Civile
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 13/01/2025 Scarica PDF
Il danno morale come voce autonoma di danno: la Corte di Cassazione ribadisce il suo orientamento
Massimo Niro, ex MagistratoSommario: 1. Dalla pronuncia delle Sezioni Unite del 2008 ai contrasti successivi; 2. Il caso approdato in Cassazione e la ratio decidendi della pronuncia n. 30461/2024; 3. Verso una definitiva sistemazione del rapporto tra danno morale e danno biologico?
1. Dalla pronuncia delle Sezioni Unite del 2008 ai contrasti successivi
È lunga la vicenda giurisprudenziale del danno biologico o danno alla salute e della sua delimitazione rispetto al danno morale: molta acqua è passata sotto i ponti, nella nostra giurisprudenza, da quando la Corte costituzionale stabilì che l’art. 2059 c.c. riguarda soltanto il danno morale soggettivo, mentre il danno biologico come lesione della salute della persona offesa è risarcibile, quale danno-evento, in base alla norma generale dell’art. 2043 c.c. [1].
Infatti, molte e differenti impostazioni dottrinali e giurisprudenziali sono seguite alla sentenza costituzionale del 1986, fino a che nel 2008 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno statuito che “la formula danno morale non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata“: con il corollario che rientra nel concetto di danno biologico ogni sofferenza fisica o psichica provata dalla vittima e che “determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale (…), sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo” [2].
Con questa decisione - secondo un autorevole interprete - “la Corte di cassazione non ha affatto stabilito, come qualche frettoloso commentatore sembrò ritenere, che la sofferenza causata dalle lesioni non sia un danno risarcibile“, dato che “La sofferenza resta un danno, e come tale è risarcibile se derivante da una lesione della salute o comunque da un fatto reato“: piuttosto, “Quel che deve escludersi è che il medesimo pregiudizio (la sofferenza) possa essere liquidato due volte, dapprima a titolo di danno biologico e quindi a titolo di danno morale” [3]. Dopo questa sentenza delle Sezioni Unite del 2008, che costituisce comunque uno spartiacque in materia, i contrasti interpretativi su danno non patrimoniale, danno biologico e danno morale non si sono sopiti, neppure in seno alla giurisprudenza di legittimità: sono emersi diversi orientamenti, più o meno in linea con la sentenza n. 26972 del 2008 e la sua configurazione del danno non patrimoniale come categoria unitaria ed omnicomprensiva. Ad un primo orientamento, conforme al precedente del 2008, si è contrapposto un secondo orientamento, che può considerarsi come “apostata rispetto all’insegnamento delle Sezioni Unite, perché nella sostanza nega la natura giuridicamente unitaria ed omnicomprensiva del danno non patrimoniale”; vi sono poi ulteriori orientamenti rinvenibili nella giurisprudenza di merito [4].
Il quadro è sicuramente contrassegnato da incertezze ed oscillazioni in sede interpretativa; il tutto è aggravato dalla circostanza che l’espressione “danno morale” è “ambigua, polisemica, incrostata di significati diversi …” [5]. Si tratta però di intendersi, al di là di questioni terminologiche: il punto da tener fermo è che il danno morale ovvero la sofferenza interiore causata dall’illecito è cosa diversa dal danno biologico o lesione della salute, e può essere risarcito in presenza di certe condizioni.
2. Il caso approdato in Cassazione e la ratio decidendi della pronuncia n. 30461/2024
Muovendo da questo punto fermo è più agevole comprendere l’evoluzione successiva della giurisprudenza di legittimità, di cui l’ordinanza n. 30461 del 26 novembre 2024 della Sezione Terza Civile è un’importante e chiara espressione, almeno a mio parere.
È opportuno precisare, anzitutto, la fattispecie concreta approdata in Cassazione: nel 2013 un soggetto si presentava al Pronto Soccorso di un istituto ospedaliero per capogiri e perdita di coscienza, venendo dimesso con diagnosi di sincope NDD e prescrizione di misurare pressione e fare elettrocardiogramma; il giorno successivo si ripresentava in ospedale, dove nuovamente perdeva conoscenza ma veniva nuovamente dimesso; tuttavia nell’atto di uscire dalla clinica cadeva su una scala mobile interna e si rompeva il rachide cervicale; ne conseguiva una invalidità al 90%, con immobilizzazione in un letto per circa otto anni, fino a che nel 2021 il soggetto decedeva. Agiva in giudizio la moglie, in proprio e quale rappresentante del marito, rimasto invalido ed incapace, nei confronti della clinica, chiedendo il risarcimento dei danni subiti sia da lei che dal marito; la clinica si costituiva e chiamava in causa sia i medici che avevano visitato il paziente che la società produttrice della scala mobile; i chiamati, a loro volta, chiamavano in causa le rispettive compagnie di assicurazioni. Il Tribunale di Busto Arsizio, in primo grado, riconosceva la responsabilità sia dei medici che della clinica e liquidava il danno alla vittima nella misura di un milione e mezzo circa e alla moglie nella misura di 300.000 euro circa. Nel corso dell’appello, promosso dalla clinica e dai due medici, decedeva la persona offesa e, quindi, la causa veniva riassunta nei confronti della moglie: all’esito del giudizio la Corte di Appello di Milano confermava sostanzialmente la decisione di primo grado, salvo a ridurre l’ammontare del risarcimento.
Ha ricorso per cassazione, con ricorso principale, la vedova del danneggiato, proponendo quattro motivi; sono seguiti i ricorsi incidentali della clinica e di uno dei medici (cfr. lo “Svolgimento del processo“ dell’ordinanza in esame, pag. 2).
La Corte di cassazione ha accolto tre dei quattro motivi del ricorso principale: in questa sede rileva, in particolare, il quarto motivo, che attiene appunto al “danno morale soggettivo”.
La doglianza della ricorrente è che tale danno non sia stato liquidato dalla Corte di merito, sulla base dell’argomento, da ritenersi infondato, che il danno morale non può costituire duplicazione del danno biologico e rileva soltanto se risulta da una “personalizzazione”, ossia se emerge da una particolare ripercussione del danno sulla sfera del danneggiato.
Questa doglianza è condivisa dalla Corte suprema, che censura la mancata liquidazione del danno morale da parte della Corte di Appello e la tesi sostenuta da quest’ultima secondo cui si tratta di una duplicazione del danno biologico: al contrario, “E’ principio di diritto consolidato che il danno morale è una voce autonoma di danno, che ovviamente va accertato e liquidato solo se verificatosi effettivamente, ma che non costituisce una duplicazione illegittima del danno biologico, né può ritenersi rilevante solo ove sia provata una personalizzazione del danno, ossia solo ove il danno abbia avuto conseguenze singolari ed eccezionali sulla vittima”, poiché “ Il danno morale è una voce di danno come il biologico, che può prodursi senza che si produca quest’ultimo …” (par. 4 dei “Motivi della decisione “ sul ricorso principale, pagg. 4-5).
Di qui la Cassazione ribadisce “il principio di diritto secondo cui in tema di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti, il giudice di merito, dopo aver identificato la situazione soggettiva protetta a livello costituzionale, deve rigorosamente valutare, sul piano della prova, tanto l’aspetto interiore del danno (c.d. danno morale), quanto il suo impatto modificativo in peius con la vita quotidiana (il danno c.d. esistenziale, o danno alla vita di relazione, da intendersi quale danno dinamico-relazionale), atteso che oggetto dell’accertamento e della quantificazione del danno risarcibile … è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto, la quale, nella sua realtà naturalistica, si può connotare in concreto di entrambi tali aspetti essenziali, costituenti danni diversi e, perciò, autonomamente risarcibili, ma solo se provati caso per caso con tutti i mezzi di prova normativamente previsti“ (pag. 5). Tale principio di diritto va ricavato, secondo questa recente ordinanza della S.C., sia dalla sentenza della Corte costituzionale n. 235 del 2014 [6] che dal precedente della stessa Cassazione n. 901 del 2018 [7], oltre che dalla modifica degli artt. 138 e 139 C.d.A. operata dalla l. 4 agosto 2017, n. 124 [8].
Dunque, la ratio dell’ordinanza della S.C. del 26.11.2024 sembra chiara e coerente, espressa con argomenti sintetici e convincenti: danno morale e danno biologico sono voci di danno autonome e distinte, all’interno del genus del danno non patrimoniale previsto dall’art. 2059 c.c., e possono entrambe essere risarcite, ove siano adeguatamente accertate e provate nel caso concreto.
3. Verso una definitiva sistemazione del rapporto tra danno morale e danno biologico?
Ciò detto e così riassunto - in un modo che si spera non sia troppo frettoloso - un dibattito giurisprudenziale ultra-decennale, occorre tirare le fila del discorso e provare a svolgere delle considerazioni conclusive.
Indubbiamente la materia del danno non patrimoniale e, in particolare, delle sue componenti del danno biologico e del danno morale non può dirsi definitivamente assestata neanche oggi, quando la Corte di Cassazione con l’ordinanza che si commenta ha puntualizzato e ribadito un orientamento che si assume consolidato: ciò per la complessità della materia e per la sempre possibile emersione di nuove esigenze e nuovi problemi dalla realtà sociale e culturale (si pensi, in proposito, alle figure del “danno alla vita di relazione“ e del “danno esistenziale” emerse nel corso degli anni e richiamate anche dall’ordinanza n. 30461/2024).
Tuttavia, una conclusione seppur provvisoria può essere tentata in questi termini: il c.d. danno morale (ovvero sofferenza interiore) cagionato dal fatto illecito è sicuramente distinto dal danno biologico comprensivo degli aspetti dinamico-relazionali personali (v. gli artt. 138 e 139 Codice delle assicurazioni), è autonomo da quest’ultimo e può essere risarcito ove sia accertato e provato nella sua concretezza ed effettività. Non sussiste, quindi, alcuna duplicazione risarcitoria nel liquidare separatamente sia il danno biologico che il danno morale, purché entrambi siano adeguatamente provati in concreto e non già individuati in astratto [9].
Si è detto con parole alate che, così opinando, “restano…efficacemente scolpiti i due aspetti essenziali della sofferenza: il dolore interiore, e/o la significativa alterazione della vita quotidiana“, che costituiscono “danni diversi e perciò solo entrambi autonomamente risarcibili, ma se, e solo se, provati caso per caso, con tutti i mezzi di prova normativamente previsti…”[10].
Una conclusione in questi termini, pur provvisoria e non definitiva, può orientare gli interpreti e aiutarli a “ mettere ordine nel tormentato tema dei rapporti tra danno biologico e danno morale” [11].
[1] Il richiamo è alla sentenza della Corte costituzionale 14 luglio 1986, n. 184, che ha rappresentato una tappa importante della vicenda in questione: per un commento a questa sentenza cfr., volendo, il mio Il danno biologico al vaglio della Corte costituzionale, Il Corriere Giuridico n.10/1986, 1085 e ss..
[2] Cass. sez. un. 11.11.2008, n. 26972.
[3] Così M. Rossetti, Il danno alla salute, Terza edizione, Milano, 2021, pag. 792.
[4] V. ancora M. Rossetti, op. cit., pag. 795 e ss..
[5] M. Rossetti, op. cit., pag. 807.
[6] Con la sentenza 16 ottobre 2014, n. 235, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 139 D.Lgs. 209 / 2005 (Codice delle assicurazioni private) sollevata da quattro giudici di merito, osservando - per la parte che qui specificamente interessa - che “la norma denunciata non è… chiusa, come paventano i rimettenti, alla risarcibilità anche del danno morale: ricorrendo in concreto i presupposti del quale, il giudice può avvalersi della possibilità di incremento dell’ammontare del danno biologico, secondo la previsione, e nei limiti, di cui alla disposizione del citato comma 3”.
[7] La sentenza della Cassazione del 17 gennaio 2018, n. 901, è un precedente diretto e assolutamente in termini dell’ordinanza n. 30461/2024, che infatti richiama testualmente alcuni passi della prima sentenza. Qui si riporta un passo della sentenza n. 901/2018 che appare esemplificativo dell’orientamento seguìto: “Ogni vulnus arrecato ad un interesse tutelato dalla Carta costituzionale si caratterizza, pertanto, per la sua doppia dimensione del danno relazionale / proiezione esterna dell’essere, e del danno morale / interiorizzazione intimistica della sofferenza“.
[8] Gli artt. 138 e 139 del D.Lgs. 209/2005 (Codice delle assicurazioni private) riguardano, rispettivamente, il “Danno non patrimoniale per lesioni di non lieve entità “ e il “Danno non patrimoniale per lesioni di lieve entità “ e sono stati da ultimo modificati dall’art.1, commi 17 e 19, della legge 4 agosto 2017, n. 124, ovvero la “Legge annuale per il mercato e la concorrenza “. Di questa modifica normativa è stata sottolineata l’importanza, ai fini della ricostruzione della morfologia del danno non patrimoniale, proprio dalla sentenza n.901/2018 della Cassazione, con particolare riferimento alla lettera e) del riformulato art.138, ove si legge testualmente che “ al fine di considerare la componente del danno morale da lesione all’integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico stabilita in applicazione dei criteri di cui alle lettere da a) a d) è incrementata in via percentuale e progressiva per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione complessiva della liquidazione “.
[9] Favorevole a questa conclusione è - mi pare - anche chi, pur ripudiando l’espressione “danno morale”, non nega la risarcibilità della sofferenza causata dall’illecito, a condizione che tale sofferenza sia accertata in concreto: cfr. M. Rossetti, op. cit., pag. 808.
[10] Così Cass. 17 gennaio 2018, n. 901, cit..
[11] M. Rossetti, op. cit., pag. 807.
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