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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 10/03/2022 Scarica PDF
L'ammortamento francese: leggende dure a morire
Fabrizio Cacciafesta, Già professore ordinario di Matematica Finanziaria presso l'Università di Roma "Tor Vergata"1.
Introduzione
È recentemente apparso, in questo sito, un intervento di R. Marcelli
(Finanziamenti con ammortamento etc.; n. 1833, 16/12/21; nel seguito,
brevemente, "l'Autore" e "l'Articolo") che ci sembra
meritevole di commenti; anche alla luce del fatto che, nella materia
dell'ammortamento francese in esso ampiamente trattata, continuano a venire
emesse sentenze (ne citeremo alcune) contenenti affermazioni non condivisibili
dal punto di vista della Matematica Finanziaria. La discussione sull'argomento
può forse essere venuta a noia, data anche la sua fin qui comprovata
inconcludenza; riteniamo però ci sia ancora bisogno di interventi chiarificatori
da parte dei tecnici del settore, che mettano gli operatori del diritto in
grado di pronunciarsi senza incorrere in autentici infortuni, ed in modo
possibilmente unanime.
L'Articolo offre numerosi spunti. Cogliamo quelli che ci paiono più
significativi, perché alla base dei fraintendimenti più diffusi: di quelle vere
e proprie "leggende metropolitane" di cui ci siamo permessi di
parlare nel titolo. Nei paragrafi che seguono. illustreremo che:
- nell'ammortamento francese purtroppo detto "in interesse composto",
quest'ultimo non gioca in realtà alcun ruolo sostanziale (par. 2)
- il fatto che questa modalità determini un "monte interessi"
maggiore rispetto ad alcune altre in uso, non solo non dipende da una - appunto
- inesistente presenza dell'interesse composto, ma non è di alcun particolare
pregiudizio per il finanziato (par. 3)
- la questione generale della specificazione del regime finanziario entro cui
un contratto di prestito si svolgerebbe è, in tutti i casi in uso, priva di
significato (par. 4)
- la nozione di "tasso annuo nominale" non presenta alcuna ambiguità,
non essendo suscettibile di più di una interpretazione; inoltre, i suoi
rapporti con il tasso annuo effettivo non sembrano ancora essere stati compresi
da tutti (par. 5)
- lo "ammortamento francese in interesse semplice", teoricamente
definibile (in più versioni), non è in pratica utilizzato non perché gli
studiosi di Matematica Finanziaria se ne occupino poco, ma per ben altre,
validissime ragioni (par. 6).
Una premessa terminologica.
Chiamiamo "standard" un prestito che preveda, accanto ad una
procedura di rimborso che può avvenire con una modalità qualunque, la
liquidazione periodica di tutti gl'interessi generati a partire dal pagamento
precedente, nella misura risultante dal prodotto tra il debito ancora non
rimborsato e il tasso convenuto, riferito alla durata che intercorre tra due
scadenze successive ("tasso corrispettivo periodale")[1]. Rientrano
nella categoria tutti i contratti di prestito normalmente in uso, ad eccezione
di quelli "tipo ZCB" (dei quali ci occuperemo brevemente nel par. 4).
Chiamiamo "francese standard" quella forma di prestito standard,
forse la più diffusa, che prevede da parte del debitore il pagamento periodico
di rate costanti, ciascuna contenente una quota interessi (che risulta
decrescente ad ogni scadenza) calcolata come in tutti i prestiti standard. Per
una ragione che può dirsi casuale (si veda il par. 2), lo "ammortamento
francese standard" è anche detto "in interesse composto".
Denominazione, che andrebbe ormai evitata per la conflittualità che ogni
riferimento all'interesse composto, intrinsecamente "anatocistico",
sembra comportare.
2. Ammortamento francese standard senza interesse composto
Mostriamo, in questo paragrafo, che l'ammortamento francese standard,
nonostante sia detto anche "in interesse composto", non ha in realtà
con quest'ultimo alcuna relazione sostanziale[2].
Come abbiamo ricordato, una delle due caratteristiche che individuano questa
forma di ammortamento è la costanza della rata. Accade, che la maniera più
veloce per determinarne la misura consista nello scrivere la "condizione
di equità in interesse composto": uguagliare cioè l'ammontare del capitale
prestato alla somma dei pagamenti dovuti dal debitore, scontati al tempo
iniziale secondo la legge dell'interesse composto. E' allora, lo riconosciamo,
naturale pensare che questa legge giochi un ruolo fondamentale, e - per la sua
stessa natura - provochi un effetto di anatocismo. Se si ripete la procedura
usando, invece del composto, l'interesse semplice, si perviene invero a quello
che si può chiamare un "ammortamento francese in interesse semplice",
la cui rata è, a parità di tutte le condizioni, inferiore a quella dello
standard (ce ne occuperemo diffusamente nel par. 6). Ad esempio: per un
prestito di 1.000 euro, da rimborsare con due annualità uguali e da remunerare
al 10% annuo, la rata per l'ammortamento francese standard risulta pari a
576,19; quella per l'ammortamento francese "in interesse semplice" a
573,91[3]. E' d'uso (le citazioni potrebbero moltiplicarsi) attribuire la
differenza alla naturale anatocisticità dell'interesse composto, che
costringerebbe il debitore a pagare "interessi su interessi".
In realtà, l'interesse composto va ritenuto del tutto incolpevole.
Abbiamo calcolato il valore di 576,19 con il comodo metodo della
"condizione di equità". Si supponga però ora di prescindere da
questa, e si proceda molto più elementarmente nel modo seguente. Per un
prestito standard di 1.000 euro da remunerare annualmente al 10%, gl'interessi
da pagare alla fine del primo anno ammontano, obbligatoriamente, a 100 euro.
Se, contestualmente, il debitore paga 400 euro in conto capitale, il debito
residuo scende a 600: l'anno successivo dovrà dunque pagare 60 d'interessi, per
un totale di 660 euro, contro i 500 pagati in tutto alla fine del primo anno.
Se il debitore è interessato a pagare due annualità uguali, dovrà dunque
aumentare la quota capitale dovuta alla fine del primo anno (la quota interessi
di 100 non è modificabile!). Se paga 500, portando a 600 il totale del primo
pagamento, la seconda annualità scende a 500 + 50 = 550. E' facile vedere che
le due annualità risultano uguali solo se come prima quota capitale si pagano
476,19, per una rata complessiva di 576,19. Si è con ciò ottenuto, come si
vede, lo stesso risultato fornito dal metodo che fa intervenire il famigerato
interesse composto: il quale si scopre con ciò essere niente affatto
necessario, e quindi - come preannunciato - non colpevole della maggiore
onerosità rispetto alla forma "in interesse semplice".
Le tre tabelle successive riassumono i calcoli svolti.
[omissis]
le due annualità non sono uguali: la prima quota capitale è troppo alta:
[omissis]
Le caratteristiche dell'ammortamento francese standard sono dunque, ripetiamo,
non da riconoscere in una non necessaria presenza dell'interesse composto, ma
nella costanza della rata e nel fatto che gl'interessi vengono liquidati con la
modalità standard. Chi scorge elementi di illegittimità in questa procedura è
tenuto - ci sembra - ad indicare quale di quelle due caratteristiche ne sia la
ragione, e ad estendere il marchio dell'illegittimità a tutti gli ammortamenti
che la condividono (l'italiano, il bullet,). La frase citata nella sentenza
di Cremona (8/2022): che come "ammortamento francese" i padri storici
della scienza finanziaria solevano individuare i piani nei quali ricorrono tre
condizioni: i) rata costante; ii) ammortamento graduale in regime finanziario
composto; iii) interessi della rata calcolati sul debito residuo è da
respingere: la seconda condizione non solo è, lo abbiamo appena visto,
pleonastica, ma anche del tutto incomprensibile (e questo, lo vedremo nel par.
4). Ci chiediamo se davvero qualche "padre storico" della disciplina
si sia espresso in questi termini: dovremmo, a malincuore, disconoscerlo.
Frasi del tipo (citiamo ora dall'Articolo[4]) il tasso riportato in contratto senza alcun assenso del cliente viene nella pattuizione, celatamente
impiegato in regime composto in luogo del regime semplice, o dall'impiego del
regime composto nella determinazione della rata costante, esita una spettanza che risulta maggiorata [5] perdono ogni fondamento se si riconosce che la rata
può calcolarsi senza alcun bisogno di ricorrere alle formule del regime
composto.
Nella nota 27 dell'Articolo, quanto ora argomentato viene definito un singolare
ed opaco pregiudizio matematico.
3. L'onerosità dell'ammortamento francese standard
Leggiamo nell'Articolo che con il pagamento degli interessi maturati,
anticipato rispetto alla scadenza del capitale di riferimento, si viene a
comprimere - di una misura corrispondente all'arbitraria maggiorazione della
spettanza pattuita - una pari quota complementare di capitale a rimborso,
determinando un ricorsivo roll over dei rimborsi che ad ogni scadenza viene
a incrementare il debito residuo e ad amplificare anche la produzione di
interessi primari.
Osserviamo che:
- si ha pagamento di interessi maturati "anticipato rispetto alla scadenza
del capitale di riferimento" in tutti i prestiti standard: dai bullet, a
quelli ad ammortamento italiano o francese
- la "spettanza pattuita" non è affatto "maggiorata
arbitrariamente", ma calcolata algebricamente al fine di ottenere una rata
costante per tutta la durata dell'ammortamento: caratteristica assai
desiderabile per un finanziato che sia percettore di un reddito fisso
- è del tutto ovvio che, dato che il debito per interessi non è in alcun modo
comprimibile, se si vuole una rata costante il rimborso non può non procedere
più lentamente di quanto avviene, ad esempio, nella modalità italiana; più
rapidamente però che nella modalità bullet. Corrispondentemente, il monte
interessi "francese" è intermedio tra quello "italiano" e
quello bullet. Ma ricordiamo che il "monte interessi" è un dato assai
poco significativo; anzi, potenzialmente fuorviante. Il vero peso del prestito
è rappresentato dal TAE (o, più esattamente, dal TAEG: ne parleremo ancora).
Accade di leggere (non nell'Articolo) che questa lentezza nel rimborso sarebbe
di danno per il finanziato, nel caso di un'estinzione anticipata del rapporto.
Non si può che rimodulare quanto appena detto: se resta di più da pagare, è
perché si è pagato meno. Se si vogliono pagare meno interessi durante gli ultimi
anni, o ci si vuole trovare con meno debito residuo in caso di estinzione
anticipata, occorre e basta rimborsare di più durante i primi anni.
Per evitare fraintendimenti: non stiamo contestando l'ovvio fatto che
l'ammortamento francese standard sia, per il finanziato, più oneroso di uno
"in interesse semplice"; stiamo contestando il fatto che esso lo
sarebbe (a parità di condizioni!) più di quello italiano, o di qualunque altro
di modalità standard. A parità di condizioni, tutti i prestiti standard
presentano lo stesso TAE: e dunque sono ugualmente onerosi per il finanziato,
ugualmente profittevoli per il finanziatore[6].
4. Prestiti e regimi finanziari
Una terza questione che merita di essere approfondita riguarda l'esistenza di
un regime finanziario entro il quale alcuni (e l'Autore tra questi) ritengono
inevitabile vada inquadrato un contratto di prestito; senza indicazione del
quale esso risulterebbe in qualche modo indeterminato.
Facciamo notare che per un prestito standard il problema, semplicemente, non si
pone. Il prestito è infatti individuato in tutti i suoi elementi una volta
concordate le quote capitale, il tasso periodale ed il principio che
gl'interessi periodicamente dovuti siano pari al prodotto tra il tasso
corrispettivo e la misura del debito residuo. Non crediamo di dover ricordare
che la formula: "interesse periodale = tasso periodale per capitale"
vale in tutte le leggi[7] finanziarie; anche se qualcuno (sua colpa!) la
ritiene tipica dell'interesse semplice. Quanto alle quote capitale, esse
possono venire scelte con una logica qualunque. Ad esempio, in modo che le rate
risultino tutte uguali tra loro.
L'obiezione che, per un prestito alla francese, occorre però specificare se si
usa l'interesse semplice o quello composto, è priva di alcun pregio:
l'alternativa potendosi presentare nella forma "specificare se la rata è
calcolata con la formula in interesse semplice o, ma solo per comodità, con
quella in interesse composto".
Un problema sembra porsi quando il tasso corrispettivo convenuto nel contratto
sia riferito ad una durata diversa da quella intercorrente tra due scadenze
successive: tipicamente, il tasso indicato sia annuo (ma si veda il prossimo
paragrafo!) e la cadenza tra i pagamenti sia, invece, infraannuale. Se, ad
esempio, il tasso indicato è il 10% annuo, ma i pagamenti sono dovuti ogni 6
mesi, resta indeterminato se come tasso periodale debba usarsi il 5%
(equivalente semestrale al 10% annuo, nell'interesse semplice) o il 4,88% (come
sopra, ma nell'interesse composto). Peraltro, la sentenza 20600/2011 della
Corte di Cassazione sembra imporre l'uso della legge semplice, rendendo dunque
inutile l'esplicitazione in contratto del regime da impiegare.
Il problema del regime si pone, invece certamente, quando il prestito non sia
di tipo standard. Caso estremo, quello dei prestiti del tipo "Zero Coupon
Bond", classicamente detti "con pagamento del montante alla
scadenza": tale montante va calcolato in interesse semplice, o in quello
composto?[8]
Si tratta, peraltro, di un caso crediamo solo teorico. Nella nota 11
dell'Articolo si legge come all'Autore non risulti che sul mercato del credito
vengano negoziate operazioni in regime composto informate allo schema del
finanziamento Zero coupon. A noi, non ne risultano neanche in regime semplice.
Lo schema dei ZCB è usato per formalizzare le operazioni sui "titoli senza
cedola": che rappresentano prestiti di un tipo particolare, stante che le
parti si accordano non su un tasso di remunerazione, ma su un prezzo di sottoscrizione,
o di acquisto. Dal rapporto tra valore di rimborso e prezzo d'acquisto si
ricava poi il tasso annuo di rendimento, o di costo che dir si voglia;
calcolato sempre e soltanto secondo l'interesse composto.
Lo ripetiamo, per concludere il punto: in relazione ad un qualunque prestito
standard che sia presentato correttamente (ossia, con l'indicazione del tasso
corrispettivo periodale) la domanda del regime nel quale si svolgerebbe non
ammette risposta, e bisognerebbe quindi evitare di formularla. Che poi si possa
argomentare, con ottime ragioni, che ogni prestito standard (non solo i
"francesi"!) si possa in un certo senso considerare "in
interesse composto", è discorso teorico di grande importanza, che abbiamo
affrontato in altre sedi[9].
5. La definizione del TAN, e i suoi rapporti col TAE/TAEG
Ci riallacciamo ad una delle osservazioni fatte nel par. 4, per alcune
precisazioni relative ad un argomento (il TAN) oggetto di diffusa
incomprensione.
La possibile ambiguità legata all'indicazione in contratto di un tasso annuo
quando la cadenza dei pagamenti sia infraannuale, che abbiamo detto ci pare
potersi superare in forza della sentenza della CdC, cessa comunque di esistere
quando il tasso corrispettivo sia presentato come tasso annuo nominale, e sia
nota la frequenza annua dei pagamenti. Infatti il TAN è, per sua definizione,
il tasso periodale riportato ad anno secondo la regola dell'interesse semplice;
per cui parlare, ad esempio, di un TAN del 10% con pagamenti semestrali
individua, senza alcuna ombra di incertezza o pretesti per conflittualità, un
tasso semestrale del 5%.
Non concordiamo, pertanto, affatto, con l'affermazione dell'Articolo che il TAN
sarebbe il parametro impiegato nell'algoritmo di calcolo, parametro che è
invece rappresentato dal tasso periodale, ricavabile dal TAN come appena detto;
tanto meno concordiamo con quella che il TAN sarebbe nell'uso matematico, declinato vuoi in regime semplice, vuoi in regime composto. Ci permettiamo anzi
di contestarla formalmente. I matematici amano la precisione terminologica
almeno quanto l'amano i giuristi: il concetto di "tasso annuo
nominale" è di origine matematica, ha una definizione inequivocabile, ed
una denominazione non scelta a caso. La parola "tasso" significa che
ci si riferisce ad un euro; l'aggettivo "annuo", significa che si dà
la misura degl'interessi relativi ad un anno; "nominale" sta a dire
che questa misura risulta dall'operazione, proibita in Matematica Finanziaria,
di sommare brutalmente tra loro somme disponibili in tempi diversi. Parlare di
un TAN del 10% con pagamenti semestrali vuol dire che, a fronte di 100 euro
investiti, si riscuotono (o si effettuano) in un anno due pagamenti semestrali
da 5 euro l'uno. Ciò che fa "nominalmente" (sinonimi: apparentemente,
ingenuamente, rozzamente, elementarmente), appunto, 10 euro. Non c'è spazio
per fraintendimenti[10].
Così pure, nella nota 26 l'Autore osserva che, frequentemente, il tasso
periodale associato ad un tasso annuo è calcolato per proporzionalità. Si
tratterebbe di un improprio espediente, con il quale si introdurrebbe
un'ulteriore maggiorazione. Invece, e come detto, è quello l'unico modo
corretto di procedere (anche, ci pare, secondo la CdC), e spiace davvero
constatare che ad esso si ricorrerebbe non sempre, ma solo "frequentemente".
L'affermazione della nota 12: Quando interviene la capitalizzazione periodica
[rectius: la liquidazione periodica] degli interessi, il TAN verrebbe a
"ricomprendere interessi secondari [?]", ci risulta incomprensibile.
Risponde invece a verità che, quando non sia nota la cadenza dei pagamenti, il
TAN rappresenta un parametro incompleto e parzialmente ambiguo: nel senso che
non dà il vero, effettivo costo del finanziamento, ma solo un suo costo
"nominale" (sinonimi: apparente, ingenuo, approssimativo). Se
invece quella cadenza è assegnata, il passaggio dal tasso annuo nominale a
quello effettivo (beninteso, ancora netto: TAE, e non TAEG) è operazione di
routine.
A proposito dell'appena nominato TAE: il fatto che, quando la cadenza dei
pagamenti sia infraannuale, esso sia superiore al TAN, pur elementare e
riconosciuto in diverse sentenze, risulta ancora non chiaro a tutti.
Emblematica, la sentenza della Corte d'Appello di Bari (1890/2020), che
torneremo a citare nel prossimo paragrafo. Riconosciamo, a parzialissima
scusante, che un elemento di confusione può derivare dalla circostanza che il
TAE sic et simpliciter (netto) è assai poco usato: in genere, la
contrapposizione è tra TAN (che non solo è nominale, ma anche netto) e TAEG: il
quale dà ragione non solo di quello che il TAN sottace (la frequenza dei
pagamenti) ma anche di quello che il TAN non conosce (le spese di contorno).
Ricordiamo che il TAEG è il dato assolutamente fondamentale, non tanto per
valutare la sostenibilità di un contratto di prestito (per la quale, occorre
riferirsi al piano di rimborso) quanto per confrontare la convenienza di più,
eventuali alternative.
Nella nota 27 dell'Articolo si legge che il TAE corrisponderebbe ad una
presunta metrica 'standard' della Matematica finanziaria: ci piace far notare
che esso è ormai la "metrica standard" che la legge impone di
utilizzare per valutare la presenza di usura e, anche a livello europeo, per
informare compiutamente i fruitori del credito. Non sono stati i matematici ad
inventare, per esso, la indovinatissima qualificazione di "indicatore
sintetico di costo".
Rovesciamo quell'affermazione. L'obbligo dell'utilizzo dell'interesse composto
è, nei contesti citati, espressa da formule di evidenza cristallina. E' semmai
l'utilizzo dell'interesse semplice a dipendere da enunciati molto più fumosi.
L'art. 1284 c.c, tante volte richiamato nell' Articolo, si limita a fissare un
valore per qualcosa che il codice trascura di definire. La citata sentenza
della CdC prescrive, sì, la crescita lineare tra due scadenze successive; ma
facciamo notare che se queste sono "molto vicine" tra loro (cosa del
tutto possibile) ne risulta un regime finanziario assai prossimo a quello
dell'interesse composto.
6. L'ammortamento francese "in interesse semplice"
Nell'Articolo, ma anche - assai diffusamente - nella sentenza di Cremona già
citata, molta attenzione è dedicata allo "ammortamento francese in
interesse semplice"; ed è fatta quasi una colpa a chi studia ed insegna
Matematica Finanziaria della realtà che esso sia assai poco considerato (pur
non mancando contributi, anche recenti e recentissimi, forniti da valorosi
colleghi, peraltro oggettivamente non numerosi).
La ragione non è da attribuirsi ad un più o meno consapevole asservimento della
categoria al mondo della finanza. Il fatto è che quel regime finanziario,
formalmente elementare, poco si presta ad elaborazioni teoriche di un certo
impegno. Non soddisfacendo la proprietà di scindibilità[11], non permette di
risolvere il problema base della Matematica Finanziaria classica: quello di
stabilire, in modo soggettivo ma logico e coerente, quando due somme di denaro
disponibili in tempi diversi vadano considerate equivalenti. Allo stesso modo,
e per la stessa ragione, non consente di definire in modo univoco il tasso
effettivo di un'operazione, o - se si preferisce - il suo tasso interno di
rendimento: parametro che (lo abbiamo ricordato) anche la legge considera ormai
assolutamente fondamentale, e che può ragionevolmente determinarsi solo se si
impiega l'interesse composto. La sua applicabilità si ferma, in definitiva,
alla gestione infraannuale di un conto corrente, e poco più.
Inoltre, al di là dei suoi dolorosi limiti tecnico-formali, l'interesse
semplice fornisce un modello economico largamente irrealistico ed
insoddisfacente per la maggior parte degli operatori; come evidente - stiamo
per mostrarlo - proprio nel caso dell'ammortamento francese.
Di "ammortamento francese in interesse semplice" esistono in realtà
più varianti, e si tratta quindi di una nozione da ritenere, se non meglio
specificata, non ben definita. Nel par. 2, come ivi avvertito in nota, ci siamo
riferiti alla versione più immediata, detta "ad equilibrio iniziale".
Nella sentenza di Cremona (alla quale rimandiamo per la bibliografia in
materia) si dà ampio spazio alla versione "ad equilibrio finale", che
determinerebbe una rata ancora più bassa delle due lì indicate (571,43 euro).
La richiesta, che molto spesso i Giudici rivolgono ai Consulenti Tecnici di
stilare un piano di ammortamento francese in interesse semplice, deve dunque
ritenersi formulata in modo impreciso, e suscettibile di più risposte diverse.
La tabella successiva raccoglie i TAE corrispondenti ad un prestito alla
francese con TAN del 10% (pagamenti annui), rispettivamente nelle modalità
standard, ed in interesse semplice "ad equilibrio iniziale" e
"finale".
[omissis]
Una rapida occhiata alla tabella ci sembra sufficiente per fare giustizia di
quanto scritto nella sentenza della CdA di Bari citata al par. 5 (ed ivi
attibuita al CTU), e cioè che mentre in un regime di capitalizzazione semplice
il TAN può rappresentare una corretta misura del costo del finanziamento, esso
"perde questa sua caratteristica in un regime di capitalizzazione
composta, situazione nella quale fornisce una misura sottodimensionata del
prezzo costo dell'operazione"[12]. Ognuno è in grado di valutaare se un
TAN del 10% rappresenti una "corretta misura" del costo di un
finanziamento il cui ISC sia del 6,32%, o del 3,94%.
Ma tre cose, ben più importanti, vanno rilevate.
La prima. E' a volte osservato (sentenza di Cremona; ma si veda anche la
citazione dall'Articolo al termine del par. 2) che, una volta indicato in
contratto il TAN, al finanziato verrebbe nascosto, o comunque non evidenziato,
il fatto che lo stesso tasso corrispettivo potrebbe, applicato in tutt'altro
modo, dar luogo ad un prestito di ben diverso peso per lui. A noi pare
difficile accettare l'idea che chi vende un servizio debba obbligatoriamente
comunicare che un servizio differente avrebbe un altro prezzo.
Prevediamo l'obiezione: se il tasso annuo convenuto è il 10%, il cliente si
aspetta che "venga applicato in interesse semplice" e dunque ci
sarebbe per lui un "effetto [di sgradita] sorpresa". La seconda
colonna della tabella mostra che, se si procede "in interesse
composto", il TAE resta rigorosamente il 10%; si avrebbe
"sorpresa" nel caso di pagamenti infraannuali con TAE colpevolmente
non comunicato (ma si noti che nel caso peggiore, quello dei pagamenti mensili,
il TAE vale il 10,47%; la sgradevole e certo sanzionabile sorpresa sarebbe
dunque di limitato ammontare).
Quanto al fatto che il cliente si aspetterebbe l'utilizzo dell'interesse
semplice, questa è solo una (ovviamente rispettabilissima) opinione; diversa
però dalla nostra. Un cliente esperto sa che non deve guardare il TAN ma il
TAE(G); uno meno provveduto trova, crediamo, naturalissima l'idea che, finché
non rimborsa, deve pagare ogni anno il 10% d'interesse. La lettura sottesa alle
modalità "interesse semplice" è, invece, tanto rigorosa per un
matematico, quanto cervellotica ed inattesa per un utente normale: tant'è, che
ne scaturisce la sorpresa (questa, gradita) che si finisce per pagare meno, o
molto meno, del 10% convenuto.
La seconda delle tre osservazioni promesse. E' certo ipotizzabile un intervento
del legislatore che proibisca l'ammortamento francese standard (saremmo curiosi
di leggerne la formulazione); la conseguenza più ovvia sarebbe che il TAN
richiesto dipenderebbe dalla durata del prestito. L'operatore che desiderasse,
dai suoi impieghi, un rendimento del 10%, per un prestito da ammortizzare alla
francese (modalità "equilibrio finale") in 25 anni, chiederebbe un
TAN del 20,35%.
La terza. La normativa sull'usura prevede la rilevazione periodica dei TAEG
praticati per categorie di operazioni. Essa andrebbe ripensata, o quanto meno
riscritta, se tali tassi dipendessero (e in modo tanto rilevante!) anche dalla
durata dell'operazione.
[1] Abbiamo altrove denominata "condizione naturale" questa
pattuizione. E' invero la più ovvia: quella che si aspetta chiunque, non senza
ragione, interpreti gl'interessi da pagare come canone periodico per la
locazione del capitale.
[2] Lo stesso risultato, in forma diversa, già in F. Cacciafesta: Una proposta
per superare il dialogo tra sordi in corso sull'ammortamento francese; Riv. del
Dir. Comm. e del Dir. Gen. delle Obbligaz., CXVII, 2019, pp. 373-386.
[3] Ricorderemo nel par. 6 che esistono in realtà più varianti di questa forma
di ammortamento. Il valore qui indicato corrisponde alla versione più ovvia.
[4] Nel seguito, e salvo diverso avviso, tutto quanto apparirà in corsivo sarà
citazione testuale dall'Articolo.
[5] Le citazioni potrebbero moltiplicarsi ad libitum.
[6] Ciò non significa che un operatore razionale ritenga indifferente servirsi
di una modalità qualunque tra esse: lo stesso TAE può invero corrispondere a
flussi di cassa molto diversi, alcuni dei quali possono ad esempio non essere
compatibili con i mezzi di chi contrae il debito.
[7] Non ci dilunghiamo sulla sottile differenza tra "legge" e
"regime" finanziari; consideriamo qui equivalenti i due termini, e li
alterniamo sulla base di squallide considerazioni stilistiche.
[8] Si può forse pensare che vada ancora applicata la logica della sentenza ora
richiamata (se il tasso annuo è il 10%, allora quello semestrale è
obbligatoriamente il 5% e quello biennale il 20%)?
[9] F. Cacciafesta: In che senso l'ammortamento francese (e non solo esso) dia
luogo ad anatocismo; Politeia, XXXI, 120, 2015, pp. 24-32; Ammortamento
francese e bullet: simul stabunt, simul cadent; Assoctu, 15.12.2020.
[10] Si può obiettare che si tratta di una nozione tecnica non elementarissima;
d'altra parte, in alcuni contratti di compravendita ricorrono a volte termini
come "cavallo vapore", o "bicarbonato di calcio"; senza, ci
sembra, che qualcuno ne contesti l'esoterismo.
[11] Ci si permetterà di non soffermarci ad illustrare il significato di questo
termine.
[12] La stessa frase si legge nella sentenza di Vicenza citata nel par. 1.
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