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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 13/09/2024 Scarica PDF

Misure urgenti in materia penitenziaria e mancati rimedi al sovraffollamento carcerario

Massimo Niro, ex Magistrato


Sommario : 1. Le nuove “misure urgenti” in materia penitenziaria e la crisi del sistema carcerario; 2. Il contenuto del decreto-legge 92/2024 (convertito con modificazioni dalla legge 112/2024); 3. La mancata risposta al sovraffollamento e l’affossamento della “proposta Giachetti”.

   


1. Le nuove “misure urgenti” in materia penitenziaria e la crisi del sistema carcerario.

Dal 5 luglio 2024 è in vigore nel nostro ordinamento il decreto-legge 4 luglio 2024,  n. 92, recante “Misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della Giustizia” (G.U. n.155 del 4 luglio 2024).

Si tratta del decreto che alcuni organi di informazione hanno denominato “decreto carceri”, sottolineando come esso abbia come principale oggetto alcune modifiche alla disciplina penitenziaria e alcune disposizioni volte ad incrementare il personale operante in ambito penitenziario. In realtà, da una lettura attenta del decreto-legge in esame (e della legge di conversione) si rimane piuttosto delusi circa la portata realmente innovativa del provvedimento adottato dal Governo e circa l’efficacia delle nuove disposizioni per fronteggiare la situazione fortemente critica dei nostri istituti di pena.

Infatti, a fronte della dichiarata “straordinaria necessità e urgenza di introdurre disposizioni per l’incremento del personale che opera in ambito penitenziario e minorile, ai fini del miglior funzionamento degli istituti di pena“ e della “straordinaria necessità e urgenza di introdurre diposizioni in materia di ordinamento penitenziario, per una razionalizzazione di alcuni benefici, di alcune regole di trattamento applicabili ai detenuti e per la semplificazione dell’accesso ai benefici“, le nuove disposizioni introdotte appaiono di modesto impatto e di modesta incidenza sulle criticità conclamate del nostro sistema penitenziario. In particolare, rispetto al sovraffollamento carcerario, ritornato davvero preoccupante negli ultimi mesi, e al collegato problema dei suicidi in carcere (con numeri impressionanti nell’anno in corso), le nuove misure adottate dal Governo possono fare ben poco, come si desume implicitamente anche dal linguaggio utilizzato nel decreto de quo, ove si parla - timidamente - di disposizioni volte ad una “razionalizzazione“ di alcuni benefici e di alcune regole di trattamento e alla “semplificazione” dell’accesso ai benefici.

Ma per incidere su una realtà emergenziale come quella del carcere ci vuole ben altro che misure di razionalizzazione e di semplificazione, come sa bene chiunque conosca in concreto e per esperienza diretta la situazione effettiva dei nostri istituti penitenziari.

Insomma, si potrebbe dire che “la montagna ha partorito un topolino“ o che “non c’è nulla di nuovo sotto il sole“: se l’intenzione del Governo e del Ministro della Giustizia era quella di approvare misure capaci di incidere sulla situazione delle carceri e di fronteggiare almeno i problemi più gravi del settore, va rilevato che tale intenzione non è andata a buon fine e che non ci si può aspettare nessun risultato significativo da questo testo normativo. Anche considerando le modifiche apportate dalla legge di conversione n.112 dell’8 agosto 2024 (G.U. n.186 del 9 agosto 2024) il giudizio complessivo su tale testo normativo non può cambiare in maniera significativa, giacchè comunque “si tratta di un intervento normativo che risponde solo ad alcune necessità ma che non sembra incidere in modo reale e significativo sulla grave situazione che caratterizza il sistema penitenziario[1].

 

2. Il contenuto del decreto-legge 92/2024 (convertito con modificazioni dalla legge 112/2024).

Passando ad un rapido ma il più possibile completo esame del contenuto del decreto-legge 92/2024, così come modificato dalla legge di conversione 112/2024, i primi articoli del Capo I (“Disposizioni in materia di personale“) prevedono l’assunzione straordinaria di un contingente massimo di 1.000 unità di agenti del Corpo di Polizia penitenziaria, “al fine di incidere più adeguatamente sui livelli di sicurezza, di operatività e di efficienza degli istituti penitenziari e di incrementare maggiormente le attività di controllo dell’esecuzione penale esterna“ (art. 1), l’assunzione di dirigenti penitenziari con un aumento della dotazione organica di venti unità di dirigente penitenziario (art. 2) e di 1 unità di dirigente generale penitenziario (art. 2-bis), il riconoscimento di una “indennità di specificità organizzativa penitenziaria“ in favore del personale dei ruoli del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero della Giustizia, in servizio presso gli istituti penitenziari per adulti e presso gli istituti penali per minorenni (art. 2-ter), la possibilità per i medici convenzionati con il Servizio sanitario nazionale operanti presso gli istituti penitenziari di svolgere altro incarico orario fino al completamento delle 38 ore settimanali (art. 2-quater), la possibilità di avviare procedure concorsuali per l’accesso alla dirigenza medica del SSN ai soli fini del reclutamento presso gli istituti penitenziari (art. 2-quinquies), lo scorrimento delle graduatorie per posti di vice commissario e vice ispettore di polizia penitenziaria (art. 3), disposizioni in materia di formazione degli agenti di polizia penitenziaria (art. 4). Queste disposizioni in materia di personale operano sì nella giusta direzione di un incremento del personale di polizia penitenziaria, ma in maniera piuttosto soft; stupisce, poi, che nessun incremento di personale sia previsto invece per l’area educativa (dei funzionari giuridico-pedagogici) degli istituti di pena, che pure versa in una situazione di difficoltà e di penuria di organici[2].  

Passando al Capo II, relativo a “Misure in maniera penitenziaria, di diritto penale e per l’efficienza del procedimento penale“, esso si apre con l’art. 4-bis, aggiunto in sede di conversione, che prevede la nomina di un “Commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria“, individuato tra soggetti esperti nella gestione di attività complesse e nella programmazione di interventi di natura straordinaria, nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, allo scopo di “far fronte alla grave situazione di sovraffollamento degli istituti penitenziari“. Questo nuovo Commissario straordinario, il quale “nel limite delle risorse disponibili compie tutti gli atti necessari per la realizzazione di nuove infrastrutture penitenziarie nonché delle opere di riqualificazione e ristrutturazione delle strutture esistenti, al fine di aumentarne la capienza e di garantire una migliore condizione di vita dei detenuti“ (comma 2 dell’art. 4-bis), può effettivamente costituire uno strumento utile per migliorare e coordinare gli interventi di edilizia penitenziaria, fino ad oggi gestiti in maniera disorganica e frammentaria; ma non possono tacersi le incognite legate alla scelta del Commissario straordinario e al necessario raccordo con gli organi competenti del Ministero della giustizia, nonché le riserve sull’onere finanziario necessario per il pagamento del compenso spettante al Commissario (commi 9 e 10 dell’art. 4-bis).

Il successivo art. 5 riguarda, invece, gli “interventi in materia di liberazione anticipata“: al riguardo si può rilevare, sinteticamente, che le modifiche sono sì rilevanti e non trascurabili, ma che in sostanza “il legislatore ha solamente modificato le modalità e le tempistiche per l’ottenimento del beneficio, al fine di semplificarle e di renderle maggiormente chiare nei confronti dei destinatari[3].

Infatti, le modifiche procedurali introdotte realizzano il passaggio ad un regime di concessione del beneficio della liberazione anticipata “ex officio” da parte del magistrato di sorveglianza, o a seguito del deposito di un’istanza di misura alternativa o di altri benefici penitenziari o in prossimità della scadenza della pena. Inoltre, in sede di conversione in legge del decreto sono state introdotte altre modifiche che interessano l’art. 656 c,p.p., prevedendo che il pubblico ministero, prima di emettere l’ordine di esecuzione, trasmetta gli atti al magistrato di sorveglianza affinchè quest’ultimo disponga l’applicazione provvisoria della detenzione domiciliare per il condannato di età pari o superiore a 70 anni, se la pena residua da espiare è compresa tra due e quattro anni di reclusione (nuovo comma 9-bis dell’art. 656), e parimenti trasmetta gli atti al magistrato di sorveglianza affinchè disponga l’applicazione provvisoria della detenzione domiciliare “se il condannato si trova agli arresti domiciliari per gravissimi motivi di salute“ (nuovo comma 9-ter). Queste ultime modifiche, la cui ratio è condivisibile, non fanno altro che agevolare e accelerare la concessione della misura extra-muraria della detenzione domiciliare in favore di condannati anziani (come già previsto dall’art. 47-ter comma 01 ord. penit.) o che si trovino già agli arresti domiciliari per gravi motivi di salute.

Concludendo sul punto delle modifiche in tema di liberazione anticipata di cui all’art. 5 del nuovo decreto-legge, modifiche che interessano essenzialmente il procedimento ex art. 69-bis ord. penit., si concorda con chi ha osservato che “Tali semplificazioni a livello procedurale rappresentano sicuramente un segnale positivo, ma con questo nuovo sistema non si può in ogni caso escludere il prodursi di un effetto cumulo, con la concreta possibilità che si presentino ritardi nelle decisioni, nei casi in cui siano molti i semestri da valutare[4].

Con l’art. 6 della novella si interviene sui colloqui telefonici settimanali e mensili dei detenuti, incrementandone il numero così da equiparare la relativa disciplina a quella dei colloqui visivi, ciò attraverso modifiche da apportare al regolamento di esecuzione di cui al d.P.R. 230/2000; l’art. 6-bis contiene disposizioni in materia di dati sanitari dei detenuti, limitatamente a quelli affetti da “patologia da dipendenza o da patologia psichica diagnosticate“, prevedendo che il Ministero della salute e il Ministero della giustizia si scambino i dati conservati nelle banche dati esclusivamente per le finalità specificate nel medesimo articolo; l’art. 7, invece, prevede che i detenuti sottoposti al regime detentivo differenziato di cui all’art. 41-bis ord. penit. siano esclusi tout court dall’accesso ai programmi di giustizia riparativa, con ciò introducendo “una preclusione assoluta, che non è proficua in termini di rieducazione e che non consente alla magistratura di svolgere un vaglio caso per caso[5].

L’art. 8 detta disposizioni in materia di “strutture residenziali per l’accoglienza e il reinserimento sociale dei detenuti“, stabilendo che, “allo scopo di semplificare la procedura di accesso alle misure penali di comunità e agevolare un più efficace reinserimento delle persone detenute adulte“, è istituito presso il Ministero della giustizia un elenco delle strutture residenziali idonee, che è articolato in sezioni regionali ed è tenuto dal Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, che ne cura la tenuta e l’aggiornamento ed esercita la vigilanza sullo stesso (comma 1); da menzionare anche la disposizione, introdotta in sede di conversione, che autorizza uno stanziamento finanziario (per la spesa massima di 5 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2024) per incrementare il contingente annuo dei posti disponibili nelle strutture sanitarie pubbliche o private accreditate per i detenuti tossicodipendenti nonché per potenziare i servizi per le dipendenze presso gli istituti penitenziari a custodia attenuata per tossicodipendenti (comma 6-bis).

Con l’art.10 viene introdotta, in sede di conversione del decreto-legge, una semplificazione procedurale in tema di misure di sicurezza, inserendo nel codice di procedura penale un nuovo articolo (658-bis) relativo alle misure di sicurezza da eseguire presso “strutture sanitarie”, in base al quale il pubblico ministero, quando deve essere eseguita una misura di sicurezza detentiva di tipo psichiatrico, chiede senza ritardo al magistrato di sorveglianza la fissazione dell’udienza per procedere all’accertamento della pericolosità sociale ex art. 679 c.p.p.(comma 1-bis); su tale richiesta del P.M. il magistrato di sorveglianza provvede alla fissazione dell’udienza sempre senza ritardo, ossia entro cinque giorni dalla richiesta medesima (comma 2-bis dell’art.10).

Infine, l’ultima disposizione introdotta in materia penitenziaria, sempre con la legge di conversione, si sostanzia in una modifica dell’art. 47 ord. penit., in virtù della quale il condannato ai fini dell’ammissione alla misura alternativa all’affidamento in prova al servizio sociale, qualora non possa offrire valide occasioni di reinserimento esterno tramite attività di lavoro, autonomo o dipendente, può essere ammesso in sostituzione a “un idoneo servizio di volontariato oppure ad attività di pubblica utilità, senza remunerazione, (…) in quanto compatibili“ (art.10-bis).

   

3. La mancata risposta al sovraffollamento e l’affossamento della “proposta Giachetti”.

Da questa disamina del contenuto del provvedimento normativo in questione emerge che esso è insufficiente e inadeguato ad affrontare le gravi criticità del sistema penitenziario, prima fra tutte il cronico sovraffollamento dei nostri istituti, che ovviamente condiziona gli standard di vita al loro interno e compromette la realizzazione degli obiettivi di umanizzazione della pena e rieducazione del condannato, fissati a livello costituzionale (art.27 comma 3).

Eppure uno strumento utile a questo scopo c’era : sin dal novembre 2022 è stata presentata alla Camera dei Deputati una proposta di legge nota come “proposta Giachetti” (dal nome del deputato di Italia Viva primo firmatario), riguardante “Modifiche alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di concessione della liberazione anticipata, e disposizioni temporanee concernenti la sua applicazione“. Si tratta di una proposta molto snella, che consta di soli due articoli, ma che già nella nota di presentazione dà conto della grave situazione in cui versano le nostre carceri a partire dalla pandemia da Covid-19, con la crescita del numero di persone detenute e l’aumento esponenziale dei suicidi, e introduce rimedi che paiono in grado di fronteggiare l’emergenza determinata dal sovraffollamento, come l’aumento stabile della detrazione di pena per liberazione anticipata da 45 giorni a 60 giorni per ogni semestre e l’introduzione di temporanee misure straordinarie di liberazione anticipata.

Purtroppo su questa proposta concreta e sensata non c’è stato l’auspicato accordo delle principali forze politiche, di maggioranza e di opposizione, e l’esame in Parlamento della stessa proposta è stato per l’ennesima volta rinviato, su decisione dei partiti di maggioranza, anche per evitare eventuali divisioni all’interno della maggioranza. Pare comprensibile e condivisibile la delusione e la critica dell’on. Giachetti, il quale ha denunciato l’ignavia del Governo rispetto all’emergenza carcere [6] .

È preoccupante, poi, la circostanza che nell’attuale maggioranza politica qualcuno giustifichi la contrarietà alla proposta Giachetti in nome della “certezza della pena” e della non ammissibilità di misure “svuota - carcere“: quando è evidente a chiunque conosca la materia che un semplice incremento della riduzione di pena per i condannati meritevoli (che abbiano “dato prova di partecipare all’opera di rieducazione“, ai sensi dell’art. 54 ord. penit.) non erode in alcun modo la c.d. certezza della pena e fa parte della fisiologia delle misure volte a contrastare il sovraffollamento carcerario, dalla legge Gozzini (l. 663/1986) in poi.

La verità è che un orientamento politico-culturale di questo tipo si pone in aperto contrasto con la Costituzione (art. 27 comma 3) e tende, in nome dell’ambigua espressione ‘certezza della pena’, a “far passare l’idea che la chiusura ermetica dei condannati nel contenitore carcere sino all’ultimo giorno di pena da scontare sia una garanzia di sicurezza sociale[7].

In conclusione, non c’è dubbio che il c.d. decreto carceri emanato il 4 luglio scorso, pur con talune modifiche migliorative apportate dalla legge di conversione dell’8 agosto, sia piuttosto deludente e poco incisivo nell’affrontare una questione urgente come quella del sistema carcerario: del resto, è pur vero che nella stessa premessa del decreto-legge non si fa mai parola del sovraffollamento e ci si limita a parlare di “razionalizzazione“ dei benefici e “semplificazione” dell’accesso agli stessi (cfr. il paragrafo 1 di questo articolo).

Per nostra fortuna il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, garante della Costituzione, ha ben presente sia il dettato costituzionale sul carcere che la drammatica situazione attuale dei nostri istituti di pena: Egli ha ricordato a tutti che “Il carcere non può essere il luogo in cui si perde ogni speranza, non va trasformato, in questo modo, in palestra criminale” [8].

Vox clamantis in deserto?



[1] Così A. Secco e V. Manca, Alcune considerazioni sul ‘carcere sicuro’ : la conversione del D.L. 92/2024, www.IlQuotidianoGiuridico.it, 3 settembre 2024 .

[2] Cfr., in senso analogo, A. Secco e V. Manca, op. cit..

[3] Così ancora A. Secco e V. Manca, op. cit..

[4] A. Secco e V. Manca, op. cit..

[5] A. Secco e V. Manca, op. cit..

[6] Cfr. l’articolo di R. Giachetti È l’ignavia del governo ad alimentare l’emergenza nelle carceri, Il Foglio 16 luglio 2024.

[7] G. Giostra, Le nostre carceri sono disumane - il governo pure, Domani 23 luglio 2024.

[8] Intervento alla cerimonia del Ventaglio del 24 luglio 2024, riportato su La Stampa 25 luglio 2024.


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