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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 20/02/2025 Scarica PDF

A proposito di matematica "abborracciata" (commento ad un articolo di R. Marcelli)

Fabrizio Cacciafesta, Già professore ordinario di Matematica Finanziaria presso l'Università di Roma "Tor Vergata"


Sommario: 1. Introduzione; 2. Tassi annui nominale ed effettivo (TAN e TAE); 3. Il "tasso ex art. 1284 c.c"; 4. La "capitalizzazione"; 5. La necessità di una verifica "fattuale".

  


1. Introduzione

Non possiamo lasciare senza commento una frase di un articolo di R. Marcelli apparso recentemente in questa Rivista[1]: quella (a pag. 43) in cui egli afferma che la sentenza 15130/2024 delle SS.UU[2] in tema di ammortamenti progressivi sarebbe deviata da una ‘abborracciata’ matematica.

Un tale giudizio lascia intendere che chi lo emette si sente ben padrone della materia. Ed invero, lettori dell'articolo non particolarmente preparati al riguardo, come s'immagina siano i normali fruitori di questo sito, possono ricavare questa convinzione, suggestionati dal profluvio di tecnicismi esibiti dall’Autore. In realtà, alcuni di questi sono di fantasia ("progressione geometrico-esponenziale", "proiezione temporale crescente", “tasso ex art. 1284 c.c.”); altri sono usati senza una loro corretta comprensione (i tassi nominale ed effettivo: si veda il par. 2), o in modo davvero confuso e fuorviante (la "capitalizzazione": par. 4). Ci permettiamo dunque di invitare a considerare i giudizi ed i risultati che l'Autore, con grande sicurezza, enuncia, con estrema cautela. La pesante accusa di "mistificazione" rivolta (pag. 39) agl’istituti bancari, ad esempio, è totalmente infondata (si veda il par. 2).

Alla doverosa argomentazione di quanto appena riassunto, premettiamo un'osservazione.

A pag. 15 dell'articolo è riportata la sconsolata domanda (non è dato sapere chi l'abbia formulata): Se l’argomento crea dubbi e perplessità nel mondo scientifico, quale livello di consapevolezza, comprensione, può avere un cliente della banca che sottoscrive un contratto non trasparente? La risposta è: nel mondo scientifico propriamente detto, dubbi e perplessità ce ne sono in realtà assai pochi; e si potrebbero superare (chi scrive, ne è convinto) se alla discussione non partecipassero anche interlocutori non sufficientemente competenti. Se la disciplina coinvolta non fosse la Matematica Finanziaria, ma la Chimica Organica, o l'Etruscologia, non crediamo che tanti si sentirebbero in diritto di intervenire. Con l'aggravante del fatto che la questione alla base (i contratti di prestito) non è accademica, ma ha ricadute rilevantissime nel mondo reale.

Non esiste, è chiaro, il reato di esercizio abusivo della professione di matematico finanziario; ma certo sarebbe auspicabile un maggior autocontrollo nella diffusione di pareri "atti a turbare l’ordine pubblico".

  

2. Tassi annui nominale ed effettivo (TAN e TAE)

Conviene partire dall'affermazione (pag. 39) Occorre portare chiarezza nella matematica del TAE > TAN. Siamo d'accordo su questa esigenza, e ci proponiamo di aiutare a soddisfarla.

Cominciamo con il precisare che "tasso annuo nominale" (il "TAN") e "tasso annuo effettivo" ("TAE") sono termini tecnici, con una loro definizione ben precisa: come triangolo, cavallo-vapore, terzina dantesca, o acido acetilsalicilico. Non sono suscettibili di interpretazioni personali.

Leggiamo, ora, che per l'Autore (pag. 40), il passaggio dal TAN al tasso periodale[3] sarebbe un espediente, improprio e matematicamente inutile. Facciamo presente, invece, che è il tasso periodale, non certo il TAN, quello che si usa per calcolare il dovuto per interessi ad ogni scadenza e, per l'ammortamento francese, la rata costante (contrariamente a quanto affermato nella nota 53, dove ricorre due volte l'espressione il tasso (TAN) indicato in contratto, impiegato nella pattuizione della rata). Ed è il tasso periodale, non certo il TAN, a comparire in quella relazione di equivalenza finanziaria che per lui (ed alcuni altri) dimostrerebbe la anatocisticità degli ammortamenti alla francese (o di tutti i prestiti in uso, a seconda della scuola di pensiero).

Assai più importante è però notare quanto segue.

Nel seguito della frase appena citata l'Autore dichiara che mediante il passaggio anzi detto viene consumata, da parte di chi concede il prestito, una mistificazione: perché quand’anche si volesse … utilizzare (in luogo del TAN) il tasso dell’unità periodale infrannuale, questo va individuato, propriamente, nel valore finanziariamente equivalente[4], non in quello proporzionale.

La pesante parola "mistificazione" è qui del tutto fuori luogo, e torna a disdoro di chi l'ha usata.

Il TAN di un prestito è infatti, per definizione, l'equivalente annuo del tasso periodale calcolato "per proporzionalità", ossia secondo la regola dell'interesse semplice. Se, come l'Autore suggerisce, si usa quella dell'interesse composto, si ottiene invece il tasso effettivo (TAE).

Il tasso annuo nominale "pagabile m volte in un anno[5]" è dunque m volte il tasso riferito ad 1/m di anno; e viceversa, il tasso periodale si ricava dal TAN, appunto, per proporzionalità.

Questa regola è, sì, "adottata dagl'intermediari" (per usare un'espressione volutamente riduttiva, che ricorre spesso nell'articolo), ma anche da tutti coloro che conoscano un po' di Matematica Finanziaria.

Tutto ciò si legge in qualunque manuale, o in Wikipedia. Ma l'Autore può anche riferirsi ad un articolo che egli cita nella sua nota 64[6]; in esso, a cavallo tra le pagine 7 e 8, troverà stampato in bel grassetto che Il TAN è semplicemente quattro volte il tasso trimestrale, dodici volte il tasso mensile e mezza volta il tasso biennale.

Ogni incertezza sul significato del TAN scompare, del resto, se si pone mente al suo nome. Qualcuno ritiene forse che l'aggettivo "nominale" (la cui iniziale compare come terza lettera dell'acronimo) sia un pleonasma esornativo. Non è così. I matematici usano le parole con molta attenzione: più ancora, forse, dei giuristi. Se parlano di un tasso annuo "nominale" lo fanno perché lo contrappongono ad uno, invece, "effettivo". Quando l'Autore scrive (nota 64) "tasso nominale effettivo" è come se parlasse di "peso netto lordo".

Il 10% "nominale annuo" si qualifica così perché prevede la produzione ed il distacco (sottoliniamo: il distacco) di 5 euro ogni semestre per ogni 100 euro impiegati. Cinque più cinque fa dieci, ma la somma è tra quantità di denaro disponibili in tempi diversi, e i matematici finanziari insegnano quindi a riguardarla con un occhio particolare: è la loro ragione di esistere, e la loro utilità sociale. Il totale annuo degl'interessi è pari a 10 solo "nominalmente" (sinonimi: apparentemente, superficialmente, o "da un punto di vista aritmetico elementare").

Dobbiamo segnalare anche quanto si legge a pag. 39: il TAN … viene individuato con il termine ‘TAN convertibile: ‘TAN convertibile 12 volte’ (mensilmente) … o, più chiaramente [sic], ‘con capitalizzazione 12 volte l’anno’. Parlare di "capitalizzazione 12 volte l'anno" non è affatto più chiaro, ma semplicemente sbagliato: infatti non si dà luogo a capitalizzazioni, ma a pagamenti (torneremo su questa imperdonabile confusione nel par. 4). Nessun matematico usa quella dizione: il TAN è "pagabile", o "convertibile", o "rinnovabile" un certo numero di volte l'anno, ma mai e poi mai "capitalizzabile"[7].

Alla luce di quanto esposto, consigliamo di considerare con molta diffidenza tutte le parti dell'articolo in cui si nominano il TAN ed il TAE.

  

3. Il "tasso ex art. 1284 c.c."

Un, breve, discorso a parte merita il tasso ex art. 1284 c.c.: molto citato dall'Autore ma, a quanto ci risulta, solo da lui usato.

In quell’articolo del codice si parla del saggio legale d’interesse: escluderemmo che sia questo il tasso di cui si parla. Non ne abbiamo trovata una definizione, ma sembra di capire che si tratti di un tasso annuo medio, ottenuto dividendo il totale degl'interessi pagati per un "finanziamento medio annuo di periodo[8]": espressione in sé incomprensibile, perché ciò che è "annuo" non è "di periodo".

Comunque, pare che esso sia calcolabile solo se si conoscono, come detto, tutti gl'interessi periodali; non è quindi utilizzabile quando si debba determinarli in sede di redazione del piano d'ammortamento.

Si legge con stupore (nota 41) che sarebbe singolare e fonte di confusione che si continui ad impiegare il termine del TAN per indicare il tasso ex art. 1284 c.c.: "singolare" sarebbe usare una denominazione sconosciuta (crediamo) a tutti, al posto di quella tecnica standard.

Rimane altrettanto poco comprensibile quanto lamentato nella nota 53, e cioè che Nei finanziamenti con ammortamento standardizzato tradizionale, adottati dagli intermediari non venga indicato, in contratto, il valore … del tasso ex art. 1284. Come si può indicare qualcosa che non si sa che sia? E a vantaggio di chi?

  

4. La "capitalizzazione"

Abbiamo parlato, nell'Introduzione, di un uso confuso e fuorviante del termine "capitalizzazione". Rendiamo ora ragione di entrambi gli aggettivi.

La parola è purtroppo impiegata, in Matematica Finanziaria, con diversi significati, e districarsi tra essi non è da tutti: si rischia di incorrere in errori e, quel ch'è peggio, d'ingenerare confusione negl'incolpevoli lettori.

"Capitalizzazione", qualificata come "semplice" o "composta", è un brutto sinonimo di "legge finanziaria". Se invece la si accompagna con un aggettivo del tipo "annuale" o "infrannuale", o si parla di "capitalizzazione degl'interessi", allora si allude all'operazione che il titolare di un capitale investito in interesse semplice effettua quando riscuote gl'interessi generati fino a quel momento, e li aggiunge al capitale che li ha prodotti, rendendoli fruttiferi a loro volta (che li tenga o no contabilmente distinti, non rileva da questo punto di vista). Questo è anche il suo significato quando la si usi assolutamente: così s'insegna a leggerla, e così la intenderemo nel seguito[9].

A pag. 37 troviamo affermato che Sul piano logico e matematico, capitalizzazione e pagamento rispondono a concetti diversi. Si può essere d'accordo anche se, in realtà, si tratta non di "concetti", ma di operazioni diverse: altro è pagare periodicamente gl'interessi via via maturati, altro (ben altro) è capitalizzarli, ossia cumularli al debito ancora non rimborsato e, da quel momento, pagare anche su di essi interessi.

Tuttavia, a pag. 38 apprendiamo che negli ammortamenti alla francese (non sapremmo dire perché solo in questi) il pagamento infrannuale viene sistematicamente assimilato alla capitalizzazione infrannuale[10]: frase cui è difficile dare un senso. Rinunciamo a capire come si possa "assimilare" (qualunque cosa il termine significhi) un'operazione che fa calare il debito ad una che lo fa, invece, aumentare. Dopo aver letto (si ricordi il par. 2) che un TAN sarebbe più chiaramente individuato se lo si dicesse ‘con capitalizzazione [ad es.] 12 volte l’anno’, nasce l'idea che l'Autore, contraddicendo se stesso, confonda i due "concetti diversi" di cui sopra.

L'idea è confermata quando si legge (pag. 37) che nel piano di ammortamento con rata infrannuale … l’intermediario adotta anche la capitalizzazione infrannuale, in luogo di quella annuale: annuale o infrannuale, dunque, una capitalizzazione ci sarebbe. Eppure l'Autore condivide con chi scrive (e con quasi tutto il mondo) l'opinione che per i prestiti alla francese, di cui qui si parla, non ne avviene assolutamente alcuna: al contrario, ad ogni scadenza (annuale o infrannuale che sia) gl'interessi vengono integralmente pagati. È proprio questa l'accusa che egli formula quando parla di indebita inversione dei rimborsi di capitale (titolo del suo par. 3)[11]: i finanziatori, contravvenendo a quanto pattuito (!), organizzano i pagamenti privilegiando il servizio degl'interessi, a scapito della velocità di rimborso.

Si veda, per il caso annuale, la tabella 1.C dell'articolo (pag. 4): l'ultima colonna evidenzia come il debito residuo dopo ogni pagamento consti di solo capitale: interessi maturati e non pagati (dunque, capitalizzati) non ve ne sono. La tabella 5.C 2 (pag. 39), relativa al caso mensile, è di meno immediata lettura, perché il numero delle colonne è inferiore: è però immediato verificare che il debito residuo dopo ogni mese è uguale a quello del mese precedente, sottratto quanto pagato in conto capitale. Dunque, ancora, nessuna capitalizzazione, ma solo pagamenti.

Consideriamo a questo punto dimostrato che, almeno qualche volta, l'Autore scrive "capitalizzazione" ma intende "pagamento".

Avanziamo l'ipotesi che egli interpreti alla lettera il principio "pagare è capitalizzare": tanto suggestivo e facile da ritenere, quanto sbagliato. La formulazione corretta, molto meno elegante, è "pagare mette chi riceve in condizioni, se vuole, di capitalizzare (nel senso di investire); e libera dall'obbligo di capitalizzare (investire) a propria volta per pagare un debito che la capitalizzazione degl'interessi aumenterebbe".

Qualunque ne sia la ragione, quell'abitudine non va vista "solo" come causa di confusione. Infatti, pagare gl'interessi è normale, capitalizzarli è proibito: ci sembra dunque doveroso distinguere accuratamente le due nozioni, ed evitare di spargere la sensazione che si sia sistematicamente di fronte ad un comportamento illegale.

  

5. La necessità di una verifica "fattuale"

Abbiamo commentato, nel par. precedente, la difficoltà connessa ad un corretto utilizzo del termine "capitalizzazione". Notiamo ora che, peraltro, in un articolo sui contratti di prestito, esso non ha ragioni di comparire.

Infatti, il regime finanziario di svolgimento dell'operazione è obbligatoriamente quello semplice, come stabilisce la sentenza della CdC 161/1964, e come dovrebbe essere chiaro a tutti coloro che concordano sul fatto che l'interesse dovuto per un semestre è la metà di quello dovuto per un anno: caratteristica, questa, che individua univocamente il regime "semplice"[12].

Quanto alla possibilità di praticare una capitalizzazione (nel senso precisato all'inizio del par. precedente), essa è esplicitamente esclusa dalla sentenza CdC 5286/2000 (in un mutuo, con rate … che comprendono parte del capitale e gli interessi, tali interessi non possono certamente divenire capitale da restituire a chi l’ha concesso); ma è anche ovviamente impensabile, per chi sa che la produzione di interessi da interessi (automatica conseguenza di quell'operazione) non è consentita: se non con l'eccezione ben circoscritta e rigorosamente regolamentata di quanto avviene nelle "aperture di credito" legate ai rapporti di conto corrente bancario.

Anche, ma certo non solo, per questa ragione, tutti i prestiti di fatto in uso prevedono l'azzeramento periodico degl'interessi, e mai una loro capitalizzazione (nemmeno parziale)[13]: in omaggio al principio giustinianeo (prius in usuras id quod solvitur, deinde in sortem accepto feretur: CJ.8.42.1).

Nella loro elementarità, queste osservazioni faticano ad essere accettate: forse, come accennavamo nell'Introduzione, per la grande eterogeneità delle persone che partecipano alla discussione.

Tra i molti meriti della sentenza delle SS.UU. è quello di aver stabilito con grande chiarezza, nel suo par. 12, le regole del gioco. Correttamente. essa considera decisivo il fatto che vi sia, o no, produzione di interessi da interessi, ma avverte essere necessario, al riguardo, un accertamento fattuale. Non basta dare per acquisito il fatto che nei piani di ammortamento «alla francese» quella produzione vi sia: anche perché, aggiungiamo noi, si darebbe per acquisito un fatto non vero[14].

Sottoliniamo che la verifica deve essere "fattuale": in quale momento, e quanti interessi "passano a capitale" e cominciano a produrne di nuovi? O, per usare le parole delle SS.UU. (che forse "abborracciano" la matematica - cavandosela pur sempre molto meglio di altri… - ma non si fanno facilmente ingannare) occorre spiegare dove e in che modo si anniderebbe la produzione di interessi su interessi, e presentare specifiche deduzioni ed argomentazioni volte a dimostrare l’avvenuta concreta produzione, nella specie, di un tale risultato.

È dunque perfettamente inutile mostrare che il flusso dei pagamenti è "finanziariamente equivalente" a quello di uno nel quale, invece, c'è anatocismo: una rapina è finanziariamente equivalente ad una prestazione onestissima.

È perfettamente inutile richiamare che vi è una formula originaria in interesse composto (del resto, niente affatto necessaria) che, quasi fosse DNA parentale, inquinerebbe tutta la discendenza: di quella formula, infatti, è possibile fare a meno senza che nulla cambi.

Ed è ancor più inutile parlare (come sceglie di fare l'Autore: pag. 15) di un "celatamente annidarsi": espressione assai poco matematica, ma comoda per esimersi dall'esibire qualcosa che proprio non si riesce a vedere. E sarebbe strano che si riuscisse, posto che non c'è.



[1] R. Marcelli: La Cassazione S.U. n. 15130/24. Un “ammortamento standardizzato tradizionale” predisposto ad uso e beneficio degli intermediari, ilCaso.it, art. 2182, 20/12/2024. D'ora in avanti, "l'Autore" e "l'articolo" punto e basta. I rinvii alle pagine ed alle note non altrimenti specificati s'intendono riferiti ad esso.

[2] Nel seguito, "la sentenza".

[3] Si chiama così il tasso riferito all'unità di tempo "periodo ": quello che intercorre tra un pagamento e il successivo. Ovviamente, quando questi siano equintervallati.

[4] Non intendiamo infierire, ma quest'espressione è inaccettabile per la sua genericità. Solo dal contesto, per la contrapposizione al "valore proporzionale", è dato comprendere che si parla qui di equivalenza in interesse composto. Ciò è del resto confermato dalla nota 48.

[5] Per questa specificazione, si veda subito appresso.

[6] G. Olivieri, Ammortamento francese: considerazioni matematico-finanziarie post Sezioni Unite n. 15130/2024, 13/11/2024, in IUS Responsabilità civile.

[7] La precisazione sulla frequenza è poi omessa quando questa si intenda chiara dal contesto: se un prestito prevede pagamenti, ad es., mensili, il TAN va ovviamente inteso come "convertibile" 12 volte all'anno.

[8] L'espressione si legge nella Tavola 5, pag. 39.

[9] Per completezza, aggiungiamo che, al di fuori di un'operazione di prestito, "capitalizzare una somma" significa, semplicemente, investirla. Ci scusiamo per il tono didascalico, già impiegato parlando del TAN.

[10] Ma anche, di seguito: la periodicità infrannuale delle rate/canoni viene, di regola, assimilata alla capitalizzazione infrannuale. In termini pressoché identici, anche a pag. 41.

[11] R. Marcelli: L’ammortamento alla francese. L’adempimento rimane estraneo all’equilibrio contrattuale, esaustivamente espresso dalla pattuizione; ilcaso.it, 30 maggio 2024. Il commento di chi scrive: F. Cacciafesta: "Pattuizione" e "adempimento" di un prestito alla francese secondo R. Marcelli: una semplice contro-osservazione; ilcaso.it, 15 luglio 2024.

[12] Riportiamo volentieri, a questo riguardo, quanto si legge nella nota 6 dell'articolo: la proprietà che l'interesse risulti proporzionale al tempo può assumersi come definizione dell’interesse semplice, citazione da un testo universitario classico (E. Levi, Corso di Matematica finanziaria e attuariale, Giuffré 1964). Sorprende alquanto che, nella successiva nota 7, l'Autore scriva tutt'altro: In matematica, il tratto caratteristico e definitorio del regime semplice è dato dal pagamento degli interessi, congiunto al rimborso del capitale di riferimento. Ciò non solo non è corretto, ma non è neanche accettabile come "definitorio": al più, come parzialmente illustrativo.

[13] Nella nota 4 troviamo citata, da documenti della Banca d'Italia, la possibilità che gli interessi non siano integralmente rimborsati con le rate e siano, invece, aggiunti all’importo totale del credito residuo. Alla luce della sentenza ora citata, quella possibilità va riguardata come puramente teorica.

È anche spesso richiamata, nell'articolo, l'art. 6 della Delibera CICR 9/2/2000: I contratti … indicano la periodicità di capitalizzazione degli interessi e il tasso di interesse applicato. Nei casi in cui è prevista una capitalizzazione infrannuale viene inoltre indicato il valore del tasso, rapportato su base annua, tenendo conto degli effetti della capitalizzazione. Possiamo solo ripetere che, nei contratti di prestito propriamente detti, la capitalizzazione è vietata. Regolamentarla ha senso solo se si pensa in realtà alle aperture di credito di cui sopra.

[14] Il Tribunale di Salerno, cui il garbato rimprovero è rivolto, ha il diritto di non saperlo; i suoi consulenti tecnici, no.


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