle varie operazioni, essendo sufficiente la descrizione
della situazione conflittuale nel contratto - quadro e l'approvazione del
cliente al momento della conclusione del contratto stesso. Qualora, tuttavia,
gli strumenti finanziari acquistati superino determinate soglie sarà
necessario, per l'eccedenza, rispettare la disciplina generale di cui all'art.
27. Sul rapporto tra queste due norme del Regolamento 11522/1998, la Consob
(Comunicazione Consob n. 99051449/1999) ha espressamente affermato che
"Nella prestazione dei servizi di investimento diversi dalla gestione
individuale di portafogli non è consentita una descrizione generale e
preventiva dei possibili conflitti da parte dell'intermediario e
un'autorizzazione generale e preventiva da parte dell'investitore. Sono,
infatti, richieste l'informazione dell'investitore e, da parte di quest'ultimo,
l'autorizzazione scritta (o verbale, munita di registrazione, nel caso di
ordine telefonico) per singola operazione...".
6) Così, LENOCI, Responsabilità dell'intermediario finanziario e tutela del
risparmiatore, in Giur. merito, 2006, 1086.
7) Su questo punto, cfr. SCOTTI CAMUZZI, I conflitti di interessi fra intermediari
finanziari e clienti nella direttiva MIFID, cit., che ritiene migliore
l'impostazione accolta dalla direttiva MIFID anche se poi esprime riserve su
come la stessa direttiva affronta il problema della "gestione" delle
situazioni di conflitto.
8) Anche la stessa Direttiva MIFID del 2004, nell'indicare le norme la cui
applicazione è esclusa nel caso in cui la controparte sia un operatore
qualificato, non fa alcun riferimento agli obblighi contenuti nell'art. 18 che
appunto disciplina il conflitto di interessi.
9) Per approfondimenti, si rinvia a INZITARI - PICCININI, op. cit., 139 ss. ed
a tutta la bibliografia ivi richiamata.
10) Si tratta di Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26724.
11) MAFFEIS, Discipline preventive nei servizi di investimento: le sezioni
unite e la notte (degli investitori) in cui tutte le vacche sono nere, in
Contratti, 2008, 403 ss.; DOLMETTA, Strutture rimediali per la violazione di
"obblighi di fattispecie" da parte di intermediari finanziari (con
peculiare riferimento a quelli di informazione e di adeguatezza operativa), in www.ilcaso.it,
II, 83/2007; SARTORI, La (ri)vincita dei rimedi risarcitori: note critiche a
Cassazione, (S.U.) 19 dicembre 2007, n. 26725, in www.ilcaso.it,
II, 92/2008; INZITARI - PICCININI, op. cit., 188 ss. A favore, invece, delle
conclusioni cui sono giunte le Sezioni Unite, COTTINO, La responsabilità degli
intermediari finanziari e il verdetto delle Sezioni Unite: chiose,
considerazioni e un elogio dei giudici, in Giur. it., 2008, 347 ss.
12) MAFFEIS, Op. cit., 403 ss. Dello stesso Autore, v. anche il contributo
Contro l'interpretazione abrogante della disciplina preventiva del conflitto di
interessi (e di altri pericoli) nella prestazione dei servizi di investimento,
in Riv. dir. civ., 2007, II, 71 ss.
13) V. MAFFEIS, Op. cit., 407.
14) Trib. Venezia, 28 febbraio 2008, in Contratti, 2008, 557 ss. con nota
adesiva di MAFFEIS, Dopo le sezioni unite: l'intermediario che non si astiene
restituisce al cliente il danaro investito.
15) Cfr. MAFFEIS, Conflitto di interessi e rimedi, Milano, 2002, 75 ss.
16) In giurisprudenza si veda Cass., 10 aprile 2000, n. 4505, in Giur. it.,
2001, 477; Cass., 25 giugno 1985, n. 3836, in Giur. it., 1986, I, 886; Cass.,
18 settembre 1980, n. 5308, in Dir. fall., 1981, II, 37. Per la giurisprudenza
di merito si veda Trib. Milano, 16 maggio 1988, in Giur. it., 1989, I, 2, 154.
Contra, v. Cass., sez. lav., 26 novembre 2002, n. 16708, in Arch. civ., 2003,
376, secondo la quale "Il conflitto di interessi che se conosciuto o
conoscibile dal terzo, rende annullabile il contratto concluso dal
rappresentante su domanda del rappresentato, ricorre allorquando il primo sia
portatore di interessi incompatibili con quelli del secondo, con la conseguenza
che non ha rilevanza, di per sé, che l'atto compiuto sia vantaggioso o
svantaggioso per il rappresentato e che non è necessario provare di aver subito
un concreto pregiudizio, perché il rappresentato possa domandare o eccepire
l'annullabilità del negozio"; Cass., 7 dicembre 1999, n. 13708; Cass., 19
settembre 1992, n. 10749, in Giust. civ., 1993, I, 3055, con nota di COPPI;
Trib. Catania, 30 dicembre 1989, in Giur. merito, 1990, 944.
17) In dottrina, aderiscono a questa tesi FIORIO, Gli obblighi di comportamento
degli intermediari al vaglio della giurisprudenza di merito, in Giur.it, 2005,
768; MAFFEIS, Il dovere di consulenza, cit., 11 ss., ID., Conflitto di
interessi nella prestazione di servizi di investimento, cit., 455 ss.; ID.,
Conflitto di interessi nel contratto e rimedi, Milano, 2002, 479 ss.;
VISENTINI, La disciplina del conflitto di interessi nel mercato mobiliare, in
Nuova giur. civ. comm., 2002, 456; SARTORI, Il conflitto di interessi tra
intermediari e clienti nello svolgimento dei servizi di investimento e
accessori: un problema risolto?, in Riv. dir. civ., 2001, II, 208 ss.;
ENRIQUES, Lo svolgimento di attività di intermediazione da parte delle banche,
aspetti della disciplina privatistica, in Banca, borsa tit. cred., 1996, I, 658.
18) Cfr. TRIMARCHI, Causalità e danno, Milano, 1967, 46 ss.
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