CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 22/01/2013 Scarica PDF
La revoca dell'ammissione al concordato preventivo dopo le riforme della legge fallimentare
Paolo Felice Censoni, Professore di Diritto commerciale nell'Università di UrbinoSommario: 1. Considerazioni introduttive. - 2. Gli atti di frode. - 3. Gli atti illegittimi compiuti durante la procedura. - 4. La mancanza delle condizioni prescritte per l'ammissibilità del concordato. - 5. Profili processuali della revoca del concordato preventivo.
1. Considerazioni introduttive
La revoca dell'ammissione al concordato preventivo, che è una delle ipotesi di
interruzione di una procedura concordataria in corso1, è disciplinata in modo
specifico dall'art. 173 legge fall., secondo cui "il commissario
giudiziale, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte
dell'attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto
passività insussistenti o commesso altri atti di frode, deve riferirne immediatamente
al tribunale, il quale apre d'ufficio il procedimento per la revoca
dell'ammissione al concordato, dandone comunicazione al pubblico ministero e ai
creditori. All'esito del procedimento, che si svolge nelle forme di cui
all'articolo 15, il tribunale provvede con decreto e, su istanza del creditore
su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli
articoli 1 e 5, dichiara il fallimento del debitore con contestuale sentenza,
reclamabile a norma dell'articolo 18. Le disposizioni di cui al secondo comma
si applicano anche se il debitore durante la procedura di concordato compie
atti non autorizzati a norma dell'articolo 167 o comunque diretti a frodare le
ragioni dei creditori, o se in qualunque momento risulta che mancano le
condizioni prescritte per l'ammissibilità del concordato"2.
Tale norma, che da sempre costituisce un pilastro della disciplina
concordataria3, non si limita a sanzionare determinati
comportamenti del debitore concordatario posti in essere sia anteriormente (nel
primo comma), sia posteriormente (nel terzo comma) all'apertura del
procedimento, ma - come si può agevolmente constatare - consente al tribunale
di valutare la permanente sussistenza delle "condizioni prescritte per
l'ammissibilità del concordato" (o, se si preferisce, dei "presupposti
per l'ammissione alla procedura", ai quali è dedicata la stessa rubrica
dell'art. 160 legge fall.), che possono essere del tutto indipendenti da quei
comportamenti, finendo tuttavia per rendere particolarmente difficoltoso, sotto
diversi profili (compreso quello che riguarda il giudizio di
"fattibilità" del piano concordatario), il compito di tracciare la
linea di confine fra autonomia privata e controllo giurisdizionale nel concordato
preventivo4.
Una lettura anche superficiale del testo induce con immediatezza ad un paio di
riflessioni, dalle quali non sembra potersi prescindere per individuare la
finalità della norma dopo le recenti riforme della legge fallimentare.
Per quanto riguarda la disposizione contenuta nel primo comma (che - come detto
- si riferisce a comportamenti riprovevoli del debitore tenuti anteriormente
alla presentazione della domanda di concordato), non può non sorprendere
l'apparente contraddizione fra la stessa e la conclamata eliminazione, rispetto
al passato, di qualunque valutazione della "meritevolezza" del
debitore in occasione del giudizio di omologazione5.
Per quanto riguarda poi la disposizione contenuta nel terzo comma (che invece
si riferisce a fattispecie posteriori alla presentazione della domanda di
concordato), un particolare rilievo sistematico, per comprendere la natura
degli effetti che si producono sul patrimonio del debitore con l'apertura del
concordato (in relazione ai quali si suole parlare, in dottrina e in giurisprudenza,
di spossessamento attenuato, per distinguerlo da quello fallimentare), deve
essere attribuito al collegamento che essa pone con il secondo comma dell'art.
167 legge fall., laddove è stabilito che il compimento da parte del debitore
di un atto di straordinaria amministrazione non autorizzato dal giudice
delegato obbliga il tribunale a revocare il concordato ed eventualmente a
dichiarare il fallimento (ove ne venga fatta istanza)6, senza alcun margine di
discrezionalità in relazione al grado di convenienza dell'atto compiuto.
Dottrina e giurisprudenza sembrano sostanzialmente concordi nell'affermare che
gli atti di straordinaria amministrazione compiuti dal debitore concordatario
senza l'autorizzazione scritta del giudice delegato sono inefficaci anche nel
fallimento consecutivo, indipendentemente dall'esercizio delle azioni revocatorie7,
o perché tout court in frode alla legge8; o per conformità allo stesso effetto
che si determina per gli atti compiuti dal fallito dopo la dichiarazione di
fallimento (art. 44 legge fall.)9; o per un'esigenza di economia processuale10;
o, infine, perché l'inefficacia non può essere fatta valere dal creditore se
non in funzione dell'esercizio di azioni esecutive, che la presentazione della
domanda di concordato impedisce d'iniziare o di proseguire11.
Dato tale collegamento fra l'art. 173 e l'art. 167 legge fall. la sanzione
dell'inefficacia in realtà può realizzarsi solo in quanto si passi dal
concordato al fallimento (mentre, se il concordato è revocato senza ulteriori
provvedimenti, con la chiusura di ogni procedimento concorsuale l'atto, già
inefficace, può espandere i suoi effetti nei confronti di tutti i creditori); e di conseguenza -
analogamente a ciò che accade nel fallimento - l'inopponibilità relativa (e
"reale") dell'atto illegittimo è diretta o ad assicurarne l'oggetto
alla espropriazione forzata e, quindi, alla liquidazione fallimentare; o ad
impedire l'assunzione di obbligazioni che avrebbero l'effetto di ampliare il
numero dei creditori concorrenti sul patrimonio del debitore; o a tutelare la
par condicio creditorum, impedendo il soddisfacimento preferenziale di un
creditore (concorsuale) ai danni degli altri; e poiché ogni elemento del
patrimonio del debitore concordatario è astrattamente suscettibile di essere
oggetto di un atto di ordinaria o di straordinaria amministrazione, anche nel
concordato quel patrimonio deve ritenersi sottoposto nel corso del procedimento
ad un vincolo specifico di destinazione al soddisfacimento dei creditori,
vincolo diretto a legarsi con quello conseguente alla dichiarazione di
fallimento, al quale trasmettere l'inefficacia dell'atto illegittimo (quasi che
si trattasse di un'anticipazione degli effetti patrimoniali del fallimento).
Quest'ultima conclusione inoltre è ulteriormente confermata dal richiamo
espresso all'art. 45 legge fall. aggiunto nell'art. 169 legge fall. dal d.lgs.
n. 5 del 2006: se si riconosce, con l'interpretazione tuttora prevalente, che
la disposizione dell'art. 45 legge fall. avrebbe per scopo quello di estendere
alla materia fallimentare le norme dettate dal codice civile a proposito degli
effetti del pignoramento (artt. 2914 ss.), conducendo, insieme all'art. 44
legge fall. (corrispondente all'art. 2913 c.c.), all'equipollenza di
pignoramento e sentenza dichiarativa di fallimento12, l'applicazione diretta
della medesima norma nel concordato preventivo consente di ammettere che i
creditori anteriori alla pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese
possano beneficiare di una tutela simile a quella predisposta dal codice civile
per il creditore pignorante nell'ambito dell'esecuzione ordinaria13: una tutela
cioè realizzata mediante l'imposizione sui beni del patrimonio del debitore
concordatario di un vincolo specifico di destinazione di essi al soddisfacimento
dei creditori concorsuali.
Naturalmente è legittimo domandarsi quale senso mantenga anche dopo la riforma
la previsione di un'interruzione del concordato preventivo a causa del
compimento da parte del debitore di un atto di straordinaria amministrazione
privo dell'autorizzazione scritta del giudice delegato, se poi, a seguito
della revoca del concordato e in assenza di una successiva dichiarazione di
fallimento, quell'atto finisce per estendere i suoi effetti nei confronti di
tutti i creditori in conseguenza del ritorno in bonis del debitore, in una
situazione di crisi (o di insolvenza) conclamata, idonea a costituire per se
stessa grave pregiudizio per la massa dei creditori14.
Al di là delle aporie alle quali si è accennato, la norma tuttavia continua a
presentare ancora oggi una finalità comune a tutte le fattispecie (tipiche e
atipiche) previste nel primo e nel terzo comma, imponendo al debitore
concordatario, che intenda accedere alla procedura e condurre in porto
l'esperimento di salvataggio, vincoli di correttezza di comportamento e di rispetto
delle regole.
E' dunque sulla maggiore o minore estensione di quei vincoli che, dopo la
riforma del diritto fallimentare, dottrina e giurisprudenza sono chiamate a
riflettere15, come ora verificheremo esaminando più da vicino le singole
fattispecie individuate nella disposizione in esame.
2. Gli atti di frode
Come detto in precedenza, l'art. 173 legge fall. considera fattispecie
rilevanti ai fini della revoca del concordato preventivo
gli "atti in frode" (primo comma) "o comunque diretti a frodare
le ragioni dei creditori" (terzo comma); nonostante la diversità delle
espressioni usate non vi è dubbio che esse abbiano ad oggetto identici
comportamenti del debitore e che pertanto anche per le fattispecie del primo
comma l'attività fraudolenta deve essere stata indirizzata a ledere in modo
specifico gli interessi dei creditori.
Ugualmente è affermazione comune che il sipario che divide i comportamenti
fraudolenti del primo comma da quelli del terzo comma sotto il profilo
temporale è costituito dal decreto di apertura del concordato preventivo: e in
effetti la disposizione del terzo comma riguarda espressamente atti compiuti dal
debitore "durante la procedura", la quale ha inizio con quel
decreto, trovando ulteriore conferma nel richiamo ivi contenuto all'art. 167
legge fall. per gli atti di straordinaria amministrazione non autorizzati dal
giudice delegato.
Sembrerebbe, quindi, inevitabile riferire gli "atti in frode" di cui
al primo comma non solo a quelli compiuti in un momento anteriore all'apertura
del procedimento, ma anche a quelli compiuti medio tempore fra la presentazione
della domanda e il provvedimento del tribunale, cioè nel corso della c.d.
istruttoria preconcordataria; per questi ultimi, tuttavia, qualche dubbio
potrebbe ragionevolmente porsi dopo che il d.l. n. 83 del 2012 ha dettato (nel
settimo comma dell'art. 161 legge fall.) una diversa e specifica disciplina
degli effetti prodromici del concordato preventivo (cioè di quelli derivanti
dalla presentazione del ricorso introduttivo, anche se con riserva o "in
bianco"), relativamente ai poteri di amministrazione del debitore;
tuttavia, indipendentemente dal riferimento al primo piuttosto che al terzo
comma dell'art. 173 legge fall., è preferibile affermare che l'atto compiuto
dal debitore medio tempore comunque non deve rientrare fra quegli "atti
di frode" o comunque "diretti a frodare le ragioni dei
creditori" che, una volta scoperti dopo l'inizio del procedimento, possono
dar luogo all'interruzione di questo e all'eventuale dichiarazione di
fallimento.
Peraltro, assai più incerto è stabilire a ritroso il limite temporale della
rilevanza dei comportamenti fraudolenti tenuti dal debitore prima della
presentazione della domanda, essendo astrattamente possibile - in mancanza di
qualunque indicazione da parte del legislatore - prendere in considerazione
tutti quelli compiuti in precedenza, anche in epoche remote; o tutti quelli causalmente ricollegabili con la genesi dello stato di crisi o di insolvenza; o
solo quelli compiuti quando il debitore era già in stato di crisi o di
insolvenza; o solo quelli comunque ricollegabili con la presentazione della
domanda di concordato (o consistenti nella stessa presentazione della domanda
di concordato, magari "con riserva"), con progressiva riduzione dei
rischi di interruzione della procedura; e la scelta evidentemente non può
prescindere dalla ratio complessiva della norma e, conseguentemente, da una
più ampia valutazione degli obiettivi che il legislatore della riforma si è
prefissato con le modifiche introdotte alla disciplina concordataria, in
direzione (non di maggiori vincoli nell'applicazione dell'istituto, ma al
contrario) di una maggiore facilitazione all'accesso agli strumenti di
soluzione delle crisi alternativi al fallimento, come confermato anche dai più
recenti provvedimenti in materia (fra i quali in particolare il d.l. n. 83 del
2012)16.
Quanto alle singole fattispecie che possono innescare il giudizio di revoca,
il primo comma della norma in esame ne elenca innanzitutto alcune in modo
specifico: 1) l'occultamento o la dissimulazione di parte dell'attivo; 2) la
dolosa omissione di denuncia di uno o più crediti (rectius debiti)17; 3)
l'esposizione di passività insussistenti.
E' opportuno ricordare che a norma degli artt. 186, 5° comma e 138, 1° comma
legge fall. la dolosa esagerazione del passivo e la sottrazione o la
dissimulazione di una parte rilevante dell'attivo costituiscono altrettante
cause di annullamento del concordato preventivo (così come di quello
fallimentare).
Fra le disposizioni di cui sopra (artt. 173 e 138 legge fall.) non vi è
completa identità: "occultamento" e "sottrazione" esprimono
concetti diversi; la dissimulazione di una parte dell'attivo, ai fini
dell'annullamento, deve essere "rilevante", mentre ai fini della
revoca ciò non è espresso in modo specifico; la dolosa omissione di denuncia
di uno o più crediti è causa di revoca, ma non di annullamento; anche
l'esposizione di passività insussistenti, da cui derivi un'esagerazione del
passivo, ai fini dell'annullamento deve essere "dolosa", mentre ai
fini della revoca ciò non è espresso in modo specifico.
D'altra parte è difficile negare che i comportamenti suscettibili di condurre
all'annullamento di un concordato, pur approvato dai creditori e omologato dal
tribunale, siano altrettanto suscettibili di condurre, prima ancora, alla
revoca dello stesso; cosicché anche la sottrazione (e non solo l'occultamento)
di una parte dell'attivo costituirà motivo di revoca; e ugualmente lo
costituirà l'esagerazione del passivo, non dipendente semplicemente da
esposizione di passività insussistenti.
Neppure è superfluo ricordare che le fattispecie sopra menzionate a loro volta
dovrebbero essere confrontate con quelle di rilevanza penale previste dall'art.
216, 1° comma, n. 1, richiamato dall'art. 223, a sua volta richiamato
dall'art. 236, 2° comma legge fall. per il concordato dell'imprenditore
collettivo (la distrazione, l'occultamento, la dissimulazione di parte
dell'attivo o l'esposizione di passività inesistenti)18; o ancora dall'art.
236, 1° comma legge fall. (l'attribuzione di attività inesistenti, la
simulazione di crediti in tutto o in parte inesistenti); cosicché il pubblico
ministero, una volta reso edotto del loro compimento (e dell'avvio del
giudizio di revoca del concordato: art. 173, 1° comma, ultima parte legge
fall.) non potrebbe sottrarsi alla presentazione di una "richiesta"
di fallimento, ai fini di cui agli artt. 238 e 173, 2° comma l. fall.
Comunque è condivisibile l'osservazione che quei comportamenti del debitore
presentano, quale minimo comun denominatore, un indubbio legame con la
presentazione della domanda di concordato, come, ad esempio, può affermarsi per
l'occultamento o la dissimulazione di parte dell'attivo (indipendentemente dai
motivi che possono aver indotto il debitore a compierli), non tanto perché
finirebbero per diminuire la garanzia patrimoniale dei creditori - dato che
l'argomento, sicuramente efficace nel caso di cessione dei beni, lo sarebbe
molto meno in altre forme di concordato, ad esempio con garanzia o con
assunzione da parte di un terzo o con ristrutturazioni societarie19 - quanto
per il motivo che ai creditori verrebbero sottratte informazioni utili ad
esprimere un corretto giudizio sulla convenienza della proposta concordataria
rispetto all'ipotesi fallimentare20.
Va semmai avvertito che nella prospettiva della correttezza dell'informazione
dei creditori, volendo coordinare la disposizione in esame (almeno) con quella
dell'art. 138, 1° comma legge fall., non qualunque sottrazione o dissimulazione
(od occultamento) potrebbe giustificare la revoca del concordato sotto il
profilo oggettivo, dovendo trattarsi di una parte "rilevante"
dell'attivo o di un cespite di valore rilevante, tale cioè da modificare
sensibilmente la valutazione di convenienza affidata ai creditori medesimi in
relazione al giudizio comparativo che costoro sono chiamati a compiere fra
differenti prospettive di soddisfacimento (nel concordato e nel fallimento)21.
Deve trattarsi in ogni caso di fatti certi e non ragionevolmente contestati o contestabili o passibili di differenti e legittime valutazioni od opinioni,
anche in considerazione del carattere formalmente sommario dell'accertamento,
che processualmente adotta le "forme di cui all'art. 15" (art. 173,
2° comma legge fall.) e non può avvalersi di una piena tutela giurisdizionale
dei diritti e delle aspettative del debitore concordatario22.
Occorre poi osservare che a norma del secondo comma dell'art. 161 legge fall.
il debitore deve presentare con il ricorso, fra l'altro, sia una
"aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e
finanziaria dell'impresa" (lett. a), sia uno "stato analitico ed
estimativo delle attività e l'elenco nominativo dei creditori" (lett. b);
e che a norma del terzo comma la relazione del professionista qualificato e
indipendente (designato dal debitore) deve attestare innanzitutto la
"veridicità dei dati aziendali", che costituisce una precondizione
della procedura in esame; conseguentemente la sottrazione o la dissimulazione
(o l'occultamento) di una parte dell'attivo, così come le altre fattispecie
tipiche indicate nel primo comma dell'art. 173 legge fall. (dolosa omissione di
denuncia di uno o più crediti, esposizione di passività insussistenti),
confliggendo evidentemente con la veridicità dei dati aziendali23, potrebbero
emergere anche sotto il profilo della mancanza delle "condizioni prescritte
per l'ammissibilità del concordato", che ne costituisce autonomamente una
causa di revoca24.
La norma in esame non menziona espressamente l'ipotesi inversa rispetto a
quella dell'occultamento o della dissimulazione di parte dell'attivo, quando
il debitore "al solo scopo di essere ammesso alla procedura di concordato
preventivo, siasi attribuito attività inesistenti": ciò che costituisce
fattispecie di reato a norma dell'art. 236, 1° comma l. fall.)25.
Qui l'attribuzione di attività inesistenti non può avere altra finalità che
quella di ingannare (prima ancora che i creditori) il tribunale, per consentire al debitore di beneficiare degli effetti moratori del
concordato, sia pure solo per qualche tempo26.
In ogni caso l'esposizione di attività inesistenti (qualunque sia il contenuto
della proposta concordataria) costituisce (oltre che una fattispecie di reato)
sia un "atto di frode"; sia un atto confliggente con la
"veridicità" dei dati aziendali e quindi autonomamente valutabile,
ai fini della revoca, sotto il profilo della mancanza delle "condizioni
prescritte per l'ammissibilità del concordato".
Inutile aggiungere che l'asserita inesistenza del cespite nel patrimonio del
debitore non deve essere semplice frutto di considerazioni valutative od
oggetto di situazioni litigiose, come può accadere, ad esempio, con riferimento
ad un credito vantato dal debitore concordatario, ma contestato dal terzo; o
alla differente determinazione del "valore presumibile di realizzazione"
di taluni crediti27.
Quanto alla dolosa omissione di denuncia di uno o più crediti (rectius
debiti)28 la ragione della sanzione è stata comunemente individuata nel vulnus
arrecato alla correttezza della rappresentazione del passivo o nel fatto che la
scoperta di nuove passività29 potrebbe determinare una riduzione delle percentuali
offerte ai creditori e, quindi, un inadeguato livello di soddisfazione30,
anche in chiave comparativa rispetto alla liquidazione fallimentare, magari
compromettendo la stessa "fattibilità" del concordato.
Peraltro, non qualunque omissione di denuncia di uno o più crediti può condurre
alla revoca in esame, ancorché le conseguenze e le asimmetrie informative per
i creditori siano identiche a quelle sopra indicate, occorrendo, per un verso,
che l'omissione sia appunto "dolosa", cioè intenzionalmente diretta a
ingannare i creditori; e, per un altro verso, che il credito sia conosciuto o
almeno conoscibile dal debitore con l'ordinaria diligenza (ciò che non sempre
accade, particolarmente con riferimento ai debiti fiscali o previdenziali31 o
ad eventuali pretese risarcitorie di terzi) e che sia non contestato o almeno
non contestabile con eccezioni ragionevolmente attendibili32.
Ancor meno decisiva è l'argomentazione relativa alle aspettative satisfattorie
dei creditori, la quale potrebbe sì utilizzarsi in ipotesi di concordato con
cessione dei beni ai creditori, in cui a qualunque allargamento della cerchia
dei partecipanti al concorso sull'unico patrimonio oggetto di garanzia dei
creditori non può non corrispondere una riduzione della percentuale di
soddisfacimento, quanto meno dei creditori chirografari; ma non potrebbe sic et
simpliciter estendersi a proposte concordatarie con diverso contenuto e men
che meno quando le obbligazioni concordatarie siano garantite o assunte da un
terzo, nel qual caso l'omissione (ancorché dolosa) di denuncia di un debito
finirebbe in realtà per incidere non tanto sulle aspettative satisfattorie dei
creditori (nei confronti del garante o dell'assuntore), quanto sulla
valutazione del fabbisogno finanziario del concordato operata dal terzo
(garante o assuntore) antecedentemente alla presentazione della domanda,
restando semmai da verificare se l'asimmetria informativa non sia conseguenza
di una due diligence superficiale da parte del terzo medesimo, anche in
considerazione del fatto che la revoca del concordato, intesa qui quale
strumento di tutela (soprattutto) delle aspettative del garante o
dell'assuntore, potrebbe invece concretamente danneggiare la massa creditoria,
privata appunto della funzione satisfattoria dell'intervento del terzo.
Se la reazione dell'ordinamento a determinati comportamenti del debitore, nel
contesto degli obiettivi della riforma dell'istituto, non è (o non è più)
caratterizzata da una funzione rigidamente sanzionatoria, ma sta nel presidio
alla effettività della tutela dei creditori, sia sul piano informativo (com'è
pacifico, ma non decisivo per i motivi che ora vedremo), sia su quello
inerente al momento del concreto soddisfacimento dei loro diritti (come le
considerazioni svolte sopra inducono a riconoscere), anche qui, conformemente
all'ipotesi di occultamento o di dissimulazione dell'attivo, per giungersi
alla revoca, l'omissione (oltre che dolosa) dovrebbe avere ad oggetto un debito
tale da modificare sensibilmente la valutazione di convenienza affidata ai
creditori in relazione al giudizio comparativo che costoro sono chiamati a
compiere fra differenti prospettive di soddisfacimento (nel concordato e nel
fallimento), sempre che non la si consideri un atto confliggente con la
"veridicità" dei dati aziendali e quindi autonomamente valutabile,
ai fini della revoca, sotto il profilo della mancanza delle "condizioni
prescritte per l'ammissibilità del concordato"33.
L'art. 173, 1° comma legge fall. menziona espressamente anche l'ipotesi inversa
a quella precedente: cioè l'esposizione di passività insussistenti, la cui
finalità fraudolenta è stata individuata34 o nell'intenzione di indurre i
creditori votanti a rappresentarsi una situazione peggiore di quella
effettiva; o nel progetto di inquinare la formazione delle maggioranze con la
partecipazione al voto di soggetti collusi con il debitore; o persino di far
partecipare al riparto chi non è realmente creditore per recuperare in modo
occulto una parte dei proventi, ecc.; ma, quale che sia in concreto la finalità
perseguita dal debitore, il quadro che risulta dal confronto della fattispecie
in esame con quelle suscettibili di condurre all'annullamento del concordato o
con quelle di rilevanza penale induce a ritenere, ancora una volta, che non
qualsiasi esposizione (o simulazione) di passività insussistenti può costituire
causa di revoca del concordato, dovendo ipotizzarsi tale esito solo quando il
comportamento del debitore è qualificato, oggettivamente, dall'entità del
credito esposto (o simulato) in rapporto all'ammontare complessivo del passivo
(che deve risultarne "esagerato": artt. 138, 1° comma e 186, 5° comma
legge fall.); e, sotto il profilo soggettivo (che va ovviamente dimostrato dal
commissario giudiziale), dall'elemento psicologico del dolo, consistente o
nella volontà di "influire sulla formazione delle maggioranze" (art.
236, 1° comma legge fall.)35 o nella volontà degli organi sociali di
"recare pregiudizio ai creditori" (art. 236, 2° comma legge fall.).
Deve quindi escludersi la revocabilità del concordato se l'entità del credito
inesistente è (relativamente) modesta in rapporto all'entità del passivo o se
la sua esposizione (o simulazione) resta indifferente ai fini del voto
espresso dai creditori (indipendentemente dal fatto che gli stessi ne siano
consapevoli o inconsapevoli al momento della votazione).
Naturalmente, se il credito non esiste, non va soddisfatto, né più né meno di
quanto accade per i crediti (o i diritti) contestati dal debitore di cui sia
accertata (giudizialmente o stragiudizialmente) l'infondatezza dopo
l'omologazione del concordato.
Che le fattispecie (tipizzate) esaminate fin qui conducano alla revoca del
concordato, se e in quanto "atti di frode" (nei limiti che si sono
visti), è d'altra parte opinione comune; assai più complesso, invece, è
definire quali "altri" atti possano essere così qualificati da
causare l'interruzione della procedura concordataria; e dunque quale sia il
parametro di valutazione per giudicare della fraudolenza del comportamento del
debitore e, in definitiva, quale sia l'interesse che il legislatore (passato e
recente) ha inteso tutelare a mezzo dell'art. 173, 1° comma legge fall.
A tali interrogativi - dai quali dipende in larga parte la realizzabilità
degli obiettivi considerati dal legislatore della riforma mediante la
soppressione, in sede di omologazione, del giudizio di meritevolezza - le
risposte e le opinioni (in dottrina e in giurisprudenza) sono state quanto mai
varie36, dilatando o restringendo, sotto entrambi i profili (oggettivo e
soggettivo), il concetto di "frode", secondo differenti sensibilità,
anche in relazione al "depotenziamento" del ruolo del giudice a
beneficio della volontà dei creditori espressa dalla maggioranza (o dalle
maggioranze) di legge.
In generale si esclude che siano automaticamente atti di frode tutti quelli
soggetti a revocatoria fallimentare in caso di fallimento (compresi i
pagamenti lesivi della par condicio credito-rum), ancorché definiti dallo
stesso legislatore nella relativa rubrica della legge fallimentare "atti
pregiudizievoli ai creditori"37; la revoca del concordato non è stata
concepita per creare, con la successiva dichiarazione di fallimento, il
presupposto ineludibile dell'esercizio di quella azione; ancor meno lo è dopo
la riforma, sia perché alla revoca non segue necessariamente la dichiarazione
di fallimento, se non c'è istanza da parte di un creditore o richiesta da parte
del pubblico ministero; sia perché, se il "pregiudizio" deve essere
valutato anche in relazione alle regole del concorso, non è irrilevante ricordare che nel concordato il
debitore può proporre la suddivisione dei creditori in classi, per riservare
legittimamente a ciascuna di esse trattamenti differenziati, salvo il rispetto
del principio di par condicio solo fra creditori appartenenti alla medesima
classe.
Ugualmente si tende ad escludere che costituiscano atti di frode i semplici
addebiti di mala gestio38, derivanti da negligenza o da operazioni compiute
senza l'osservanza della necessaria diligenza o prudenza (anche
professionale), ma del tutto indipendenti (temporalmente o eziologicamente) dal
progetto concordatario e dall'intento di ingannare i creditori.
Quanto alle condotte genericamente depauperative di attività patrimoniali,
occorre poi chiarire che non può costituire per sé occasione di revoca del
concordato l'accertamento di qualsiasi decremento delle attività o incremento
delle passività verificatisi nel periodo intercorrente fra la decisione presa
dall'imprenditore (o dai suoi organi sociali) di ricorrere ad uno degli
strumenti alternativi di soluzione della crisi e l'effettiva proposizione dello
strumento prescelto; e neppure fra la presentazione di una domanda "con
riserva" (oggi resa possibile dal nuovo sesto comma dell'art. 161 legge
fall.) e il deposito della proposta, del piano concordatario e della
documentazione elencata in quest'ultima norma.
E' sufficientemente consolidata, dopo qualche anno di applicazione della
riforma dell'istituto concordatario, la convinzione che la stessa
predisposizione del piano di concordato debba essere preceduta da una serie di
attività preliminari, più o meno articolate e complesse secondo il contenuto
concreto della proposta e quindi in relazione agli strumenti che si ritengano
più utili al perseguimento dell'obiettivo della ristrutturazione dei debiti.
Peraltro di questo si è reso conto anche il legislatore nel d.l. n. 83 del
2012, non solo consentendo al debitore di presentare - come detto - una domanda
"con riserva", da integrare con il piano concordatario (o da
sostituire con una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione
dei debiti ai sensi dell'art. 182-bis legge fall.) in un termine fissato dal
giudice, compreso fra sessanta e centoventi giorni (e prorogabile di non oltre sessanta
giorni in presenza di giustificati motivi); ma anche prevedendo una disciplina
specifica per il caso di "continuità aziendale" (artt. 182-quinquies
e 186-bis legge fall.), anche relativamente alla documentazione da depositare
in tribunale39.
Le responsabilità derivanti dall'aggravamento del dissesto per il colpevole
ritardo nella presentazione della domanda di fallimento in proprio (art. 217,
1° comma, n. 4 legge fall.), dopo la riforma, appaiono ancor più visibilmente
(rispetto al passato) inconciliabili con il favore del legislatore per
soluzioni alternative della crisi (concordate con il ceto creditorio, ma) che
richiedono attività spesso complesse e, quindi, tempi adeguati.
Peraltro le fattispecie che hanno dato luogo alle maggiori incertezze
interpretative, circa la più precisa individuazione degli "atti di
frode", sono indubbiamente le condotte suscettibili, in generale, di
responsabilità penale per bancarotta fraudolenta (a parte quelle tipizzate già
esaminate in precedenza e menzionate negli artt. 173, 1° comma e 138, 1° comma
legge fall.), fra le quali, in particolare, le condotte riconducibili alle
false comunicazioni sociali, essendo stato osservato che qualsiasi fatto di
falso in bilancio può essere valorizzato in sede di revoca del concordato,
anche se compiuto prima della redazione del ricorso, in quanto la frode
riguarderebbe indistintamente tutte le condotte rilevanti ai fini della
valutazione di questo, dei suoi allegati e della convenienza della proposta; a
meno che il debitore non faccia immediatamente "piena disclosure sulle
alterazioni pregresse, autodenunziandosi nel ricorso, anche se ciò potrà
comportare conseguenze di carattere penale"40.
Come il lettore attento avrà compreso, per evitare interpretazioni
eccessivamente rigide e ideologicamente conservatrici che, allargando a
dismisura la nozione di "atto di frode" (per ampliare gli spazi di
intervento del giudice nelle soluzioni delle crisi di impresa), potrebbero
vanificare l'intento del legislatore della riforma (condiviso o meno che sia)
di agevolare il ricorso allo strumento del concordato (e in generale alle
soluzioni concordate della crisi), non resta che verificare prioritariamente,
sotto il profilo assiologico, se e in quale misura possa affermarsi una
progressiva evoluzione della funzione della norma in esame; e, dunque, quali
interessi specifici (dei creditori) il legislatore abbia inteso in realtà
privilegiare.
Intanto incomincerei con il dare il giusto rilievo alla considerazione che la
revoca del concordato non è finalizzata all'applicazione delle norme penali in
tema di bancarotta fraudolenta, sia perché - come già osservato in precedenza
- la dichiarazione di fallimento è contestuale alla revoca solo se c'è
l'istanza di un creditore o la richiesta del pubblico ministero; sia perché
l'art. 236, 2° comma legge fall. applica autonomamente al concordato delle
società (e indipendentemente dal fallimento) taluni reati fallimentari (e tra
essi la bancarotta fraudolenta, oltre al falso in comunicazioni sociali),
consentendo di desumerne che le condotte previste nell'art. 223 legge fall. (e
nell'art. 2621 c.c.), ancorché gravi, non conducono (e neppure prima della
riforma conducevano) inevitabilmente alla revoca del concordato (ciò che
avrebbe reso del tutto superflua, soprattutto in passato, quella
disposizione); anzi, in tanto il reato concordatario sussiste proprio in
quanto il concordato non venga revocato (e quello fallimentare non sussiste se
poi il fallimento non può essere dichiarato per mancanza di iniziativa).
Dunque, condotte costituenti reato non necessariamente portano
all'interruzione dell'esperimento concordatario; naturalmente ciò non
significa ancora che tali condotte non possano essere prese in considerazione
ai fini della revoca, ma esse dovranno essere parametrate a diversi criteri di
valutazione, i quali non potranno ricavarsi che dalle (nuove) finalità della norma
in esame.
Da questo punto di vista occorre sottolineare quanto ricorrente, in dottrina e
in giurisprudenza, tanto da costituire oramai communis opinio, sia la
considerazione che il primo comma dell'art. 173 legge fall., abbandonata
l'originaria funzione sanzionatoria, mirerebbe soprattutto a tutelare
l'interesse dei creditori ad una corretta informazione circa la situazione
patrimoniale, economica e finanziaria dell'imprenditore, in modo che essi
possano esprimere, in sede di votazione, un consenso informato e non viziato,
cosicché ogni condotta scientemente ispirata alla finalità di offrire ai
creditori un'errata rappresentazione di quella situazione, che sia tale da
pregiudicare la formazione del consenso o da interferire con le loro
aspettative, dovrebbe ritenersi "atto di frode" e condurre
conseguentemente all'interruzione della procedura41.
E anche la Corte di cassazione42, dovendo stabilire se il concetto di frode
"ricomprenda qualunque comportamento volontario idoneo a pregiudicare le aspettative
di soddisfacimento del ceto creditorio oppure se tale sia solo la condotta
volta ad occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei
creditori stessi e quindi tali che, se conosciute, avrebbero presumibilmente
comportato una diversa (ovviamente negativa) valutazione della proposta",
ha finito per seguire la seconda conclusione, "ogni diversa
interpretazione attribuendo alla disposizione in esame una connotazione di
incomprensibile ed incongruo fossile normativo del tutto incompatibile con la
nuova disciplina in quanto reintrodurrebbe, in sostanza, il requisito,
apertamente ripudiato dal legislatore, della meritevolezza da valutarsi da
parte del tribunale"43.
Il ragionamento svolto dalla Corte poggia sostanzialmente su due
argomentazioni, entrambe condivisibili: per la prima - ricavata dalla lettera
del primo comma dell'art. 173 legge fall. ("il commissario giudiziale, se
accerta ecc.") - l'atto di frode, per avere rilievo ai fini della revoca,
deve essere "scoperto" dallo stesso commissario, essendo prima
ignorato dagli organi della procedura o dai creditori e non potendo riferirsi
alla segnalazione di eventi già noti e giudicati ininfluenti al momento
dell'ammissione alla procedura, come se si trattasse della richiesta di
revisione del precedente giudizio44.
La seconda argomentazione parte, invece, dal presupposto che i comportamenti
del debitore genericamente compresi nel concetto di "altri atti di
frode", debbano presentare la medesima connotazione unificante di quelli espressamente
menzionati (occultamento o dissimulazione di parte dell'attivo, dolosa omissione
dell'esistenza di crediti, esposizione di passività insussistenti), a sua
volta individuata non nell'attitudine a creare un danno al patrimonio (posto
che tale attitudine non ha l'esposizione di passività insussistenti), ma in
quella ad ingannare i creditori sulle reali prospettive di soddisfacimento in
caso di liquidazione e "a pregiudicare la possibilità che i creditori
possano compiere le valutazioni di competenza avendo presente l'effettiva
consistenza e la reale situazione giuridica degli elementi attivi e passivi
del patrimonio dell'impresa".
Conseguentemente - è la conclusione della Corte Suprema, coerente, dal punto di
vista sistematico, con il nuovo ruolo affidato dalla riforma al giudice di
"garantire che ai creditori vengano forniti tutti gli elementi necessari
per una corretta valutazione della proposta e che questa venga effettuata con
modalità tali da rispecchiare l'effettiva volontà dei creditori"-
"in tanto i comportamenti del debitore anteriori alla presentazione della
domanda di concordato possono essere valutati ai fini della revoca
dell'ammissione al concordato in quanto abbiano una valenza decettiva e quindi
siano tali da pregiudicare un consenso informato".
Ora, se rilevanti ai fini della revoca del concordato sono solo le condotte
volte ad occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei
creditori stessi e quindi tali che, se conosciute, avrebbero presumibilmente comportato
una diversa (e negativa) valutazione della proposta, ne dovrebbe derivare innanzitutto
che, ove invece conosciute, perché "confessate" dal debitore, nella
stessa domanda di concordato45 o almeno prima dell'adunanza dei creditori o
comunque prima dell'inizio della votazione46, la revoca non sarebbe più
possibile47.
Così ragionando, però, se l'obiettivo è quello di tutelare l'adeguatezza
dell'informazione dei creditori affinché questi possano esprimere un consenso
consapevole, si dovrebbe, per coerenza, giungere alla medesima conclusione
anche nel caso in cui i comportamenti fraudolenti siano portati a conoscenza
dei creditori dal commissario giudiziale, magari nella sua relazione
"particolareggiata" ex art. 172 legge fall. (che appunto ha ad
oggetto anche la "condotta del debitore"); una volta eliminata
l'asimmetria informativa, non ci sarebbe ragione non solo di privare i
creditori del loro diritto di esprimere (magari all'unanimità) un voto
favorevole sulla domanda del debitore così come originariamente proposta, ma
altresì di farlo semplicemente in base ad una valutazione prognostica del
tribunale circa l'esito presuntivamente negativo di una votazione che, in
realtà, non potrebbe più svolgersi una volta decisa la revoca.
Per uscire dal vicolo cieco, non resterebbe che attribuire all'occultamento o
alla manipolazione di situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei
creditori, ma emerse anteriormente alla votazione, una valenza sanzionatoria
fine a se stessa; e tuttavia questa, comportando in definitiva un giudizio di
meritevolezza del debitore, urterebbe a sua volta con l'obiettivo perseguito
dal legislatore della riforma di sottrarre al giudice quella valutazione, per
affidarla semmai ai creditori a mezzo (e al momento) dell'esercizio del diritto
di voto.
Insomma, finché i creditori non si siano pronunziati con il voto, il primo
comma dell'art. 173 legge fall., contrariamente al passato, risulterebbe (sotto
il profilo temporale) non applicabile, quale che sia la fonte della disclosure:
confessione del debitore o "accertamento" del commissario giudiziale
(ferma restando ovviamente la facoltà del primo di integrare o modificare
l'originaria proposta, per agevolare il convincimento dei suoi creditori).
A conclusione completamente diversa dovrebbe, invece, pervenirsi per l'ipotesi
che l'atto di frode - quale comportamento lesivo del diritto dei creditori ad
un'informazione adeguata e ad esprimere un consenso informato, tale che, se
conosciuto per tempo, avrebbe presumibilmente comportato una diversa (e
negativa) valutazione della proposta - venga scoperto dopo il momento della
votazione (e quindi del giudizio) dei creditori, "viziato dall'accettata
falsa rappresentazione della realtà sul quale il giudizio stesso è
fondato"48.
In dottrina è stata espressa l'opinione secondo cui, in questa seconda ipotesi,
per evitare la revoca del concordato e l'apertura del fallimento, che potrebbe
contrastare con l'interesse dei creditori, al debitore resterebbe ancora la
possibilità di rinunziare alla domanda e di presentarne una nuova, emendata
dei vizi precedenti, adeguando e migliorando la sua offerta49.
Ma la tesi non ha alcun fondamento, né normativo né sistematico, di fatto
consentendo al debitore di vanificare in qualsiasi momento ed anche
reiteratamente l'applicabilità dell'art. 173 legge fall., pur in presenza di
istanze di fallimento.
Se, per un verso, deve ammettersi che il debitore, prima dell'inizio delle
operazioni di voto, abbia il diritto di modificare (anche in modo sostanziale)
la sua domanda (come si ricava dal secondo comma dell'art. 175 e ora anche dal
novellato terzo comma dell'art. 161 legge fall.)50 ed eventualmente (ma il
punto è più dubbio) quello di rinunziarvi per presentarne subito dopo una
nuova; per un altro verso, dopo l'inizio delle operazioni di voto, la scelta
deve ritenersi definitiva, non avendo senso, di fronte all'espressa inibizione
di modifica della proposta concordataria, consentirgli di ottenere il medesimo
risultato rinunziando alla domanda e presentandone una nuova.
E' vero che alla revoca del concordato preventivo può non seguire la
dichiarazione di fallimento, pur in presenza dei relativi presupposti, se non
vi sono istanze in tal senso; ma non meno vero è che la pendenza del concordato
impedisce al tribunale di prendere in considerazione eventuali istanze di
fallimento, tanto se antecedenti all'apertura del procedimento, quanto se
successive e magari conseguenti precisamente alla comunicazione (al pubblico
ministero e ai creditori) dell'apertura d'ufficio del giudizio di revoca (che
non a caso si svolge nelle forme di cui all'art. 15 legge fall., cioè in quelle
dell'istruttoria prefallimentare); e dunque non può essere consentito al
debitore di bloccare senza limiti di tempo un'eventuale dichiarazione di
fallimento, tanto più che la modifica della proposta su cui i creditori si
siano già pronunziati richiederebbe (quanto meno) la rinnovazione dell'iter
per giungere ad una seconda votazione; mentre la presentazione di una domanda
diversa richiederebbe addirittura la ripetizione dello stesso giudizio di
ammissione: ciò di cui non esiste traccia nella legge fallimentare51.
Ma - a parte certe interpretazioni creative - va sottolineato il fatto che, se
rilevanti ai fini della revoca del concordato sono solo le condotte volte ad
occultare situazioni idonee ad influire sul giudizio dei creditori stessi e
quindi tali che, se conosciute, avrebbero presumibilmente comportato una
diversa (e negativa) valutazione della proposta, il compito che viene affidato
al tribunale, investito del giudizio dopo l'espressione di voto da parte dei
creditori in senso favorevole al concordato52, appare particolarmente
impegnativo, dovendo sostanzialmente sostituirsi ai creditori
(complessivamente intesi) in una nuova valutazione della proposta (e quindi
anche della sua convenienza per i creditori medesimi) alla luce dei fatti
fraudolenti emersi: il giudice deve cioè stabilire, motivando, se i creditori o
quanto meno la maggioranza di essi (per somma) o la maggioranza delle classi di
essi avrebbero dato ugualmente voto favorevole, piuttosto che voto contrario,
ove avessero tempestivamente conosciuto quei fatti.
Qui non esiste controprova, salva forse la possibilità che i creditori (almeno
quelli che rappresentano la maggioranza dei crediti) si costituiscano nel
procedimento di revoca per sostenere l'esito della precedente votazione, di
fatto impedendo al tribunale una differente interpretazione della loro
presumibile volontà.
3. Gli atti illegittimi compiuti durante la procedura
Rispetto alle fattispecie di revoca menzionate nel primo comma dell'art. 173
legge fall. quelle menzionate nel terzo comma - a parte la diversa collocazione
temporale di cui si è detto - appaiono assai più disomogenee, applicando la
medesima disciplina sia a taluni comportamenti tenuti dal debitore concordatario
"durante la procedura", sia all'ipotesi (totalmente diversa)
dell'accertamento della mancanza delle "condizioni" prescritte per
l'ammissibilità del concordato.
Anche processualmente la formulazione della norma, richiamando solo "le
disposizioni di cui al secondo comma" dell'articolo in esame, senza
considerare quelle contenute nella parte finale del primo comma, pone - come
vedremo - una serie di interrogativi.
Procedendo con ordine e principiando dai comportamenti del debitore, è chiaro
che la categoria degli atti di straordinaria amministrazione privi
dell'autorizzazione scritta del giudice delegato secondo le regole fissate
dall'art. 167, 2° e 3° comma l. fall. non può essere assimilata a quella degli
atti "comunque diretti a frodare le ragioni dei creditori", sia per
il motivo che, per un verso, l'atto di straordinaria amministrazione non diventa
fraudolento solo perché compiuto in assenza di autorizzazione (preventiva) del
giudice delegato; sia perché, per un altro verso, l'atto (se veramente) diretto
a frodare le ragioni dei creditori non è neppure autorizzabile, una volta che si ammetta che l'assenza di
intento fraudolento costituisce un limite assoluto ai medesimi poteri di
intervento del giudice.
Conseguentemente, come non è possibile affermare che il compimento di un atto
di straordinaria amministrazione sottratto preventivamente all'autorizzazione
del giudice delegato sia per sé stesso indicativo di un intento fraudolento53,
così neppure è legittimo attribuire sul punto alla norma in esame una funzione
esclusivamente sanzionatoria, presumendosi che gli atti non autorizzati
rappresentino un mezzo con il quale il debitore altererebbe l'assetto proposto
ai creditori e li defrauderebbe nelle aspettative di soddisfo promesse54.
Insomma, la distinzione fra ordinaria e straordinaria amministrazione
(introdotta dall'art. 167 legge fall.) non ha senso con riferimento agli atti
"diretti a frodare le ragioni dei creditori"55; e quindi nessuna
utilità può ricavarsi dall'uso (nella disposizione in esame) dell'avverbio
"comunque".
Quanto al compimento degli atti di straordinaria amministrazione privi
dell'autorizzazione scritta del giudice delegato, prima della riforma, la loro
menzione nell'art. 173, 2° comma legge fall. al fine della revoca del
concordato traeva la sua ragion d'essere dal fatto che, data l'originaria
automaticità della consecutiva dichiarazione di fallimento, la sanzione
dell'inefficacia relativa stabilita dal secondo comma dell'art. 167 legge fall.
poteva appunto realizzarsi solo nel fallimento, indipendentemente
dall'esercizio delle azioni revocatorie.
E' pur vero che rispetto al passato il legame esistente fra l'art. 167, 2°
comma e l'art. 173 (ora 3° comma) legge fall., una volta venuta meno quella
automaticità, si è parzialmente affievolito56; ma lo stesso è rimasto intatto
(con tutto quello che ne consegue anche con riferimento alla definizione della
natura degli effetti del procedimento in esame) nell'ipotesi (assai più
frequente) che alla revoca del concordato si accompagni contestualmente la
dichiarazione di fallimento, essendo allora necessario verificare57 se il
compimento di un atto di straordinaria amministrazione non preventivamente autorizzato
dal giudice delegato conduca automaticamente alla revoca del concordato58; o
se ne sia possibile una ratifica successiva59; o se il tribunale abbia la
facoltà di valutare in quella sede la (maggiore o minore) convenienza dell'atto
o l'eventuale pregiudizio dallo stesso arrecato ai creditori60; o ancora se sia
applicabile l'art. 173 legge fall. in ipotesi di atto soggetto alla condizione
risolutiva o in ipotesi di contratti consensualmente risolti61.
Nel presupposto che la norma debba essere coordinata con la nuova struttura
della proposta concordataria e, in particolare, con l'obbligo dell'imprenditore
di depositare anche un "piano" organico di ristrutturazione dei
debiti, quale atto "programmatico" vincolante, è stato osservato che
tale imposizione condurrebbe ad escludere l'applicabilità della sanzione della
revoca del concordato laddove lo stesso imprenditore compia in buona fede
attività ricomprese nel (e coerenti con) il piano depositato62.
Peraltro la premessa non conduce necessariamente alla conclusione affermata.
Con riferimento alla distinzione fra atti di ordinaria e atti di straordinaria
amministrazione è opportuno ricordare63 che se, per un verso, data la
situazione di crisi in cui si trova il debitore e l'eventualità che in
qualunque momento il concordato si converta in fallimento, l'esigenza di
(tendenziale) conservazione del patrimonio del debitore giustificherebbe in
realtà un'interpretazione orientata ad una maggiore dilatazione dell'area della
straordinaria amministrazione (soggetta ad autorizzazione del giudice
delegato), per un altro verso, una volta elevato il "piano" di
concordato al rango di norma fondamentale del progetto concordatario
(analogamente a ciò che in passato è stato sostenuto con riferimento al
"piano di risanamento" nell'ambito della procedura di amministrazione
controllata)64, il carattere ordinario o straordinario di un atto di gestione
non potrebbe non valutarsi anche alla stregua delle condizioni perché quel
piano possa avere effettiva realizzazione, una volta approvato dai creditori.
Se quest'ultimo è l'enunciazione particolareggiata sia di ciò che
l'imprenditore intende fare in vista dell'obiettivo del soddisfacimento dei
creditori (ed eventualmente anche in quello del risanamento della sua impresa),
sia dei mezzi con i quali egli si propone di raggiungere quell'obiettivo, esso
deve poter vincolare per il futuro ad una precisa linea di condotta il
soggetto o i soggetti chiamati a gestire tale tentativo, concorrendo, fra
l'altro, a delimitare l'area dell'ordinaria e della straordinaria
amministrazione.
Non ci si nasconde, peraltro, che il fatto di condizionare l'ambito
dell'ordinaria amministrazione al (variabile) contenuto della proposta del
debitore - la cui libertà di scelta è ora, rispetto al passato, praticamente
illimitata (come emerge chiaramente dalla disposizione dell'art. 160, 1° co.,
lett. a) legge fall. e, in particolare, dalla possibilità che la
ristrutturazione del passivo possa avvenire "attraverso qualsiasi
forma") - rischia di rendere il criterio di discriminazione fra ordinaria
e straordinaria amministrazione ancor più difficilmente riconoscibile da parte
dei terzi, che, entrando in contatto col debitore, si troverebbero a dover
compiere una valutazione della sua proposta e delle prospettive di
realizzazione del piano65.
Insomma, la necessità della presentazione di un "piano" concordatario
(oggi espressamente imposta dal secondo comma dell'art. 161 legge fall.
[novellato dal d.l. n. 83 del 2012], fra i documenti da allegare alla domanda
di concordato) non può non influire in modo diretto anche sui criteri di
distinzione fra ordinaria e straordinaria amministrazione; ma ai fini della revoca
del concordato può rilevare solo di riflesso, non dunque nel senso che la
coerenza (o la congruità) dell'atto di straordinaria amministrazione non
autorizzato, rispetto alle previsioni del piano, valga a sottrarre il debitore
alla conseguenza sanzionatoria della revoca del concordato (e dell'eventuale
dichiarazione di fallimento); quanto piuttosto nel senso che la coerenza (o la
congruità) dell'atto rispetto al "programma" presentato al tribunale
concorre già a discriminare, a monte, l'ordinaria dalla straordinaria
amministrazione66.
E' poi superfluo aggiungere che la fattispecie di revoca fondata sulla
menzionata distinzione presuppone comunque l'apertura del concordato
preventivo, quale dies a quo per l'applicabilità sia dell'art. 167, sia
dell'art. 173, 3° comma legge fall., non rilevando invece il fatto che, per il
periodo intercorrente fra il deposito del ricorso e il decreto di ammissione,
il settimo comma dell'art. 161 legge fall. (anch'esso introdotto dal d.l. n. 83
del 2012) abbia concesso al debitore il potere di compiere atti di
straordinaria amministrazione solo se urgenti e solo se previamente autorizzati
dal tribunale67.
Quanto poi alla categoria degli atti "diretti a frodare le ragioni dei
creditori" ci si può legittimamente domandare se essa si identifichi con
quella degli "atti di frode" disciplinata nel primo comma dell'art.
173 legge fall. o se, nonostante l'uso di espressioni apparentemente
equivalenti, il legislatore abbia inteso riferirsi a fattispecie diverse.
Il dubbio nasce dal fatto che - dopo la riforma del diritto fallimentare -
l'espressione contenuta nel primo comma è stata prevalentemente intesa, come si
è constatato nelle pagine precedenti, nel senso che rilevanti ai fini della
revoca del concordato sarebbero solo le condotte volte ad occultare o
manipolare situazioni idonee ad influire sul giudizio dei creditori stessi e quindi tali che, se conosciute, avrebbero presumibilmente comportato una
diversa (e negativa) valutazione della proposta.
Se così fosse, naturalmente occorrerebbe estendere, pur con qualche
adattamento, alla categoria degli atti diretti a frodare le ragioni dei
creditori, ma compiuti dopo l'apertura del concordato, le considerazioni e le
conclusioni proposte, in dottrina e in giurisprudenza, con riferimento agli
atti di frode compiuti prima di quel momento, nel senso allora che rilevanti ai
fini della revoca del concordato sarebbero (non tutte le condotte fraudolente,
ma) solo quelle che, se conosciute, avrebbero presumibilmente comportato una
diversa (e negativa) valutazione della proposta.
Tuttavia, da questo punto di vista, l'equiparazione non si rivela del tutto
appagante, dovendo prima stabilirsi quali siano le "ragioni dei
creditori" tutelate dalla norma che il comportamento fraudolento del
debitore potrebbe compromettere; e in particolare se vi siano
"ragioni" ulteriori e diverse rispetto a quella ad una corretta
informazione, quale presupposto per una consapevole valutazione di convenienza
della proposta del debitore da parte dei creditori medesimi.
A tale ultimo interrogativo sembra preferibile dare risposta affermativa,
considerando che a seguito dell'apertura del concordato il debitore mantiene i
poteri di gestione e di disposizione del suo patrimonio (pur con i ben noti
limiti per gli atti di straordinaria amministrazione) e che, pertanto, le
aspettative dei creditori non possono limitarsi alla completezza
dell'informazione sulla sua situazione economica, patrimoniale e finanziaria,
ma hanno necessariamente ad oggetto anche la correttezza sostanziale di quella
gestione, che potrebbe finire per compromettere innanzitutto le loro
"ragioni" satisfattorie legate all'esecuzione del piano
concordatario: quindi è ragionevole ritenere che nella definizione rientri
qualunque atto del debitore (estraneo alla realizzazione del piano
concordatario) intenzionalmente diretto a (e con la consapevolezza di) danneggiare
la massa creditoria68, per ricavarne un vantaggio per sé o per altri.
E d'altra parte la stessa collocazione del riferimento agli atti diretti a
frodare le ragioni dei creditori immediatamente dopo quello agli atti di
straordinaria amministrazione non autorizzati induce a far emergere quale
minimo comun denominatore delle due categorie (fra loro accostate dall'avverbio
"comunque") la pertinenza di entrambe all'attività di gestione e di
disposizione del patrimonio assoggettato ai vincoli della procedura concordataria,
senza alcun preciso collegamento con profili di asimmetrie informative,
presenti invece nella omonima categoria del primo comma.
Quanto ai pagamenti (si intende) di crediti concorsuali l'opinione prevalente è
sempre stata nel senso di equipararli agli atti fraudolenti, che - come tali -
neppure potrebbero essere autorizzati dal giudice delegato69; e occorre
prendere atto che il primo comma dell'art. 168 legge fall., impedendo ai
creditori per titolo o causa anteriore alla pubblicazione del ricorso nel
registro delle imprese di soddisfarsi esecutivamente (addirittura "sotto
pena di nullità"), senza specifiche eccezioni (neppure per i crediti
privilegiati, ipotecari o pignoratizi), affinché non venga alterata nel corso
della procedura la par condicio credito-rum, indirettamente (e a maggior
ragione) sembra delegittimare qualunque atto di adempimento spontaneo di quelle
obbligazioni (pecuniarie) del debitore (salvo il potere di compensazione nei
limiti consentiti dall'art. 56 legge fall., richiamato dall'art. 169 legge
fall.); e ad analoga conclusione conduce anche la novella introdotta (dal d.l.
n. 83 del 2012) nella seconda parte del terzo comma dell'art. 168 legge fall.,
secondo cui "le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni che
precedono la data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese
sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato".
D'altra parte, però, altre norme sembrano contraddire quella conclusione: così
innanzitutto la prima parte del terzo comma della medesima norma, che consente
al giudice delegato di autorizzare un creditore ad "acquistare diritti di
prelazione con efficacia rispetto ai creditori concorrenti", sia pure
solo nei casi previsti dall'art. 167 legge fall.; a sua volta quest'ultima
norma, nel secondo comma, considera soggetti ad autorizzazione del giudice
delegato le concessioni di ipoteche o di pegno, considerate quali atti di
straordinaria amministrazione, obbligando conseguentemente gli interpreti a
domandarsi se i creditori legittimati ad acquistare diritti di prelazione
siano solo quelli sorti nel corso della procedura70 (nel qual caso tuttavia si
tratterebbe di un'inutile ripetizione di quanto già previsto nella disposizione
precedente); o piuttosto se siano anche quelli concorsuali, sia pure in
situazioni eccezionali71 (nel qual caso comunque al giudice delegato verrebbe
attribuito un potere sostanzialmente discrezionale di consentire l'alterazione
della par condicio creditorum, in visibile contrasto con il carattere assoluto
del divieto di azioni esecutive previsto dal primo comma dell'art. 168 legge
fall.72).
In effetti il riferimento espresso ai "casi previsti dall'articolo
precedente" induce comunque a legare quel potere di autorizzazione ad
attività gestorie del debitore successive all'apertura del procedimento e
dunque a limitarlo (in modo del tutto eccezionale) al compimento di nuove
operazioni con un soggetto già creditore concorsuale, nelle quali tuttavia il
vantaggio per la massa creditoria, in relazione alle stesse possibilità di
successo del piano concordatario, bilanci in qualche modo il sacrificio
derivante alla stessa dalla concessione a quel soggetto di un diritto di
garanzia per il credito anteriore al concordato, al fine di indurlo a
concludere un accordo con il debitore73.
E precisamente in questa direzione si è avviato il legislatore con il quarto
comma dell'art. 182-quinquies legge fall. (anch'esso introdotto dal d.l. n. 83
del 2012), consentendo al debitore che presenta domanda di ammissione al
concordato preventivo (con continuità aziendale) di "chiedere al tribunale
di essere autorizzato, assunte se del caso sommarie informazioni, a pagare
crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi" ritenute (sulla base
dell'attestazione di un professionista qualificato) "essenziali per la
prosecuzione della attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore
soddisfazione dei creditori".
Ma - a parte queste considerazioni - è certo che il pagamento di un credito
concorsuale (che, dopo l'intervento legislativo di cui sopra, non può più
considerarsi in sé un atto necessariamente "fraudolento", appunto
perché, sia pure a certe condizioni, autorizzabile) può condurre alla revoca
del concordato solo se caratterizzato, sul piano dell'elemento psicologico, dal
"dolo", cioè dalla consapevolezza della frode nel debitore e - come
detto - dall'intenzione di danneggiare la massa creditoria, per ricavarne per
sé o per un terzo (il creditore soddisfatto) un vantaggio: ciò che non è
scontato o implicito in qualunque pagamento, ben potendo ipotizzarsi ad esempio
che lo stesso sia stato eseguito nella convinzione che il credito soddisfatto
non fosse concorsuale, ma prededucibile74.
4. La mancanza delle condizioni prescritte per l'ammissibilità del concordato
Ancora più problematica è l'ipotesi prevista nella parte finale del terzo comma
dell'art. 173 legge fall., non solo per i profili processuali (di cui ci
occuperemo in seguito), relativi alla necessità di coordinare l'autonomo
giudizio di revoca (espressamente consentito "in qualunque momento")
con quello di omologazione (nell'ipotesi che il concordato sia approvato dai
creditori), ma anche (e soprattutto) per i presupposti sostanziali della
norma, relativi alla necessità di definire puntualmente quali siano "le
condizioni prescritte per l'ammissibilità del concordato", la cui mancanza
può condurre alla conclusione anticipata dell'esperimento concordatario e
all'eventuale dichiarazione di fallimento.
Tali "condizioni", infatti, non possono essere ricavate altrimenti
che dalle norme che disciplinano l'ammissione alla procedura di concordato
preventivo, contenute (conformemente alla rubrica) nel capo I del titolo III
della legge fallimentare, in particolare negli artt. 160 (a sua volta
espressamente dedicato, anche nella rubrica, ai "presupposti"), 161 e
162, comma 2° (dedicato alla "inammissibilità della proposta"), che
richiama sia i primi due commi della prima norma che la seconda.
E' dunque possibile affermare innanzitutto che le condizioni (o i presupposti
o, se si preferisce, i requisiti) di ammissibilità del concordato devono essere
presenti, oltre che al momento di apertura del procedimento, anche nel corso (e
per tutta la durata) dello stesso, restando solo da stabilire se - una volta
aperta la procedura a seguito della verifica, da parte del tribunale, della
loro sussistenza - la mancanza (o meglio la mancata persistenza) di una o più
di esse possa rilevare solo se derivante da eventi successivi (quindi non
valutati preventivamente dal tribunale medesimo); oppure se quest'ultimo possa
diversamente giudicare (magari a seguito degli accertamenti eseguiti dal
commissario giudiziale in occasione e ai fini della relazione di cui all'art.
172 legge fall.) anche elementi (di fatto e di diritto) già precedentemente
esaminati in sede di ammissione; l'ampiezza della formula adottata dal
legislatore ("se in qualunque momento risulta che mancano le
condizioni") indurrebbe a preferire la seconda soluzione, considerando
che comunque anche in sede di omologazione (e anche in assenza di eventuali
opposizioni) il tribunale ha comunque il potere-dovere di verificare la
"regolarità della procedura" (art. 180, 3° comma legge fall.),
concetto nel quale non può non rientrare il controllo dei presupposti di
ammissibilità della stessa75.
In generale su molti di tali requisiti vi è un ampio consenso: non è
controverso, ad esempio, che il tribunale abbia il potere-dovere di verificare
innanzitutto la propria competenza; la sussistenza del presupposto soggettivo
del concordato (cioè la natura commerciale dell'impresa ed il rispetto della
disposizione di cui al secondo comma dell'art. 1 legge fall.)76; il suo stato
di crisi o di insolvenza; nel caso di società il rispetto delle regole fissate
dall'art. 152 legge fall. (richiamato dall'art. 161, 4° comma legge fall.) per
l'approvazione e la sottoscrizione della domanda; la completezza della
documentazione; la qualifica (e la condizione soggettiva di
"indipendenza") del professionista (iscritto nel registro dei
revisori legali) che abbia attestato la veridicità dei dati aziendali e la
fattibilità del piano concordatario, quale risultante dalla combinazione degli
artt. 28, 1° comma, lett. a) e b), 67, 3° comma, lett. d) e 161, 3° comma
legge fall.77; nel caso di suddivisione dei creditori in classi, la correttezza
dei criteri di formazione di queste "secondo posizione giuridica e
interessi economici omogenei" (artt. 160, 1° comma, lett. c e d e 163, 1°
comma legge fall.); nel caso di previsione di un soddisfacimento non integrale
dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, sia la qualifica (e la
condizione soggettiva di "indipendenza") del professionista (iscritto
nel registro dei revisori legali) che abbia steso la relazione giurata
sull'adeguatezza della percentuale offerta rispetto a quella
"realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato
in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai
beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione", sia il rispetto
dell'ordine delle cause legittime di prelazione (art. 160, 2° comma legge
fall.); la corretta comunicazione della domanda al pubblico ministero (art.
161, 5° comma legge fall.).
Più incerto è se assurga a requisito di ammissibilità del concordato anche
l'indicazione da parte del debitore proponente di una percentuale minima di
soddisfacimento dei creditori chirografari78, nel qual caso però resterebbe da
decidere quale sia effettivamente tale percentuale o se la stessa debba
comunque essere superiore quanto meno a ciò che presumibilmente quei creditori
potrebbero percepire all'esito di una procedura fallimentare (ciò che tuttavia
finirebbe per trasformare il giudizio di ammissibilità in un giudizio di
convenienza per i creditori, sottratto al tribunale, a parte l'ipotesi
residuale di cui all'art. 180, 4° comma legge fall.); nel caso poi di
concordato con cessione dei beni, fermo restando l'interrogativo di cui sopra,
ci si dovrebbe, prima ancora, chiedere se il debitore sia obbligato ad indicare
una percentuale79 e, qualora la indichi anche senza esservi obbligato, se
l'indicazione, una volta inserita nella proposta, costituisca oggetto di una
vera e propria obbligazione (da valutare in futuro anche ai fini di
un'eventuale risoluzione del concordato) od abbia un valore meramente
prognostico sui presumibili risultati della liquidazione, ma senza
accettazione del rischio di un esito insoddisfacente, oramai trasferito sui
creditori.
In effetti, poiché la percentuale che verrà effettivamente corrisposta ai
creditori è un elemento determinabile solo a seguito della compiuta
liquidazione del patrimonio del debitore, su di essa non può esercitarsi (anche
da parte del tribunale) che un mero giudizio prognostico, nel quale, per
l'aleatorietà connaturale a qualsiasi stima, il dato numerico esposto nella
domanda, recepito nella relazione del professionista qualificato, confermato o
corretto (al rialzo o al ribasso) nella relazione particolareggiata del commissario
giudiziale, non può avere normalmente che un valore meramente indicativo per i
creditori votanti, comunque suscettibile di modificazione da parte del debitore
concordatario fino alla votazione, a norma dell'art. 175, 2° comma legge fall.;
detto questo, non può escludersi naturalmente che, in relazione al contenuto
concreto della proposta, questa sia inequivocabilmente costituita proprio
dall'offerta di una percentuale ben determinata, da realizzare mediante la liquidazione
del suo patrimonio.
E nella direzione qui indicata mi pare che conduca ora anche l'art. 161, 2°
comma legge fall. laddove richiede che il piano contenga la descrizione
analitica "delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta",
ma non necessariamente della "percentuale", che potrebbe risultare
incompatibile con la concreta articolazione della proposta.
D'altra parte, se il contenuto di questa si risolve semplicemente in una
cessio bonorum, il debitore altro non deve fare che trasferire ai suoi
creditori e per essi ai liquidatori nominati dal tribunale i poteri di
disposizione di tutti i beni compresi nel suo patrimonio (artt. 1979 e 1980
c.c.)80, naturalmente liberi da vincoli ignoti che ne impediscano la
liquidazione o ne alterino apprezzabilmente il valore81.
Ma la questione ben più controversa, con riferimento all'ultimo inciso
contenuto nel terzo comma dell'art. 173 legge fall., è quella che riguarda la
possibilità di inserire fra le condizioni del concordato la
"fattibilità" del piano: ciò che imporrebbe preventivamente di
definire la linea di confine fra autonomia negoziale e controllo giudiziale
nel "nuovo" concordato preventivo, dunque chiarendo fin dove possa
spingersi, nelle varie fasi della procedura in esame, l'intervento del giudice
sull'iniziativa del debitore, che è rivolta innanzitutto ai suoi creditori82.
Ancora una volta il problema è particolarmente complesso, perché, per un verso,
si tratta di stabilire, in generale, se il tribunale, fra i suoi poteri di
controllo, ai fini dell'ammissione alla procedura concordataria, abbia anche
quello di verificare la fattibilità del piano e, se sì, sotto quale profilo
(sostanziale di merito o solo formale di legalità); per un altro verso, ci si
domanda se, una volta aperta la procedura, il tribunale possa rivedere le sue
precedenti valutazioni, nel corso del concordato (in relazione alla
disposizione in esame) o nell'ambito del giudizio di omologazione, magari
distinguendo fra l'ipotesi che sia stata proposta opposizione (in relazione al
quarto comma dell'art. 180 legge fall.) e l'opponente abbia contestato la
fattibilità del piano; e quella che non sia stata proposta alcuna opposizione
(nel qual caso poi occorrerebbe coordinare il terzo comma dell'art. 173 legge
fall. con il terzo comma dell'art. 180 legge fall., che sembra limitare il
potere del tribunale alla verifica della "regolarità della procedura"
e dell'esito della votazione).
Per ciò che riguarda il primo problema è noto il dibattito (sorto in dottrina e
in giurisprudenza sia dopo il d.l. n. 35 del 2005, sia soprattutto dopo le
modifiche introdotte negli artt. 162 e 163 legge fall. dal d.lgs. n. 169 del
2007 ed ancora in corso83) fra chi esclude qualsiasi sindacato del tribunale
non meramente formale e di legalità, essendo altrimenti inspiegabile il motivo
per il quale il legislatore avrebbe preteso che l'attestazione di fattibilità
della proposta concordataria dovesse provenire da un professionista
qualificato; chi invece ritiene che il controllo debba estendersi (quanto meno)
alla ragionevolezza, correttezza metodologica, logicità, comprensibilità e coerenza
dei criteri valutativi adottati dall'esperto, anche sotto il profilo della
completezza argomentativa della sua relazione, al fine di assicurare ai
creditori, prima della votazione, una corretta informazione e un consenso
informato84; e chi invece ritiene che il controllo del tribunale possa entrare
anche nel merito delle valutazioni di fattibilità (eventualmente affidate ad
una consulenza tecnica), sotto il profilo della ragionevole possibilità che il
piano abbia concreta attuazione.
Prescindendo, per il momento, dall'una o dall'altra delle soluzioni proposte e
limitando lo sguardo al significato letterale dell'espressione contenuta
nell'ultima parte dell'art. 173 legge fall., si è indotti ad affermare
innanzitutto che intanto il tribunale potrebbe revocare il concordato per
infattibilità dello stesso (solo) in quanto la fattibilità sia elevata al
rango di "condizione prescritta per l'ammissibilità del concordato",
considerata dunque quale oggetto necessario di valutazione del tribunale fin
dal momento dell'ammissione.
In generale, detto giudizio non potrebbe avere nel corso della procedura
("in qualunque momento") ed eventualmente anche in sede di
omologazione connotati diversi (solo formali o anche sostanziali) da quelli che
gli vengono attribuiti in occasione della fase di ammissione.
Diverso può essere ciò che "risulta" al tribunale nel corso della
procedura e che lo convince a modificare il precedente giudizio positivo sulle
"condizioni prescritte per l'ammissibilità del concordato" in uno
negativo di "mancanza" di tali condizioni, generalmente a seguito
dell'emersione di fatti nuovi (ma senza escludere neppure l'ipotesi di un
ripensamento del tribunale medesimo su elementi noti già presi in
considerazione al momento dell'ammissione) e fatta salva la facoltà del
debitore proponente di ripristinare la sussistenza della "condizione"
venuta meno o di modificare la proposta concordataria (come l'ultimo capoverso
dell'art. 186-bis legge fall. dimostra)85.
In secondo luogo, se si ritiene che la fattibilità sia una condizione di
"ammissibilità" del concordato, il riferimento alla tutela
dell'informazione dei creditori non sarebbe di alcuna utilità; un concordato
infattibile non diventerebbe automaticamente ammissibile solo per il motivo che
ai creditori, prima della votazione, sia stata fornita adeguata informazione
sugli elementi di valutazione emersi (o riconsiderati dal tribunale); o solo
per il motivo che i creditori, pur adeguatamente informati, lo abbiano
approvato: le condizioni di ammissibilità di una procedura concorsuale non
sono materia disponibile da parte dei creditori.
Più utile appare invece verificare quanto decisiva sia l'argomentazione
comunemente ricavata dall'art. 161 legge fall. (richiamato dall'art. 162, 2°
comma, a sua volta richiamato dall'art. 163, 1° comma), che tuttavia non si
occupa espressamente dei "presupposti" del concordato preventivo,
quanto piuttosto di aspetti processuali legati alla presentazione della domanda
di concordato, imponendo fra l'altro al debitore (al terzo comma) di allegare
al piano anche la relazione di un professionista qualificato e indipendente
che "attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano
medesimo".
Deve convenirsi che se, per un verso, la semplice lettura delle norme sopra
ricordate non aiuta ad elevare veridicità e fattibilità al rango di
presupposti del concordato, per un altro verso è ugualmente incontestabile che,
se detti elementi devono essere "attestati", la relazione non può
non indicare quali verifiche e quali criteri siano stati seguiti a supporto
delle conclusioni prese dal professionista; e dunque il tribunale non può
esimersi dal controllare (quanto meno) la sufficienza e l'attendibilità degli
strumenti ispettivi adottati e dei percorsi argomentativi seguiti nella
redazione dell'attestazione.
E tuttavia il richiamo al terzo comma dell'art. 161 legge fall. - che
consentirebbe di attribuire la natura di "condizione prescritta per l'ammissibilità
del concordato" non solo alla "fattibilità del piano", ma anche
alla "veridicità dei dati aziendali" - prova anche troppo, finendo
per contraddire i limiti posti dallo stesso art. 173, 1° comma legge fall. alla
valenza interruttiva delle rilevazioni contabili mendaci o semplicemente
errate, quali quelle esaminate nelle pagine precedenti (occultamento o
dissimulazione di parte dell'attivo, omissione di denuncia di uno o più
crediti, esposizione di passività insussistenti, ecc.), il cui accertamento può
essere preso in considerazione solo in presenza di ben precise condizioni (ad
esempio, solo se è dimostrato l'elemento soggettivo del dolo)86.
Come si è constatato, non tutte le ipotesi di non veridicità dei dati aziendali
sono considerate dal primo comma dell'art. 173 legge fall. motivo di
interruzione della procedura concordataria; non avrebbe senso una lettura del
terzo comma così ampia da comprendere qualsiasi ipotesi di non veridicità e da
vanificare la disposizione del primo comma.
Quindi l'espressione utilizzata nel terzo comma ("se in qualunque momento
risulta che mancano le condizioni prescritte per l'ammissibilità del
concordato") non è riferibile alla "veridicità dei dati
aziendali"87; e questo finisce per ridurre l'efficacia ermeneutica del
richiamo al terzo comma dell'art. 161 legge fall.
Naturalmente è ben possibile che la scoperta di poste contabili non veritiere
(ancorché prive dell'elemento psicologico del dolo) conduca ad una prognosi
negativa di fattibilità del piano; così come, al contrario, la scoperta di
poste contabili caratterizzate da dolo condurrebbe ugualmente all'interruzione
della procedura ancorché la prognosi di fattibilità non ne risulti in alcun
modo alterata; questo però non dimostra ancora che la fattibilità del piano
assurga al rango di condizione (o, se si preferisce, di presupposto) di
ammissibilità del concordato; e soprattutto non consente di qualificare il
controllo del giudice in un senso (formale) o nell'altro (sostanziale).
E ancora, per non lasciarsi pregiudizialmente suggestionare dall'intento - di
matrice prevalentemente ideologica88 - di spostare in avanti, in direzione di
una più penetrante interferenza del giudice sul merito della proposta, la
(incerta) linea di confine fra poteri giurisdizionali e autonomia privata,
emersa a seguito della riforma89, non è superfluo ricordare quale rilevanza
assuma, anche con riferimento al problema in esame, la facoltà offerta al
debitore dall'art. 175, 2° comma legge fall. di modificare la sua proposta
fino al giorno dell'adunanza dei creditori e comunque fino a quando le
operazioni di voto non siano iniziate90: una facoltà indubbiamente
esercitabile (a maggior ragione) in tutte le ipotesi che per qualche motivo
(per eventi successivi all'apertura del procedimento o semplicemente per una
diversa valutazione degli organi concordatari) il piano sia ritenuto non
fattibile.
Se veramente la fattibilità della proposta (quale che essa sia) fosse una
"condizione prescritta per l'ammissibilità del concordato", una
volta accertata la sua infattibilità, il tribunale - raccolta la segnalazione -
dovrebbe revocare tout court il concordato91, senza attendere l'adunanza dei
creditori, sottraendo conseguentemente a costoro ogni potere di valutazione del
piano (così come proposto) e al debitore quello appunto di modificarlo; a
meno di ritenere che, anche con riferimento alla fattibilità, il terzo comma
dell'art. 173 legge fall. non sia applicabile fintanto che non abbia avuto
inizio la votazione dei creditori: ipotesi questa che però sembrerebbe
contraddetta dalla constatazione che a norma dell'ultimo capoverso dell'art.
186-bis legge fall. (introdotto dal d.l. n. 83 del 2012) la possibilità di
revocare il concordato ai sensi dell'art. 173 legge fall. (quando l'attività
d'impresa è cessata o risulta manifestamente dannosa per i creditori) è
postergata alla facoltà del debitore di modificare la proposta, che però non
può più essere esercitata dopo l'inizio delle operazioni di voto92.
Se, per un verso, è incontestabile che in un concordato con continuità
aziendale la cessazione dell'impresa costituisce una fattispecie
particolarmente evidente di (sopravvenuta) infattibilità del piano, per un
altro verso è ugualmente predicabile che, ove l'espressione contenuta
nell'ultima parte dell'art. 173 legge fall. venga riferita anche alla
fattibilità del piano, non vi sarebbe stata alcuna necessità di una
disposizione così specifica come quella contenuta nell'ultima parte dell'art.
186-bis legge fall., che meglio si giustifica appunto se, a monte, la
fattibilità non viene considerata una condizione di ammissibilità del concordato.
Escluso dunque che l'art. 173 legge fall. riguardi direttamente o
indirettamente la fattibilità del concordato (che non è una condizione di
ammissibilità), resta semmai da verificare sotto quale diverso profilo e fino a
quale punto possa spingersi il sindacato del giudice sulla effettiva
realizzabilità del piano concordatario, in relazione al suo variabile e
variegato contenuto, che può essere estremamente semplice (come nel caso che
la proposta si limiti alla cessione dei beni ai creditori, in cui la
fattibilità, sotto il profilo giuridico, è - come detto - in re ipsa,
consistendo solamente nel trasferimento dei poteri di disposizione dei beni
compresi nel patrimonio ceduto dal debitore ai suoi creditori e per essi ai
liquidatori nominati dal tribunale in sede di omologazione) o può essere
estremamente complesso, come nelle ipotesi in cui il soddisfacimento dei
creditori avvenga anche a mezzo di ristrutturazioni societarie93 e richieda
comunque un controllo sulla fattibilità "giuridica" del piano
concordatario; come ugualmente deve riconoscersi con riferimento all'esistenza
di eventuali motivi di nullità della proposta concordataria per violazione di
norme imperative o per illiceità o impossibilità dell'oggetto, trattandosi qui
di condizioni generali di giuridicità di qualunque atto negoziale94, ma sempre
che naturalmente se ne presentino in concreto i presupposti, così come
individuati in dottrina e in giurisprudenza con riferimento agli artt. 1418, 1°
comma c.c. (per la contrarietà a norme imperative) e 1346 c.c (quanto
all'impossibilità o all'illiceità dell'oggetto)95.
In effetti - come è stato osservato in passato (con riferimento ad altro
ordinamento)96 - il rafforzamento di un disegno legislativo di magistrature
économique (che può andare a detrimento della tradizionale funzione del
giudice) ha un senso laddove ai creditori sia impedito di pronunciarsi sui
piani di risanamento; lo ha molto meno nei casi in cui su questi siano innanzitutto
i creditori a doversi pronunciare (non solo con il voto, ma anche dibattendo
fra di loro e con il debitore in adunanza), come accade nel concordato
preventivo.
A parte il controllo sulla fattibilità "giuridica" del piano concordatario
e sulle "ipotesi-limite" di cui sopra, non mi pare che il sindacato
del tribunale sul merito della proposta e del piano concordatario, in sede di
ammissione e nel corso della procedura (almeno fintanto che il tribunale
medesimo non sia formalmente chiamato a risolvere una controversia sul punto,
come può accadere in caso di opposizione all'omologazione), possa spingersi
oltre la correttezza, la logicità e la coerenza dei criteri valutativi adottati
dall'esperto.
E in questa stessa direzione sembrano condurre anche le novità normative
introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, sia a proposito dei requisiti di
indipendenza (art. 67, 3° comma, lett. d legge fall.) e delle responsabilità
penali (art. 236-bis legge fall.) del professionista attestatore, sia a
proposito delle nuove attestazioni, come quelle ora previste per
l'autorizzazione a contrarre finanziamenti (art. 182-quinquies, 1° comma legge
fall.) o a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni e servizi
"essenziali per la prosecuzione della attività di impresa e funzionali ad
assicurare la migliore soddisfazione dei creditori" (art. 182- quinquies,
4° comma legge fall.); o quelle previste, nei concordati con continuità
aziendale, relativamente alla funzionalità della prosecuzione dell'attività al
miglior soddisfacimento dei creditori" (art. 186-bis, 2° comma legge
fall.); o relativamente alla prosecuzione di contratti pubblici (art. 186-bis,
3° comma legge fall.) o per la partecipazione a procedure di assegnazione di
contratti pubblici (art. 186-bis, 4° comma legge fall.), anche a mezzo di un
raggruppamento temporaneo di imprese (art. 186-bis, 5° comma legge fall.),
allorché sia dimostrata la conformità degli stessi contratti al piano e la
"ragionevole capacità di adempimento" del debitore concordatario:
attestazioni queste che non possono non coinvolgere una valutazione
"economica" delle istanze del debitore anche in relazione alla
realizzabilità del piano concordatario; ma che altrettanto chiaramente
mostrano l'intenzione del legislatore di affidare quel sindacato di merito al
professionista attestatore, non a caso gravandolo di maggiori responsabilità a fronte97 di un sostanziale minor impegno del
giudice.
5. Profili processuali della revoca del concordato preventivo
L'art. 173 legge fall. pone una lunga serie di interrogativi anche per ciò che
riguarda i profili processuali della revoca del concordato preventivo.
Le relative regole sono contenute in parte nel primo comma, in parte nel
secondo comma (applicabile anche alle ipotesi di revoca menzionate nel terzo
comma): il commissario giudiziale, una volta accertato che il debitore ha
commesso un atto di frode, "deve riferirne immediatamente al tribunale, il
quale apre d'ufficio il procedimento per la revoca dell'ammissione al
concordato, dandone comunicazione al pubblico ministero e ai creditori";
tale procedimento, all'esito del quale il tribunale provvede con decreto,
"si svolge nelle forme di cui all'articolo 15" (cioè in quelle dell'istruttoria
prefallimentare); e, in ipotesi di revoca, "con contestuale sentenza"
dichiara il fallimento, se vi è stata specifica istanza di un creditore o
richiesta del pubblico ministero e naturalmente se ve ne sono i presupposti
(soggettivi e oggettivi).
Innanzitutto ci si domanda se l'iniziativa resti affidata al solo commissario
giudiziale - cosicché quella di qualunque altro soggetto sia destinata ad una
pronuncia di inammissibilità98 - oppure se possa riconoscersi una facoltà di
impulso anche ad un creditore o al pubblico ministero, ai quali comunque
l'eventuale apertura del procedimento deve essere comunicata99; e se, sul
punto, sia possibile distinguere fra le ipotesi del primo comma e quelle del
terzo comma (che in effetti richiama solo le disposizioni del secondo comma).
Non c'è dubbio che il commissario giudiziale, in quanto organo della procedura
dotato di ampi poteri di indagine (artt. 171 e 172 legge fall.) e di vigilanza
sul comportamento del debitore (art. 167, 1° comma legge fall.) abbia più di
qualunque altro (pubblico ministero a parte) l'opportunità di accertare
l'eventuale compimento da parte del debitore medesimo di atti suscettibili di
condurre alla revoca del concordato; ed è quindi logico che il primo comma
dell'art. 173 legge fall. (che non a caso è collocato subito dopo la
disposizione relativa alla relazione del commissario) si rivolga innanzitutto
a lui; così come è comprensibile che ad esso venga imposto il dovere di
riferire "immediatamente" al tribunale ogniqualvolta venga accertato
il compimento di taluni di quegli atti100; ritenere che il tribunale, raccolta
aliunde la notitia criminis, non possa aprire quel procedimento in assenza di
un'iniziativa del commissario giudiziale, non pare coerente né con la natura
officiosa del relativo potere del tribunale ("apre d'ufficio"), né
con l'obbligo di comunicazione dell'apertura del procedimento al pubblico
ministero e ai creditori, ai quali viene attribuito ad ogni effetto il ruolo
processuale di "parti" (anche in considerazione della loro legittimazione
a interloquire nei modi consentiti dall'art. 15 legge fall. e a proporre nella
medesima sede istanza di fallimento)101, che invece non può predicarsi allo
stesso modo con riferimento al commissario giudiziale, per il quale la norma
non prevede alcuna attività procedurale successiva all'apertura del procedimento di
revoca102.
Quanto poi alle ipotesi (eterogenee) di revoca di cui al terzo comma dell'art.
173 legge fall. (che - come si è constatato - derivano tanto da comportamenti
del debitore concordatario, quanto dalla mancanza delle condizioni prescritte
per l'ammissibilità del concordato), se per un verso è vero che la norma si
limita a richiamare "le disposizioni di cui al secondo comma" (che
non riguardano la fase relativa all'iniziativa per la revoca del concordato),
per un altro verso non può essere agevolmente disconosciuto il legame
esistente fra questo e il primo comma, che appunto si occupa dell'avvio
d'ufficio del procedimento, cosicché preferibile appare senz'altro la tesi orientata
a non distinguere, in direzione di un'ampia legittimazione all'iniziativa
(commissario giudiziale, creditori, pubblico ministero), fra il primo ed il
terzo comma, come può dirsi confermato anche dalla perentorietà
dell'espressione contenuta nell'ultima parte della norma in esame ("se in
qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per
l'ammissibilità del concordato"), nella quale è rilevante non il fatto che
l'iniziativa sia assunta dal commissario giudiziale piuttosto che da un
creditore o dal pubblico ministero, quanto semmai l'emergere della mancanza
delle condizioni che consentono alla procedura di andare avanti.
L'apertura d'ufficio del procedimento, che va comunicata al pubblico ministero
e ai creditori103, riguarda solo la revoca del concordato; per la dichiarazione
di fallimento occorre invece l'istanza di un creditore o la richiesta del
pubblico ministero; ma non può essere dubbio che, in questo secondo caso, il
relativo contenitore sia comunque unico, non solo perché il secondo comma
parla di "procedimento" (al singolare) o per la stretta
complementarietà delle questioni trattate o per evidenti ragioni di economia
processuale104, ma soprattutto perché l'eventuale dichiarazione di fallimento
(con sentenza) deve essere "contestuale" rispetto alla revoca del
concordato (con decreto) e la contestualità non potrebbe mai realizzarsi ove i
procedimenti fossero separati e consecutivi l'uno all'altro105.
Il generico richiamo alle "forme" dell'art. 15 legge fall. è
certamente coerente con l'ipotesi che un creditore (o il pubblico ministero)
presenti istanza (o richiesta) di fallimento; ed anzi il fatto che ad essi
debba essere data comunicazione dell'apertura del procedimento di revoca sembra
appunto indirizzata a sollecitarne l'iniziativa in tal senso106; ma lo è molto
meno con l'ipotesi opposta che non debba svolgersi alcuna istruttoria
prefallimentare per mancanza di un contraddittore che si costituisca (tale non
potendo essere - come detto - il commissario giudiziale); né può escludersi che
qualche creditore si costituisca non per chiedere la revoca del concordato, ma
al contrario per sostenerne l'infondatezza.
D'altra parte la stessa scelta del legislatore di eliminare la dichiarazione di
fallimento di ufficio in ogni caso - e quindi anche in quello di revoca del
concordato - è tutt'altro che condivisibile (almeno) quando lo stato di crisi
denunziato dal debitore medesimo con la domanda di concordato preventivo (che,
a differenza da quella di concordato fallimentare, può essere proposta solo da
lui, contenendo però già in sé gli elementi essenziali del ricorso del
debitore di cui all'art. 6, 1° comma legge fall.) consista in concreto
nell'insolvenza107.
Da qui sorgono poi ulteriori interrogativi.
Intanto ci si domanda se nel corso del procedimento il tribunale possa
emettere "provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell'impresa", di cui all'ottavo comma dell'art.
15 legge fall.; e la risposta dovrebbe essere affermativa108 , almeno qualora
vi sia l'istanza di fallimento di un creditore o la richiesta del pubblico
ministero, ancorché l'apertura del concordato preventivo abbia già prodotto sul
patrimonio del debitore effetti sostanziali assai rilevanti, per il debitore,
per i creditori ed ora anche sui rapporti giuridici preesistenti (artt. 169-bis
e 186-bis legge fall., introdotti dal d.l. n. 83 del 2012), tali comunque da
perseguire normalmente anche una funzione di natura cautelare109.
Ma più dubbia è l'applicazione di quei provvedimenti allorché manchi (o
fintanto che manchi) un'istanza di fallimento (e dunque la presenza nel
giudizio di una "parte" legittimata a chiederli), anche per il motivo
che, a seguito della revoca, cesserebbero immediatamente tutte le limitazioni
ai poteri di amministrazione del debitore e le eventuali misure cautelari o
conservative non potrebbero avere alcuna funzione anticipato-ria né degli
effetti di una sentenza di fallimento (che non potrebbe essere pronunciata per
difetto della relativa istanza), né di quelli del decreto conclusivo, con cui
anzi si porrebbero in palese contrasto.
Un secondo interrogativo, ancor più inquietante, è quello che riguarda
l'incidenza sulla norma in esame della facoltà espressamente riconosciuta al
debitore (dall'art. 175, 2° comma legge fall.) di modificare la proposta di
concordato fino all'inizio delle operazioni di voto (e naturalmente prima
dell'eventuale dichiarazione di fallimento)110; ma anche qui occorre opportunamente
distinguere secondo che i motivi di revoca consistano nella mancanza delle
condizioni prescritte per l'ammissibilità del concordato o nel comportamento
fraudolento del debitore.
Nella prima ipotesi occorre ulteriormente distinguere: se la condizione
mancante riguarda il presupposto soggettivo del concordato (e del fallimento) o
la sussistenza di uno stato di crisi (che potrebbe anche venir meno nel corso
del procedimento per eventi straordinari), il problema non si pone neppure
(salvo il diritto del debitore non assoggettabile a procedure concorsuali di
ricorrere ai diversi e recenti strumenti non concorsuali di composizione delle
crisi da sovraindebitamento, di cui alla l. 27 gennaio 2012, n. 3, così come
modificata dal d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla l. 17 dicembre
2012, n. 221).
Ma, se si parte dal presupposto che la norma in esame riguardi anche la
"fattibilità" del piano concordatario e questa sia appunto la
condizione mancante, la revoca del concordato non potrebbe non restare
paralizzata dall'esercizio da parte del debitore della facoltà di modificare
la sua proposta ai creditori (come indirettamente risulta confermato
dall'ultimo capoverso dell'art. 186-bis legge fall., introdotto dal d.l. n. 83
del 2012): una facoltà che, se lo stesso ha diritto di esercitare fino all'inizio
delle operazioni di voto (che segue la fase dibattimentale dell'adunanza dei
creditori), non può essere a sua volta paralizzata dalla revoca del concordato;
tanto più che la stessa valutazione di infattibilità eventualmente contenuta
nella relazione del commissario giudiziale ai sensi dell'art. 172 legge fall.
potrebbe essere, essa stessa, contestata anche da parte dei creditori in
adunanza.
Dunque sono sicuramente da respingere sia l'opinione secondo cui il debitore
non potrebbe modificare la sua domanda fino all'esito della decisione
sull'istanza di fallimento111; sia l'opinione opposta secondo cui al debitore
sarebbe consentito modificare la sua proposta anche successivamente alle operazioni
di voto e anche in fase di omologazione, semplicemente rimettendo in moto la
procedura mediante rinnovazione del voto oppure mediante rinunzia al ricorso e
presentazione di una nuova proposta emendata112.
Quanto poi all'ipotesi che i motivi di revoca traggano origine da
comportamenti del debitore ritenuti fraudolenti, se anche qui l'obbiettivo
affidato alla norma in esame dal legislatore della riforma fosse quello di
tutelare l'interesse dei creditori ad una corretta informazione circa la
situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa, in modo che
essi possano esprimere, in sede di votazione, un consenso informato e non
viziato, ad ostacolare il giudizio di revoca dovrebbe bastare la completa
disclosure del debitore prima di quel momento ed eventualmente un'adeguata
modifica del piano concordatario.
Ma, accogliendo questa opinione, ne deriverebbe che, una volta avvenuta la
votazione, quell'obbiettivo non potrebbe più essere conseguito neppure mediante
una modifica del piano concordatario; e conseguentemente, di fronte alla
constatazione dell'esistenza di un vizio del consenso, non sarebbe comunque
possibile prescindere dalla originaria funzione sanzionatoria della norma, in
qualche misura ancora legata alla "meritevolezza" del debitore e
applicata ad un fatto oramai consumato113.
Il secondo comma dell'art. 173 legge fall. non chiarisce se il tribunale possa
prendere in considerazione anche istanze di fallimento presentate
precedentemente all'apertura del concordato e dichiarate inammissibili,
improcedibili o sospese; ma la risposta negativa appare preferibile, sia per
il motivo che le stesse non si riattivano automaticamente114, sia per la
precisa scansione temporale prevista dalla norma, in cui l'istanza di fallimento
(secondo comma) segue l'apertura d'ufficio del procedimento di revoca e la
relativa comunicazione al pubblico ministero e a tutti i creditori (primo
comma), non solo a quello che avesse già presentato un'istanza di fallimento e
che - una volta informato della situazione economica, patrimoniale e finanziaria
del suo debitore - potrebbe non avere più alcun interesse all'accoglimento
della stessa ed essere anzi favorevole al concordato.
All'esito del procedimento il tribunale provvede comunque con decreto: a) di
"non luogo a provvedere" (e di reiezione dell'eventuale istanza di
fallimento proposta da un creditore o dal pubblico ministero) ove accerti
l'insussistenza o l'irrilevanza delle accuse portate a sua conoscenza; b) di
revoca del concordato, nel caso contrario.
In questa seconda ipotesi, ove sia stata presentata un'istanza di fallimento e
la revoca del concordato sia avvenuta per motivi diversi da quelli della
mancanza dei presupposti soggettivi e oggettivi del concordato e del
fallimento, il tribunale con "contestuale" sentenza apre la
procedura fallimentare.
Se il tribunale dichiara il fallimento, l'unico mezzo di impugnazione è il
"reclamo" (alla corte d'appello) ex art. 18 legge fall. contro la
sentenza dichiarativa (con assorbimento dell'eventuale mezzo di impugnazione
del decreto che revoca il concordato); è infatti opinione comune115 che,
analogamente a quanto stabilito per il caso di inammissibilità della proposta
concordataria dall'art. 162, 3° comma legge fall. (ritenuto applicabile anche
alla mancata approvazione del concordato da parte dei creditori, per il
richiamo al secondo comma di detta norma da parte dell'art. 179, 1° comma legge
fall.), con il reclamo possono farsi valere anche motivi attinenti alla revoca
del concordato.
Maggiori dubbi nascono, invece, quando il tribunale con decreto decida per il
"non luogo a provvedere" o quando si limiti a revocare il concordato
senza dichiarare il fallimento (perché, ad esempio, non sono state presentate
istanze in tal senso).116
Sul punto sono state espresse numerose opinioni, dal momento che la norma in
esame nulla dispone quanto al relativo mezzo di impugnazione, discutendosi
innanzitutto se quel decreto sia soggetto a reclamo oppure no; e nel caso
affermativo in base a quale disciplina.
A quest'ultimo fine è stato fatto riferimento da taluni al reclamo ex art. 26
legge fall. (in quanto richiamato dall'art. 164 legge fall.117, che però lo
limita ai decreti del giudice delegato); da altri al reclamo ex art. 739
c.p.c., nel quadro della disciplina generale dei procedimenti in camera di
consiglio118; da altri ancora al reclamo ex art. 183 legge fall. (che riguarda
l'impugnazione del decreto di rifiuto dell'omologazione del concordato
preventivo) in quanto integrato dalla disciplina dell'art. 131 legge fall.
relativa al concordato fallimentare119.
Nessuna di queste tesi è convincente; già il fatto che il legislatore si sia
preoccupato, nel secondo comma dell'art. 173 legge fall., di richiamare quale
mezzo di impugnazione della sentenza dichiarativa di fallimento il reclamo ex
art. 18 legge fall. (sulla cui ammissibilità, in difetto, non vi sarebbero
stati dubbi di sorta) e di restare silente sul mezzo di impugnazione del
decreto di revoca del concordato (su cui al contrario sarebbe stato assai più
utile intervenire) indurrebbe a dare a quel silenzio il preciso significato di
non soggezione a reclamo.
E' poi quanto meno singolare che, da un lato, vi sia unanime consenso
nell'estendere alla revoca del concordato la disciplina degli artt. 162 e 179
legge fall. quando ad essa segua la dichiarazione di fallimento (con la
possibilità di far valere con il reclamo ex art. 18 legge fall. anche i motivi
attinenti alla revoca); e dall'altro lato il richiamo alle medesime norme sia
apoditticamente rifiutato120 quando alla revoca non segua alcunché.
Né a tal fine può giovare l'argomento ricavato dalla constatazione che, mentre
l'art. 162 legge fall. viene a collocarsi nelle battute d'avvio del
procedimento di concordato, con la possibilità della riproponibilità
dell'istanza da parte del debitore che sia al contempo riuscito a sfuggire al
fallimento, l'art. 173 legge fall. viene a collocarsi anche quando la
procedura abbia visto ultimata la fase di approvazione della proposta e sia
pervenuta al successivo snodo del giudizio di omologazione121, essendo
agevole constatare122 quanto l'efficacia argomentativa della distinzione sia
compromessa dal richiamo dell'art. 162 legge fall. da parte dell'art. 179 legge
fall., che pure viene a collocarsi in una fase avanzata della procedura, cioè
una volta avvenuta la votazione.
Per l'ipotesi che il tribunale revochi il concordato senza dichiarare il
fallimento è dunque preferibile escludere (in sintonia con la disposizione
dell'art. 162, 2° comma legge fall.) il reclamo alla corte d'appello123,
restando semmai da verificare se quel decreto possa essere impugnato con
ricorso straordinario per cassazione a norma dell'art. 111 Cost.124,
naturalmente nelle ipotesi in cui ne ricorrano le condizioni di decisorietà e
di definitività: condizioni che in verità non possono né negarsi, né affermarsi
pregiudizialmente, dipendendo in concreto dai motivi della revoca, com'è
dimostrabile, ad esempio, pensando al caso che il concordato sia revocato per
accertata mancanza del presupposto soggettivo del concordato (legata alla
qualifica di imprenditore commerciale non esente)125, in cui sarebbe irragionevole
escludere la condizione della definitività126 sulla base dell'affermazione di
una presunta riproponibilità dell'istanza respinta.
Quanto all'arco temporale che delimita l'applicabilità dell'art. 173 legge
fall., sia sul piano sostanziale, sia su quello processuale, nessuna incertezza
può nascere per ciò che riguarda il dies a quo, evidentemente coincidente con
l'apertura del procedimento di concordato (e con la nomina del commissario
giudiziale)127.
Nessuna incertezza può nascere neppure per ciò che riguarda il periodo
successivo alla fase di omologazione e alla chiusura del concordato, a seguito
della quale i comportamenti del debitore potranno essere valutati solo ai fini
dell'eventuale risoluzione o annullamento del concordato, ricorrendone in
concreto i presupposti di cui agli artt. 186, 137 e 138 legge fall.128, restando solo
da stabilire in quale momento collocare l'effettiva chiusura della procedura di
concordato secondo il dettato dell'art. 181 legge fall. ("con il decreto
di omologazione"), non tanto nel caso che nel giudizio di omologazione non
siano state proposte opposizioni (in cui a norma dell'art. 180, 3° comma legge
fall. il decreto del tribunale non è soggetto a gravame), quanto nel caso
opposto, dovendo tenersi conto, per un verso, della provvisoria esecutività del
decreto (art. 180, 5° comma legge fall.) e per un altro verso della sua
impugnabilità con reclamo alla corte d'appello (art. 183 legge fall.) e
dell'eventuale durata del giudizio di impugnazione, durante il quale continuano
a prodursi gli effetti sostanziali del concordato (art. 168 legge fall., che
fa espresso riferimento al momento in cui il decreto di omologazione
"diventa definitivo").
Assai più delicato è stabilire in qual modo possano fra loro coordinarsi il
sub-procedimento di revoca (art. 173) e quello di omologazione (art. 180),
fermo restando che le fattispecie che possono condurre alla revoca del
concordato, se sussistenti in concreto e risultanti al tribunale, a prima vista
non potrebbero non essere prese in considerazione (negativamente) nell'ambito
del giudizio di omologazione, anche indipendentemente dalla proposizione di
eventuali opposizioni129 (dato che, se il tribunale può procedere "d'ufficio"
per la revoca, ugualmente dovrebbe poter valutare d'ufficio in sede di
omologazione la sussistenza in concreto di taluna di quelle fattispecie), a
meno che - per escludere la loro rilevanza (ma non mi pare una tesi sostenibile)130-
non si ritengano decisive l'intervenuta approvazione da parte dei creditori131
e l'assenza di opposizioni all'omologazione132.
Certo è tuttavia che il dato normativo da cui trarre ispirazione - nella
rubrica e nel terzo comma dell'art. 173 legge fall. - non sembra lasciare molto
spazio per un'interpretazione diversa da quella letterale, che, facendo
indistintamente riferimento a "qualunque momento" del "corso
della procedura", dal decreto di apertura a quello di omologazione,
disciplina un percorso in realtà tutt'altro che sovrapponibile (quanto
all'oggetto, alle parti, alle modalità di svolgimento, alle regole relative
alle impugnazioni) con quello previsto per il giudizio di omologazione; e non
soltanto quando non siano proposte opposizioni133; se si considera, ad esempio:
che il creditore assenziente in generale non può proporre opposizione
all'omologazione (salvo il caso previsto dal secondo comma dell'art. 179 legge
fall.)134, ma può chiedere la revoca dell'ammissione; che al contrario un
soggetto "interessato" (ancorché non creditore) può opporsi
all'omologazione, ma non può chiedere la revoca dell'ammissione; che l'art. 15
legge fall., richiamato per il sub-procedimento di revoca, non è applicabile a
quello di omologazione, autonomamente disciplinato in modo del tutto sintetico
ed insufficiente; che il decreto di revoca dell'ammissione - come si è
constatato - non è soggetto ad autonomo reclamo, mentre quello di omologazione,
se sono state proposte opposizioni, è reclamabile davanti alla corte
d'appello; se si considera tutto ciò, appare problematico dimostrare che le
caratteristiche strutturali del sub-procedimento di omologazione, in caso di
opposizioni, non differiscano sostanzialmente da quelle del sub-procedimento di
cui all'art. 15 legge fall., così da consentire l'assorbimento del secondo da
parte del primo, all'interno del quale potrebbero farsi valere - mediante
opposizione - i motivi di revoca135.
Dunque, nel caso in cui la sollecitazione all'esercizio dei poteri officiosi
del tribunale sopravvenga all'avvio del giudizio di omologazione (ed anche
nell'ipotesi che essa sia oggetto di specifici motivi di opposizione) la scelta
più corretta da fare resta quella della sospensione di detto giudizio in
attesa dell'esito del sub-procedimento di revoca136.
(*) Contributo destinato, con i necessari adattamenti, a Accordi e contratti
nel diritto della crisi di impresa, Trattato diretto da F. DI MARZIO-F. GUERRERA-F.
MACARIO-U. TOMBARI, in corso di pubblicazione per i tipi di Cedam.
1) Le altre sono, com'è noto, la mancata approvazione della proposta del
debitore da parte dei creditori e la mancata omologazione della stessa da parte
del tribunale; viene poi considerato un caso di revoca anche il mancato
deposito nella cancelleria del tribunale della somma pari al 50% (ma comunque
non inferiore al 20%) delle spese che si presumono necessarie per l'intera
procedura, così come indicata nel decreto di apertura del procedimento (o dal
giudice delegato) a norma dell'art. 163, 2° comma, n. 4 legge fall.; infatti,
il terzo comma di quest'ultima disposizione richiama espressamente il primo
comma dell'art. 173 legge fall. (e indirettamente anche il secondo comma),
imponendo al commissario giudiziale di riferirne immediatamente al tribunale;
anche in questo caso, quindi, la revoca non è automatica, né immediata, dovendo
adottarsi il procedimento disciplinato nell'art. 15 legge fall., durante il
quale - a mio avviso - nulla impedisce al debitore di provvedere, sia pure
tardivamente, al menzionato deposito.
Più recentemente l'art. 173 legge fall. è stato richiamato anche dall'ultimo
cpv. dell'art. 186-bis legge fall. (introdotto dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83,
conv. con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134), per l'ipotesi che
nel corso di una procedura con "continuità aziendale" l'esercizio
dell'attività d'impresa cessi risulti manifestamente dannoso per i creditori
(salva la facoltà del debitore di modificare la proposta di concordato).
2) Va peraltro osservato che nel maxi-emendamento governativo al c.d. disegno
di legge Caruso del dicembre 2004 (che ha in qualche modo ispirato la legge delega
del maggio 2005), per l'ipotesi che gli organi della procedura avessero rilevato
il compimento di qualcuno degli atti indicati nell'art. 173 legge fall., era previsto
il conferimento al tribunale, prima che si procedesse alla dichiarazione di
fallimento, del potere di "affidare al commissario giudiziale
l'amministrazione dei beni del debitore e l'esercizio dell'impresa"
(analogamente a quanto in precedenza stabilito per l'amministrazione
controllata dall'art. 191 legge fall.); nonché il conferimento al commissario
giudiziale del potere di "apportare al concordato le modifiche
conseguenti agli accertamenti di cui al primo comma" o di presentare
istanza di fallimento; e il tribunale, se il concordato non era più
"praticabile", poteva sempre revocare il proprio provvedimento di ammissione
e procedere alla dichiarazione di fallimento, che così da automatica sarebbe
diventata semiautomatica.
Tuttavia, questa proposta (pur recepita nello schema di d.lgs. predisposto dal
Ministro dell'Economia nel luglio del 2005) non fu accolta nel d.lgs. n. 5 del
2006, nel quale il testo dell'art. 173 legge fall. restò immutato rispetto al
passato; e neppure oggi l'amministrazione del patrimonio del debitore può
essergli coattivamente sottratta nel corso del concordato (salvo quanto si
dirà con riferimento al richiamo all'art. 15 legge fall. contenuto nel testo
vigente della norma sopra citata).
3) "Chiave di volta del sistema" la definisce GALLETTI, La revoca
dell'ammissione al concordato preventivo, in Giur. comm., 2009, I, p. 730 ss.,
ivi a p. 745; "norma nevralgica" la definisce FAUCEGLIA, Revoca
dell'ammissione al concordato e dichiarazione di fallimento in corso di procedura,
in Fallimento e altre procedure concorsuali (diretto da FAUCEGLIAPANZANI),
vol. III, Torino, 2009, p. 1691 ss., ivi a p. 1691.
4) Sulla quale cfr. CENSONI, Autonomia negoziale e controllo giudiziale nel
concordato preventivo, in Autonomia negoziale e crisi d'impresa (a cura di DI
MARZIO-MACARIO), Milano, 2010, p. 493 ss.
5) Che ha indotto GALLETTI, La revoca, cit., p. 731 s. ad affermare sia che il
nuovo concordato preventivo consentirebbe al debitore "di mantenere
abbastanza saldamente il controllo dell'operazione, e di evitare praticamente
sempre la stigmatizzazione del proprio comportamento illegale precedente
l'ammissione, anche in forza dell'infelice formulazione e di una discutibile e
restrittiva prassi applicativa dell'art. 236 l. fall."; sia che a lungo
termine "la continua e prolungata constatazione dell'abuso nei concordati
non può che produrre effetti deleteri sul piano economico, disincentivando ed
aumentando i costi delle transazioni commerciali, oltre che diminuendo il
prestigio dell'Autorità Giudiziaria e così la fiducia nelle Istituzioni":
affermazioni curiose che, per un verso, sono decisamente smentite proprio
dalla perdurante sopravvivenza alla riforma della disposizione qui esaminata,
la quale anche da sola sarebbe sufficiente ad impedire "l'abuso"
dello strumento concordatario; e, per un altro verso, sono contraddette dai
dati statistici, dai quali è agevole desumere che di detto strumento gli imprenditori
continuano a fare un uso alquanto limitato, certamente superiore rispetto al
passato, ma inferiore alle aspettative del legislatore, che infatti, dopo la
riforma, è dovuto intervenire ripetutamente, fino al più recente d.l. 22 giugno
2012, n. 83, conv. con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, anche
per superare talune (rilevanti) incertezze interpretative su molti aspetti
della relativa disciplina.
6) Salva l'ipotesi marginale che al momento della decisione non risulti (o non
risulti più) l'insolvenza dell'impresa in concordato ovvero la natura
commerciale della stessa (è, infatti, in relazione a tale ipotesi marginale che
una parte della dottrina in passato ha contestato l'automaticità della
conversione ex art. 173 legge fall., oltre che - più recentemente - in
relazione ad una presunta diversità ontologica fra "stato di crisi"
e stato di insolvenza, peraltro smentita dall'introduzione del secondo (ora
terzo) comma dell'art. 160 legge fall. ad opera dell'art. 36 d.l. 30 dicembre
2005, n. 273).
7) Cfr. fra gli altri ANDRIOLI, voce Fallimento (dir. priv.), in Enc. dir.,
vol. XVI, Milano, 1967, p. 273 ss.; BONSIGNORI, Concordato preventivo, in
Commentario Scialoja-Branca alla legge fall. (a cura di BRICOLAGALGANO-SANTINI),
Bologna-Roma, 1979, sub art. 173, p. 311; e sub art. 186, pp. 519 s. e 523;
cfr. anche Cass., 25 giugno 2002, n. 9262, in Foro it., 2002, I, p. 3074; nel
senso che l'inefficacia relativa di cui all'art. 167 legge fall. non inficia la
validità dell'atto, ma opera esclusivamente a favore dei creditori, unici
legittimati a farla valere, cfr. Cass., 5 luglio 2004, n. 12286, in Mass. Giur.
it., 2004; e Cass., 26 giugno 2001, n. 8739, in Fallimento, 2002, p. 817, che
ha escluso comunque la legittimazione del debitore; occorre, tuttavia,
aggiungere che, una volta dichiarato il fallimento a norma dell'art. 173 legge
fall., la legittimazione a far valere quella inefficacia non può spettare ad
altri che al curatore fallimentare, trattandosi di un'azione di massa.
8) Cfr. PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare, vol. IV, Milano, 1974,
p. 2254.
9) Cfr. LO CASCIO, Il concordato preventivo, Milano, 1997, p. 347.
10) Cfr. ancora BONSIGNORI, Concordato cit., p. 311.
11) Cfr. ancora ANDRIOLI, voce Fallimento (dir. priv.) cit., p. 272.
12) In senso critico cfr. però COLESANTI, Fallimento e trascrizione delle domande
giudiziali, Milano, 1972, p. 153 ss., per il quale, nell'assumere la qualità di
terzo, il curatore va ricondotto talora al modello del pignorante e talora
dell'acquirente, secondo che per l'opponibilità all'uno o all'altro sia
necessaria una determinata formalità.
13) Nel senso che a tale conclusione potesse giungersi anche in passato, pur in
assenza di un richiamo espresso, cfr. CENSONI, "Formalità"
necessarie per rendere gli atti opponibili ai terzi e concordato preventivo,
in Giur. comm., 1992, II, p. 399 ss.
14) E a poco varrebbe l'obiezione che a ciascuno di loro la legge consente
comunque di essere informato della violazione e di presentare un'istanza di
fallimento in pendenza dell'istruttoria sulla revoca del concordato
(assoggettata alle stesse forme di quella prefallimentare); è comprensibile,
infatti, una certa riluttanza dei creditori concorsuali ad esporsi,
nell'interesse della massa, ad iniziative spesso costose, prive di garanzie di
prededucibilità nel fallimento consecutivo delle relative spese giudiziali.
15) Evitando animose, ma spesso improduttive, contrapposizioni ideologiche
sulle scelte operate dal legislatore della riforma nella direzione di un
ampliamento del ruolo dell'autonomia privata nella gestione della crisi di impresa
a discapito di quello del giudice; d'altra parte, che il legislatore,
escludendo la rilevanza della meritevolezza del debitore per l'accesso alla
soluzione concordataria, abbia fatto "una scelta assolutamente netta che è
quella di far prevalere l'interesse dei creditori alla soluzione della crisi
dell'impresa per loro più conveniente in una certa situazione data", è
stato recentemente affermato anche dalla Corte di cassazione, nella sentenza 23
giugno 2011, n. 13817 (e in quelle di pari data nn. 13818 e 13819), in
Fallimento, 2011, p. 933 ss., con nota adesiva di AMBROSINI, Il sindacato in
itinere sulla fattibilità del piano concordatario nel dialogo tra dottrina e
giurisprudenza; in Dir. fall., 2012, II, p. 348, con nota di VECCHIONE,
Fattibilità del piano concordatario e "altri atti di frode"; in
Giust. civ., 2011, I, p. 1673 ss.; e in Giur. it., 2012, p. 81 ss., con nota
critica di TEDOLDI, Il sindacato giudiziale sulla fattibilità del piano e
l'art. 173 l. fall. nel concordato preventivo: la Cassazione e il "cigno
nero" [nella fattispecie si discuteva dell'avvenuta stipulazione,
anteriormente alla presentazione della proposta di concordato, di atti di
disposizione del patrimonio idonei a pregiudicare le aspettative di
soddisfacimento dei creditori, consistenti in una serie di contratti (chiaramente
indicati nella domanda, ma) che la Corte di merito aveva giudicato in frode in
quanto, per la loro durata, avrebbero scoraggiato l'acquisto degli immobili
oggetto della cessione ai creditori]: secondo la Suprema Corte "non rileva
attraverso quali operazioni l'impresa si trovi in una certa situazione
patrimoniale ma ciò che conta è il giudizio che i creditori danno del loro
interesse a fronte di una situazione di fatto e della valutazione di convenienza
che gli stessi compiono della soluzione proposta rispetto all'alternativa
fallimentare con ciò che questa comporta in relazione alla possibilità di
revoca (nella fattispecie pacificamente insussistente) o di annullamento degli
atti in ipotesi maggiormente dannosi" (la sentenza n. 13818 è pubblicata
anche in Dir. fall., 2012, II, p. 219, con nota di D'AMBROSIO, Il sindacato del
tribunale sulla fattibilità del piano concordatario e sugli "altri atti
di frode" ai sensi dell'art. 173 legge fallim.
16) Non posso quindi condividere quanto affermato da GALLETTI, La revoca cit.,
p. 745, secondo cui "l'utilizzo accorto dell'art. 173 l. fall. sembra
poter sopperire alle gravi carenze del nuovo sistema concorsuale, ed
all'improvvido indebolimento di tutti gli strumenti volti a stigmatizzare le
condotte scorrette dell'imprenditore, alla base della genesi
dell'insolvenza"; in realtà la norma in esame non è avulsa dal sistema, né
può essere utilizzata come grimaldello per scardinare l'impianto della riforma
dell'istituto, che ne impone un'interpretazione (diversa dal passato) che sia
coerente con la volontà del legislatore di facilitarne l'accesso agli
imprenditori, ancorché immeritevoli, e di lasciare fondamentalmente ai
creditori la decisione relativa all'esito dell'esperimento concordatario, salvo
limitate eccezioni; eccessivamente esuberante (e infelice) mi sembra poi
l'apparente rammarico manifestato dall'Autore (a p. 746) a proposito della
assenza, da parte della giurisprudenza, di "furore applicativo"
(eguale al "rigore delle declamazioni nelle massime") nell'imporre al
debitore di "mettere a disposizione del concordato tutti i propri beni;
addirittura i beni dei soci illimitatamente irresponsabili".
17) Non si tratta propriamente di "crediti" del fallito, ma di suoi
debiti, come giustamente nota T.E. CASSANDRO, I provvedimenti immediati, in
Trattato di diritto delle procedure concorsuali (diretto da APICE), vol. III,
Torino, 2011, p. 280 ss., ivi p. 312 s.
18) Mentre la distruzione o la dissipazione di parte dell'attivo non sono
menzionate né nell'art. 173, né nell'art. 138 legge fall.
19) In questo senso cfr. anche T.E. CASSANDRO, I provvedimenti cit., p. 311.
20) In questo senso mi pare anche GALLETTI, La revoca cit., p. 747.
21) La valutazione dei comportamenti del debitore in termini di
"rilevanza" ritorna puntualmente anche con riferimento alla
risoluzione del concordato preventivo, per la quale - a norma dell'art. 186,
2° comma legge fall., l'inadempimento alle obbligazioni concordatarie non deve
avere "scarsa importanza"; nel senso, invece, che la lettura della
norma in esame debba essere "tale da abbracciare ogni genere di atto
distrattivo commesso dal debitore" cfr. TEDOLDI, Il sindacato giudiziale
cit., p. 94.
22) Infatti, nel caso in cui alla revoca del concordato non segua la
dichiarazione di fallimento per mancanza della relativa istanza, non è chiaro -
come vedremo - quale strumento di impugnazione spetti al debitore
concordatario; e nel caso in cui alla revoca segua la dichiarazione di
fallimento, è vero che il debitore ha la possibilità di esperire il reclamo
alla corte d'appello a norma dell'art. 18 legge
fall. e poi eventualmente il ricorso per cassazione; ma, anche qualora risulti
vincitore in detti giudizi, il ritorno in sede concordataria dopo la lunga
parentesi comunque vedrebbe compromesse irreversibilmente le possibilità di
realizzare in concreto il vecchio piano concordatario, elidendo di fatto il suo
diritto al concordato, pur processualmente riconosciuto e accertato; tutto ciò
dovrebbe indurre il giudice fallimentare a muoversi con estrema prudenza in
sede di revoca, abbandonando qualunque "furore applicativo"
(auspicato - come si è constatato - da qualche Autore).
23) Così che - se conosciute dal tribunale prima dell'ammissione alla procedura
- ben avrebbero potuto determinare la reiezione della domanda, ove non modificata
tempestivamente dal debitore.
24) E potrebbe comportare anche una responsabilità del professionista
attestatore che non abbia operato con la necessaria diligenza.
25) E che inevitabilmente comporta anche una corresponsabilità del
professionista attestatore, soprattutto dopo l'introduzione nella legge fall.,
ad opera del d.l. n. 83 del 2012, dell'art. 236-bis sul "falso in
attestazioni e relazioni".
26) Dal momento che l'inesistenza di uno o più cespiti, successivamente
all'ammissione, non può non essere rilevata dal commissario giudiziale, che comunque
deve redigere l'inventario del patrimonio del debitore, magari facendosi
assistere nella valutazione dei beni da uno stimatore (art. 172 legge fall.); e
non può non condurre alla revoca del concordato.
27) In questo senso condivido le osservazioni di FAUCEGLIA, Revoca
dell'ammissione al concordato e dichiarazione di fallimento in corso di procedura,
in Fallimento e altre procedura concorsuali (diretto da FAUCEGLIAPANZANI),
vol. III, Torino, 2009, p. 1691 ss., ivi p. 1699, secondo cui "pare
opportuno distinguere tra la condotta di fraudolenta esposizione del passivo o
dell'attivo, dalle altre condotte di natura prevalentemente valutativa, quali
la sopravvalutazione dell'attivo e la sottovalutazione del passivo, ritenendo
che solo per le prime possa evocarsi l'interruzione della procedura".
28) Propriamente l'omissione di un credito di cui è titolare lo stesso debitore
concordatario rientra semmai in altra fattispecie già esaminata prima.
29) Alla scoperta di nuove passività talora è stata equiparata la mancata
indicazione di una causa di prelazione: cfr. T.E. CASSANDRO, I provvedimenti
cit., p. 313, ma la conclusione mi pare eccessiva, anche sotto il profilo della
"frode", non dipendendo dal debitore la valutazione della natura di
un credito (se privilegiato, chirografario, postergato, condizionale ecc.).
30) In questo senso, ad esempio, GALLETTI, La revoca cit., p. 747.
31) Basti riflettere, solo per fare un esempio, alla transazione fiscale, che
il debitore, se intende farvi ricorso, è tenuto a promuovere
"contestualmente" al deposito della domanda di concordato presso il
tribunale (quando ancora potrebbe non conoscere l'esatta entità della pretesa
del fisco o degli enti previdenziali), precisamente al fine di conseguire il
"consolidamento" dei debiti fiscali e previdenziali e la cessazione
della materia del contendere nelle relative controversie (art. 182-ter, 2°
comma legge fall.); a diversa conclusione potrebbe, invece, giungersi in caso
di evasioni contributive già oggetto di accertamenti divenuti definitivi.
32) In questo senso cfr. anche BOSTICCO, La "resurrezione
giurisprudenziale" dell'art. 173 l. fall. e la difficile distinzione tra
atti di frode e sopravvenienze inattese, in Fallimento, 2007, p. 1443 ss.,
commentando criticamente Trib. Milano, 24 aprile 2007 (decr.), con riferimento
alla disciplina antecedente alla modifica del testo dell'art. 173 legge fall.
ad opera del d.lgs. c.d. "correttivo"; nonché FAUCEGLIA, Revoca cit.,
p. 1699, secondo cui in ipotesi di omissione di un debito ritenuto inesistente
e contestato dal debitore occorrerebbe distinguere secondo che detta omissione
emerga prima dell'inizio delle operazioni di voto (magari a seguito della
relazione del commissario giudiziale), nel qual caso il debitore potrebbe
ancora modificare la sua proposta, "con possibilità che i creditori
esprimano il loro voto sottoscrivendo il rischio sull'effettiva percentuale di
soddisfazione"; o dopo quel momento, nel qual caso al debitore non
resterebbe altra possibilità che presentare "immediatamente altra e
diversa domanda".
33) In verità in dottrina e in giurisprudenza l'omissione di denuncia di uno o
più crediti è stata prevalentemente riferita non alla mancanza di veridicità
dei dati aziendali, ma alla compromissione della "fattibilità" del
concordato preventivo: ciò che però dà per scontato (e non lo è) che
quest'ultima costituisca una condizione di ammissibilità della domanda del
debitore e soprattutto che il tribunale abbia il potere di valutarla nel merito
nel corso del procedimento, in particolare ai fini del giudizio di revoca.
34) Cfr. ad esempio GALLETTI, La revoca cit., p. 747.
35) Ciò che non è agevole valutare ove il fatto emerga prima dell'adunanza dei
creditori, mentre successivamente a quel momento la verifica della rilevanza
della manifestazione di voto del creditore simulato può avvalersi della c.d.
prova di resistenza.
36) Per una puntuale rassegna di dottrina e giurisprudenza sul tema cfr. FILOCAMO,
in La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico (a cura di FERRO)2, sub
art. 173, Padova, 2011, p. 1955 ss., ivi a p. 1959 ss.
37) In questo senso anche Cass., 23 giugno 2011, n. 13817 cit., secondo cui, se
si attribuisse al concetto di frode "il generico significato di atti
pregiudizievoli per i creditori, dovrebbero ricomprendersi nello stesso anche
tutti gli atti revocabili che l'art. 201, comma 2, definisce per l'appunto
'atti compiuti in frode dei creditori' con la conseguenza che nessun
concordato proposto in presenza dell'insolvenza sarebbe, di fatto,
ammissibile"; sul punto concorda anche chi osteggia l'interpretazione
"evolutiva" del concetto di frode seguita dalla Suprema Corte: v., ad
esempio, TEDOLDI, Il sindacato giudiziale cit., p. 94.
38) In questo senso cfr. ad esempio AMBROSINI, Il concordato preventivo e gli
accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato di dir. comm. diretto da
Cotti-no, vol. XI, 1, Padova, 2008, p. 81; e BOSTICCO, La "resurrezione
giurisprudenziale" cit., p. 1445.
39) Così, ad esempio, a norma dell'art. 186-bis, 2° comma, il piano deve
contenere anche "un'analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi
dalla prosecuzione dell'attività d'impresa prevista dal piano di concordato,
delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di
copertura"; e la relazione del professionista qualificato "deve
attestare che la prosecuzione dell'attività d'impresa prevista dal piano di
concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori"; e
ulteriori attestazioni sono richieste nel caso di continuazione di contratti
pubblici o di partecipazione a procedure di assegnazione di contratti pubblici
(art. 186-bis, 3°, 4° e 5° comma); oppure quando il debitore, a norma dell'art.
182-quinquies, 4° comma, chiede al tribunale di essere autorizzato a pagare crediti
anteriori per prestazioni di beni o servizi "essenziali per la
prosecuzione della attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore
soddisfazione dei creditori".
Invece, se si tratta di società di capitali, non opera più, sino
all'omologazione, la causa di scioglimento della società per riduzione o
perdita del capitale sociale (art. 182-sexies legge fall.).
40) Così GALLETTI, La revoca cit., p. 748; contra sul punto TEDOLDI, Il sindacato
giudiziale cit., p. 95, per il quale il vaglio del tribunale dovrebbe essere
compiuto "in base alla obiettiva gravità dei comportamenti 'accertati' dal
commissario, quand'anche confessati sua sponte dal debitore nella domanda di
concordato". Ma secondo una diversa opinione (cfr. FAUCEGLIA, Revoca
cit., p. 1699) sarebbe opportuno distinguere tra la condotta di fraudolenta
esposizione del passivo o dell'attivo, per le quali soltanto potrebbe evocarsi
l'interruzione della procedura, dalle altre condotte di natura prevalentemente
valutativa, quali la sopravvalutazione dell'attivo e la sottovalutazione del
passivo.
41) Tale percorso ermeneutico è stato recentemente criticato da TEDOLDI, Il sindacato
giudiziale cit., 94 s. passim per il quale - come già segnalato - "ogni genere
di atto distrattivo commesso dal debitore" costituirebbe "atto di
frode" ed anzi la norma dell'art. 173 legge fall. non discorrerebbe
affatto "di un disegno ingannevole specificamente orientato, sul piano
intenzionale non meno che funzionale, a conseguire ingiusti vantaggi
attraverso la procedura concordataria", ma affiderebbe il "vaglio di
insussistenza di condotte gravi e altamente lesive da parte del debitore
proponente domanda di concordato, prima e dopo di questa", "alla
sapienza e all'equilibrio del Tribunale"; ma la critica risulta priva di
valenza costruttiva, non consentendo di stabilire quale criterio in concreto
si dovrebbe adottare per giudicare della natura fraudolenta di un atto o della
gravità della condotta del debitore: criterio che non può certo dipendere dalla
mera discrezionalità del giudice (pur sapiente ed equilibrato).
42) Con le menzionate sentenze nn. 13817, 13818 e 13819 del 23 giugno 2011,
modificando l'orientamento seguito in precedenza da Cass., 25 gennaio 2007, n.
1655, in Giust. civ., 2009, I, p. 2033, con nota di DIDONE, Note minime
sull'art. 173 l. fall., ma pronunciata sulla base della disciplina antecedente
alla riforma; l'unico limite posto dalla Suprema Corte è quello dell'abuso del
diritto, qui inteso come abuso dello strumento concordatario, "in
violazione del principio di buona fede laddove emerga la prova che determinati
comportamenti depauperativi del patrimonio siano stati posti in essere con la
prospettiva e la finalità di avvalersi dello strumento del concordato, ponendo
i creditori di fronte ad una situazione di pregiudicate o insussistenti
garanzie patrimoniali in modo da indurli ad accettare una proposta comunque
migliore della prospettiva liquidato-ria"; in senso critico sull'utilizzo
della figura dell'abuso del diritto nel campo dei concordati, cfr. TEDOLDI, Il
sindacato giudiziale cit., p. 94, in nota 21, ove altri richiami; in effetti la
menzionata figura potrebbe tutt'al più costituire un limite all'ammissibilità
del concordato (e rientrare nell'ambito di applicabilità del terzo comma
dell'art. 173 legge fall.), piuttosto che costituire fattispecie di atto di frode
ai sensi del primo comma.
43) Requisito che - sempre secondo la Corte di cassazione - può essere un elemento
di valutazione da parte dei creditori, ma non un criterio per l'ammissione o
l'omologazione del concordato.
44) Contesta l'argomento TEDOLDI, Il sindacato giudiziale cit., p. 94, secondo
cui "accertare indica, anzitutto, quell'attività di cognizione che,
inquadrando un atto o un fatto nell'appropriato contesto in base agli effetti
giuridici perseguiti, consente di ricostruirne e valutarne appieno il
significato economico-giuridico, a prescindere dal modo in cui la prova del
nudo fatto venga acquisita al processo"; ma, a parte la fumosità della
critica, non è inutile osservare che per la stessa collocazione della norma in
esame dopo quella che disciplina la relazione "particolareggiata"
del commissario giudiziale, la quale a sua volta deve avere per oggetto anche
la "condotta del debitore", l'espressione utilizzata dal legislatore
non può essere riferita che al potere-dovere spettante al commissario
giudiziale di informare il tribunale e mediante questo i creditori di ogni
fatto nuovo (ma rilevante ai fini delle valutazioni demandate agli stessi) di
cui sia venuto a conoscenza relativamente all'attività del debitore compiuta
prima o dopo l'ammissione al concordato; quindi semanticamente
"accertare" vale quanto "scoprire" o "verificare"
(dei quali è sinonimo).
45) E' il caso esaminato dalla Corte Suprema nella menzionata sentenza n. 13817
del 23 giugno 2011.
46) Cfr. sul punto anche GALLETTI, La revoca cit., p. 750 ss., secondo cui il
debitore, magari sollecitato dal Tribunale ai sensi dell'art. 162, 1° comma
legge fall., applicabile per analogia al caso di cui all'art. 173 legge fall.,
per evitare la revoca del concordato, potrebbe modificare la sua proposta,
depurandola dai vizi che la contraddistinguevano e mettendo a disposizione
della liquidazione concordataria (in caso di occultamento dell'attivo) gli
elementi richiesti; quanto poi al modus procedendi, il Tribunale a sua volta
dovrebbe replicare il giudizio di ammissibilità (senza necessità di una nuova
relazione dell'esperto), con differimento dell'adunanza dei creditori.
47) Si tende ad escludere la revoca anche nel caso in cui lo stesso debitore
abbia provveduto ad eliminare, prima della proposta concordataria, gli effetti
delle precedenti condotte; più incerto, nel caso di società di capitali, è se
sia sufficiente la rimozione degli amministratori responsabili delle condotte
fraudolente e l'esercizio nei loro confronti delle corrispondenti azioni di
responsabilità: in senso affermativo cfr. AMBROSINI, Il concordato preventivo
e gli accordi di ristrutturazione dei debiti cit., p. 82; ma nel senso
dell'insufficienza della revoca o delle dimissioni degli amministratori cfr.
GALLETTI, La revoca cit., p. 750; Trib. Milano, 20 luglio 2007, in Giur. it.,
2008, p. 118, secondo cui "la sostituzione degli amministratori si pone
di per sé come un atto neutro, che non vale a segnare una cesura
nell'imputabilità alla società dell'operato dei precedenti amministratori.
Perché si possa affermare la sussistenza di una siffatta frattura, occorre che
la società dimostri di avere adottato tutte le iniziative necessarie a tutelare
il proprio patrimonio dalle conseguenze prodotte dalle irregolarità commesse
dall'amministratore".
48) Così anche Cass., 23 giugno 2011, n. 13817 cit.
49) Cfr. GALLETTI, La revoca cit., p. 752 s., il quale arriva persino a
sostenere che l'art. 175 legge fall. "nulla dice" circa la
possibilità che il piano sia modificato anche successivamente alle operazioni
di voto.
50) Secondo cui nel caso di modifiche "sostanziali" della proposta o
del piano deve essere presentata anche la relazione di un professionista
qualificato "analoga" a quella prodotta in apertura dell'istruttoria
preconcordataria.
51) Se ne rende conto anche GALLETTI, La revoca cit., p. 751, quando osserva
che "l'assenza di una disciplina ad hoc della modifica suscita qualche
perplessità circa il modus procedendi".
52) E' evidente che, in caso di votazione negativa, non vi sarebbe più
necessità di revocare il concordato, dal momento che, a norma degli artt. 179 e
162, 2° comma legge fall., il tribunale è tenuto a dichiarare la proposta
concordataria inammissibile e a dare ingresso alla procedura fallimentare
(sempre che vi sia istanza in tal senso).
53) Così invece GALLETTI, La revoca cit., p. 749, sotto il profilo dell'assenza
della necessaria trasparenza.
54) Così BOSTICCO, La "resurrezione giurisprudenziale" cit., p. 1446.
55) Ma nel senso che gli atti di straordinaria amministrazione non autorizzati
sarebbero inefficaci (anche nel fallimento consecutivo) in quanto tout court
in frode alla legge cfr. per il passato PROVINCIALI, Trattato di diritto
fallimentare, vol. IV, Milano, 1974, p. 2254.
56) Essendo ben evidente che, ove nessuno chieda la dichiarazione di
fallimento, con la revoca del concordato il debitore ritornerebbe in bonis e
l'atto di straordinaria amministrazione compiuto senza l'autorizzazione
scritta del giudice delegato riacquisterebbe la sua efficacia anche nei
confronti dei creditori concorsuali.
57) Considera la questione ancora aperta, in assenza di ulteriori riferimenti
da parte del legislatore, DE CRESCIENZO, in Il nuovo diritto fallimentare (a
cura di JORIO-FABIANI), vol. II, Bologna, 2007, sub art. 173, p. 2456 ss., ivi
p. 2469.
58) In questo senso cfr. CENSONI, in Il nuovo diritto fallimentare (a cura di
JORIO-FABIANI) cit., vol. II, sub art. 167, p. 2400 ss., ivi, p. 2404, e, per
il passato, Trib. Lucca, 29 settembre 1979, in Fallimento, 1980, p. 713;
PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare cit., vol. IV, p. 2253; SATTA,
Diritto fallimentare, Padova, 1996, p. 460.
59) Nel senso che il giudice delegato potrebbe ratificare l'atto anche
successivamente al suo compimento cfr. Trib. Verona, 6 marzo 1991, in Dir.
fall., 1992, II, p. 818; ma l'opinione contraria è sempre stata largamente
prevalente: sul punto cfr. per tutti RAGO, Il concordato preventivo dalla
domanda all'omologazione, Padova, 1998, p. 213.
60) In questo senso cfr. BOSTICCO, La "resurrezione
giurisprudenziale" cit., p. 1446, che ritiene tale interpretazione più
vicina alla struttura libera da vincoli cui si ispira l'attuale disciplina
concordataria; T.E. CASSANDRO, I provvedimenti cit., p. 316 s.; FAUCEGLIA,
Revoca cit., p. 1700 s.; e per il passato BONSIGNORI, Concordato preventivo
cit., p. 208; in giurisprudenza, App. Torino, 15 luglio 2009, in Fallimento,
2010, p. 248 (con riferimento alla vendita di due autovetture ad un prezzo
congruo); e per il passato, Cass., 23 giugno 1988, n. 4278, in Foro it., 1989,
I, c. 1178 (con riferimento all'amministrazione controllata); e Trib. Firenze,
19 gennaio 1982, in Dir. fall., 1982, II, p. 1558.
61) Per questi ulteriori interrogativi cfr. FILOCAMO, in La legge fallimentare
(a cura di FERRO) cit., p. 1961, ove ulteriori richiami.
62) Così BOSTICCO, La "resurrezione giurisprudenziale" cit., p. 1446
s.
63) Cfr. CENSONI, in Il nuovo diritto fallimentare (a cura di JORIO-FABIANI)
cit., p. 2403 ss.
64) Sul punto mi limito a rinviare a CENSONI, Gestione commissariale e funzione
dell'amministrazione controllata, Milano, 1994, p. 98 s.; e A. AMATUCCI,
Temporanea difficoltà e insolvenza, Napoli, 1979, p. 50.
65) Così ancora CENSONI, in Il nuovo diritto fallimentare (a cura di JORIO-FABIANI)
cit., p. 2410, secondo cui a questo rischio ben si sarebbe potuto porre rimedio
attribuendo in modo espresso al giudice la facoltà di escludere determinate
categorie di atti dall'ambito della straordinaria amministrazione, tenendo
conto anche delle dimensioni dell'impresa concordataria, dell'oggetto della
sua attività e del contenuto specifico del piano predisposto dal debitore;
peraltro, da questo punto di vista, non si può dire che l'obiettivo sia stato
efficacemente conseguito a mezzo della seconda novità normativa introdotta dal
d.lgs. n. 5 del 2006 nell'art. 167 legge fall. con l'aggiunta di un terzo
comma, a norma del quale "con il decreto previsto dall'articolo 163 o con
successivo decreto, il tribunale può stabilire un limite di valore al di sotto
del quale non è dovuta l'autorizzazione di cui al secondo comma"; nella
Relazione illustrativa si afferma che "l'intervento tende, com'è
evidente, ad un alleggerimento della procedura eliminando la necessità di non
necessari adempimenti nei casi di minor peso economico"; qui, in
definitiva, il legislatore ha lasciato al tribunale il potere di escludere
preventivamente dall'area della straordinaria amministrazione atti che
diversamente vi sarebbero rientrati in relazione alla loro natura (ad esempio,
mutui o transazioni o alienazioni immobiliari), semplicemente fissando una
soglia quantitativa, soglia che, da sola, può utilmente consentire di
commisurare la distinzione fra ordinaria e straordinaria amministrazione alle
dimensioni dell'impresa o all'oggetto di essa, ma più difficilmente al
contenuto del piano, a meno che la norma non venga letta nel senso che il
tribunale possa fissare (non un unico valore per qualsiasi atto, ma) valori
diversi secondo le differenti tipologie di atti.
In giurisprudenza, in una fattispecie di autorizzazione all'affitto di ramo di
azienda, contratto estimatorio e preliminare di cessione dell'azienda, è stato
affermato che, poiché il tribunale può stabilire discrezionalmente che non è
dovuta autorizzazione per gli atti (di straordinaria amministrazione) che non
superino un determinato valore e poiché anche da tale premessa è possibile
desumere che detto organo conservi il controllo, la supremazia e la
sovraordinazione funzionale alla procedura, se ne potrebbe ulteriormente
ricavare l'opportunità di lasciare al tribunale (anziché al giudice delegato)
il potere di autorizzazione al compimento degli atti eccedenti l'ordinaria
amministrazione, almeno nei casi più delicati o dai risvolti socio-economici
più rilevanti: cfr. Trib. Sulmona, 5 dicembre 2007, in Fallimento, 2008, p. 822
ss., con nota di FIMMANO', Concordato preventivo e circolazione del ramo
d'azienda, secondo il quale, se i contratti di cui sopra costituiscono
"elementi fondanti e caratterizzanti" del piano di concordato, che va
approvato (o meno) dai creditori all'esito del complessivo procedimento (come
per qualsiasi altro contratto preesistente alla procedura concordataria, la cui
prosecuzione deve ritenersi ammessa o esclusa a seconda che sia prevista o meno
nel piano), "al giudice non va richiesta alcuna autorizzazione, il cui
diniego altrimenti modificherebbe, di fatto, il piano stesso attraverso la
sostanziale imposizione della prosecuzione o meno del negozio".
66) In questo senso, sia pure con riferimento all'amministrazione controllata,
cfr. per il passato Cass., 23 giugno 1988, n. 4278 cit.
67) Qui in effetti la norma sembra sanzionare la mancanza dell'autorizzazione
solo con il disconoscimento della prededucibilità per i crediti di terzi
eventualmente sorti dal compimento dell'atto di straordinaria amministrazione,
che non necessariamente potrebbe essere considerato fraudolento ai sensi del
primo comma dell'art. 173 legge fall., lasciando tuttavia aperto il problema
della sua validità od efficacia.
68) In questo senso cfr. anche FILOCAMO, in La legge fallimentare (a cura di
FERRO) cit., p. 1961, ove ulteriori richiami antecedenti alla riforma; e Trib.
Napoli, 3 novembre 2010, inedito, ma citato da PENTA, La revoca del concordato
preventivo, in Fallimento, 2011, p. 735 ss., ivi p. 739.
69) Per richiami cfr. ancora FILOCAMO, in La legge fallimentare (a cura di
FERRO) cit., p. 1961; ma anche su quest'ultimo punto si riscontra qualche dissenso
da parte di chi ritiene che quanto meno taluni creditori con diritti di prelazione
- ad esempio, i lavoratori dipendenti; o i creditori ipotecari o pignoratizi -
potrebbero essere soddisfatti anche durante la procedura, per non aggravare
ulteriormente il passivo con gli interessi: così LO CASCIO, Il concordato preventivo
cit., p. 355, ove ulteriori richiami in nota 30.
70) Con riferimento all'amministrazione controllata cfr. Cass., 14 ottobre
1977, n. 4370, in Dir. fall., 1978, II, p. 286; e Trib. Milano, 26 maggio 1988,
in Giur. it., 1989, I, c. 146.
71) Magari per agevolare la continuità aziendale ed evitare un pregiudizio maggiore
ai creditori: cfr. CUNEO, Le procedure concorsuali, Milano, 1988, p. 1171.
72) Su tale carattere del divieto cfr. Cass., 28 giugno 2002, n. 9488, in Arch.
civ., 2003, p. 434; e in Dir. fall., 2003, II, p. 522.
73) Ugualmente si potrebbe ipotizzare la conclusione di una vantaggiosa transazione
con un creditore concorsuale che, a fronte delle sue rinunzie, proponesse
l'acquisto di una garanzia ipotecaria o pignoratizia per una parte del suo
credito.
74) Si può ad esempio ricordare l'incertezza che ha regnato, in dottrina e in
giurisprudenza, sulla natura concorsuale (privilegiata) o prededucibile dei
crediti dei professionisti che assistono il debitore ai fini della preparazione
e presentazione di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione
dei debiti: incertezza ora risolta dal d.l. n. 83 del 2012 nel senso della
prededucibilità (ai sensi del secondo comma dell'art. 111 legge fall.) con
l'abrogazione dell'ambiguo quarto comma dell'art. 182-quater legge fall., che
pareva limitare la prededucibilità stessa al credito del professionista
qualificato, incaricato di predisporre la relazione di cui all'art. 161, 3°
comma legge fall.
75) In direzione opposta sembrerebbe condurre una delle argomentazioni
espresse, a proposito della rilevanza, ai fini della revoca, degli atti di
frode, da Cass., 23 giugno 2011, n. 13817 cit., secondo cui la segnalazione, da
parte del commissario giudiziale, di eventi già noti al tribunale al momento
dell'ammissione alla procedura e già ritenuti non ostativi all'ammissione,
quale "esercizio di un potere di sollecitazione di una pronuncia
giurisdizionale modificativa di una precedente", costituirebbe "una
straordinaria deviazione dalle funzioni proprie dell'organo che sono unicamente
consultive"; ma non mi pare che l'argomentazione (giusta o infondata che
sia con riferimento agli atti di frode) possa essere estesa anche ai
presupposti del concordato preventivo, attribuendo al decreto di apertura un
effetto preclusivo (pro iudicato) su di essi.
76) La disposizione richiamata nel testo esclude dal fallimento e dal
concordato preventivo l'imprenditore commerciale che dimostri il possesso
congiunto dei tre requisiti ivi elencati; essa ha certamente un senso se
riferita al fallimento; ma non ne ha (ed è addirittura paradossale) se riferita
al concordato preventivo, che - com'è noto - può essere chiesto solo dal
debitore, non essendo immaginabile che costui nel presentare una domanda di
concordato dimostri invece di esserne esente; dunque, l'unica possibilità di
salvare qualche frammento di razionalità del riferimento al concordato
preventivo sta nell'inversione (in positivo) della sua formulazione (in
negativo), come se disponesse che è soggetto al concordato preventivo (solo) il
debitore il quale dimostri di non esserne esente; ma - detto questo - mi pare
ovvio che, anche in mancanza di specifica dimostrazione da parte del debitore,
al tribunale spetti comunque il compito di verificare d'ufficio che non si
tratti di imprenditore che, per la sussistenza congiunta dei tre requisiti
elencati nell'art. 1, 2° comma legge fall., non possa essere ammesso al
concordato (né dichiarato fallito).
77) In precedenza ci si chiedeva (come per i piani di risanamento dell'art. 67,
3° comma, lett. d) se le attestazioni potessero provenire anche da
professionisti che si trovassero in qualcuna delle situazioni di
incompatibilità elencate nel terzo comma dell'art. 28 legge fall.; in senso
affermativo cfr. Cass., 4 febbraio 2009, n. 2706, in Fallimento, 2009, p. 789;
e Trib. Piacenza, 3 luglio 2008, ivi, 2009, p. 121; il problema ora non esiste
più dopo che il d.l. n. 83 del 2012 ha modificato l'art. 67, 3° comma, lett.
d), individuando in modo specifico i criteri di "indipendenza" del
professionista attestatore.
78) Giustamente Cass., 23 giugno 2011, n. 13817 cit. ha sottolineato
"l'impredicabilità, in linea generale, di un onere di indicare in ogni
caso la percentuale di soddisfacimento dei creditori a fronte di una pressoché
infinita gamma di possibili articolazioni della proposta di concordato e
quindi delle possibilità di soluzioni che, anche coinvolgendo i creditori
nella gestione dell'impresa attraverso l'attribuzione di quote di capitale, non
consentono un'immediata quantificazione del risultato utile"; è
ragionevole ritenere che l'obbligatorietà dell'indicazione di una percentuale
(o di una percentuale minima) debba essere valutata in concreto, in relazione
al variabile contenuto del piano concordatario.
79) Lo esclude espressamente Cass., 23 giugno 2011, n. 13817 cit., pur convenendo
con l'opinione secondo la quale tale indicazione, come quella relativa ai presumibili
tempi della liquidazione, sarebbero necessarie "al fine della determinatezza
e piena intelligibilità della proposta di concordato"; per ulteriori
richiami di dottrina e giurisprudenza sul tema cfr. FILOCAMO, in La legge
fallimentare cit., p. 1963 s., il quale ugualmente condivide la tesi secondo
cui tutto dipende dalla concreta configurazione del piano, non potendo
escludersi, neppure in relazione all'art. 173 legge fall., l'ammissibilità di
forme di cessione dei beni senza indicazione di una percentuale di
soddisfacimento dei crediti o senza garanzia di soddisfacimento di una
determinata percentuale.
Ed anche nel caso in cui il debitore si sia espressamente impegnato a
soddisfare i suoi creditori in una percentuale fissa (o in una percentuale
variabile fra un minimo e un massimo) al termine della liquidazione e in un
periodo di tempo predeterminato, il giudizio (ugualmente prognostico) sulla
realizzabilità dell'impegno preso, intesa nel senso probabilistico della futura
sufficienza di quanto si ricaverà dalla liquidazione al puntuale rispetto di
quell'impegno spetta innanzitutto al commissario giudiziale (che non può non
farne oggetto di valutazione nella sua relazione) e naturalmente a ciascuno
dei creditori concorsuali, ma non al tribunale, se non (ed eventualmente) in
caso di opposizione all'omologazione.
80) Cfr. CENSONI, Il concordato preventivo: gli organi, gli effetti, il
procedimento, in Il nuovo diritto fallimentare (a cura di JORIO-FABIANI),
Bologna, 2010, p. 1016 s.; sul punto v. anche BOSTICCO, La "resurrezione
giurisprudenziale" cit., p. 1450 s.; nello stesso senso ora anche Cass.,
23 giugno 2011, n. 13817 cit., secondo cui il contrario, in difetto di
esplicita assunzione di un'obbligazione in tal senso, "equivarrebbe a
ritenere sempre necessario che il concordato assuma quantomeno la forma del
concordato misto nel quale la cessione dei beni è accompagnata dall'impegno a
garantire ai creditori una percentuale minima di soddisfacimento".
81) Qualora l'indicazione di una percentuale minima abbia un valore meramente
prognostico, il mancato raggiungimento di detta percentuale non costituirebbe
motivo di risoluzione del concordato, fermo restando peraltro il diritto dei
creditori chirografari a vedersi attribuito tutto quanto realizzato, anche in
eccedenza rispetto a quella percentuale e fino all'integrale pagamento del
residuo credito; qualora invece l'indicazione della percentuale costituisca
oggetto di una precisa obbligazione concordataria e il debitore si sia
espressamente impegnato a soddisfare i creditori in quella misura (né minore,
né maggiore), per un verso il mancato raggiungimento della percentuale
promessa costituirebbe motivo di inadempimento e quindi di risoluzione del
concordato; ma, per un altro verso, l'eventuale eccedenza ricavata dalla
liquidazione dovrà essergli restituita.
82) Sul tema cfr. CENSONI, Autonomia privata e controllo giudiziale nel concordato
preventivo, in Autonomia negoziale e crisi d'impresa (a cura di DI MARZIO-MACARIO),
Milano, 2010, p. 493 ss.
83) Per ampi richiami sul punto cfr. FERRO, in La legge fallimentare. Commentario
teorico-pratico (a cura di FERRO)2 cit., sub art. 162, p. 1856 ss., ivi p. 1860
s.; FILOCAMO, in La legge fallimentare cit., p. 1963; PENTA, La revoca cit., p.
742 ss.; BOTTAI, Il processo di disintermediazione giudiziaria continua, in
Fallimento, 2011, p. 810 ss., spec. in nota 5.
84) E' questa la tesi seguita per la prima volta da Cass., 25 ottobre 2010, n.
21860, in Giur. it., 2011, p. 856; e in Fallimento, 2011, p. 167, con nota
adesiva di FABIANI, Per la chiarezza delle idee su proposta, piano e domanda
di concordato preventivo e riflessi sulla fattibilità; e nota critica di BOZZA,
Il sindacato del Tribunale sulla fattibilità del concordato preventivo, in base
alla considerazione che, avendo il legislatore "inteso dare una netta
prevalenza alla natura contrattuale, privatistica del concordato, che dà
decisivo rilievo al consenso dei creditori", al tribunale, qualora
ritenga non fattibile il piano, non compete, in sede di ammissione, privare i
creditori "della possibilità di esaminare la proposta, di valutarne la
congruità e convenienza e di accettarla dopo avere eventualmente vagliato
anche il rischio di un insuccesso della proposta concordataria"; è invece
al commissario giudiziale che è affidato, nelle intenzioni del legislatore,
"il compito di garantire che i dati sottoposti alla valutazione dei
creditori siano completi, attendibili e veritieri, mettendo gli stessi in
condizione di decidere con cognizione di causa sulla base di elementi che
corrispondono alla realtà"; nello stesso senso successivamente Cass., 10
febbraio 2011, n. 3274 (in motivazione), ivi, 2011, p. 403 (con nota di
NISIVOCCIA, Alcuni principi in tema di concordato fallimentare); in Giur.
comm., 2012, II, p. 276 (con nota di FABIANI, La ricerca di una tutela per i
creditori di minoranza nel concordato fallimentare e preventivo); in Giust.
civ., 2012, I, p. 516; e in Foro it., 2011, I, p. 2095 (con nota critica di
PERRINO, Abuso del diritto e concordato fallimentare: un tentativo di affermare
il principio della giustizia contrattuale?), che peraltro, sotto diverso
profilo, anch'essa per la prima volta, ha ritenuto incontestabile
l'applicabilità del concetto di abuso del diritto anche allo strumento
concordatario; Cass., 14 febbraio 2011, n. 3586, in Fallimento, 2011, p. 805
(con la citata nota di BOTTAI, Il processo di disintermediazione giudiziaria
continua), la quale ha aggiunto che la possibilità offerta al tribunale
dall'art. 162 legge fall. "di concedere al debitore un termine per
integrare il piano e produrre nuovi documenti va intesa nel senso che essa è
diretta a soddisfare maggiormente la completezza informativa del piano e non
nel senso di riconoscere al giudice il potere di formulare un giudizio di
merito sulla fattibilità del piano stesso"; Cass., 23 giugno 2011, n.
13817 cit., che ugualmente ha individuato nell'abuso del diritto, quale
violazione del principio di buona fede, il limite all'utilizzazione (e
all'ammissibilità) dello strumento concordatario, "laddove emerga la
prova che determinati comportamenti depauperativi del patrimonio siano stati
posti in essere con la prospettiva e la finalità di avvalersi dello strumento
del concordato, ponendo i creditori di fronte ad una situazione di pregiudicate
o insussistenti garanzie patrimoniali in modo da indurli ad accettare una
proposta comunque migliore della prospettiva liquidato-ria" (nello stesso
senso le sentenze in pari data nn. 13818 e 13819); Cass., 16 settembre 2011, n.
18987, in Giur. it., 2012, p. 82, con la citata nota di TEDOLDI, Il sindacato
giudiziale sulla fattibilità del piano e l'art. 173 l. fall. nel concordato
preventivo: la Cassazione e il "cigno nero"; e in Fallimento, 2012,
p. 36, con nota di A. PATTI, La fattibilità del piano nel concordato preventivo
tra attestazione dell'esperto e sindacato del tribunale.
Contemporaneamente alla sentenza da ultimo menzionata, altra sentenza della
medesima Corte di cassazione (la n. 18864 del 15 settembre 2011, in Fallimento.,
2012, p. 39, con la citata nota di A. PATTI; in Giur. it., 2012, p. 82, con la
citata nota di TEDOLDI; e in Giust. civ., 2012, II, p. 718), pur senza
sconfessare (apparentemente) le precedenti conclusioni, ha finito per
discostarsene in modo significativo laddove ha ritenuto che non vi sia
"ragione di derogare ai principi generali in tema di rilevabilità
d'ufficio delle nullità (art. 1421 c.c.)", per illiceità dell'oggetto
("ad esempio, in presenza, nel piano, di offerte di cessione di res extra
commercium, quali immobili insanabilmente abusivi o soggetti a confisca
penale"); o per violazione di norme imperative (come nel caso di
alterazione delle cause legittime di prelazione nelle ipotesi di cui al
secondo comma dell'art. 160 legge fall.); o per impossibilità dell'oggetto,
"riscontrabile ove la proposta concordataria non abbia, alla luce della
relazione del commissario giudiziale, alcuna probabilità di essere
adempiuta".
Proprio quest'ultima evenienza - come riconosce detta pronuncia - "è di
particolare delicatezza", però non tanto per il motivo che essa possa
"essere confusa con la normale alea inscindibilmente connessa con la
valutazione di fattibilità di qualsiasi iniziativa economica", il cui
apprezzamento spetta esclusivamente ai creditori; e neppure per le
"ipotesi-limite" qualificate dalla menzionata pronuncia come casi di
"vero e proprio vizio genetico" (sopravvalutazione di cespiti patrimoniali
o indebita pretermissione o svalutazione di voci di passivo) - che non
riguardano profili di inammissibilità delle condizioni del concordato, ma
ipotesi di atti in frode autonomamente sanzionati nel primo e nel terzo comma
dell'art. 173 legge fall. - quanto per il fatto che dietro la presunta
impossibilità dell'oggetto riferita ad un giudizio di infattibilità (economica)
del piano concordatario risultante dalla relazione del commissario giudiziale
si nasconda, in realtà, l'attribuzione al giudice di un potere di controllo
(anche d'ufficio) di "legittimità sostanziale" della proposta
concordataria dai confini molto incerti, sostanzialmente rimessi alla
discrezionalità di valutazione del giudice del merito, con tutti i rischi
connessi, anche per ciò che riguarda l'uniformità dell'applicazione del diritto
da parte di giudici diversi.
Ed è per questo che, appena tre mesi dopo, la stessa Suprema Corte, con ordinanza
n. 27063 del 15 dicembre 2011, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite,
ritenendo a ragione che la ratio decidendi su cui si fonda la sentenza n. 18864
del 2011 "rende necessario chiedersi in qual misura l'eventuale non
fattibilità del piano si traduca in un'impossibilità dell'oggetto del
concordato: il che finisce per riproporre in altra veste il medesimo problema
dei limiti entro cui il giudice è legittimato a sindacare l'anzidetto requisito
della fattibilità".
Ma nel frattempo, in attesa della decisione delle Sezioni unite, qualche
giudice di merito ha preferito disattendere l'orientamento prevalente della
Suprema Corte, continuando ad attribuirsi un potere di controllo anche sul
merito della proposta, nel senso che questa debba essere "redatta in modo
coerente, completo e compatibile coi fatti, in modo da consentire ai
destinatari di accettarla o respingerla con cognizione di causa": così,
ad esempio, App. Firenze, 28 settembre 2012, nel sito www.ilcaso.it.;
nello stesso senso Trib. Vicenza, 12 novembre 2012, nel sito www.ilcaso.it.
85) Ciò che lo stesso può fare sia nella fase di apertura del concordato, nella
quale fra ricorrente e tribunale può aprirsi un confronto costruttivo sulle
"integrazioni" da apportare al piano prima che il collegio si
pronunci in modo formale, come dimostra l'art. 162, 1° comma legge fall.; sia
"in qualunque momento" successivo all'apertura, ma anteriore
all'inizio delle operazioni di voto, per la possibilità offertagli dal secondo
comma dell'art. 175 legge fall. di "modificare" la sua proposta
originaria.
86) Nel senso che, con riferimento agli "altri atti di frode", il
tribunale non può prescindere dall'accertamento che il comportamento del
proponente è stato posto in essere con dolo, cfr. Cass., 5 agosto 2011, n.
17038, in Dir. fall., 2012, II, 355, con nota di VECCHIONE, Sull'indagine del
carattere doloso degli "altri atti di frode" nel procedimento di
revoca dell'ammissione al concordato preventivo ex art. 173 legge fallim.
87) E' qui che Cass., 16 settembre 2011, n. 18987 cit., lascia maggiormente perplessi,
riferendo il giudizio sulla realizzabilità del concordato anche alle ipotesi di
"sopravvalutazione di cespiti patrimoniali o indebita pretermissione, o
svalutazione, di voci di passivo" considerate come cause "di vero e
proprio vizio genetico, accertabile in via preventiva alla luce della radicale
e manifesta inadeguatezza del piano".
88) La stessa Cass., 15 settembre 2011, n. 18864 cit., giustamente ammonisce come
"la ricostruzione ermeneutica della nuova disciplina, in parte qua, non possa
discendere da suggestioni aprioristiche che nella posizione del problema
prefigurano già la soluzione, conforme all'assiologia ed alle coordinate
culturali dell'interprete; bensì debba conformarsi, innanzitutto, al canone
legale del dato letterale: inverato, poi, dalla ricerca dell'intenzione del
legislatore (art. 12 disp. gen.)".
89) Sul tema cfr. recentemente anche TARANTINO, I confini del controllo giudiziale
in sede di ammissibilità della proposta di concordato preventivo, in Dir.
fall., 2012, II, p. 408 ss. (in nota a Trib. Crotone, 26 ottobre 2011).
90) Alla modifica della proposta concordataria il d.l. n. 83 del 2012 dedica
due nuove disposizioni: quella inserita nel terzo comma dell'art. 161 legge
fall., per la quale, se la modifica è "sostanziale" (quindi non
sempre), deve essere presentata una relazione (di fattibilità)
"analoga" a quella iniziale proveniente dallo stesso (o da altro)
professionista qualificato e indipendente; e quella di cui all'ultimo capoverso
del nuovo art. 186-bis legge fall., per la quale resta "salva la facoltà
del debitore di modificare la proposta di concordato" con continuità
aziendale, se nel corso del procedimento "l'esercizio dell'attività
d'impresa cessa o risulta manifestamente dannoso per i creditori".
91) Ma all'interruzione della procedura potrebbe non seguire alcuna
dichiarazione di fallimento (in mancanza di istanze in tal senso).
92) La norma, in verità, non specifica se quella facoltà possa essere
esercitata in qualunque momento della procedura, anche successivamente alla
votazione dei creditori (che allora andrebbe rinnovata); o se il dies ad quem
resti comunque costituito dall'inizio delle operazioni di voto; nel dubbio
questa seconda interpretazione, che non tocca l'ambito normativo della
disposizione contenuta nel secondo comma dell'art. 175 legge fall., mi pare
decisamente preferibile.
93) Ad esempio mediante mutamento dell'assetto proprietario; conversione di una
parte dei crediti concorsuali in capitale di rischio; emissione di obbligazioni
o di obbligazioni convertibili o di strumenti finanziari partecipativi a favore
dei creditori o di terzi; fusione della società insolvente con altra società
dotata di mezzi patrimoniali e finanziari; altre operazioni sul capitale,
magari con l'intervento di società sane del medesimo gruppo di imprese al quale
appartiene quella proponente il concordato; ecc.
94) In questo senso (e in questi limiti) può condividersi il principio generale
enunciato da Cass., 15 settembre 2011, n. 18864 cit., che adduce quale esempio
di violazione di norme imperative il caso di alterazione dell'ordine delle
cause legittime di prelazione; quale esempio di illiceità dell'oggetto la
"presenza, nel piano, di offerte di cessione di res extra commercium,
quali immobili insanabilmente abusivi o soggetti a confisca penale"; e
quale esempio di impossibilità dell'oggetto il caso che la proposta "non
abbia, alla luce della relazione del commissario giudiziale, alcuna probabilità
di essere adempiuta"; ma deve trattarsi effettivamente di
"ipotesi-limite": così la stessa Cass., 15 settembre 2011, n. 18864
cit., che tuttavia (sulla scia di Cass., 23 giugno 2011, n. 13817 cit. e, con
riferimento al concordato fallimentare, di Cass., 10 febbraio 2011, n. 3274
cit.) aggiunge alle ipotesi precedentemente esaminate quella (discussa e dai
confini eccessivamente indefiniti e variabili) dell'abuso del diritto, legato
ad "utilizzazioni improprie" dell'istituto concordatario
(sostanzialmente nel medesimo senso anche Cass., 23 giugno 2011, n. 13817 cit.,
ove "emerga la prova che determinati comportamenti depauperativi del
patrimonio siano stati posti in essere con la prospettiva e la finalità di
avvalersi dello strumento del concordato, ponendo i creditori di fronte ad una
situazione di pregiudicate o insussistenti garanzie patrimoniali in modo da
indurli ad accettare una proposta comunque migliore della prospettiva
liquidatoria"); ma, se l'utilizzazione impropria consiste nel compimento
di atti fraudolenti, finalizzati alla presentazione di una domanda di
concordato, non c'è nessuna necessità di ricorrere al concetto di abuso del diritto,
bastando ai fini della revoca del concordato la disposizione di cui al primo
comma dell'art. 173 legge fall.; se invece ci si riferisce genericamente ad
altre fattispecie non ricomprese in attività fraudolente, ciò finirebbe per
reintrodurre apoditticamente nel giudizio di ammissibilità (e in apparente
contrasto con la voluntas del legislatore della riforma) una valutazione della
meritevolezza delle stesse intenzioni del debitore concordatario nella
predisposizione del piano e surrettiziamente anche una valutazione della
convenienza del concordato per i creditori, essendo ben evidente, per un verso,
la difficoltà di escludere la buona fede del debitore nei casi in cui la
proposta sia ritenuta conveniente per i creditori; e per un altro verso (ma
all'opposto) la possibilità di ricorrere all'abuso del diritto quante volte il
tribunale ritenga (con giudizio discrezionale caso per caso) quella proposta
non conveniente, senza attendere che su di essa si pronuncino i creditori.
95) Senza voler approfondire il tema, basta qui considerare, per quanto
riguarda la contrarietà a norme imperative, che la giurisprudenza, pur in
assenza di parametri univoci, sembra orientata ad identificare l'imperatività
di una norma con la sua inderogabilità, a sua volta qualificata dalla natura
generale degli interessi a cui presidio la stessa è stata posta dal legislatore
(così, ex plurimis, Cass., 18 luglio 2003, n. 11256, in Arch. civ., 2004, p.
653; in Contratti, 2004, p. 237, con Commento di SANVITO, cui si rinvia per
ulteriori richiami, particolarmente in nota 8); quanto poi all'impossibilità
dell'oggetto (sia in senso fisico, sia in senso giuridico) è noto che questa,
per essere rilevante ai fini della nullità dell'atto negoziale, deve essere
caratterizzata da assolutezza, obiettività (per la sussistenza di impedimenti
che ostacolino in modo assoluto il risultato cui la prestazione è diretta) e
definitività, rimanendo ininfluenti sia le eventuali difficoltà (materiali o
giuridiche) che ostacolino in modo non irrimediabile il risultato al quale la
prestazione è diretta, sia la medesima inesistenza attuale del bene previsto,
data la disposizione dell'art. 1347 c.c., che considera valido il contratto
sottoposto a condizione sospensiva o a termine "se la prestazione
inizialmente impossibile diviene possibile prima dell'avveramento della
condizione o della scadenza del termine"; l'applicazione di tali principi
al concordato preventivo (che comunque ne presuppone la natura contrattuale)
lascia intendere quanto marginali ed eccezionali siano le ipotesi di
"infattibilità" giuridica (sotto il profilo dell'assenza di una
condizione di ammissibilità) del concordato per impossibilità dell'oggetto,
anche in considerazione del fatto che l'attuale difficoltà di realizzazione (od
anche la "manifesta inadeguatezza") del piano, quale ritenuta dal
giudice nel corso della procedura, potrebbe non avere quel carattere di
assolutezza e definitività tale da escludere che in futuro, ma prima della
scadenza dei termini previsti per l'esecuzione degli obblighi concordatari, le
difficoltà emerse vengano meno per qualche plausibile motivo.
96) Cfr. LONGOBARDI, Crisi dell'impresa e intervento pubblico, Milano, 1985, p.
126, con riferimento all'ordinamento francese.
97) In qualche caso l'attribuzione al giudice di un sindacato (anche) di merito
è in re ipsa: così, ad esempio, per ciò che riguarda le richieste del debitore
di autorizzazione al compimento di atti "urgenti" di straordinaria
amministrazione nel corso dell'istruttoria pre-concordataria (art. 161, 7°
comma legge fall.) o allo scioglimento (o sospensione) dei contratti pendenti
(art. 169-bis legge fall.); ma si tratta di ipotesi che nulla hanno in comune
con le condizioni di ammissibilità del concordato; e in cui semmai è il diniego
dell'autorizzazione che può determinare in concreto l'infattibilità del
progetto concordatario.
98) In questo senso cfr. FAUCEGLIA, Revoca cit., p. 1702, per l'ipotesi che la fattispecie
rilevante emerga successivamente all'adunanza dei creditori; e App. Napoli, 21
luglio 2009, in Fallimento, 2010, p. 248.
99) In questo senso GALLETTI, La revoca cit., p. 737 s., secondo cui, ancorché
il primo comma faccia riferimento alla preventiva segnalazione del commissario
giudiziale, che peraltro può più agevolmente di altri accorgersi di eventuali
alterazioni contabili (mentre per il terzo comma il tribunale può provvedere
d'ufficio indipendentemente da detta segnalazione), una ricostruzione più armonica
della norma consente di affermare che non vi sia "alcuna restrizione di
fronte all'ipotesi che invece le circostanze vengano portate all'attenzione del
Tribunale direttamente da un creditore, da un terzo interessato (ad es. un
garante del debitore) oppure dal Pubblico Ministero", senza differenza fra
il primo e il terzo comma; conf. CENSONI, Il concordato preventivo: gli organi,
gli effetti, il procedimento cit., p. 1006 s.; e FILOCAMO, in La legge
fallimentare cit., p. 1967.
100) Ma il tribunale, da chiunque sollecitato, non è obbligato ad aprire il
procedimento di revoca, ove ritenga inconsistenti le accuse formulate: in
questo senso cfr. anche GALLETTI, La revoca cit., p. 738.
101) Così anche FILOCAMO, in La legge fallimentare cit., p. 1968, pur osservando
che la norma non precisa se si tratti di una mera denuntiatio o di una vocatio.
102) Salva naturalmente la facoltà del tribunale di acquisire da lui
informazioni e valutazioni: così anche FILOCAMO, in La legge fallimentare cit.,
p. 1968; in passato l'informazione relativa al compimento di atti fraudolenti
doveva essere data al giudice delegato, al quale spettava il potere-dovere di
eseguire le "opportune indagini" e promuovere dal tribunale la
dichiarazione di fallimento d'ufficio.
103) La norma non dice a chi spetti il relativo onere se non al tribunale, il
quale peraltro potrebbe addossarlo alla cancelleria o al commissario
giudiziale.
104) Cfr. D'AMBROSIO, Il sindacato del tribunale cit., p. 220 ss.
105) Immotivatamente contesta la "contestualità" FAUCEGLIA, Revoca
cit., p. 1704, nota 47.
106) Quanto all'iniziativa del pubblico ministero (ai sensi dell'art. 7, 2°
comma legge fall.) a seguito di comunicazione, da parte dello stesso tribunale
fallimentare, della notitia decoctionis va segnalato il cambiamento
giurisprudenziale realizzato da Cass., 14 giugno 2012, n. 9781, reperibile sul
sito www.ilcaso.it;
e in Foro it., 2012, p. 2031; in effetti (cfr. CENSONI, Il concordato
preventivo: gli organi, gli effetti, il procedimento cit., p. 1008), la scelta
del legislatore di non menzionare più nell'art. 173 legge fall. la
dichiarazione di fallimento d'ufficio appare anch'essa sostanzialmente
illogica, tanto più che non si vede come il pubblico ministero possa esimersi
dal richiedere il fallimento almeno ogniqualvolta i fatti imputabili al
debitore abbiano rilevanza penale, anche in relazione all'art. 238 legge fall.
107) Sul punto rinvio ancora a CENSONI, Il concordato preventivo: gli organi,
gli effetti, il procedimento cit., p. 1008 s.
108) Cfr. Trib. Latina, 10 dicembre 2009, reperibile sul sito www.ilcaso.it;
e FILOCAMO, in La legge fallimentare cit., p. 1968; nello stesso senso anche
GALLETTI, La revoca cit., p. 739, nota 32, secondo cui i poteri cautelari del
tribunale fallimentare possono incidere anche sulla struttura dell'impresa e
della società, sino al punto di inibire gli amministratori dal compiere certi
atti o di farli affiancare dal commissario o da altro professionista o di
sostituirli, in tutto o in parte, attraverso la nomina di un curatore
provvisorio che amministri il patrimonio destinato a confluire nella massa
fallimentare.
109) Ma, proprio ricorrendo all'ottavo comma dell'art. 15 legge fall., non si
può escludere, ad esempio, l'ipotesi che il tribunale sottragga al debitore la
gestione del suo patrimonio, affidandola al commissario giudiziale, in modo
analogo a quella gestione commissariale in passato prevista per
l'amministrazione controllata dall'abrogato art. 191 legge fall.
110) Dopo non resterebbe al debitore che il reclamo ex art. 18 legge fall. o il
concordato fallimentare, con i limiti temporali di cui al primo comma
dell'art. 124 legge fall.
111) Sul punto, richiamandosi ad una presunta inammissibilità della modifica
per litispendenza, cfr. FILOCAMO, in La legge fallimentare cit., p. 1969, ove
ulteriori citazioni.
112) In questo senso GALLETTI, La revoca cit., p. 738 s. e soprattutto p. 752
s., secondo cui impedire al debitore di far ciò "contrasterebbe con la
nuova funzione dell'istituto, che mette ora in primo piano l'interesse dei
creditori ad una idonea e fattibile soluzione alternativa al fallimento (di
qui la soppressione del requisito della meritevolezza), restaurandosi una
concezione meramente 'sanzionatoria' dell'art. 173 l. fall.".
113) Solo quando alla revoca del concordato (per motivi diversi da quelli
relativi ai presupposti soggettivi e oggettivi) non segua alcuna dichiarazione
di fallimento per mancanza dell'istanza di un creditore o della richiesta del
pubblico ministero, sarebbe ancora possibile reiterare la domanda di
concordato con un diverso contenuto.
114) Così giustamente GALLETTI, La revoca cit., p. 755, nota 77.
115) Da ultimo cfr. D'AMBROSIO, Il sindacato del tribunale cit., p. 227 s., ove
ulteriori richiami.
116) Quando il tribunale respinga eventuali istanze di fallimento l'unico mezzo
di impugnazione dovrebbe essere il reclamo alla corte d'appello di cui all'art.
22 legge fall.
117) Cfr. FILOCAMO, in La legge fallimentare cit., p. 1969; FABIANINARDECCHIA,
Formulario commentato della legge fallimentare, Milano, 2007, p. 1639.
118) Cfr. AMBROSINI, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione
dei debiti, Padova, 2008, p. 78; FAUCEGLIA, Revoca cit., p. 1703; DEMARCHI, I
provvedimenti immediati, in AMBROSINI-DEMARCHI-VITIELLO, Il concordato
preventivo e la transazione fiscale, Bologna, 2009, p. 145.
119) In questo senso cfr. MONTANARI, Sul regime impugnatorio della revoca
dell'ammissione al concordato preventivo non seguita da dichiarazione di fallimento,
in Fallimento, 2011, p. 341 ss., quale "alternativa credibile e non necessariamente
postergata a quelle consacrate nella dicotomia reclamo ex art. 739 c.p.c. -
reclamo ex art. 26 l. fall.".
120) Giustamente ha osservato MONTANARI, Sul regime impugnatorio cit., p. 343,
"che ben di rado le voci levatesi a favore della reclamabilità del
provvedimento in oggetto sono andate al di là della sua mera asserzione; e che
quando uno sforzo argomentativo è stato esplicato al riguardo, questo non si è
spinto oltre il rilievo - tipicamente echeggiante gli stilemi
dell'argomentazione a contrariis - della mancanza di una formale comminatoria
di irreclamabilità sulla falsariga di quella rinvenibile nell'art. 162 l.
fall.".
121) Così MONTANARI, Sul regime impugnatorio cit., p. 344 s.
122) Ed effettivamente se lo obietta lo stesso MONTANARI, Sul regime
impugna-torio cit., p.344 s., che però è costretto a ricorrere ad una presunta
(ma discutibile) censura di incostituzionalità dell'art. 179 legge fall. per
il vulnus che ne deriva al valore della ragionevole durata del processo.
123) In questo senso CENSONI, Il concordato preventivo: gli organi, gli
effetti, il procedimento cit., p. 1007 s.; Id., Il concordato preventivo, in
BONFATTICENSONI, Manuale di diritto fallimentare, quarta ed., Padova, 2011, p.
595; GALLETTI, La revoca cit., p. 755, nota 78; ZANICHELLI, I concordati giudiziali,
Torino, 2010, p. 235; e in giurisprudenza App. Salerno, 19 ottobre 2010, in
Fallimento, 2011, p. 338.
124) Così anche GALLETTI, La revoca cit., p. 755.
125) Cfr. anche Cass., Sez. un., 14 aprile 2008, n. 9743, in Fallimento, 2008,
p. 1149.
126) Come fa MONTANARI, Sul regime impugnatorio cit., p. 345, nota 19, ove
ulteriori richiami di dottrina e di giurisprudenza sul punto.
127) Deve quindi ritenersi ancora inapplicabile l'art. 173 legge fall. nel
corso dell'istruttoria preconcordataria, anche nel caso di presentazione di una
domanda di concordato "con riserva".
128) In questo senso recentemente cfr. Trib. Busto Arsizio,, 30 marzo 2012, n.
264, in Guida al diritto, 2012, n. 28, p. 44, con nota di PAGANINI, La sussistenza
del dolo è nella ideazione del piano che ha il fine di tutelare i soci a danno
dei creditori.
129) Così anche Trib. Tivoli, 15 luglio 2009, in Fallimento, 2009, p. 111.
130) Conf. Trib. Monza, 2 novembre 2011, nel sito www.ilcaso.it;
e FILOCAMO, in La legge fallimentare cit., p. 1965 s., ove ulteriori richiami
di dottrina e giurisprudenza, giustamente contrarie anche ad un'eventuale
rinnovazione della votazione.
131) In questo senso cfr. Trib. Firenze, 1° febbraio 2006, in Fallimento, 2006,
p. 379.
132) In questo senso cfr. GALLETTI, La revoca cit., p. 738 s.
133) Nel senso che in mancanza di opposizioni, quando i fatti rilevanti ex art.
173 legge fall. siano veicolati nel giudizio di omologazione dal parere del
commissario giudiziale non costituito in giudizio o da altri atti della
procedura utilizzabili dal tribunale, il diritto di difesa del debitore (o di
altre parti) non sarebbe garantito in misura equipollente a quella garantita
dall'art. 15 legge fall., cfr. FILOCAMO, in La legge fallimentare cit., sub
art. 180, p. 2041 ss., ivi p. 2066 s., ove ulteriori richiami.
134) Quando il commissario, dopo l'approvazione del concordato, rileva che sono
mutate le condizioni di fattibilità del piano, ne dà avviso ai creditori, i
quali (se assenzienti) possono modificare il voto costituendosi nel giudizio di
omologazione.
135) In questo senso, invece, FILOCAMO, in La legge fallimentare cit., p. 2067;
un diverso tentativo di coordinamento, fra l'art. 173 e l'art. 180, è quello
proposto da GALLETTI, La revoca cit., p. 739, secondo cui, ove la segnalazione
della fattispecie di revoca pervenga prima dell'avvio del giudizio di
omologazione, il collegio potrebbe provvedere a comunicarla a tutte le parti
interessate (creditori, anche non dissenzienti, debitore e pubblico ministero),
fissando, a sua discrezione secondo la percezione dell'urgenza, o apposita
udienza ai sensi dell'art. 173 o quella di cui all'art. 180 e in questo secondo
caso "dovranno essere poste in essere tutte le eventuali opposizioni,
dieci giorni prima, ed il procedimento proseguirà esclusivamente nelle forme
del giudizio di omologa"; ma non è chiaro da dove il tribunale attinga
quel potere discrezionale, il cui esercizio potrebbe comunque modificare le
regole processuali della revoca del concordato.
136) Conf. PENTA, La revoca cit., p. 740.
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