Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 06/06/2023 Scarica PDF
Sulla presunta indeterminatezza di alcuni contratti di prestito (e altro: a proposito di una sentenza del Tribunale di Cremona)
Fabrizio Cacciafesta, Già professore ordinario di Matematica Finanziaria presso l'Università di Roma "Tor Vergata"Sommario: 0. Riassunto (la tesi principale); 1. Introduzione; 2. Lo, o gli ammortamenti "francesi"; 3. Prestiti e regimi finanziari; 4. La "indeterminatezza"; 5. L'AFS è l'unico ammortamento a rata costante il cui tasso effettivo coincida con quello corrispettivo; 6. Rilevanza dello "onere implicito" ai fini dell'usura; Appendice A. L'inesistenza di interessi da interessi nei prestiti AFS; Appendice B. L'imputazione delle rate negli ammortamenti "francesi in interesse semplice"
0. Riassunto (la tesi principale)
Sentenze della Corte di Cassazione stabiliscono che il regime finanziario di svolgimento di un prestito dev'essere quello dell'interesse semplice, e che gl'interessi vanno calcolati secondo la regola "giustinianea" dell'art. 1194 c.c.[1]: non vi è pertanto alcun bisogno che un contratto di prestito specifichi alcunché al riguardo.
Indipendentemente da quanto sopra, alla stessa conclusione (di assenza di indeterminatezza anche in assenza di precisazioni esplicite) si perviene in base all'osservazione che se un contratto prevede l'ammortamento a rata costante, quello "francese standard", cosiddetto "in interesse composto", è l'unico a soddisfare l'ovvia condizione che il tasso effettivo risulti uguale a quello corrispettivo pattuito.
1. Introduzione
E' da qualche tempo disponibile, su questo sito[2], il testo della sentenza n. 8/2022 del Tribunale di Cremona (d'ora in avanti, "la sentenza" sic et simpliciter; "la GOP" sarà chi l'ha formulata), relativa ad una causa in tema di ammortamento alla francese. La sentenza si segnala (oltre che per la presenza di circa cinquanta pagine di tabelle numeriche) per uno sforzo di approfondimento tecnico-matematico tanto inusuale quanto, in teoria, meritorio. Spiace perciò doversi dichiarare in disaccordo non solo sulle conclusioni, ma anche sulla maggior parte delle affermazioni in essa contenute: che sono ispirate, ci sentiamo di dire, da una troppo fiduciosa lettura di articoli e testi di Matematica Finanziaria in alcune loro parti assai discutibili. Il suo esame permette comunque di passare in rassegna alcuni dei più diffusi pregiudizi e fraintendimenti che accade ancora di riscontrare in diversi pronunciamenti giudiziari in materia.
La causa riguardava due contratti di mutuo. Per uno di questi il verdetto è stato di usurarietà, per l'altro di indeterminatezza contrattuale. Discuteremo i fondamenti di entrambi. Il primo, che rappresenta una posizione assai poco diffusa, non richiederà molto spazio (par. 6); il secondo presenta invece degli argomenti apparentemente meglio fondati, e in realtà condivisi da un certo numero - sia pure minoritario - di magistrati. Dedicheremo ad esso i parr. 4 e 5. Anticipiamo qui le nostre conclusioni, che crediamo contengano elementi di novità e che sono le seguenti: al di là di singoli casi che possono ovviamente riscontrarsi, un normale contratto di prestito non presenta alcuna indeterminatezza per le due seguenti ragioni:
- precise sentenze della Corte di Cassazione dettano il regime di svolgimento e la modalità di calcolo degl'interessi
- la condizione che il tasso effettivo di un prestito coincida con il corrispettivo di contratto individua da sola l'ammortamento francese standard (quello cosiddetto "in interesse composto") tra tutti quelli a rata costante.
Se, dunque, esiste una sola alternativa che rispetti le regole, non crediamo vi sia bisogno che il contratto specifichi alcunché, né che si possa parlare di ambiguità o - appunto - indeterminatezza.
Sarà preliminarmente necessario dedicare il par. 3 all'equivoco, assai comune, che regna in tema di rapporti tra regimi finanziari e operazioni di prestito. Nel resto dell'articolo (parr. 2 ed Appendici) affronteremo alcune questioni di minor rilievo, ma non prive d'interesse, di cui è traccia nella sentenza; senza con ciò esaurire i molti stimoli che essa offrirebbe.
Un'ultima premessa. Lo sgradevole affastellarsi, in questa materia, di sentenze contrastanti tra loro, ci sembra dovuta soprattutto ad una poco diffusa conoscenza dei suoi aspetti matematico-finanziari. Pregiudizi e superficialità, quando non puri e semplici errori, transitano, da consulenze che paiono a volte scritte da orecchianti anziché da tecnici, direttamente nei pronunciamenti. Non sempre purtroppo, come vedremo, i contributi forniti dagli studiosi aiutano a fare chiarezza.
2. Lo, o gli "ammortamenti francesi"
Alcune pagine della sentenza (par. 1.3) sviluppano la tesi che ammortamento francese significherebbe ammortamento a rata costante. La questione è di non risolutiva importanza, e comunque (temiamo) destinata a rimanere al livello di opinioni personali.
Chi scrive ha imparato a suo tempo, e poi insegnato per oltre trent'anni, che quello detto "francese" (o "alla francese") è un ammortamento caratterizzato dalla costanza della rata tra tutti quelli "progressivi": categoria che prevede il pagamento periodico degl'interessi sul debito ancora non restituito alla data, accompagnato da una procedura di rimborso che può essere la più varia possibile[3],[4]. Risulta anche che questo è il significato che a quelle parole attribuiscono gli operatori. Designeremo d'ora in avanti questa tipologia di prestito con l'acronimo AFS (la terza lettera stando per "standard").
La GOP obietta che, fissato il tasso di remunerazione, esistono ammortamenti a rata costante diversi dagli AFS. Se, per lei, "esistono" significa che possono pensarsi, o che è possibile scrivere qualche formula che li riguardi, nessuna obiezione; ma in questo senso esistono anche cavalli alati (se si è abbastanza bravi da disegnarne uno). Però, esattamente come i cavalli con le ali, ammortamenti a rata costante diversi dagli AFS non si riscontrano nella realtà: dunque, è forse corretto dire che "non esistono". Nessun operatore economico presterebbe denaro secondo le modalità teorizzate dal bravo John Ward o, più modernamente, da alcuni studiosi che provano un condivisibile piacere intellettuale[5] nel discettare dei vari possibili "ammortamenti francesi in interesse semplice". La ragione più rozza ne è che è irrazionale investire il proprio denaro in interesse semplice per periodi non molto brevi; per altre, più tecniche, rimandiamo a quanto ne abbiamo scritto altrove[6]. Per quanto riguarda modalità di prestito teorizzate ma inesistenti, ne vedremo un altro esempio al par. 3.
In definitiva: riteniamo capzioso che qualcuno possa considerare ambigua l'espressione "ammortamento francese"; non possiamo però "dimostrargli" che non lo è. Ma ciò resta comunque, come detto, non troppo importante.
Il citato par. 1.3 della sentenza si conclude con un, peraltro garbato, appunto alla categoria cui chi scrive si onora di appartenere: Il fatto che in taluni recenti testi di matematica finanziaria l'istruzione accademica in tema di rimborso dei prestiti sia stata concentrata sull'interesse composto - senza alcun accenno alla possibilità di stilare un piano di ammortamento in regime finanziario di interesse semplice (e alla spiegazione di come farlo) - costituisce una lacuna che però non giustifica il mancato approfondimento della materia che è possibile con lo studio del materiale comunque reperibile.
La nostra risposta è che la GOP sembra confondere il regime di svolgimento di un prestito con la modalità di calcolo della rata per quelli a rata costante. Torneremo nel par. 3 sul punto, assolutamente fondamentale; anticipiamo qui che tutti i prestiti in uso si svolgono in interesse semplice. Non è dunque affatto vero che l'istruzione accademica … sia stata concentrata sull'interesse composto. E' vero, invece, che l'idea di un "ammortamento francese in interesse semplice" è rimasta relegata al livello, appunto, teorico, per la sua totale inapplicabilità pratica. Qualunque versione si scelga di adottare delle molte possibili, ci si trova (ad esempio, ma non solo) di fronte a problemi non banali per la contabilizzazione degl'interessi (si veda l'Appendice B).
Aggiungiamo una considerazione ulteriore, che non ci risulta sia mai stata formulata..
E' piuttosto diffusa l'opinione che gl'istituti di credito non applichino le modalità di ammortamento a rata costante in interesse semplice (e "convincano" gli studiosi a non occuparsene) perché esse sono, per chi presta, meno convenienti dell'AFS.
Quell'opinione è manifestamente assurda.
Se fosse chiaramente stabilito che l'unico ammortamento a rata costante lecito è, ad esempio, quello "in interesse semplice ad equivalenza iniziale", chi presta denaro non avrebbe alcuna difficoltà ad adottarlo, chiedendo in partenza il tasso di remunerazione in grado di produrgli il rendimento che si è prefisso. Se il suo obiettivo è il 6% annuo, anziché offrire AFS al 6% offrirebbe prestiti a tasso di remunerazione dipendente dalla durata: ad esempio, per una di dieci anni[7],[8], al 7,07%.
Quello che accade nella attuale, deplorevole situazione di incertezza giurisprudenziale, è invece che il prestatore adotta la modalità normalmente, storicamente accettata come legittima; in relazione ad essa, chiede un determinato tasso contributivo; in alcuni (pochi) casi lo si costringe però, a posteriori, ad applicarlo secondo un procedimento diverso da quello per il quale era stato immaginato.
3. Prestiti e regimi finanziari
Forse per asseverare l'idea che "esistono più ammortamenti francesi", ancora nel par. 1.3 della sentenza appare la tesi che la stessa metodologia di ammortamento ("italiano", francese, bullet, …) possa venire applicata secondo diversi regimi finanziari. Anche qui, si confonde il teoricamente ipotizzabile con il realizzabile praticamente.
Un'operazione di prestito rappresenta, per il finanziatore, un normale investimento: ha senso chiedersi secondo quale legge esso generi interessi. Da questo punto di vista, non c'è però e non può esserci alcuna incertezza, né si danno possibilità alternative: come la GOP mostra di sapere, la legge finanziaria deve essere quella dell'interesse semplice (con una precisazione che aggiungeremo tra poco). Alle sentenze della Corte di Cassazione che lo stabiliscono e che essa cita (pag. 88), aggiungiamo la 5286/2000, in cui si afferma che in un mutuo, con rate … che comprendono parte del capitale e gli interessi, tali interessi non possono certamente divenire capitale da restituire a chi l’ha concesso. Non solo è obbligatorio usare l'interesse semplice, ma è ad abundantiam esplicitamente vietato usare quello composto.
E' necessario precisare che, in quanto sopra, si parla di "regime semplice" in relazione alla sua caratteristica essenziale, rappresentata dalla natura sterile degl'interessi via via generati: che, dunque, si accumulano linearmente. Questa caratteristica non va perduta se il contratto prevede (come quasi sempre avviene nei casi reali) il pagamento periodico degli interessi maturati. Il regime è dunque più esattamente denominabile "dell'interesse semplice con pagamento periodico degl' interessi". Lo stesso dicasi per l'eventuale, comunissima, presenza di una procedura di rimborso progressivo.
Il "regime composto" è invece caratterizzato dal fatto che gl'interessi nascono fecondi: che è poi la ragione per la quale il montante cresce secondo un fattore esponenziale. Si può certo pensare alla fattispecie intermedia, di un regime semplice con capitalizzazione periodica degl'interessi: bisogna però limitarsi, appunto, a pensarvi, perché quest'ultima operazione è preclusa non solo dalla sentenza appena citata, ma anche dal principio che il debito per capitale (obbligazione primaria) va tenuto distinto da quello per interessi (obbligazione secondaria). Non si dà quindi mai luogo, in un'operazione di prestito, a quel miscuglio indistinto di cui accade di leggere in articoli[9] e in sentenze[10].
Sempre a pag. 88 leggiamo chein difetto di specificazione del regime finanziario, dovrà applicarsi quello in capitalizzazione semplice, essendo l’unico in linea con il disposto dell’art. 821 c.c.. Traiamo intanto la conseguenza che non si può allora mai parlare di indeterminatezza del regime: visto che, se non ne è specificato uno, è stabilito che vada usato quello dell'interesse semplice (torneremo su ciò). Ma facciamo anche notare che se quest'ultimo è l'unico legittimo, resta confermato quanto visto al par. 2: prestiti in interesse composto possono vivere, e lo fanno senza problemi, sulle carte dei matematici, ma non possono materializzarsi nella realtà.
In relazione ai prestiti a rata costante, molti pensano al "regime del prestito" come al metodo di calcolo della rata. E' chiaro che siamo in presenza di un grossolano e pericolo equivoco. E' vero che il metodo più comodo (ma non l'unico!) per determinare la rata di un AFS è fornito da una formula in cui compaiono i fattori di anticipazione del regime composto (la ricorderemo nel par. 5); ma dedurne che, allora, il prestito si svolgerà secondo quella modalità equivale a sostenere che ogni motore a scoppio è alimentato elettricamente perché la messa in moto si fa, in genere, usando quel tipo di energia.
E' vero, ancora, che la formula usuale fornisce per la rata un valore più alto di quello prodotto dalla corrispondente formula in interesse semplice. Ma il livello della rata (dato quantitativo) non influenza certo il fatto qualitativo relativo alla natura sterile (regime semplice) o feconda (regime composto) degl'interessi che via via si generano.
Lo stupore della GOP (pag. 22: quantunque la rata … sia calcolata in capitalizzazione composta, la quota interessi è invece calcolata in interesse semplice … la non coerenza di tale ragionamento è percepibile anche sulla base di un procedimento del pensiero di livello non particolarmente elaborato e senza una conoscenza approfondita della matematica finanziaria) è, dunque, davvero infondato. Saremmo[11] infatti di fronte a regimi diversi, che intervengono in tempi diversi, per scopi diversi.
I due autori citati in nota 9 scelgono, personalmente, di definire "in interesse composto" tutti i prestiti per i quali, come avviene per gli AFS, il capitale è uguale al valor attuale (in quel regime) delle rate a carico del debitore: fatto dal quale è ovviamente impossibile trarre la loro fantasiosa conclusione che il denaro prestato si capitalizza con creazione di interessi da interessi (e, dunque, si è davvero in interesse composto). E' facile vedere, ed è opinione largamente condivisa, che ciò è falso (vi torneremo nell'Appendice A). La conseguenza che si può ricavare da quell'uguaglianza (oltre ad un'altra, assai importante, che vedremo nel par. 5) è che il prestito fornisce, a chi lo ha concesso, lo stesso flusso di entrate di un ipotetico portafoglio di prestiti tipo ZCB[12] in interesse composto. Ma fornire le stesse entrate non vuol dire condividere altre caratteristiche: si pensi ad una rapina e ad un'attività lavorativa onesta.
Abbiamo usato, in quanto sopra, l'aggettivo "ipotetico" perché prestiti di questo tipo, come quelli poliennali a rata costante in interesse semplice, non esistono né possono esistere nella realtà. Se due operatori stipulano un accordo per scambiarsi 100 euro contro 120 tra due anni, certo non lo formalizzano come un prestito "modalità ZCB, interesse composto, 9,54% annuo" perché questo esporrebbe il contratto all'accusa di anatocisticità[13]. Parlano, semmai, di "ZCB, interesse semplice, 10% annuo".
L'obiezione, che in tutti i mercati sono trattati ZCB che risultano ad interesse composto rispetto al tasso di rendimento effettivo desumibile dal loro corso, sarebbe squalificante per chi la formulasse. Comprare per 100 euro un titolo che darà diritto a riscuoterne 120 tra due anni vuol sì dire investire al 9,54% annuo; ma non vuol dire prestare 100 euro a quel tasso a chi rimborserà il titolo e che, quando lo ha emesso, ha solo stipulato con gli acquirenti un contratto che lo impegnava ad un determinato pagamento finale.
4. La "indeterminatezza"
Abbiamo argomentato, nel par. 3, di come sia difficile accettare l'idea che il regime finanziario di svolgimento di un prestito possa ritenersi indeterminato, quando ripetute sentenze della Corte di Cassazione stabiliscono che esso deve essere quello dell'interesse semplice, sia pure nelle varianti "con pagamento periodico degl'interessi" e "a rimborso progressivo". (A chi osserva che, dunque, vanno giudicati illegittimi gli AFS, rispondiamo che sbaglia, perché questi ultimi si svolgono in interesse semplice. Si veda l'Appendice A). Tuttavia, uno dei due mutui oggetto della causa in oggetto, quello che supera la prova di usurarietà nella singolare versione utilizzata dalla GOP che commenteremo nel par. 6, viene trovato in difetto di specificazione del regime finanziario.
La questione è del resto sollevata in un certo numero di sentenze recenti. Sembra anzi di poter dire che essa rappresenti ormai la preferita linea di attacco all'AFS, dato che l'obiezione della sua anatocisticità stenta a trovare proseliti.
Riteniamo di avere però ormai dimostrato che il difetto di specificazione non può riguardare il regime di svolgimento dell'operazione. Resta da esaminare il problema se si possa parlare di indeterminatezza quando il contratto, stabilito che l'ammortamento avverrà a rata costante, non indica il metodo di calcolo della rata, e/o la modalità di calcolo degl'interessi, e/o ancora (terza possibilità) quella di determinazione del tasso di remunerazione periodale, stante che quest'ultimo è presentato quasi sempre come TAN.
Liberiamoci subito da quest'ultimo elemento. L'idea che l'indicazione di un TAN, ad esempio, del 6%, sia ambigua se si è stabilito che i pagamenti debbano avere cadenza semestrale, può venire in mente solo (lo diciamo senza offesa per nessuno) ad un cattivo studente: il quale sa che il tasso semestrale in interesse semplice è diverso da quello in interesse composto, ma non è ancora arrivato ad imparare che il Tasso Annuo Nominale è, per sua definizione, n volte il tasso periodale (quando il periodo è 1/n di anno). Un normale cliente di un istituto di credito pensa invece senz'altro, giustamente, che il 6% annuo presentatogli con quel misterioso acronimo corrisponda allo 0,5% mensile. Abbiamo difficoltà ad immaginare gli venga in mente la formula.
Passiamo dunque agli altri due elementi di pretesa indeterminatezza; il metodo di calcolo della rata, e quello della sua imputazione. E' appena il caso di rilevare che, se si accetta quanto argomentato nel par. 2 (che l'espressione "ammortamento alla francese" individua un AFS senza nessuna ambiguità), nulla rimane da dire. Adempiamo ora, però, alla promessa di poter fare a meno di quella ipotesi, e discutiamo le due diverse questioni.-
Per quanto riguarda il calcolo della rata, è spesso osservato che allo stesso tasso di remunerazione è possibile fare corrispondere diversi valori della rata costante. Sbrigativamente, ed imprecisamente, si nominano le possibilità di "calcolare la rata in interesse composto, o in interesse semplice": in realtà, esistono più modi per calcolare "in interesse semplice", e nel metodo standard il ricorso all'interesse composto non è affatto necessario. Ne seguirebbe, comunque, che indicare il tasso e non il metodo di calcolo della rata lascerebbe il contratto indeterminato.
Facciamo allora notare che tutte le rate ottenute con le varie formule "in interesse semplice" danno luogo a tassi effettivi minori del corrispettivo contrattualizzato. Invece, la formula "in interesse composto", che tanti sospetti attira sull'AFS, mostra chiaramente che, per questi prestiti, il tasso di rendimento effettivo coincide con quello di remunerazione pattuito. Dedicheremo a questa osservazione il prossimo paragrafo, per la sua importanza e per i clamorosi equivoci che l'argomento provoca. Qui, limitiamoci a notare che se, giustamente e come è stato più volte fatto osservare, il tasso effettivo non può superare quello convenuto, non è ipotizzabile neppure che il prenditore si aspetti gliene venga applicato, invece, uno inferiore.
La conclusione del ragionamento è che è inutile indicare il metodo di calcolo della rata, visto che ne esiste solo uno che porti al tasso effettivo stabilito.
Per quanto riguarda, invece, il servizio degl'interessi, si riscontrerebbe indeterminatezza quando il contratto non specifichi se essi vadano, ad ogni pagamento, commisurati a tutto il capitale ancora non rimborsato, oppure alla sola quota in scadenza.
La questione è di minor rilievo della precedente perché, a differenza di essa, non riguarda il tasso effettivo (che dipende dall'ammontare delle rate, non dalla loro imputazione) e dunque il costo dell'operazione. Anche ora, ci sembra però di poter dire che l'indeterminatezza è solo pretestuosa.
Proponiamo tre argomenti.
Il primo. Liquidare periodicamente tutti gl'interessi maturati dal capitale ancora non rimborsato è la soluzione più ovvia, standard e da sempre usata[14]. Corrisponde a considerare gl'interessi come il canone periodicamente dovuto per l'utilizzo del capitale, e non già come il suo "frutto naturale". Il denaro non è "naturalmente" fruttifero, lo è solo potenzialmente: conservato in un cassetto, o sotterrato, non produce nulla; per farlo rendere occorre iniziativa, capacità e un po' di fortuna.
Il secondo. La soluzione ovvia e tradizionale (gl'interessi come canone) è quella coerente con il principio prius in usuras id quod solvitur, deinde in sortem accepto feretur: che non è un brocardino medioevale da considerare con benevola curiosità, ma una massima del Corpus Juris (8.42.1, Imperator Antoninus), transitata alla lettera nell’art. 1194 del codice civile. Non è chiaro, a chi scrive, perché alcuni parlino, riduttivamente, di discutibile uso bancario, minimizzando la portata di questa norma (sarebbe applicabile solo in presenza di capitale ed interessi entrambi disponibili: come se quelli il cui pagamento è previsto dal contratto non lo fossero). Secondo la Corte di Cassazione (sentenza n. 975/2004) quell'articolo contiene un criterio legale di imputazione; e il Tribunale di Venezia (Ordinanza del 27/11/2014) osserva che un criterio di restituzione del debito che correttamente … privilegia sotto il profilo cronologico l'imputazione più ad interessi che a capitale è più ossequioso del dettato dell'articolo 1194 c.c.
Il terzo: lo presentiamo, per facilità di lettura, con un'esemplificazione numerica.
Consideriamo il prestito di 1.000 euro da rimborsare con tre annualità, e da remunerare al 10% annuo. La rata per l'AFS (quella "in interesse composto") risulta pari a 402,12; il piano d'ammortamento standard ("giustinianeo" perché segue il servizio degl'interessi previsto dal Corpus Juris) è descritto nella tabella 1:
Tabella 1: ammortamento francese standard
anno |
deb.iniz. |
inter. |
q.cap. |
annualità |
deb.fin. |
1 |
1.000 |
100 |
302,12 |
402,12 |
697,88 |
2 |
697,88 |
69,79 |
332,33 |
402,12 |
365,56 |
3 |
365,56 |
36,56 |
365,56 |
402,12 |
0 |
Torneremo, per un altro scopo, a considerarlo nell'Appendice A. La scelta alternativa, di liquidare ad ogni scadenza una quota parte del debito iniziale con tutti e soli gl'interessi da essa generati dall'inizio, corrisponde ad adottare invece il piano d'ammortamento descritto dalla tabella 2:
Tabella 2: AFS con imputazione alternativa
anno |
debito iniziale |
pagamenti |
debito finale |
||||
capitale |
interessi |
inter. |
q.cap. |
totale |
capitale |
interessi |
|
1 |
1.000 |
0 |
36,56 |
365,56 |
402,12 |
634,44 |
63,44 |
2 |
634,44 |
63,44 |
69,79 |
332,33 |
402,12 |
302,12 |
63,44 |
3 |
302,12 |
63,44 |
100 |
302,12 |
402,12 |
0 |
0 |
Si noterà come figuri ora una voce "debito per interessi non pagati" che manca del tutto nell'impostazione standard: in questa, il debito alla fine di ogni esercizio è composto di solo capitale (per questo punto, assolutamente ovvio per quasi tutti, si veda l'Appendice A). Il prestito viene di fatto spezzato in un portafoglio di tre, a gestioni separate: uno, per 365,56 euro ad un anno; uno, per 332,22 a due; uno, per 302,12 a tre. Tutti e tre al 10% annuo, ma il secondo e il terzo aventi la natura di ZCB in interesse composto.
Adottare la modalità della Tabella 2 vuol dire:
- contravvenire al dettato dell'art. 1194
- contravvenire alla lettera di quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza 2301/2004: la rateizzazione dell'unico debito contratto con la banca non determina il frazionamento di esso in una serie di autonome obbligazioni
- proporre un contratto a forte rischio di illegittimità, in quanto illegittimi siano da considerare gli ZCB in interesse composto dai quali si è scelto di considerarlo formato: si ricordi quanto notato, al riguardo, alla fine del par. 3.
Poniamo, a questo punto, la domanda: può parlarsi di indeterminatezza in una situazione in cui vi sia una sola opzione praticabile? Può essere davvero necessario accordarsi per iscritto, se la scelta è tra una soluzione da sempre praticata, ed una inconsueta e quasi certamente illecita?
5. L'AFS è l'unico ammortamento a rata costante il cui tasso effettivo coincida con quello corrispettivo.
Dedichiamo questo paragrafo alla prova della nostra osservazione principale: che l'unico ammortamento a rata costante il cui tasso effettivo coincida con quello corrispettivo è l'AFS.
Si supponga di voler ammortizzare il prestito di C euro, da remunerare in base al tasso periodale i, mediante n rate uguali (ovviamente, equiintervallate[15], vista la costanza della rata) dovute ai tempi (1, 2, …, n)[16]. Il valore della rata soddisfa, come tutti sanno ed abbiamo più volte ricordato, l'equazione [...] dall'aspetto formale della quale alcuni concludono, sbagliando, che dunque il prestito è destinato a svolgersi in interesse composto. La (1) è un'equazione di primo grado; indichiamo con R la sua unica soluzione. Risulta allora [...] e dunque i (tasso periodale di retribuzione) è anche il tasso (periodale) effettivo del prestito[17].
Questo termina la dimostrazione della nostra tesi.
E' importante sottolineare che il risultato vale nella sua forma più piana (la ripetiamo: tasso effettivo uguale al corrispettivo solo per gli AFS) al livello dei tassi periodali. A quello dei tassi annui, la sua evidenza può risultare offuscata per il fatto che nei due casi i tassi rispettivamente equivalenti sono calcolati (non certo per volontà del prestatore) secondo regimi diversi: per il tasso corrispettivo si usa l'interesse semplice (e ne nasce il TAN); per quello effettivo, il composto[18].
Anche se, dunque, non è letteralmente vero che, nel caso di frequenza dei pagamenti infraannuali, il TAN di un AFS coincide col suo tasso effettivo, l'uguaglianza (per gli AFS) tra tasso corrispettivo e quello effettivo resta incontestabilmente vera al livello di sostanza.
Riteniamo a questo punto necessario, ancorché sgradevole, segnalare i numerosi infortuni in cui, riguardo i rapporti tra il tasso effettivo di un prestito ed il suo tasso di remunerazione, incorrono alcuni Tribunali, male assistiti da Consulenti a volte assai poco "tecnici".
Quando la GOP scrive (pag. 85): non è mai stato oggetto di accordo che le rate … fossero da determinare secondo un metodo il cui risultato è quello di … far emergere un tasso annuo effettivo superiore a quello risultante dalle clausole contrattuali commette, ci spiace dirlo, un errore: il tasso effettivo che "emerge" per un AFS è esattamente quello risultante dalle clausole contrattuali[19]: e questa è una, bella, caratteristica di tutti i prestiti giustinianei: compresi gli AFS.
La stessa GOP scrive del resto (Tribunale di Cremona, sentenze 221/2019 e 201/2019): … al netto di spese ed oneri, nel caso di ammortamento alla francese il tasso effettivo è comunque diverso dal tasso nominale indicato in contratto, mentre con l’ammortamento in regime di interesse semplice secondo la formula indicata dal C.T.U. il tasso effettivo è uguale a quello nominale. Considerando anche le spese e gli oneri, nel primo caso (alla francese[20]) è la capitalizzazione (insita nel calcolo della rata) ed i vari oneri che portano alla differenza tra tasso effettivo e tasso nominale, mentre nel caso di interesse semplice la differenza tra tasso effettivo e tasso nominale è da ascriversi solamente agli oneri aggiuntivi.
In queste frasi, è difficile trovare qualche elemento condivisibile. Infatti, per l'AFS il tasso effettivo netto è, a parità di periodo, sempre uguale al corrispettivo indicato in contratto, e coincide con il "corrispettivo nominale" nel caso dei pagamenti annui. Non sappiamo, poi, quale sia la formula indicata dal CTU per l'ammortamento in interesse semplice, essendovene più d'una. Tutte quelle che conosciamo forniscono però una rata minore del caso standard, e dunque un tasso effettivo minore: non già uguale al nominale. Infine, la differenza tra tasso effettivo e corrispettivo non c'è a livello di tassi netti; la considerazione delle spese porta evidentemente il TAEG a crescere, ma ciò non ha niente a che fare con la capitalizzazione (insita nel calcolo della rata): espressione, cui è difficile dare un significato.
Qualche altro esempio.
Il più clamoroso è forse quello nella sentenza 113/2008 del Tribunale di Bari: era contrattualizzato un tasso corrispettivo semestrale[21] del 6,90%, si riscontra il tasso effettivo annuo del 14,276% e lo si dichiara illecito, pur derivando esso dalla piana applicazione del corrispettivo. Né il tasso effettivo era, come è stato scritto, occultato nel piano di ammortamento, perché fornito dalla semplice formula 1,0692 – 1, ben nota a tutti gli studenti di Matematica Finanziaria[22].
Del pari, il CTU che ha assistito la Corte d'appello di Bari per la sentenza 1890/2020 sembra ignorare che il TAN 7,25% con pagamenti semestrali corrisponde del tutto correttamente ad un TAE del 7,3814%. Valore che non si ottiene sviluppando le informazioni contenute nel piano di ammortamento, ma semplicemente calcolando (1 + 0,725/2)2 – 1.
E il CTU che ha assistita la stessa Corte per la sentenza 28/2023 non sa che se si conviene in contratto un tasso di "€ 6,73%[23]" il tasso realmente applicato (trattandosi ora di rate mensili) sarà proprio quel 6,94% che egli si stupisce di rilevare.
Gli esempi potrebbero, purtroppo, moltiplicarsi: non sono pochi i Tribunali che pensano di riscontrare[24] volute maggiorazioni o artificiosi incrementi del tasso nominale pattuito, o incertezza tra tasso nominale contrattuale e tasso effettivo solo perché riscontrano valori diversi per i due.
E' opportuno sottolineare che vengono emesse sentenze di condanna per una inesistente applicazione di un tasso diverso dal concordato. Che invece, poi, la situazione possa riuscire poco comprensibile per un utente di media preparazione, è fatto di cui chi concede un credito non ci pare possa essere ritenuto responsabile.
Per tornare al tema: in realtà, e per fortuna, la maggior parte dei giudicanti ha ormai compreso come sia ontologicamente errato invocare, già sotto un profilo ex ante, una patologia del contratto per effetto della divaricazione tra TAN e TAE essendo questa, viceversa, fisiologica … Infatti, mentre il … TAN è stabilito su base annua, le rate hanno spesso una periodicità inferiore, e, conseguentemente, il tasso effettivamente applicato risulta più alto. In altri termini, le due grandezze, TAE e TAN, non sono dunque alternative tra loro, ma coesistono e non possono essere identiche. Nei contratti di mutuo, infatti, al TAE si perviene dopo aver concordato il TAN e la periodicità delle rate di rimborso, di talché la differenza tra TAN e TAE è la normale conseguenza del fatto che, nei piani di ammortamento di prestiti e mutui, l’interesse annuale generalmente non viene pagato in un’unica soluzione a fine anno, ma ripartito su ogni rata infra - annuale in scadenza; e appunto la corresponsione anticipata delle rate rispetto alla scadenza annuale comporta che il costo effettivo da interessi del finanziamento per il contraente non è pari al tasso annuale stabilito da contratto, ma (lievemente) maggiore.
La lunga citazione, che riportiamo a beneficio di chi sembra averne bisogno, è dalla sentenza 3268/2022 del Tribunale di Torre Annunziata. Ne approviamo perfino la punteggiatura[25]. Abbiamo scelto questa tra molte altre possibili perché la più recente di cui siamo a conoscenza. Ma il fatto, ci permettiamo di dire: questa verità, era già stata rilevata, ad esempio dal Tribunale di Modena (sentenza 6675/2014), da quello di Torino (sentenza 1303/2017) e da chissà quanti altri.
6. Rilevanza dello "onere implicito" ai fini dell'usura
Il par. 5 della sentenza prende in considerazione lo "onere implicito" che la surrettizia adozione dell'interesse composto in luogo del semplice comporterebbe a carico del debitore, ai fini del controllo dell'eventuale usurarietà del prestito.
La questione è facilmente risolubile con un po' di logica elementare.
Si supponga di aver ricevuto 1.000 euro in prestito, ed averne pagati 1.200 dopo un anno. Il tasso applicatoci è stato il 20%, a fronte di una soglia di usura che supponiamo pari al 25%. Dopo un attento esame, scopriamo che avremmo dovuto, in realtà, pagare 1.100: in quanto richiestoci e da noi corrisposto era stato fraudolentemente occultato un onere non dovuto di 100. Cambia qualcosa ai fini del giudizio di usurarietà? Ovviamente, no: abbiamo pagato più del dovuto, e, ciò nonostante, non abbastanza da superare quella soglia. Ragionare diversamente vuol dire confondere lo "onere occulto" costituito da una componente illecitamente nascosta in quanto si è pagato, con quello rappresentato dalla presenza, nelle pieghe del contratto, di un qualcosa che ha determinato l'insorgere, in un secondo momento, di pagamenti aggiuntivi rispetto a quelli esplicitamente previsti.
La GPO sceglie di "ragionare diversamente", e conclude per la usurarietà di uno dei due mutui. Noi non abbiamo altro da aggiungere, se non notare che questa posizione ci sembra assolutamente minoritaria. Lo stesso Tribunale di Roma, che aveva giudicato in un modo con la sentenza 2188/2021, re melius perpensa, ha poi modificato la sua posizione (sentenza 3767/2022).
Possiamo al più notare che, al di là della questione di principio, il metodo proposto per valutare il (misterioso) onere implicito risulta, alla lettura, più misterioso ancora. A pag. 74 si parla di un differenziale di regime tra capitalizzazione composta e semplice … pari al valore attuale della rata calcolato in capitalizzazione composta, moltiplicato per la rata semplice, così da ottenere l'importo, al quale è già stato sottratto l'onere implicito e occulto, derivante dalla capitalizzazione composta, ovvero moltiplicando la differenza della rata per il valore attuale, calcolato in regime composto, così da ottenere l'importo dell'onere occulto e implicito: formulazione invero difficile da tradurre in programma operativo. L'esame dei calcoli effettuati sembra suggerire che (con riferimento all'esempio schematizzato poco sopra) i 100 euro indebitamente pagati andrebbero sottratti ai 1.000 di fatto ricevuti; il tasso dell'operazione diventa così il [...], e l'operazione è diventata usuraria. Chi scrive, non vede una logica in tutto ciò.
Appendice A
L'inesistenza di interessi da interessi nei prestiti AFS
Le pagine 22-25 della sentenza sono dedicate al problema della presenza, nei prestiti AFS, di interessi da interessi[26]; di essa, la GOP si mostra convinta.
Tuttavia, il sillogismo presentato: il debito residuo dipende dalla rata pagata, questa contiene una quota d'interessi; dunque, quel debito dipende (anche) dagl'interessi pagati, non prova certo che esso contenga interessi non pagati (dai quali nascerebbero nuovi interessi), ma solo che la sua misura dipende da quanti ne sono stati pagati.
E' poi riportata (a pag. 23) una "dimostrazione" consistente nel notare che il debito residuo dopo il primo pagamento può scriversi nella forma [...] (C capitale prestato, il tasso, R rata); l'anno successivo si producono allora interessi nella misura di [...], ed ecco evidenziato che l'interesse moltiplica l'interesse. Purtroppo, in tutti gli ammortamenti progressivi (l'AFS è tra questi) la rata è definita come somma degl'interessi generati nel periodo, più una quota di rimborso (per l'AFS, calcolata in modo che tutte le rate risultino uguali): se allora, in quanto precede, si pone [...] (Q1 quota capitale pagata alla fine del primo anno), il debito residuo [...] diventa [...] e saremmo sinceramente curiosi di dialogare con qualcuno che, in questa ultima differenza, vede traccie di interessi rimasti non pagati.
Chi trova più leggibile un'esemplificazione numerica, può tornare a considerare il piano d'ammortamento descritto nella precedente tabella 1. Gl'interessi di competenza del primo anno ammontano a 1.000 x 0,10 = 100 euro, e sono interamente pagati alla fine di esso (seconda riga, terza colonna della tabella). Non è dato comprendere come il debito residuo dopo il pagamento della rata possa contenerne ancora una parte, dalla quale nascerebbero gli interessi da interessi.
L'obiezione che restano interessi non pagati, produttori di nuovi interessi, se si adotta invece il piano della tabella 2, è irricevibile: è proprio per evitare questo che gli AFS si svolgono secondo la prima modalità, ed è del tutto artificioso (staremmo per dire: provocatorio) pensare che invece si svolgano secondo la seconda. Non altrimenti agirebbe una guardia di finanza che nascondesse una stecca di sigarette nella valigia di un viaggiatore, e lo accusasse poi di contrabbando.
Anche nella sentenza del Tribunale di Taranto citata in n. 12 si legge che gli interessi determinati per ogni rata, lungi dall’essere calcolati su un debito residuo di puro capitale, vengono computati su un capitale che è anche costituito dagli interessi relativi a tutti i periodi precedenti… Il prospetto esplicativo di pag. 2 chiarisce che il debito residuo a seguito del pagamento delle varie rate è composto da una quota parte di interessi già pagata e una quota di capitale. Non disponiamo, purtroppo, del prospetto esplicativo che si cita, contenuto in un allegato alla sentenza. Possiamo solo ripetere che, in un AFS, il debito residuo all'inizio di ogni esercizio è sempre costituito di puro capitale. E aggiungere, magari, che sostenere che il debito residuo … è composto da una quota parte di interessi già pagata e una quota di capitale (la sottolineatura è nostra) è un nonsenso logico, rispetto al quale i paradossi della fisica quantistica retrocedono a semplici banalità.
Appendice B
Imputazione delle rate negli ammortamenti "francesi in interesse semplice"
Illustriamo in questa seconda appendice una delle difficoltà nelle quali ci si imbatte quando si voglia (pensare di) adottare un ammortamento francese "in interesse semplice".
La tabella 3 riproduce le prime righe di quella contenuta nella pag. 31 della sentenza. Si tratta del piano di ammortamento in modalità "interesse semplice ad equità iniziale" che la GPO ha redatto[27] per uno dei due prestiti oggetto della causa: 950 milioni di lire, da ammortizzare mediante 156 rate uguali. Il TAN era fissato nel 5,75%, corrispondente ad un tasso periodale (mensile) dello 0,479167%. La rata è stata calcolata in a 8.170.115,66 lire.
Tabella 3 – Come eliminare interessi inesistenti
tempo |
importo rata |
quota interesse |
quota capitale |
debito residuo |
0 |
950.000.000,00 |
|||
1 |
8.170.115,66 |
4.552.083,33 |
3.618.032,33 |
946.381.967,67 |
2 |
8.170.115,66 |
4.513.121,55 |
3.656.994,11 |
942.724.973,56 |
….. |
Come si vede, alla fine del primo mese il debitore paga tutti gl'interessi generati fino a quel momento (950.000.000 x 0,00479167 = 4.552.0833,33). La parte residuale della rata (3.618.032,33) va a rimborso del debito, che scende a 946.381.967,67: quantità nella quale non è presente un centesimo di interessi, posto che questi sono stati pagati per intero. Siamo in piena logica giustinianea. Ne usciamo però subito (usciamo, anzi da ogni logica): alla fine del secondo mese la GPO ritiene che la quota interessi da pagare sia uguale non a
946.381.967,67 x 0,00479167 = 4.534.746,93
come sarebbe se ragionassimo come fatto per la prima scadenza (interessi dovuti uguale a debito residuo per tasso periodale), ma a
4.513.121,55 = (946.381.967,67/1,00479167) x 0,00479167
e cioè al tasso periodale moltiplicato per il debito residuo scontato di un mese. La ragione di questa strana procedura è forse da trovarsi negli articoli citati in n. 9: in essi, si parla della necessità di depurare quel debito dagl'interessi che vi sono contenuti, al fine di evitare l'anatocismo. Lodevole intenzione: se non fosse per il fatto che di quegli interessi non vi è, come abbiamo appena visto, alcuna traccia.
[1] La battezziamo con quell'aggettivo perché risale, come ricorderemo nel par. 4, al codice di Giustiniano.
[2] https://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/27180.pdf
[3] Fino al caso estremo di rimborso niente affatto progressivo, ma effettuato alla fine con un pagamento unico. Si parla allora, modernamente, di prestito bullet.
[4] Il recente "rapporto scientifico" dell'Associazione per la Matematica Applicata alle Scienze Economiche e Sociali (Anatocismo nei piani di ammortamento standardizzati tradizionali:https://www.amases.org/rapporto-scientifico-2022-01) li denomina, appunto, "standardizzati tradizionali"; chi scrive, usa anche, saltuariamente, il termine "giustinianei" per una ragione che sarà illustrata nel par. 4.
[5] Il piacere sparisce quando si scopre che la curiosità scientifica diventa, nelle mani sbagliate, un'arma per alimentare una conflittualità in buona parte pretestuosa.
[6] F. Cacciafesta, Prestiti reali e loro modellizzazioni: a proposito di due articoli di C. Mari e G. Aretusi; Il Risparmio, 2023; Ammortamento francese: leggende dure a morire; https://blog.ilcaso.it/news_1884/10-03-22/L-ammortamento_francese_leggende_dure_a_morire.
[7] Ci si riferisce a prestiti con pagamenti annui.
[8] Nessuno obietterà che potrebbero nascere problemi di usurarietà: il tasso di rendimento effettivo, quello di cui tener conto da questo punto di vista, resta infatti, ovviamente, il 6%.
[9] C.Mari e G. Artusi,. Sull’esistenza e unicità dell’ammortamento dei prestiti in regime lineare; Il Risparmio, 2018.
Gli stessi, Sull’ammortamento dei prestiti in regime composto e in regime semplice: alcune considerazioni concettuali e metodologiche, Il Risparmio, 2019.
[10] Tribunale di Taranto n. 796/2022; v. anche l'Appendice A.
[11] Usiamo la forma condizionale perché, a ben guardare, non esiste in realtà alcuna convivenza di leggi diverse. E' sbagliato pensare che la quota interessi sia calcolata in interesse semplice: la formula "interesse periodale uguale tasso per capitale" vale per tutti i regimi. Quanto al calcolo della rata, lo abbiamo già ricordato, esso può effettuarsi senza alcun ricorso all'interesse composto.
[12] Ricordiamo che l'acronimo sta per "Zero Coupon Bond": i prestiti di questo tipo prevedono, come (appunto) le obbligazioni senza cedole, solo il pagamento finale dell'intero montante (capitale e tutti gl'interessi); montante calcolato, in teoria, secondo una qualunque legge finanziaria.
[13] Accusa, ma non sicura condanna: in un ZCB in interesse composto vi è certamente creazione di interessi da interessi, ma non da "interessi scaduti ed esigibili".
[14] Per un caso singolare, ci siamo imbattuti in uno scritto di Leibniz (Meditatio juridico-mathematica de Interusurio simplice) che, nel 1683, la dava assolutamente per scontata.
[15] Ci rifiutiamo di partecipare alla discussione sulla differenza che ci sarebbe tra l'utilizzo dell'anno commerciale anziché il civile, e sul fatto che i pagamenti mensili potrebbero considerarsi non equiintervallati. Questioni, concettualmente irrilevanti.
[16] Scegliamo dunque il "periodo" (l'intervallo tra un pagamento e il successivo) come unità di misura del tempo.
[17] La (2) è l'equazione considerata da Mari-Aretusi negli articoli in n. 9. Essi però sono tra quelli che ne traggono, anziché la nostra conclusione, quella – insostenibile – che il prestito si svolgerebbe in interesse composto.
[18] Sappiamo di isolate proposte di tassi effettivi in interesse semplice: a noi sembrano irricevibili per diverse ragioni, e comunque ad oggi "fuori legge", posto che la normativa (italiana ed europea) impone esplicitamente, a questo scopo, l'utilizzo dell'interesse composto.
[19] Naturalmente: a meno di uno specifico episodio di errore, o frode.
[20] Osservazione maliziosa: qui la GOP usa questa espressione come sinonimo di AFS…
[21] Si noti che, eccezionalmente, il tasso corrispettivo era correttissimamente riferito all'intervallo previsto tra due pagamenti successivi. Vi era dunque un elemento di possibile (ma pretestuosa) incertezza in meno.
[22] Certo, non a tutti i clienti di un istituto di credito: il quale, però, la ha applicata in modo corretto.
[23] Il simbolo di euro si legge nella sentenza, ed è ripetuto – sempre riferito ad un tasso – la riga successiva.
[24] Citiamo, liberamente, dalla sentenza 113/2008 del Tribunale di Bari, che ha purtroppo fatto scuola e si trova richiamata in altre sentenze.
[25] Con qualche incertezza, per nostra personale ignoranza, sull'utilizzo dell'avverbio ontologicamente…
[26] Parliamo di questo argomento in un'appendice non perché non sia importante, ma perché ci sembra che vi siano pochi dubbi al riguardo, ed esso non è stato rilevante nella logica della sentenza. Il problema dei costi occulti (visto al par. 6), sul quale pure ci pare vi sia una quasi unanimità di vedute, ha invece provocato una conclusione di condanna.
[27] Sorvoliamo sul fatto che essa abbia scelto questa modalità, tra le possibili, senza indicare altra ragione se non che ritiene convincenti gli argomenti a [suo] supporto (pag. 29).
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