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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 07/07/2016 Scarica PDF

Ruolo e responsabilità del commissario giudiziale del concordato preventivo dopo le recenti modifiche della legge fallimentare e nella prospettiva della futura riforma

Paolo Felice Censoni, Professore di Diritto commerciale nell'Università di Urbino


Sommario: 1. Il commissario giudiziale pubblico ufficiale e il richiamo delle norme relative al curatore fallimentare – 2. Il ruolo del commissario giudiziale nel preconcordato “con riserva” – 3. E nel corso della procedura concordataria – 4. E dopo l’omologazione del concordato.


     

1. Il commissario giudiziale pubblico ufficiale e il richiamo delle norme relative al curatore fallimentare

Il ruolo, i poteri-doveri e conseguentemente le responsabilità del commissario giudiziale di un concordato preventivo[2] sono stati modificati in modo alquanto significativo dai più recenti interventi del legislatore: mi riferisco in particolare al d.l. 27 giugno 2015, n. 83, conv. con modificazioni dalla l. 6 agosto 2015, n. 132, e al d.l. 3 maggio 2016, n. 59, conv. con modificazioni dalla l. 30 giugno 2016, n. 119 (in G.U. n. 153 del 2 luglio 2016)[3], su cui una riflessione appare opportuna, anche in vista o in attesa della riforma della disciplina delle imprese in crisi, contenuta nel noto disegno di legge delega governativo n. 3671, presentato alla Camera dei deputati l’11 marzo 2016 sulla base della bozza predisposta dalla c.d. “Commissione Rordorf” (da cui peraltro si è distaccato su profili non propriamente secondari).

Tradizionalmente le funzioni del commissario giudiziale sono state suddivise secondo tre direzioni: a) di vigilanza; b) di consulenza (mediante l’assunzione di pareri); c) di informazione o segnalazione (agli Organi della procedura, ad altri Organi giudiziari o ad altri soggetti, fra i quali soprattutto i creditori); ed è appunto in relazione a tali funzioni che l’art. 165 l. fall. (che rispetto al passato è stato ampiamente integrato dal d.l. n. 83 del 2015 con l’aggiunta di ulteriori tre commi) nel primo comma attribuisce al commissario giudiziale – con disposizione del tutto identica a quella dell’art. 30 l. fall. per il curatore fallimentare – la qualifica di pubblico ufficiale per quanto attiene all’esercizio delle sue funzioni.

Al commissario giudiziale (anche attualmente, salvo quanto si dirà più avanti con riferimento alle ipotesi eccezionali di cui all’art. 185, 4°, 5° e 6° comma l. fall. e salvo semmai quanto stabilito nel primo comma dell’art. 240 l. fall. a proposito del potere di costituzione di parte civile nei procedimenti relativi ai reati fallimentari applicabili in sede concordataria) non spettano, in generale, funzioni direttamente “gestionali”[4] (o di rappresentanza processuale surrogatoria rispetto al debitore[5]) simili a quelle affidate al curatore fallimentare dall’art. 31, 1° comma l. fall. (come risulta subito evidente, confrontandolo con la disposizione del primo comma dell’art. 167 l. fall.), anche per l’assenza (a mio avviso non del tutto ragionevole) di una norma analoga a quella prevista per l’amministrazione controllata (ora abrogata) dall’art. 191 l. fall.[6], che consentiva al tribunale di “affidare al commissario giudiziale in tutto o in parte la gestione dell’impresa e l’amministrazione dei beni del debitore, determinandone i poteri”.

Precisamente in relazione all’osservazione di cui sopra il secondo comma dell’art. 165 l. fall. continua a presentare alcuni problemi applicativi, determinati in parte proprio dalla sostanziale assenza (quanto meno fino all’omologazione del concordato) di funzioni amministrative dirette, che rende poco comprensibile il richiamo delle disposizioni riguardanti sia il reclamo contro gli “atti di amministrazione” del curatore (art. 36 l. fall.; ma in dottrina è stata sostenuta la tesi secondo cui il reclamo potrebbe essere proposto anche contro le omissioni del commissario[7]); sia l’obbligo di tenuta del registro di cui all’art. 38, 1° comma l. fall.; sia l’obbligo di rendiconto (art. 38, 3° comma l. fall.)[8].

Le uniche attività gestionali che, dopo la c.d. “miniriforma” del 2015, possono essere affidate al commissario giudiziale (peraltro solo in sede di esecuzione dell’eventuale proposta “concorrente” presentata da uno o più creditori, che sia stata preferita dai creditori e omologata dal tribunale) sono quelle di cui al quarto comma dell’art. 185 l. fall., allorché il tribunale, per sopperire all’inattività o alla mancanza di collaborazione del debitore, attribuisca al medesimo commissario giudiziale “i poteri necessari a provvedere in luogo del debitore al compimento degli atti a questo richiesti”.

Comunque, contro eventuali atti del commissario giudiziale (benché estranei ad attività di natura gestionale) o contro i relativi comportamenti omissivi, il debitore concordatario e ogni altro interessato possono proporre reclamo al giudice delegato per violazione di legge, nei termini e nelle forme relativi agli atti ed ai comportamenti del curatore fallimentare ai sensi dell’art. 36 l. fall., quindi entro otto giorni dalla conoscenza dell’atto o, in caso di omissione, dalla scadenza del termine indicato nella diffida a provvedere, tenendo presente, tuttavia, che l’art. 36-bis l. fall., che dichiara non soggetti alla sospensione feriale i termini previsti negli artt. 26 e 36 l. fall., non è stato espressamente richiamato dall’art. 165 l. fall., anche se è preferibile ritenere che esso sia applicabile anche agli atti o alle omissioni del commissario giudiziale, data l’identità di ratio e l’irragionevolezza di un’eventuale diversità di trattamento fra le due fattispecie.

Se è accolto il reclamo concernente un comportamento omissivo del commissario giudiziale, questi è tenuto a dare esecuzione al provvedimento dell’autorità giudiziaria.

Il tribunale può in ogni tempo revocare il commissario giudiziale con decreto motivato, su proposta del giudice delegato o anche d’ufficio, dopo averlo sentito; la norma non attribuisce espressamente una legittimazione alla relativa richiesta anche al debitore concordatario; ma neppure la esclude[9]; e comunque il debitore o qualunque altro interessato ben possono sollecitare l’intervento del giudice delegato o del tribunale, il cui decreto (di revoca o di rigetto) è impugnabile con reclamo alla corte d’appello, retto anch’esso dalle regole previste dall’art. 26 l. fall.

L’unica parte dell’art. 38 l. fall. ragionevolmente applicabile al concordato preventivo è quella contenuta nella prima proposizione del primo comma: il commissario giudiziale adempie ai doveri del proprio ufficio, imposti dalla legge, “con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico”; in caso di violazione di detti doveri egli è sì soggetto ad azione di responsabilità, ma questa può essere esercitata solo dal debitore concordatario o da singoli creditori o dal curatore del fallimento consecutivo, secondo le regole generali, mentre nessuna legittimazione può essere attribuita al nuovo commissario giudiziale, per quanto detto sopra[10], o al comitato dei creditori, che non è previsto nella procedura in esame (salva l’ipotesi che la proposta consista nella cessione dei beni, a norma dell’art. 182 l. fall.); più giustificata appare semmai la legittimazione del commissario liquidatore di un concordato preventivo con cessione dei beni, posto che a questo spettino tutti i poteri sostanziali e processuali per la costituzione e la reintegrazione della massa attiva da liquidare, nell’interesse comune del ceto creditorio[11].

Fatte queste premesse, è ora opportuno distinguere poteri e doveri del commissario giudiziale secondo il momento nel quale lo stesso è chiamato ad operare: quindi secondo che ciò avvenga nel preconcordato “con riserva” o “durante” la procedura (dal decreto di ammissione a quello di omologazione) o nel corso della fase esecutiva della proposta concordataria (ulteriormente distinguendo secondo che quest’ultima provenga dal debitore o da un creditore e naturalmente anche secondo il contenuto di dette proposte).

 

2. Il ruolo del commissario giudiziale nel preconcordato “con riserva”

Già nel preconcordato “con riserva” il commissario giudiziale, se nominato, è chiamato ad esercitare le sue prerogative secondo le tre direzioni sopra indicate.

Quanto a tali funzioni (fra di loro connesse) innanzitutto il commissario giudiziale, a norma del sesto comma dell’art. 161 l. fall. (introdotto dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 134; e poi modificato dal d.l. 21 giugno 2013, n. 69, conv. con modificazioni dalla l. 9 agosto 2013, n. 98), deve verificare che il debitore non abbia posto in essere “una delle condotte previste dall’articolo 173” l. fall. (che disciplina la “revoca dell’ammissione al concordato”); e in caso contrario “deve riferirne immediatamente al tribunale che, nelle forme del procedimento di cui all’art. 15 [che disciplina l’istruttoria prefallimentare] e verificata la sussistenza delle condotte stesse, può, con decreto, dichiarare improcedibile la domanda”, con contestuale accoglimento di eventuali istanze di dichiarazione di fallimento pendenti.

Naturalmente, non essendo possibile revocare un procedimento (di concordato preventivo) non ancora aperto[12], il richiamo alle “condotte previste dall’articolo 173” non potrebbe riferirsi ad altro che alla scoperta del compimento di eventuali atti di frode o di atti di straordinaria amministrazione non autorizzati a norma del settimo comma dell’art. 161 l. fall.

D’altra parte, quanto alle singole fattispecie che possono innescare il giudizio di revoca nel corso del preconcordato “con riserva” ai sensi dell’art. 173 l. fall., l’occultamento o la dissimulazione di parte dell’attivo neppure sono compatibili con detta fase processuale, nella quale il debitore non deve produrre alcuna documentazione riguardante l’attivo del suo patrimonio[13]; potrebbero verificarsi invece la dolosa omissione di denuncia di uno o più crediti (rectius debiti) e l’esposizione di passività insussistenti in conseguenza del fatto che il debitore con la domanda di concordato “con riserva” deve produrre anche l’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti; ma poiché lo stesso è poi obbligato a riprodurre quell’elenco al momento del deposito della proposta e del piano, questa volta con l’indicazione delle cause di prelazione, non si comprende il motivo per il quale solo nel preconcordato “con riserva” al debitore medesimo debba essere sottratta la possibilità di modificare quelle indicazioni, normalmente ricavate sulla base di verifiche contabili ancora provvisorie ed in itinere[14]; e alla medesima conclusione deve pervenirsi anche per ciò che riguarda gli altri eventuali “atti di frode” asseritamente compiuti prima della presentazione della domanda di concordato, per la possibilità offerta al debitore di farne completa disclosure nella proposta e nel piano concordatari e di tenerne conto almeno in quella sede[15], nel rispetto dell’interesse tutelato dall’art. 173, che consiste nella correttezza e completezza dell’informazione dei creditori[16] (ma senza dimenticare che il debitore può sempre sostituire la via del concordato preventivo con quella dell’accordo di ristrutturazione).

Dunque se ne può desumere serenamente l’inapplicabilità al preconcordato “con riserva” del primo comma dell’art. 173, limitandone il richiamo agli altri due commi, con esclusione tuttavia del riferimento all’ipotesi della mancanza delle condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato, se non altro perché il sesto comma dell’art. 161 parla di “condotte” (cioè di comportamenti), non di “condizioni” e dunque l’espressione non può riferirsi ad altro che agli atti fraudolenti o agli atti di straordinaria amministrazione privi dell’autorizzazione del tribunale, compiuti dopo la presentazione della domanda di concordato[17].

Va però sottolineata la situazione paradossale che potrebbe verificarsi ove poi il giudizio di revoca si svolga in totale assenza di istanze di fallimento, con la conseguenza – che può essere assai grave per i creditori (magari all’unanimità favorevoli al concordato preventivo) – di perdere, con la dichiarazione di improcedibilità, tutti gli effetti positivi (di inefficacia o di inopponibilità, anche dell’atto incriminato) derivanti ex lege dalla domanda “con riserva” e non trasmigrati in altra procedura concorsuale.

In secondo luogo il commissario giudiziale deve vigilare sul rispetto da parte del debitore degli “obblighi informativi periodici, anche relativi alla gestione finanziaria dell’impresa e all’attività compiuta ai fini della predisposizione della proposta e del piano”, così come stabiliti dal tribunale con il decreto di apertura (art. 161, 8° comma, prima e seconda proposizione l. fall.), a pena (non di improcedibilità [come nel caso precedente], ma) di inammissibilità della domanda ex art. 162, 1° e 2° comma l. fall.[18]; qualora poi, pur nel tempestivo rispetto di quegli obblighi informativi, il commissario giudiziale accerti “che l’attività compiuta dal debitore è manifestamente inidonea alla predisposizione della proposta e del piano”, il tribunale, lungi dal dichiarare l’improcedibilità o l’inammissibilità della domanda, può solamente abbreviare il termine originariamente fissato nel decreto di apertura (art. 161, 8° comma, terza proposizione l. fall.).

Ai fini dell’esercizio delle funzioni di cui sopra il commissario giudiziale può avvalersi non solo dei documenti depositati dal debitore con il ricorso introduttivo – obbligatoriamente i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e l’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti – ma anche delle scritture contabili (che il debitore, a norma del secondo comma dell’art. 170 l. fall., richiamato dal sesto comma dell’art. 161 l. fall., deve tenere a disposizione del primo), oltre che delle note informative periodicamente depositate dal debitore medesimo[19].

L’espresso riferimento (nell’ottavo comma dell’art. 161) alla “gestione finanziaria dell’impresa” (e quindi all’ipotesi di una “continuità aziendale” di fatto, indipendentemente dalla successiva progettazione della proposta e del piano concordatario), unitamente al richiamo all’art. 173 l. fall. (nel sesto comma dell’art. 161), sia pure nei limiti ermeneutici sopra enunciati (atti fraudolenti o atti di straordinaria amministrazione privi dell’autorizzazione del tribunale, compiuti dopo la presentazione della domanda di concordato), inducono a ritenere che, in definitiva, l’attività di vigilanza del commissario giudiziale nel preconcordato “con riserva” non si discosti molto da quella stabilita dal primo comma dell’art. 167 l. fall. per il periodo successivo al decreto di apertura del vero e proprio concordato.

Quanto poi alle ulteriori forme di intervento del commissario giudiziale il suo “parere” deve essere acquisito dal tribunale sia ai fini dell’autorizzazione al compimento di atti urgenti di straordinaria amministrazione (art. 161, 7° comma l. fall.); sia quando risulti che l’attività del debitore è manifestamente inidonea alla predisposizione della proposta e del piano e ai fini dell’abbreviazione del termine originariamente fissato (art. 161, 8° comma l. fall.); sia nell’ipotesi che il debitore chieda al tribunale l’autorizzazione a contrarre finanziamenti “funzionali a urgenti necessità relative all’esercizio dell’attività aziendale” (art. 182-quinquies, 3° comma l. fall.); sia ai fini dell’autorizzazione alla partecipazione del debitore, nel concordato con continuità aziendale, a procedure di affidamento di contratti pubblici (art. 186-bis, 4° comma l. fall.).

Ed ugualmente – anche se non previsto in modo espresso – è ragionevole ritenere che il parere del commissario giudiziale debba essere opportunamente raccolto dal tribunale prima di pronunziarsi sull’eventuale istanza di autorizzazione allo scioglimento o alla sospensione di un contratto ancora ineseguito o non compiutamente eseguito (art. 169-bis l. fall.)[20] o sull’eventuale istanza di autorizzazione, nel concordato con continuità aziendale, al pagamento di crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi essenziali per la prosecuzione dell’attività d’impresa (art. 182-quinquies, 5° comma l. fall.).

Ciò che accomuna le fattispecie sopra menzionate è la necessità che l’istanza del debitore (quale che essa sia) venga adeguatamente motivata, in ragione dell’interesse della massa dei creditori alla preservazione della loro garanzia patrimoniale, ad esempio quando possa essere lesa dall’aggravamento del passivo per il mancato scioglimento di un contratto in corso; o da un depauperamento dell’attivo per l’omesso compimento di un atto urgente di straordinaria amministrazione o per la compromissione della continuità aziendale in relazione all’interruzione di forniture strategiche: conseguentemente il debitore dovrebbe anche indicare, sia pure in modo approssimativo, la direzione in cui intende muoversi nella progettazione della proposta o del piano concordatario.

In assenza di indicazioni (sia pure minimali) da parte del debitore il parere del commissario giudiziale, così come la decisione del tribunale (in un senso o nell’altro), rischierebbero di essere del tutto discrezionali, ma tenendo conto che un rigetto tout court di quell’istanza potrebbe riflettersi negativamente sulla fattibilità del piano che il debitore aveva intenzione di progettare, precludendogli sul nascere lo stesso accesso al concordato preventivo.

In relazione a tutte le attività sopra menzionate al commissario giudiziale devono indubitabilmente ritenersi applicabili le disposizioni dei primi due commi dell’art. 165 l. fall. ed anche quella del quinto comma, secondo cui gli è fatto obbligo di comunicare “senza ritardo al pubblico ministero i fatti che possono interessare ai fini delle indagini preliminari in sede penale e dei quali viene a conoscenza nello svolgimento delle sue funzioni”; non ritengo invece applicabili nel preconcordato “con riserva” il terzo e il quarto comma della menzionata disposizione, che, riguardando gli istituti delle proposte o delle offerte “concorrenti” (artt. 163 e 163-bis l. fall.), appaiono funzionalmente dipendenti dalla presentazione della proposta del debitore e dall’ammissione al concordato da parte del tribunale.

 

3. E nel corso della procedura concordataria

Ma è appunto dopo l’apertura del concordato che il commissario giudiziale consegue la pienezza dei suoi poteri-doveri (recentemente incrementati in modo significativo), dovendo (o potendo) compiere una nutrita serie di atti (alcuni dei quali peraltro in tempi molto stretti).

A) Innanzitutto[21] deve procedere alla verifica dell’elenco dei creditori (allegato alla domanda di concordato preventivo) e dei debitori con la scorta delle scritture contabili[22], apportando le necessarie rettifiche (art. 171, 1° comma l. fall.); si è giustamente osservato[23] che il commissario giudiziale deve limitarsi alla correzione degli errori materiali, dal momento che se, nel corso delle verifiche, lo stesso accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell’attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, “deve riferirne immediatamente al tribunale”, a norma dell’art. 173, 1° comma l. fall., per i provvedimenti ivi previsti; per quanto riguarda l’elenco dei creditori tali rettifiche, però, non sono vincolanti neppure ai fini dell’ammissione alla votazione.

B) Sulla base dell’elenco (o degli elenchi) di cui sopra il commissario giudiziale provvede, nel termine stabilito dal tribunale nel decreto di apertura (art. 163, 2° comma, n. 2 l. fall.), a comunicare ai creditori[24] un avviso contenente la data di convocazione dei creditori, la proposta del debitore, il decreto di ammissione, il suo indirizzo di posta elettronica certificata, l'invito ad indicare (nel termine di quindici giorni dalla comunicazione dell’avviso[25]) un indirizzo di posta elettronica certificata, le cui variazioni è onere comunicare al commissario, con l’avvertimento che, in caso di omessa comunicazione al commissario giudiziale di detto indirizzo o della sua variazione e nei casi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata del commissario per cause imputabili al destinatario, tutte le comunicazioni del primo “si eseguono esclusivamente mediante deposito in cancelleria” (art. 171, 2° comma l. fall.); inoltre in pendenza della procedura e per il periodo di due anni dalla chiusura della stessa il commissario è tenuto a conservare i messaggi di posta elettronica certificata inviati e ricevuti (art. 31-bis, 3° comma l. fall., richiamato dal secondo comma dell’art. 171).

Sull’avviso di convocazione può essere scritta senza formalità anche la procura speciale per la partecipazione all’adunanza dei creditori (art. 174, 2° comma l. fall.).

A questo proposito è necessario osservare che l’art. 6 del recente d.l. 3 maggio 2016, n. 59 (pubblicato con la medesima data in G.U. n. 102) e conv. con modificazioni dalla l. 30 giugno 2016, n. 119 (in G.U. n. 153 del 2 luglio 2016), aggiungendo al secondo comma dell’art. 163 l. fall. il n. 2-bis, ha disposto che il tribunale, “in relazione al numero dei creditori e alla entità del passivo, può stabilire che l’adunanza sia svolta in via telematica con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione dei creditori, anche utilizzando le strutture informatiche messe a disposizione della procedura da soggetti terzi”; in tal caso, a norma del novellato secondo comma dell’art. 175 l. fall., “la discussione sulla proposta del debitore e sulle eventuali proposte concorrenti è disciplinata con decreto, non soggetto a reclamo, reso dal giudice delegato almeno dieci giorni prima dell’adunanza”; di tutto ciò evidentemente il commissario giudiziale deve dare conto ai destinatari dell’avviso di comunicazione.

Si ritiene che debbano essere avvertiti tutti i creditori, sia quelli chirografari, che hanno diritto al voto, sia quelli muniti di diritti di prelazione, che in generale non possono partecipare alla votazione, ma possono intervenire all’adunanza.

Quando tale comunicazione sia “sommamente difficile” per il rilevante numero dei creditori o per la difficoltà di identificarli tutti, il tribunale, sentito il commissario giudiziale, può autorizzarlo a dare notizia della proposta di concordato mediante pubblicazione del testo integrale della comunicazione ai creditori su uno o più quotidiani a diffusione nazionale o locale (artt. 171, 3° comma e 126 l. fall.).

Quando poi (trattandosi di società per azioni) vi siano obbligazionisti, il termine (ordinatorio) di non oltre centoventi giorni per la convocazione dei creditori è “raddoppiato”, in modo da consentire agli obbligazionisti medesimi di deliberare sulla proposta di concordato a norma dell’art. 2415, 1° comma, n. 3 c.c.; ed inoltre l’avviso di convocazione è comunicato al loro rappresentante comune; peraltro il raddoppio del termine aveva una sua ragionevolezza quando lo stesso era di trenta giorni; ma non ne ha più alcuna dopo che quello stabilito nell’art. 163, 2° comma, n. 2 è stato elevato dal d.l. n. 83 del 2015 a centoventi giorni, con la conseguente impossibilità di rispettare il termine di chiusura del procedimento quale fissato nell’art. 181 l. fall. (nove mesi dalla presentazione del ricorso).

Il quarto comma dell’art. 171 l. fall. si riferisce espressamente ai possessori di obbligazioni di società (per azioni) di cui all’art. 2410 ss. c.c.; ma dopo la riforma del diritto societario è legittimo chiedersi se la medesima disposizione sia applicabile per analogia ai possessori di strumenti finanziari diversi (nelle società per azioni o nelle società cooperative) o ai possessori di titoli di debito (nelle società a responsabilità limitata), poiché anche per essi è prevista la delibera a maggioranza quando i loro diritti possono essere pregiudicati (artt. 2376 e 2541 c.c.) o modificati (art. 2483, 3° comma c.c.).

C) Nel frattempo – a proposito delle “proposte concorrenti” e delle “offerte concorrenti” – il commissario giudiziale fornisce ai creditori (o ai terzi) eventualmente interessati, “valutata la congruità della richiesta medesima e previa assunzione di opportuni obblighi di riservatezza, le informazioni utili per la presentazione di proposte concorrenti, sulla base delle scritture contabili e fiscali obbligatorie del debitore, nonché ogni altra informazione rilevante in suo possesso. In ogni caso si applica il divieto di cui all'articolo 124, comma primo, ultimo periodo[26] (art. 165, 3° e 4° comma l. fall.); dirompente, per il debitore concordatario (soprattutto in caso di continuità aziendale), è il concreto rischio di violazione della riservatezza delle informazioni che ineriscono alla sua impresa, anche in relazione al fatto che l’art. 165, 3° comma non impone la presentazione di una proposta concorrente, una volta acquisite “le informazioni utili”, né prevede sanzioni per l’omessa presentazione di una proposta concorrente, lasciando (non al tribunale[27], ma) al commissario giudiziale (che – per la ristrettezza dei tempi – potrebbe non essere ancora in grado di farlo) di valutare “la congruità della richiesta” e di imporre l’assunzione di “opportuni” quanto generici “obblighi di riservatezza”, la cui lesione potrebbe essere devastante per l’impresa del debitore concordatario (oltre che fonte di responsabilitàper lo stesso commissario giudiziale).

D) Il commissario giudiziale, facendosi eventualmente assistere, per la valutazione dei beni, da uno stimatore nominato dal giudice delegato, redige l’inventario del patrimonio del debitore e una relazione particolareggiata sulle cause del dissesto, sulla condotta del debitore, sulle proposte di concordato e sulle garanzie offerte ai creditori; e la deposita in cancelleria almeno quarantacinque giorni prima dell’adunanza dei creditori, comunicandola a costoro a mezzo della posta elettronica certificata (art. 172, 1° comma l. fall.) e al pubblico ministero (art. 161, 5° comma l. fall.); “nella relazione il commissario deve illustrare le utilità che, in caso di fallimento, possono essere apportate dalle azioni risarcitorie, recuperatorie o revocatorie che potrebbero essere promosse nei confronti di terzi”.

La relazione particolareggiata sulla “condotta del debitore” in passato appariva funzionale soprattutto al giudizio di meritevolezza che il tribunale doveva pronunciare in sede di omologazione; oggi la rilevanza mi pare limitata all’accertamento di eventuali profili di revoca del concordato a norma dell’art. 173 l. fall.[28], essendo ben più decisiva per i creditori, ai fini della loro espressione di voto, l’opinione del commissario giudiziale sulla “fattibilità” del piano proposto dal debitore[29] e sulla convenienza del concordato, anche in relazione alle “utilità” che potrebbero essere apportate a beneficio dei creditori, in un eventuale fallimento, dall’esercizio di talune azioni e la cui “illustrazione” costituisce per il commissario un compito particolarmente complicato, in quanto da assolvere in tempi piuttosto brevi (settantacinque giorni al massimo) – inferiori a quelli concessi allo stesso curatore fallimentare (non oltre centottanta giorni dalla sentenza dichiarativa di fallimento) per predisporre il programma di liquidazione (nel quale indicare anche “le azioni risarcitorie, recuperatorie o revocatorie da esercitare ed il loro possibile esito”: art 104-ter, 2° comma, lett. c l. fall.) – senza però il supporto di analoghi poteri di amministrazione e disposizione del patrimonio del debitore.

Qualora poi non oltre trenta giorni prima dell’adunanza dei creditori (ma presumibilmente dopo il deposito di quella relazione) “siano depositate proposte concorrenti, il commissario giudiziale riferisce in merito ad esse con relazione integrativa da depositare in cancelleria e comunicare ai creditori, con le modalità di cui all'articolo 171, secondo comma, almeno dieci giorni prima dell'adunanza dei creditori” (art. 172, 2° comma, prima proposizione l. fall.)[30], quindi in tempi sempre più ristretti (venti giorni), tanto più che la relazione integrativa dovrebbe contenere,“di regola [dunque non necessariamente], una particolareggiata comparazione tra tutte le proposte depositate” (art. 172, 2° comma, seconda proposizione), gravando il commissario di valutazioni (indubbiamente utili ai creditori, ma) complesse o inevitabilmente affrettate ove le proposte concorrenti si presentino disomogenee rispetto a quella del debitore per contenuto, finalità, garanzie, intervento di terzi, ecc.

Oltre a ciò occorre tener conto sia del fatto che le proposte da chiunque presentate possono essere modificate “fino a quindici giorni prima dell’adunanza dei creditori” (art. 172, 2° comma, terza proposizione)[31]; sia della disposizione dell’art. 161, 3° comma l. fall., secondo cui “nel caso di modifiche sostanziali della proposta o del piano” il debitore deve presentare una nuova relazione del professionista qualificato e indipendente, la quale sia “analoga” alla relazione già depositata ai fini dell’ammissione al concordato (quindi con illustrazione delle “utilità” da assicurare a ciascun creditore); in tal caso il commissario giudiziale parrebbe avere soltanto cinque giorni a disposizione per predisporre e depositare la sua relazione “integrativa” (nel termine di dieci giorni prima dell’adunanza), tanto più impegnativa ove vi siano proposte concorrenti, dovendo lo stesso compiere allora “una particolareggiata comparazione” tra queste e quella definitiva del debitore, eventualmente portatrice di modifiche anche “sostanziali”.

E) Gli obblighi informativi non si esauriscono qui; infatti il commissario giudiziale, oltre a dover trasmettere al pubblico ministero copia della relazione ex art. 172 l. fall. (e presumibilmente anche di quelle integrative di cui sopra), deve comunicargli “senza ritardo (…) i fatti che possono interessare ai fini delle indagini preliminari in sede penale e dei quali viene a conoscenza nello svolgimento delle sue funzioni” (art 165, 5° comma l. fall.); inoltre altra relazione integrativa deve essere redatta (ed evidentemente comunicata sia al pubblico ministero, sia ai creditori) “qualora emergano informazioni che i creditori devono conoscere ai fini dell'espressione del voto” (art. 172, 2° comma, quarta proposizione l. fall.), salvo domandarsi se anche per quest’ultima valga il termine di dieci giorni prima dell’adunanza dei creditori, ma tenendo conto del fatto che poi in detta occasione il commissario giudiziale deve comunque illustrare “la sua relazione e le proposte definitive del debitore e quelle eventualmente presentate dai creditori ai sensi dell'articolo 163, comma quarto” (art. 175, 1° comma l. fall.), fornendo qualsiasi ulteriore informazione rilevante in suo possesso.

F) Ma soprattutto il commissario giudiziale, durante tutto il corso del procedimento, deve verificare che il debitore, né prima, né dopo la presentazione della domanda di concordato, abbia compiuto “atti di frode” nei confronti dei creditori; o atti di straordinaria amministrazione non autorizzati dal tribunale (nel corso del preconcordato) o dal giudice delegato (dopo l’ammissione al concordato), dandone, in caso contrario, immediata contezza al tribunale medesimo ai fini dell’apertura del subprocedimento di revoca di cui all’art. 173 l. fall.[32].

Sotto diverso profilo (non dunque ai fini di un eventuale subprocedimento di revoca per il venir meno delle “condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato”, ove si ritenga che fra queste rientri anche la “fattibilità” o quanto meno quella “giuridica”) occorre sottolineare che a norma del secondo comma dell’art. 179 l. fall., “quando il commissario giudiziale rileva, dopo l’approvazione del concordato, che sono mutate le condizioni di fattibilità del piano, ne dà avviso ai creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di omologazione fino all’udienza di cui all’art. 180 per modificare il voto” (evidentemente da favorevole a contrario, legittimandosi all’opposizione)[33]; peraltro nel menzionato giudizio il commissario giudiziale è libero di costituirsi o meno, ma è obbligato a “depositare il proprio motivato parere” (art. 180, 2° comma l. fall.).

G) E ancora nel concordato “con continuità aziendale” di cui all’art. 186-bis l. fall., ogni sei mesi successivi alla presentazione della relazione ex art. 172 l. fall. sopra menzionata, il commissario giudiziale “redige un rapporto riepilogativo” del tutto analogo a quello stabilito per il curatore fallimentaredall’articolo 33, 5° comma l. fall. “e lo trasmette ai creditori” a norma dell’art. 171, 2° comma l. fall.; detti rapporti periodici “devono essere depositati con modalità telematiche nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici” (art. 16-bis, commi 9-quater, quinquies e septies d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221, così come integrato dal d.l. 12 settembre 2014, n. 132, conv. dalla l. 10 novembre 2014, n. 162).

H) Più recentemente, con il d.l. 3 maggio 2016, n. 59 (conv. con modificazioni dalla l. 30 giugno 2016, n. 119), al commissario giudiziale sembrerebbero attribuiti ulteriori poteri ed incombenze.

In particolare, sotto un primo profilo, l’art. 5, 1° comma di detto decreto ha stabilito che “ai fini del recupero o della cessione dei crediti” il commissario giudiziale (così come il curatore fallimentare o il liquidatore giudiziale), con l’autorizzazione del “giudice” (tribunale o giudice delegato?), può “avvalersi” degli strumenti di ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare di cui all’art. 155-sexies disp. att. c.p.c., “anche per accedere ai dati relativi ai soggetti nei cui confronti la procedura ha ragioni di credito, anche in mancanza di titolo esecutivo nei loro confronti”.

Dal momento che il commissario giudiziale (a differenza dal liquidatore giudiziale nel concordato con cessione dei beni) non ha alcuna legittimazione di natura gestionale e men che meno se diretta al recupero o alla cessione dei crediti (salva l’ipotesi eccezionale di cui infra in sede di esecuzione di una proposta “concorrente” presentata da un creditore), non si comprende, in verità, quale senso dare alla sua inclusione nel contesto precettivo dell’art. 155-sexies disp. att. c.p.c., che sembra invece rivolto ad agevolare “la ricostruzione dell’attivo e del passivo nell’ambito di procedure concorsuali” che comportano la gestione di un patrimonio altrui.

Sotto un secondo profilo l’art. 3 del menzionato d.l. ha esteso anche al concordato preventivo (2° comma, lett. b) l’obbligo di pubblicare nel nuovo “Registro elettronico delle procedure di espropriazione forzata immobiliari, delle procedure d’insolvenza e degli strumenti di gestione della crisi”, istituito presso il Ministero della giustizia, talune informazioni e documenti; in particolare (3° comma):

a) nella sezione ad accesso pubblico e gratuito devono essere pubblicate “le informazioni e i documenti di cui all’articolo 24, paragrafo 2, del Regolamento (UE) 2015/848[34] e le altre informazioni rilevanti in merito ai tempi e all’andamento di ciascuna procedura o strumento” (ivi comprese “le informazioni e i provvedimenti di cui all’art. 28, quarto comma, secondo periodo, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267[35]”);

b) nella sezione ad accesso limitato devono essere pubblicate le informazioni e i documenti che saranno individuati con un decreto dirigenziale del Ministero della giustizia di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro centoventi giorni dall’entrata in vigore della l. di conversione (cioè ex art. 1, 2° comma dal 3 luglio 2016); in tale decreto dirigenziale saranno adottate le disposizioni per l’attuazione del registro, anche relativamente alle modalità di pubblicazione e di consultazione dei dati e dei documenti ed ai “soggetti tenuti ad effettuare, in relazione a ciascuna tipologia di procedura o strumento, la pubblicazione delle informazioni e dei documenti” (4° comma); ferma restando la facoltà per alcuni soggetti (fra i quali anche il commissario giudiziale) di chiedere al giudice delegato o al tribunale di “limitare la pubblicazione di un documento o di una o più sue parti, quando sia dimostrata l’esistenza di uno specifico e meritevole interesse alla riservatezza dell’informazione in esso contenuta” (6° comma).

Insomma, per soddisfare la curiosità di conoscere di quali altre incombenze il commissario giudiziale di un concordato preventivo sarà gravato in futuro, non resta che attendere l’emanazione del menzionato decreto dirigenziale.

 

4. E dopo l’omologazione del concordato

Non meno importanti sono le funzioni del commissario giudiziale anche successivamente al giudizio di omologazione e nel corso dell’esecuzione del concordato preventivo.

A) Innanzitutto lo stesso ne sorveglia l’adempimento, secondo le modalità stabilite nel decreto del tribunale; e deve riferire al “giudice” ogni fatto dal quale possa derivare “pregiudizio” ai creditori (art. 185, 1° comma l. fall.)[36].

La norma modifica le funzioni degli organi concordatari, in modo più radicale di quanto previsto dall’art. 136, 1° comma l. fall. per il concordato fallimentare, nel quale il potere di “sorveglianza” sull’adempimento delle obbligazioni concordatarie è affidato al giudice delegato, al curatore e al comitato dei creditori, essendo peraltro pacifico che, se il debitore non adempie regolarmente gli obblighi derivanti dal decreto di omologazione, il commissario giudiziale deve comunque riferirne ai creditori, al fine dell’eventuale richiesta di risoluzione del concordato.

Di riflesso, il pregiudizio del quale deve tenere conto il commissario giudiziale per gli atti (o i fatti) successivi all’omologazione si identifica con quello che potrebbe compromettere le aspettative di soddisfacimento dei creditori anteriori (concorsuali o prededucibili); il commissario giudiziale, in conclusione, deve limitarsi ad esercitare il suo controllo solo su quei fatti dai quali possa derivare una diminuzione patrimoniale tale da influire negativamente sulla “regolarità” dell’adempimento degli obblighi derivanti dal concordato e dal decreto di omologazione (tanto in caso di concordato liquidatorio, quanto in quello di continuità aziendale “diretta”).

B) Nel caso poi di cui all’art. 163 l. fall., quando cioè quella “approvata e omologata” è la “proposta di concordato presentata da uno o più creditori” e il debitore, che “è tenuto a compiere ogni atto necessario” a darvi esecuzione (art. 185, 3° comma), non adempie od assume atteggiamenti ostruzionistici, è previsto che il commissario giudiziale debba “senza indugio riferirne al tribunale”, il quale, sentito il debitore, può attribuire al primo i poteri necessari a provvedere in luogo del secondo “al compimento degli atti a questo richiesti” (art. 185, 4° comma)[37].

Ove poi si tratti di società, “fermo restando il disposto dell’articolo173, il tribunale, sentiti in camera di consiglio il debitore e il commissario giudiziale, può revocare l'organo amministrativo (…) e nominare un amministratore giudiziario stabilendo la durata del suo incarico e attribuendogli il potere di compiere ogni atto necessario a dare esecuzione alla suddetta proposta, ivi inclusi, qualora tale proposta preveda un aumento del capitale sociale del debitore, la convocazione dell'assemblea straordinaria dei soci avente ad oggetto la delibera di tale aumento di capitale e l'esercizio del voto nella stessa. Quando è stato nominato il liquidatore a norma dell'articolo 182, i compiti di amministratore giudiziario possono essere a lui attribuiti” (art. 185, 6° comma).

In definitiva il commissario giudiziale può vedersi attribuiti, in sede di esecuzione del concordato, diretti poteri di gestione (come semplice commissario ad acta o come vero e proprio “amministratore giudiziario di società) a lui tradizionalmente negati nel corso del concordato (ma assimilabili semmai alla gestione commissariale a suo tempo prevista per l’istituto dell’amministrazione controllata dall’abrogato art. 191 l. fall.), con tutto ciò che ne può derivare sulla stessa validità od efficacia degli atti compiuti dal debitore o dagli organi di gestione della società senza la relativa legittimazione[38].

Il sesto comma dell’art. 185, per l’ipotesi che la proposta “concorrente” approvata e omologata “preveda un aumento del capitale sociale del debitore” (costituito, s’intende, in forma di società di capitali), include, fra i poteri del commissario o del liquidatore giudiziale investiti della funzione gestionale di cui sopra, “la convocazione dell’assemblea straordinaria dei soci [che però non è più prevista come tale nelle società a responsabilità limitata] avente ad oggetto la delibera di tale aumento di capitale e l'esercizio del voto nella stessa”, dove però non è chiaro se in capo ai soci permanga il relativo potere decisionale o se, invece, la deroga riguardi proprio l’esercizio del voto in assemblea, affidato al commissario o al liquidatore giudiziale al fine di realizzare quell’aumento di capitale sociale con esclusione o limitazione del diritto di opzione, di cui è menzione nel quinto comma dell’art. 163 l. fall.[39].

C) Nel caso di concordato con continuità aziendale, conclusa l’esecuzione di questo, il commissario giudiziale (a norma del già menzionato art. 16-bis, commi 9-quater, quinquies e septies d.l. 18 ottobre 2012, n. 179) deve predisporre anche un “rapporto riepilogativo finale”, (come al solito) redatto in conformità a quanto previsto per il curatore fallimentare dal quinto comma dell’art. 33 l. fall., e depositarlo “con modalità telematiche”.

Nel caso invece di concordato con cessione dei beni il sesto comma dell’art. 182 l. fall. (introdotto dal d.l. n. 179 del 2012) è al liquidatore giudiziale che impone – analogamente a quanto previsto per il curatore fallimentare dai primi tre periodi del quinto comma dell’art. 33 l. fall. – di provvedere, con periodicità semestrale dalla nomina, alla predisposizione di un “rapporto riepilogativo delle attività svolte[40], da trasmettere in copia, unitamente al “conto della sua gestione” e agli “estratti conto dei depositi postali o bancari relativi al periodo”, sia al comitato dei creditori, che può “formulare osservazioni scritte”, sia (a mezzo di posta elettronica certificata) al commissario giudiziale (“che a sua volta lo comunica ai creditori a norma dell’art. 171, secondo comma”: cioè anche qui a mezzo della posta elettronica certificata, inviata agli indirizzi di posta elettronica precedentemente comunicati dai creditori al commissario giudiziale; o, in mancanza di tale indicazione, mediante deposito in cancelleria).

D) Infine, quanto alla attribuzione esclusiva ai creditori, ma non al commissario giudiziale, della legittimazione alla presentazione della domanda di risoluzione del concordato preventivo, come per quello fallimentare (art. 137 l. fall.), va sottolineato che sottrarre al giudice delegato, al commissario giudiziale e persino al comitato dei creditori (nel caso di concordato con cessione dei beni) lo strumento più efficace di intervento di quel potere-dovere di vigilanza che l’art. 185, 1° comma l. fall. (quanto ai primi due) e l’art. 182, 3° comma l. fall. (quanto al comitato) attribuiscono a tali organi, soprattutto al fine di “sorvegliare” i comportamenti di coloro che sono chiamati a dare esecuzione agli obblighi concordatari secondo le modalità stabilite nel decreto di omologazione, appare scelta a dir poco irrazionale.

Ma è degno di approvazione, de iure condendo, il fatto che il d.d.l. delega n. 3671 per la riforma della disciplina delle crisi di impresa prevede espressamente (e opportunamente), fra i principi e i criteri direttivi, anche quello di prevedere “la legittimazione del commissario giudiziale a richiedere, su istanza di un creditore, la risoluzione del concordato per inadempimento”.

Al commissario giudiziale resta (attualmente) solo la legittimazione alla presentazione della domanda di annullamento del concordato, ma unicamente quando si scopre che è stato dolosamente esagerato il passivo ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell'attivo e comunque nel termine di sei mesi dalla scoperta del dolo e non oltre due anni dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto nel concordato.



[1] Il presente contributo riproduce, con aggiornamenti normativi e aggiunta delle note, il testo della relazione tenuta il 1° aprile 2016 presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Siena nell’ambito del Corso di Alta Formazione in diritto delle crisi d’impresa.

[2] Il d.l. n. 83 del 2015 ha introdotto nell’art. 28 un quinto comma, che riguarda anche il concordato preventivo, disponendo che “è istituito presso il Ministero della giustizia un registro nazionale nel quale confluiscono i provvedimenti di nomina dei curatori, dei commissari giudiziali e dei liquidatori giudiziali. Nel registro vengono altresì annotati i provvedimenti di chiusura del fallimento e di omologazione del concordato, nonché l'ammontare dell'attivo e del passivo delle procedure chiuse. Il registro è tenuto con modalità informatiche ed è accessibile al pubblico”; quanto alla seconda proposizione della norma, con riferimento al concordato preventivo, è lecito tuttavia domandarsi quando la procedura possa dirsi effettivamente “chiusa”, considerato che al momento dell’omologazione, mancando una fase di verifica del passivo (simile a quella del fallimento), i relativi valori finali sono necessariamente incerti e provvisori.

[3] Ovviamente in seguito si farà riferimento ai testi risultanti dalle rispettive leggi di conversione.

[4] E’ stato, infatti, osservato in giurisprudenza, con riferimento al passato, che nella procedura di concordato preventivo il debitore conserva l’amministrazione dei suoi beni e l’esercizio dell’impresa sotto la vigilanza del commissario giudiziale, cosicché quest’ultimo non rappresenta il debitore, ma esercita funzioni di mero controllo e di consulenza quale ausiliario di giustizia, vigilando sull’esecuzione del concordato e, pertanto, né prima né dopo l’omologazione (con l’eccezione sopra ricordata) svolge funzioni attive di gestione, con la conseguenza che egli né deve né può presentare al giudice il conto della gestione, così come, invece, la legge richiede per il curatore fallimentare; e il rinvio dell’art. 165 l. fall. all’art. 38 della stessa legge (che impone al curatore di rendere il conto della gestione ai sensi dell’art. 116 l. fall.) non può essere inteso in senso assoluto, ma va circoscritto nei limiti consentiti dalla specifica disciplina della procedura di concordato preventivo e dalle differenti funzioni che il commissario giudiziale svolge rispetto al curatore: cfr. Cass., 13 maggio 1998, n. 4800, in Fall., 1998, 1261, con nota di LO CASCIO, Obbligo di rendiconto del commissario giudiziale e del liquidatore dei beni; sotto diverso profilo cfr. anche Cass. pen., 3 maggio 1994, in Cass. pen., 1995, 2887; e in Giust. pen., 1994, II, 761, secondo cui, poiché nella procedura di concordato preventivo l’imprenditore conserva la titolarità e l’amministrazione dei propri conti correnti, sia pure sotto la vigilanza del commissario giudiziale, ai sensi dell’art. 167 l. fall., la relazione del medesimo commissario nella quale siano contenute false affermazioni in ordine alla movimentazione di detti conti, pur essendo qualificabile come atto pubblico, ai fini della configurabilità del reato di falso ideologico di cui all’art. 479 c.p., non può dirsi, tuttavia, rientrante fra gli atti pubblici fidefacienti di cui all’art. 476, 2° comma dello stesso codice.

[5]Ugualmente è stato osservato che durante il procedimento di concordato il debitore conserva la propria capacità processuale, salvo i limiti previsti dalla legge per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, cosicché il commissario giudiziale può solo intervenire nei giudizi in cui è parte l’imprenditore, ma non ha alcuna legittimazione surrogatoria dello stesso, né può impugnare sentenze alle quali quest’ultimo abbia prestato acquiescenza: cfr. Cass., 12 gennaio 1988, n. 136, in Giust. civ., 1988, I, 961, con nota di LO CASCIO; e in Dir. fall., 1988, II, 423; cfr. anche Cass., 13 maggio 1987, n. 4395, in Fall., 1987, 1152, che, dall’avere il commissario giudiziale compiti e prerogative esclusivamente interni alla procedura, ha tratto la conclusione che, se nelle more del giudizio di secondo grado una società viene ammessa al concordato preventivo con cessione dei beni, la notifica dell’appello deve essere eseguita nei confronti della società non in persona del liquidatore giudiziale o del commissario giudiziale, bensì del legale rappresentante della società o comunque degli organi che per legge la pongono in rapporto con i terzi.

[6] Su cui cfr. CENSONI, Gestione commissariale e funzione dell’amministrazione controllata, Milano, 1994; peraltro una gestione commissariale del tutto simile è prevista, per la fase di “osservazione” dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, dall’art. 19 del d.lgs. n. 270 del 1999; e non è superfluo ricordare, quanto al concordato preventivo, che poco prima della riforma del 2005/2007 la suddetta fattispecie era stata ugualmente prevista nel maxi-emendamento governativo al c.d. d.d.l. “Caruso” del dicembre 2004.

[7] Cfr. PERRINO, in Codice commentato del fallimento (diretto da G. Lo Cascio), Milano, 2008, sub art. 165, 1490 ss., ivi 1493; conf. FORTUNATO, Il commissario giudiziale nel concordato con riserva, in Giur. comm., 2015, I, 955 ss., ivi 961.

[8] Considerazioni analoghe dovrebbero valere anche per quanto concerne il richiamo della disciplina dell’art. 38 l. fall. sulla responsabilità del curatore, dipendente soprattutto dalla sua attività gestoria, (come detto) estranea al commissario giudiziale; sul tema, anche con riferimento all’ipotesi di pluripersonalità dell’incarico, cfr. RULLI, Le funzioni del commissario nel concordato con riserva, in Dir. fall., 2016, I, 456 ss., ivi 483 ss.

[9] Cfr. BONSIGNORI, Del concordato preventivo, nel Commentario Scialoja-Branca. Legge fallimentare (a cura di Bricola, Galgano e Santini), artt. 160-186, Bologna-Roma, 1979, sub art. 165, 179, il quale ritiene incomprensibile la dimenticanza, considerando che l’imprenditore “non ha perduto in alcun modo la propria capacità in giudizio, né si trova in una posizione di subordinazione gerarchica nei confronti del commissario giudiziale”.

[10] Cfr. ancora BONSIGNORI, Del concordato preventivo cit., 177.

[11] Quanto al richiamo all’art. 39 l. fall., adattando al concordato detta norma, si può ritenere innanzitutto che il compenso e il rimborso delle spese dovuti al commissario giudiziale sono liquidati ad istanza di quest’ultimo con decreto del tribunale non soggetto a reclamo, su relazione del giudice delegato, secondo le norme del d.m. 25 gennaio 2012, n. 30, “se del caso” dopo l’esecuzione del concordato; è in facoltà del tribunale accordare al commissario acconti sul compenso per giustificati motivi, tenendo conto dei risultati ottenuti e dell’attività prestata, mentre inapplicabile al concordato risulta la seconda proposizione del terzo comma dell’art. 39 l. fall. secondo cui “salvo che non ricorrano giustificati motivi, ogni acconto liquidato dal tribunale deve essere preceduto dalla presentazione di un progetto di ripartizione parziale”; se nell’incarico si sono succeduti più commissari, il compenso è stabilito secondo criteri di proporzionalità ed è liquidato, in ogni caso, al termine della procedura, salvi eventuali acconti; nessun compenso, oltre a quello liquidato dal tribunale, può essere preteso dal commissario, nemmeno per rimborso di spese; le promesse e i pagamenti fatti contro questo divieto sono nulli ed è sempre ammessa la ripetizione di ciò che è stato pagato, indipendentemente dall’esercizio dell’azione penale.

[12] E al quale lo stesso debitore potrebbe successivamente preferire un eventuale accordo di ristrutturazione.

[13] Così anche D’ANGELO, Il nuovo volto del concordato preventivo con riserva, in Giur. comm., 2014, I, 494 ss., ivi 511 ss.

[14] Anche il professionista attestatore, nel frattempo incaricato, autonomamente potrebbe rilevare errori od omissioni contabili.

[15] Così anche NARDECCHIA, L’inammissibilità del concordato preventivo con riserva, in Fall., 2013, 957 ss., ivi 963 ss.

[16] Sul tema, che si intreccia con quello della “fattibilità” del piano concordatario quale condizione di ammissibilità del concordato, cfr. da ultimo CENSONI, Il concordato preventivo, nel Trattato delle procedure concorsuali (diretto da JORIO e SASSANI), vol. IV, Milano, 2016, 1 ss., ivi 294 ss.

[17] A tal proposito è significativo il fatto che recentemente la Corte di cassazione, con sentenza 19 febbraio 2016, n. 3324, in Banca dati Pluris Utet, 2016, abbia escluso “non solo che il compimento dell'atto non autorizzato conduca all'automatica revoca del concordato, ma anche che il disvalore oggettivo di tale atto (il pregiudizio che esso arreca alla consistenza del patrimonio del debitore) sia ricavabile, sic et simpliciter, dalla violazione della regola della par condicio, essendo, per contro, ben possibile che il pagamento di crediti anteriori si risolva in un accrescimento, anziché in una diminuzione, della garanzia patrimoniale offerta ai creditori e tenda dunque all'obiettivo del loro miglior soddisfacimento (si pensi, in via meramente esemplificativa, ai pagamenti di crediti di lavoro - che impedisce che sul capitale maturino ulteriormente interessi e rivalutazione monetaria - od ai pagamenti di utenze, eseguiti al fine di evitare l'interruzione dell'erogazione del servizio, di prestazioni di manutenzione, di spese legali sostenute per difendere i beni dalla pretese avanzate da terzi, che risultano volti, direttamente o indirettamente, a conservare valore al patrimonio aziendale, in modo da ricavarne un maggior prezzo in sede di liquidazione)”; sempre secondo la Corte Suprema, “tirando le fila del discorso, va in definitiva affermato che, poiché l'autorizzazione del giudice è finalizzata al rispetto della proposta negoziale formulata con la domanda di concordato, non possono ritenersi atti di frode i pagamenti non autorizzati che non pregiudichino le possibilità di adempimento della proposta e, dunque, di ripartizione dell'attivo fra i creditori concordatari secondo i tempi e le percentuali in essa prevista”.

[18] Processualmente è stato giustamente notato (cfr. D’ANGELO, Il nuovo volto cit., 513 ss.) che, mentre per il sesto comma dell’art. 161 l. fall. l’esito negativo del giudizio è l’improcedibilità della domanda, per l’ottavo comma della medesima disposizione la violazione degli obblighi informativi ne determina l’inammissibilità (dato il richiamo espresso al secondo e al terzo comma dell’art. 162); ma la differenza più importante consisterebbe nel fatto che, mentre l’art. 173 l. fall. richiede la comunicazione dell’apertura del procedimento al pubblico ministero e ai creditori da parte del commissario giudiziale (comunicazione che, in mancanza di nomina di quest’ultimo da parte del tribunale, potrebbe essere fatta dalla cancelleria), il giudizio di inammissibilità della proposta di cui all’art. 162 l. fall. potrebbe vedere tutt’al più la partecipazione dei soli creditori che abbiano presentato istanza di fallimento.

[19] La violazione degli obblighi informativi può riguardare innanzitutto il mancato rispetto della periodicità stabilita dal tribunale (magari anche soltanto di un giorno); sul punto la norma appare fin troppo severa, se messa a confronto con gli interessi che intende tutelare; ma il fatto che il richiamo sia stato limitato al secondo e al terzo comma dell’art. 162 l. fall., con esclusione del primo, che avrebbe dato al tribunale il potere di concedere al debitore una proroga del termine non superiore a quindici giorni, lascia poco spazio per una interpretazione diversa; tuttavia, una volta adempiuta quella periodicità, è dubbio in qual modo vada valutato il rispetto degli obblighi informativi (se in senso meramente formale o anche [o solo] sostanziale), non limitati evidentemente (“anche relativi”) alla gestione finanziaria e all’attività compiuta ai fini della predisposizione della proposta e del piano; qui, in assenza di criteri legali di valutazione, il provvedimento del tribunale sulla tipologia delle informazioni da dare deve essere particolarmente preciso, per non sconfinare in un eccesso di discrezionalità nel successivo controllo dell’adempimento puntuale di quegli obblighi, la cui violazione non lascerebbe scampo al debitore; non essendovi ancora né una proposta, né un piano di ristrutturazione dei debiti, i criteri di valutazione non possono non essere diversi secondo che in fatto l’attività di impresa sia già cessata o sia invece ancora in corso, apparendo opportuno soprattutto in quest’ultimo caso monitorare (anche a mezzo del commissario giudiziale) i comportamenti del debitore e l’incidenza della sua attività sull’eventuale incremento del passivo, in vista di una successiva verifica di compatibilità (giuridica) del piano (quando presentato) con la situazione patrimoniale, economica e finanziaria del ricorrente, escluso tuttavia il potere di interromperne prematuramente l’iniziativa finché gli obblighi informativi impostigli siano rispettati (salva l’eventuale abbreviazione del termine nel caso ipotizzato dall’ultima proposizione dell’ottavo comma dell’art. 161); sul tema, per ulteriori considerazioni, cfr. CENSONI, Il concordato preventivo cit., 73 ss.

[20] Sul punto si noti che il d.d.l. delega n. 3671, fra i principi e i criteri direttivi, prevede quello di integrare la disciplina dei rapporti pendenti con particolare riferimento anche “al ruolo del commissario giudiziale”.

[21] Se non vi ha già provveduto prima in caso di domanda di concordato “con riserva” (e ai fini dell’accertamento di eventuali condotte fraudolente del debitore).

[22] Il primo comma dell’art. 171 l. fall. si riferisce alle scritture contabili “presentate a norma dell’articolo 161”, ma in realtà in quest’ultima disposizione non vi è alcun riferimento alle “scritture contabili”; è semmai all’art. 163, 2°comma, n. 4-bis, l. fall. (introdotto dal d.l. n. 83 del 2015) che occorre riferirsi, essendo previsto che nel decreto di apertura del concordato il tribunale, fra l’altro, “ordina al ricorrente di consegnare al commissario giudiziale entro sette giorni copia informatica o su supporto analogico delle scritture contabili e fiscali obbligatorie”, su cui cfr. anche FINARDI, La riforma del 2015 del concordato preventivo e la figura del commissario giudiziale”, in Dir. fall., 2016, I, 487 ss., ivi 497 s.; peraltro nell’art. 170, 2° comma l. fall. è scritto che tali libri “sono restituiti al debitore, che deve tenerli a disposizione del giudice delegato e del commissario giudiziale, così lasciando intendere che prima essi debbano essere “presentati” in cancelleria per l’annotazione prevista dal primo comma della medesima disposizione.

[23] Così PERRINO, in Codice commentato del fallimento cit., sub art. 171, 1524 ss., ivi 1525.

[24] A mezzo della posta elettronica certificata, se il relativo indirizzo del destinatario risulta dal registro delle imprese ovvero dall'Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti e, in ogni altro caso, a mezzo lettera raccomandata o telefax presso la sede dell'impresa o la residenza del creditore.

[25] Ritengo il termine non perentorio, nel senso che dopo il suo decorso e fino a quando il creditore non abbia indicato il suo indirizzo di posta elettronica certificata, opera la regola per la quale tutte le comunicazioni del commissario giudiziale si eseguono esclusivamente mediante deposito in cancelleria; ma ciò non impedisce al creditore di fornire al commissario l’indicazione di cui sopra pur dopo la scadenza dei quindici giorni.

[26] Richiamo incomprensibile, dal momento che l’ultimo periodo del primo comma dell’art. 124 l. fall. dispone che la proposta di concordato fallimentare “non può essere presentata dal fallito, da società cui egli partecipi o da società sottoposte a comune controllo se non dopo il decorso di un anno dalla dichiarazione di fallimento e purché non siano decorsi due anni dal decreto che rende esecutivo lo stato passivo”; a meno di ipotizzare che il concordato per qualche motivo si converta in fallimento e che il legislatore abbia voluto con detto richiamo limitare sotto il profilo temporale l’ammissibilità di una proposta di concordato fallimentare da parte del medesimo creditore già destinatario, in precedenza, di quelle informazioni utili o rilevanti: in questo senso mi sembrano orientati anche NIGRO e VATTERMOLI, Appendice di aggiornamento, Diritto della crisi delle imprese., Bologna, 3° edizione, 2014-2016, par. n. 10.2.

[27] Si noti che, al contrario, nel caso di “offerte concorrenti” di cui all’art. 163-bis l. fall. è previsto (nel secondo comma) che “le forme e i tempi di accesso alle informazioni rilevanti, gli eventuali limiti al loro utilizzo e le modalità con cui il commissario deve fornirle a coloro che ne fanno richiesta” sono stabiliti direttamente dal tribunale con il decreto di apertura del procedimento competitivo, contraddicendo, nel quarto comma dell’art. 165 l. fall., il richiamo alla “disciplina di cui al terzo comma”, che affida quel compito al commissario giudiziale.

[28] Soprattutto se si tratta di fattispecie penalmente rilevanti: in tal senso cfr. Cass. pen., 2 dicembre 2015, n. 11921, in Quotidiano giur., 2016, secondo cui il commissario giudiziale, organo di vigilanza della procedura e non di amministrazione attiva, deve e può assolvere i doveri informativi pure in seno alla relazione ex art. 172 l. fall., anche ai fini dell'obbligo di denuncia presidiato dall'art. 361 c.p. con ciò maggiormente responsabilizzando i creditori e il Pubblico Ministero, che non può sottrarsi ad un'analisi puntuale delle circostanze riferite nella relazione commissariale, restandogli riservata l'incombenza di apprezzare la penale rilevanza dei fatti con essa descritti e denunciati.

[29] Il d.d.l. delega n. 3671, fra i principi e i criteri direttivi, prevede anche quello di “fissare le modalità di accertamento della veridicità dei dati aziendali e di verifica della fattibilità del piano”; ed evidentemente, se la riforma andrà in porto, anche il commissario giudiziale sarà tenuto a verificare il rispetto di tali modalità nella attestazione del professionista qualificato e indipendente.

[30] Ma non è previsto che il commissario giudiziale debba comunicare la sua relazione integrativa anche al debitore.

[31] Ed è probabile che (soprattutto) il debitore vi provveda (ancorché il legislatore – come detto – si sia dimenticato di lui quale destinatario sia della comunicazione della relazione del commissario giudiziale, sia della comunicazione di eventuali proposte concorrenti); almeno nell’ipotesi che non vi siano proposte concorrenti, ci si può ancora legittimamente domandare se il debitore possa proporre modifiche semplicemente migliorative anche successivamente alla scadenza di quel termine e magari anche nel corso dell’adunanza dei creditori.

[32] Su cui cfr. da ultimo CENSONI, Il concordato preventivo cit., 261 ss., sia quanto alle fattispecie menzionate nell’art. 173 l. fall., sia quanto ai profili processuali; nonché FABIANI-CARMELLINO,

Il concordato preventivo, in Le riforme delle procedure concorsuali (a cura di Didone), II, Milano, 2016, 1658 ss., ivi 1769 ss. e 1810.

[33] Nel qual caso resterebbe poi da verificare se l’opposizione possa avere per oggetto unicamente la modifica del voto: cioè se – analogamente a quanto previsto dal secondo comma dell’art. 176 l. fall. per i creditori esclusi in sede di votazione – il voto contrario di chi si oppone abbia “influenza [solo] sulla formazione delle maggioranze” e dunque sull’esito della votazione.

[34] Le informazioni «obbligatorie» sono le seguenti:

a) la data di apertura della procedura d'insolvenza;

b) il giudice che ha aperto la procedura d'insolvenza e numero di causa, se del caso

c) il tipo di procedura d'insolvenza aperta di cui all'allegato A e, se del caso, eventuali pertinenti sottotipi di tale procedura aperti a norma del diritto nazionale;

d) se la competenza per l'apertura della procedura si fonda sull'articolo 3, paragrafo 1, sull'articolo 3, paragrafo 2, o sull'articolo 3, paragrafo 4;

e) se il debitore è una società o una persona giuridica, il nome del debitore, il relativo numero di iscrizione, la sede legale o, se diverso, il recapito postale;

f) se il debitore è una persona fisica che esercita o non esercita un'attività imprenditoriale o professionale indipendente, il nome del debitore, il relativo numero di iscrizione, se del caso, e il recapito postale o, laddove il recapito sia riservato, il luogo e la data di nascita;

g) il nome, il recapito postale o l'indirizzo di posta elettronica dell'amministratore, se del caso, nominato nella procedura;

h) il termine per l'insinuazione dei crediti, se del caso, o il riferimento ai criteri per il calcolo di tale termine;

i) la data di chiusura della procedura principale di insolvenza, se del caso;

j) il giudice dinanzi al quale e, se del caso, il termine entro il quale presentare richiesta di impugnazione della decisione di apertura della procedura d'insolvenza ai sensi dell'articolo 5, o un riferimento ai criteri per il calcolo di tale termine.

[35] Qui le informazioni riguardano i provvedimenti di nomina dei curatori, dei commissari giudiziali e dei liquidatori giudiziali; i provvedimenti di chiusura del fallimento e di omologazione del concordato, nonché l'ammontare dell'attivo e del passivo delle procedure chiuse; con riferimento al concordato preventivo è lecito tuttavia domandarsi quando la procedura possa dirsi effettivamente “chiusa”, considerato che al momento dell’omologazione, mancando una fase di verifica del passivo (come nel fallimento), i relativi valori finali sono necessariamente incerti e provvisori.

[36] Salvo stabilire se si tratta del giudice delegato, che però non è più menzionato con riferimento all’esercizio dei poteri di sorveglianza sull’adempimento del concordato, o del tribunale.

[37] Sul punto il d.d.l. delega n. 3671, fra i principi e i criteri direttivi, prevede anche la “possibilità per il tribunale di affidare ad un terzo il compito di porre in essere gli atti necessari all’esecuzione della proposta concordataria”.

[38] E’ questa probabilmente l’unica ipotesi applicativa al commissario giudiziale della disposizione di cui all’art. 155-sexies disp. att. c.p.c., per la quale anch’egli può “avvalersi” degli strumenti di ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare dei “soggetti nei cui confronti la procedura ha ragioni di credito, anche in mancanza di titolo esecutivo nei loro confronti”.

[39] Sul punto cfr. anche le acute osservazioni di NIGRO e VATTERMOLI, Appendice di aggiornamento, Diritto della crisi delle imprese, cit., par. n. 10.11, secondo cui, con l’attribuzione all’amministratore giudiziario del potere sia di convocare l’assemblea, sia di esercitare in essa il voto, si ricadrebbe nella previsione dell’art. 92, ult. comma disp. att. c.c., con la conseguenza che “la deliberazione (relativa all’aumento di capitale) assunta dall’amministratore giudiziario, per essere efficace, dovrà essere approvata dal tribunale”.

[40] Non è chiaro se tali rapporti debbano essere trasmessi anche all’ufficio del registro delle imprese o semplicemente depositati in cancelleria; nel quarto periodo del quinto comma dell’art. 33 per il fallimento è scritto che “altra copia del rapporto è trasmessa, assieme alle eventuali osservazioni, per via telematica all’ufficio del registro delle imprese, nei quindici giorni successivi alla scadenza del termine per il deposito delle osservazioni nella cancelleria del tribunale”: sta di fatto però che tale proposizione non è stata richiamata per il concordato preventivo dal sesto comma dell’art. 182, cosicché può senz’altro escludersi la trasmissione di copia di quei rapporti riepilogativi all’ufficio del registro delle imprese; ma il secondo periodo parla di trasmissione al comitato dei creditori di una “copia” di detti rapporti, lasciando supporre che l’originale vada comunque depositato nella cancelleria del tribunale.


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