CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 11/03/2013 Scarica PDF
La continuazione e lo scioglimento dei contratti pendenti nel concordato preventivo
Paolo Felice Censoni, Professore di Diritto commerciale nell'Università di UrbinoSOMMARIO: 1. La nozione di "contratti in corso di esecuzione" - 2. Effetti sostanziali del concordato preventivo e sorte dei contratti pendenti - 3. Continuazione, sospensione e scioglimento dei contratti pendenti dopo il d.l. n. 83 del 2012 - 4. Le conseguenze dello scioglimento e della sospensione; in particolare, i contratti ad esecuzione continuata o periodica - 5. I contratti esclusi.
1. La nozione di "contratti in corso di esecuzione"
Il tema relativo alla sorte dei contratti pendenti nell'ambito di un Convegno
sulle "procedure" di composizione negoziale delle crisi richiede una
preventiva delimitazione dell'area da esplorare, almeno sotto un duplice
profilo.
Con riferimento alle procedure (si intende "concorsuali"), in
effetti, mi occuperò solo del concordato preventivo, sia perché gli accordi di
ristrutturazione - secondo l'opinione di gran lunga prevalente - non rientrano
propriamente in quella nozione (soprattutto per difetto dei caratteri di
universalità oggettiva e soggettiva, che sono tipici della concorsualità), sia
perché per gli stessi mancano disposizioni specifiche sul punto, salva
l'ipotesi prevista dall'ultima parte del sesto comma dell'art. 161 l. fall.
(introdotto dal d.l. n. 83 del 2012), allorché il debitore, che abbia
presentato una domanda di concordato preventivo "con riserva" (o, se
si preferisce, di "pre?concordato"), abbia successivamente optato,
nel termine fissatogli dal tribunale, per il deposito di una domanda di
omologazione di un accordo di ristrutturazione del passivo ai sensi dell'art.
182-bis l. fall., "con conservazione sino all'omologazione degli effetti
prodotti dal ricorso", ivi compresi anche quelli prodotti sui contratti in
corso, in applicazione dell'art. 169-bis l. fall. (di cui infra): norma dettata
appunto per il concordato preventivo; quanto poi ai rapporti pendenti il cui
adempimento costituisca "esecuzione" dell'accordo omologato ai sensi
dell'articolo 182-bis, anch'essi in caso di successivo fallimento potranno
beneficiare dell'esenzione da revocatoria e da responsabilità penale,
rientrando rispettivamente nelle fattispecie di cui all' art. 67, 3° comma,
lett. e) l. fall. ("atti") e di cui all'art. 217-bis l. fall.
("operazioni").
Con riferimento poi alla nozione (indefinita) di "contratti
pendenti", cioè dei "contratti in corso di esecuzione alla data della
presentazione del ricorso" (come si esprime l'art. 169-bis l. fall.), per
evitare indebite estensioni, la soluzione più razionale mi sembra quella di
ricorrere all'analoga nozione utilizzata dal legislatore nel primo comma
dell'art. 72 l. fall., che detta la regola generale con riferimento al
fallimento (in relazione al quale troviamo peraltro espressioni non sempre
coincidenti, quali i "rapporti giuridici preesistenti" nella rubrica
della sez. IV del capo terzo del titolo II; i "rapporti pendenti"
nella rubrica dell'art. 72 e nel sesto comma dell'art. 104-bis; i
"contratti pendenti" nel settimo comma dell'art. 104), nel senso che
debba trattarsi comunque di contratti a prestazioni corrispettive ancora
ineseguiti o non compiutamente eseguiti da entrambe le parti ad una certa data,
che nel fallimento coincide con il deposito (o l'iscrizione nel registro delle
imprese) della sentenza dichiarativa, mentre nel concordato preventivo coincide
con la semplice presentazione del ricorso (anche "con riserva"), in
sintonia con il decorso di altri effetti sostanziali di tale istituto, sia nei
confronti del debitore (artt. 161, 7° comma e 182-quinquies l. fall.), sia nei
confronti dei creditori (artt. 168 e 169 l. fall.).
D'altra parte la soluzione qui suggerita mi sembra ulteriormente giustificata
dall'espresso riferimento agli artt. 72, 8° comma, 72-ter e 80, 1° comma l.
fall. (tutti relativi agli effetti del fallimento sui rapporti giuridici
preesistenti)
contenuto nell'ultimo comma dell'art. 169-bis l. fall., sia pure per escludere
l'applicazione delle regole stabilite dai primi due commi a talune fattispecie
contrattuali (di cui infra); da essa derivano almeno due significativi
corollari2: il primo è che nella nozione indicata non possono rientrare i
rapporti (sinallagmatici) già interamente eseguiti da una delle due parti prima
della presentazione della domanda di concordato, dando luogo, nel caso di
adempimento da parte del contraente in bonis, ad un credito concorsuale per la
controprestazione dovutagli, sottoposto alle relative regole; e all'opposto,
nel caso di adempimento da parte del contraente concordatario, ad un credito di
quest'ultimo, da soddisfarsi per l'intero.
Il secondo è che nella nozione di "contratti in corso" non possono
rientrare neppure i rapporti già risolti prima della presentazione della
domanda di concordato, per qualunque motivo: per risoluzione consensuale; per
l'operatività di una clausola risolutiva espressa; o di una diffida ad
adempiere; o per la preesistenza di una domanda giudiziale di risoluzione.
Quanto a quest'ultima infatti non sarebbe ragionevole applicare al concordato
preventivo una regola diversa da quella stabilita per il fallimento dal quinto
comma dell'art. 72 l. fall., secondo cui "l'azione di risoluzione del
contratto promossa prima del fallimento nei confronti della parte inadempiente
spiega i suoi effetti nei confronti del curatore, fatta salva, nei casi
previsti, l'efficacia della trascrizione della domanda".
In generale, prima della riforma dell'art. 72 l. fall., si escludeva sia che il
contraente in bonis fosse legittimato a chiedere (e ad ottenere) nei confronti
della massa, dopo la dichiarazione di fallimento, la risoluzione per
inadempimento di cui agli artt. 1453 ss. c.c.; sia che il fallimento o lo stato
di insolvenza costituissero casi di forza maggiore o cause di sopravvenuta
impossibilità di adempiere ai sensi degli artt. 1256 e 1463 c.c.
In particolare, con riferimento all'ipotesi del venditore in bonis che avesse
già consegnato al compratore poi fallito la cosa venduta e che tentasse di
recuperarla con l'azione di risoluzione, si era osservato che, riconoscendo al
venditore, oramai divenuto creditore (concorsuale) per il prezzo, il diritto di
chiedere la risoluzione per inadempimento (e quindi la restituzione della cosa
venduta), si sarebbero violati due principi: tanto quello dell'indisponibilità
patrimoniale che consegue alla dichiarazione di fallimento e che grava anche
sul bene già consegnato al compratore fallito, quanto quello della par condicio
creditorum, poiché il venditore-creditore concorsuale si sarebbe visto
soddisfatto mediante la restituzione del bene, anziché nel concorso come tutti
gli altri.
A ciò si aggiungeva l'argomento tratto dall'inopponibilità reale della
pronuncia di risoluzione, sancita dalla disposizione dell'art. 1458 c.c.,
secondo cui la risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto
retroattivo tra le parti; e non pregiudica i diritti acquistati dai terzi (fra
i quali va compresa anche la massa creditoria fallimentare), salvi gli effetti
della trascrizione della domanda di risoluzione, per i contratti che hanno ad
oggetto beni immobili.
Peraltro, soprattutto in giurisprudenza, si era venuto consolidando un
orientamento diretto a riconoscere l'efficacia reale (sulle cose vendute al
fallito) delle azioni di risoluzione per inadempimento esercitate prima della
dichiarazione di fallimento e ancora in corso al momento di questa, sempre che,
trattandosi di beni immobili, la domanda fosse stata tempestivamente
trascritta; a tale conclusione si era soliti arrivare sulla base di vari
argomenti, tratti ora dal riconoscimento di un diritto quesito dell'altro
contraente alla risoluzione o dalla retroattività del giudicato alla data della
domanda, ora dalla prevalenza dell'art. 111, ult. comma c.p.c., che stabilisce
la regola dell'efficacia della sentenza nei confronti del successore a titolo
particolare nel diritto controverso, sull'art. 1458, 2° comma c.c., che
stabilisce invece la regola della salvezza dei diritti acquistati dai terzi
prima della risoluzione.
Ora il legislatore della riforma nel novellato art. 72 l. fall. ha finito per
avallare detto orientamento giurisprudenziale, consentendo di farne
applicazione analogica anche al concordato preventivo per risolvere il
conflitto fra la massa creditoria concorsuale e il contraente in bonis
adempiente, che abbia tempestivamente agito per la risoluzione prima della
presentazione della domanda di concordato, naturalmente a condizione che,
trattandosi di beni immobili, la domanda
giudiziale sia stata tempestivamente trascritta prima dell'iscrizione della
domanda di concordato nel registro delle imprese.
2. Effetti sostanziali del concordato preventivo e sorte dei contratti pendenti
In passato, prima delle recenti riforme della legge fallimentare3, prevaleva
largamente la tesi che il concordato preventivo (così come l'amministrazione
controllata, ora abrogata) non esercitasse alcuna influenza sui rapporti
giuridici preesistenti nel senso del loro scioglimento, non ritenendosi
applicabili all'istituto in esame gli artt. 72-83 l. fall., salva la facoltà
del contraente in bonis di sospendere la propria prestazione a norma dell'art.
1461 c.c., facoltà, solo a lui riconosciuta ed esercitabile in considerazione
del fatto che l'insolvenza dell'altro contraente, in mancanza di idonea
garanzia, sarebbe stata tale da porre in evidente pericolo il conseguimento
della controprestazione; con la conseguenza che il primo ben avrebbe potuto
reagire all'inadempimento del secondo, sia avvalendosi dei vari strumenti di
c.d. autotutela privata, quali appunto la sospensione dell'esecuzione della
prestazione o l'exceptio inadimpleti contractus di cui all'art. 1460 c.c. o il
recesso dal contratto di apertura di credito a norma dell'art. 1845 c.c.; sia
agendo per la risoluzione del contratto o per il risarcimento dei danni.
A sostegno di questa tesi, che negava al debitore qualunque facoltà di scelta
fra l'esecuzione e l'inesecuzione della prestazione su di lui incombente, in
relazione alla maggiore o minore convenienza economica del contratto rispetto
agli interessi della massa, venivano generalmente portati due argomenti: (a) la
mancanza nell'art. 169 l. fall. di un esplicito richiamo alle disposizioni
concernenti gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti,
indicativa di una precisa volontà del legislatore di disciplinare tali rapporti
alla stregua dei principi del diritto civile; (b) la constatazione che nel
concordato preventivo, nonostante l'accertamento dello stato di insolvenza
dell'imprenditore che vi avesse fatto ricorso, non si verificava quello
spossessamento che costituiva l'effetto caratteristico del fallimento, poiché
il debitore, a norma dell'art. 167 l. fall., conservava l'amministrazione dei
suoi beni e l'esercizio dell'impresa sotto la vigilanza del commissario
giudiziale [e in passato anche la direzione del giudice delegato]; e, in quanto
mantenuto a capo dell'impresa, poteva compiere tutti gli atti necessari allo
svolgimento della sua attività commerciale, mancando così il presupposto della
unitarietà della natura esecutiva delle due procedure.
Che tali argomenti conducessero a semplificare in modo disarmante i termini del
problema doveva apparire subito evidente solo che si ricordasse che la stessa
disciplina fallimentare dei rapporti giuridici preesistenti - in gran parte
frutto dell'elaborazione svolta sul punto dal Bonelli - era stata ricavata più
dagli artt. 802-806 c. co. che dallo spossessamento del patrimonio del
debitore, conseguenziale alla sentenza dichiarativa; anche storicamente perciò
lo spossessamento non era stato il solo terreno sul quale si erano sviluppati i
principi regolatori della materia in esame, anche se può condividersi
l'affermazione, fatta in dottrina4, che il legislatore del 1942 si sarebbe
limitato, in linea di massima, ad adattare al fallimento le soluzioni applicabili
in base al diritto comune ai conflitti fra contraente adempiente e creditori
del contraente inadempiente, rinunziando, dunque, a dettare una regola
uniforme, ma modulando la tutela del contraente in bonis a seconda dei diversi
schemi contrattuali e riconoscendo talvolta a quest'ultimo, rispetto ai
creditori, una posizione privilegiata, in considerazione del vincolo
sinallagmatico, che gli consentiva comunque di trattenere la prestazione da lui
dovuta (a garanzia del suo diritto alla controprestazione).
L'errore di quella opinione (pur largamente seguita) derivava dunque da una
visione parziale e superficiale della natura degli effetti sostanziali del
concordato preventivo, consistenti in verità, anche in passato (prima della
riforma dell'istituto), nell'imposizione sul patrimonio del debitore di un
vincolo specifico di destinazione al soddisfacimento dei creditori (mediante la
realizzazione del piano concordatario) per l'intera durata della procedura (e
nel caso di concordato con cessione dei beni anche durante la fase liquidatoria
successiva all'omologazione): un vincolo coattivo di natura esecutiva, ora a
maggior ragione predicabile a seguito del richiamo espresso nell'art. 169 l.
fall. all'art. 45 l. fall.: una disposizione quest'ultima collocata dal
legislatore non fra quelle relative agli effetti del fallimento per i
creditori, ma fra quelle relative agli effetti del fallimento per il fallito
(e, dunque, inerenti allo spossessamento fallimentare), in base alla quale
"le formalità necessarie per rendere opponibili gli atti ai terzi, se
compiute dopo la data della dichiarazione di fallimento, sono senza effetto
rispetto ai creditori".
Insomma, anche nel concordato preventivo le medesime formalità sono senza
effetto rispetto ai creditori (concorsuali), se compiute dopo la data di
presentazione della domanda.
Tuttavia, al di là della sorte delle formalità (o, per meglio dire, degli atti
per la cui opponibilità ai terzi la legge prevede il compimento di determinate
formalità), la norma richiamata (la cui disciplina viene comunemente estesa
dalle varie forme di pubblicità dichiarativa agli altri requisiti prescritti
dalla legge per l'opponibilità di un atto ai terzi o ai creditori, ancorché non
costituenti vere e proprie "formalità", quali appunto la certezza
della data della scrittura, il possesso, il godimento del bene, ecc.) riveste
un'importanza sistematica più ampia e generale per la qualificazione della
stessa natura degli effetti sostanziali del concordato preventivo, se è vero
che, secondo l'interpretazione prevalente, essa avrebbe per scopo quello di
estendere alla materia fallimentare le disposizioni dettate dal codice civile a
proposito degli effetti del pignoramento (artt. 2914 ss.), conducendo, insieme
all'art. 44 l. fall. (corrispondente all'art. 2913 c.c.), all'equipollenza di
pignoramento e sentenza dichiarativa di fallimento.
Se si riconosce allora che l'art. 45 l. fall. avrebbe tale scopo, occorre
ugualmente ammettere che, che in forza dell'equiparazione del vincolo
concordatario a quello pignoratizio, anche nel concordato preventivo i
creditori possono beneficiare di una tutela simile a quella predisposta dal
codice civile per il creditore pignorante nell'ambito dell'esecuzione
ordinaria: una tutela cioè realizzata mediante l'imposizione sui beni del
patrimonio del debitore concordatario di un vincolo specifico di destinazione
di essi al soddisfacimento dei creditori concorsuali, senza che possa avere
alcun rilievo il mantenimento del debitore concordatario nella gestione della
sua impresa.
Per l'ipotesi di concordato con cessione dei beni tale conclusione è poi
ulteriormente rafforzata dall'argomento tratto dal richiamo espresso nell'art.
182 l. fall. agli artt. da 105 a
108-ter l. fall., cioè a quel complesso di norme che disciplinano le vendite
dei beni nel fallimento e che rappresentano una delle principali spie della
natura esecutiva del vincolo fallimentare impresso dalla sentenza dichiarativa
sul patrimonio del debitore, tanto che anche le Sezioni unite della Corte di
cassazione (con la sentenza del 16 luglio 2008, n. 195065) hanno giustamente
tratto argomento dalla nuova formulazione dell'art. 182 l. fall. per la
conferma dell'assimilabilità della fase esecutive del concordato preventivo con
cessio bonorum - pur con le ovvie peculiarità derivanti dalla sua origine
negoziale - ad un procedimento di vendita coatta.
3. Continuazione, sospensione e scioglimento dei contratti pendenti dopo il
d.l. n. 83 del 2012
In tale contesto è ora intervenuto in materia il d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv.
con modificazioni con l. 7 agosto 2012, n. 134, proponendo una soluzione
apparentemente di compromesso fra quelle esposte negli anni precedenti, ma
sostanzialmente assimilabile a quella prevista dal settimo comma dell'art. 104
l. fall. per il caso di esercizio provvisorio dell'impresa nel fallimento
(secondo cui "durante l'esercizio provvisorio i contratti pendenti
proseguono, salvo che il curatore non intenda sospenderne l'esecuzione o
scioglierli"): anche qui dunque, come nel fallimento, il legislatore ha
dettato una regola generale: quella contenuta nell'art. 169-bis l. fall.,
integrato dall'art. 186-bis, 3°, 4° e 5° comma l. fall. (per l'ipotesi di
concordato con continuità aziendale) e, per i profili che vedremo più avanti,
anche (almeno in parte) dal quarto comma dell'art. 182-quinquies l. fall.
In particolare, la prima delle norme sopra richiamate dispone nel primo comma
che "il debitore nel ricorso di cui all'articolo 161 può chiedere che il
tribunale o, dopo il decreto di ammissione, il giudice delegato lo autorizzi a
sciogliersi dai contratti in corso di esecuzione alla data della presentazione
del ricorso. Su richiesta del debitore può essere autorizzata la sospensione
del contratto per non più di sessanta giorni, prorogabili una sola volta".
Dunque, venendo incontro alla soluzione in precedenza largamente prevalente in
dottrina e in giurisprudenza sulla sorte dei contratti pendenti, il legislatore
ne ha sì (indirettamente) disposto la continuazione; ma nel contempo, aderendo
anche alle opinioni più selettive, ha concesso al debitore concordatario (così
come aveva concesso al curatore fallimentare nell'art. 104 l. fall., in caso di
esercizio provvisorio) il potere di provocare - sia pure con l'autorizzazione
del tribunale o (dopo l'ammissione alla procedura) del giudice delegato - la
sospensione della loro esecuzione per non più di sessanta giorni, prorogabili
una sola volta; o persino il loro scioglimento (non esteso tuttavia alle
eventuali clausole compromissorie in essi contenute).
Due considerazioni preliminari si impongono.
Innanzitutto mi pare difficilmente contestabile (anche se non è mancata qualche
isolata voce contraria6) che la norma, almeno in astratto, sia applicabile ad
ogni ipotesi di preconcordato: infatti il generico e unitario riferimento al
"ricorso di cui all'articolo 161" non consente di escludere
dall'ambito dell'esercizio delle facoltà previste a favore del contraente
concordatario dall'art. 169-bis la presentazione di una domanda "con
riserva", anche se per questa è opportuno tener conto di alcune
precondizioni (di cui infra).
In secondo luogo bisogna verificare che l'atto dal quale il rapporto ha avuto
origine sia opponibile alla massa a norma dell'art. 45 l. fall. (richiamato
dall'art. 169 l. fall.): è necessario cioè che prima dell'iscrizione della
domanda nel registro delle imprese (che il cancelliere dovrebbe eseguire
"entro il giorno successivo al deposito in cancelleria": art. 161, 5°
comma l. fall.) - iscrizione dalla quale decorrono gli effetti del concordato
per i creditori (art. 168 l. fall.) e dunque, più in generale, anche quelli nei
confronti dei terzi - siano state compiute le formalità previste dalla legge
per l'opponibilità del contratto pendente ai terzi.
L'art. 45 l. fall. fissa un principio di carattere generale, che riguarda però
anche i rapporti giuridici pendenti, nel senso che, ove l'atto dal quale il
rapporto ha avuto origine non sia opponibile alla massa per difetto di
(tempestiva) formalità, il curatore fallimentare (e ugualmente il debitore concordatario)
che intenda sottrarsi agli obblighi previsti dal contratto non ha nessuna
necessità di provocarne lo scioglimento, ben potendo limitarsi a richiamare (ed
eccepire) quella disposizione; ciò che vale anche per l'ipotesi di
continuazione ex lege del rapporto pendente.
E' poi superfluo aggiungere che, poiché l'inopponibilità di cui all'art. 45 l.
fall. è stabilita (solo) nell'interesse della massa, nulla impedisce al
curatore fallimentare (e ugualmente al debitore concordatario), che intenda,
invece, subentrare nel rapporto pendente, di non avvalersi di quel potere.
A prima vista può apparire (quanto meno) singolare che il debitore
concordatario, che è parte nel rapporto pendente, possa esercitare,
nell'interesse della massa, una facoltà che, in quanto diretta a far valere
l'inopponibilità di un atto ai terzi, è normalmente riservata ai creditori
(tanto da essere attribuita, in caso di fallimento, al curatore fallimentare,
appunto nella sua veste di "terzo"); e certamente sarebbe stato più
che mai opportuno prevedere, nell'ambito delle riforme succedutesi nel tempo,
un istituto simile alla "gestione commissariale" dell'impresa in
amministrazione controllata (ora abrogata) di cui all'art. 191 l. fall.7; ma,
anche prescindendo dalla tesi (proposta soprattutto in passato) tendente a
considerare lo stesso debitore concordatario quale "organo" della
procedura (tesi che però recentemente ha trovato un insperato appiglio
normativo nell'art. 3, 2° e 3° comma del d.lgs. n. 122 del 2005, di cui pure
infra), il richiamo dell'art. 45 l. fall. nell'art. 169 l. fall. non lascia
adito ad interpretazioni diverse da quella sopra esposta, configurando anzi un
potere-dovere del debitore di tutelare, nel corso della procedura, gli
interessi dei propri creditori, utilizzando tutti gli strumenti che
l'ordinamento gli affida, da quello riguardante l'inopponibilità di atti o di
domande giudiziali in violazione dell'art. 45 l. fall. a quello riguardante la
nullità di eventuali azioni esecutive o cautelari sul suo patrimonio (art. 168,
1° comma l. fall.) e a quello riguardante l'inefficacia di eventuali ipoteche
giudiziali iscritte da qualche creditore concorsuale nei novanta giorni che
precedono la data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese
(art. 168, 3° comma, ultima parte l. fall.).
Come detto, alla disposizione dell'art. 169-bis l. fall. il legislatore ha
aggiunto, per i concordati "con continuità aziendale" (cioè con
"prosecuzione dell'attività di impresa", ivi comprese le ipotesi di
cessione dell'azienda in esercizio o il conferimento di questa in una o più
società, anche di nuova costituzione), quella dell'art. 186-bis, 3° comma,
prima parte l. fall., secondo cui, "fermo quanto previsto nell'articolo
169-bis, i contratti in corso di esecuzione alla data di deposito del ricorso,
anche stipulati con pubbliche amministrazioni, non si risolvono per effetto
dell'apertura della procedura".
A ben vedere tale norma altro non fa che riaffermare la regola generale della
continuazione dei contratti ("non si risolvono") indirettamente
contenuta nella prima, che non viene derogata ("fermo quanto previsto
nell'articolo 169-bis"), cosicché ben potrebbe il debitore concordatario
chiederne la sospensione o lo scioglimento con l'autorizzazione del tribunale o
del giudice delegato; l'unica novità semmai è ravvisabile nella proposizione
successiva: "sono inefficaci eventuali patti contrari", analogamente
a quanto stabilito nel fallimento dal sesto comma dell'art. 72 l. fall.
("sono inefficaci le clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione
del contratto dal fallimento"); ma ci si potrebbe legittimamente domandare
perché mai quest'ultima precisazione debba valere solo nel concordato con
continuità aziendale e non in ogni caso di concordato preventivo, anche meramente
liquidatorio (nel quale comunque la sopravvivenza del contratto è la regola),
se invece nel fallimento, che è la procedura liquidatoria per eccellenza,
quella inefficacia vale sempre, senza distinzioni.
Probabilmente la ratio della disposizione in esame (apparentemente inutile,
posto che, se il contratto continua, evidentemente non si risolve) va cercata
nel successivo e ampio riferimento ai contratti stipulati con pubbliche
amministrazioni, ai quali sono dedicati sia la seconda parte del terzo comma,
sia i successivi quarto e quinto comma dell'art. 186-bis l. fall.
In particolare (in deroga alla disposizione dell'art. 38 d.lgs. 12 aprile 2006,
n. 163) l'ammissione al concordato:
a) "non impedisce la continuazione di contratti pubblici" (anche da
parte di società cessionaria o conferitaria di azienda o di rami di azienda cui
i contratti siano trasferiti, nel qual caso "il giudice delegato, all'atto
della cessione o del conferimento, dispone la cancellazione delle iscrizioni e
trascrizioni"), a condizione che un professionista designato dal debitore
e in possesso dei requisiti, anche di indipendenza, stabiliti nell'art. 67, 3°
comma, lett. d) l. fall. ne abbia attestato la "conformità al piano e la
ragionevole capacità di adempimento";
b) "non impedisce la partecipazione a procedure di assegnazione di
contratti pubblici", anche qui alla condizione precedente e
subordinatamente alla presentazione della dichiarazione di altro operatore in
possesso dei requisiti di carattere generale, di capacità finanziaria, tecnica,
economica nonché di certificazione, richiesti per l'affidamento dell'appalto
(oppure, quando il debitore concordatario partecipa ad un'associazione
temporanea di imprese, subordinatamente alla presentazione della dichiarazione
di altro operatore facente parte del raggruppamento), il quale si impegni nei
confronti del concorrente e della stazione appaltante "a mettere a
disposizione, per la durata del contratto, le risorse necessarie all'esecuzione
dell'appalto e a subentrare all'impresa ausiliata" in caso di fallimento
del concorrente nel corso della gara o dopo la stipulazione del contratto; o in
caso di incapacità di dare regolare esecuzione all'appalto (è questa la c.d.
procedura di avvalimento).
Inoltre l'impresa in concordato, ricorrendo i presupposti di cui sopra
("fermo quanto previsto dal comma precedente"), "può concorrere
[a procedure di assegnazione di contratti pubblici] anche riunita in
raggruppamento temporaneo di imprese, purché non rivesta la qualità di
mandataria e sempre che le altre imprese aderenti al raggruppamento non siano
assoggettate a una procedura concorsuale".
Quanto a quest'ultima condizione non è chiaro se, ad escludere l'impresa
concordataria (che rivesta la qualità di mandante) dal concorso, basti che una
sola delle altre imprese mandanti, aderenti al raggruppamento, sia assoggettata
a sua volta a una procedura concorsuale (non importa quale); o se sia
necessario che tutte "le altre imprese aderenti" si trovino nella
situazione ipotizzata (naturalmente ad eccezione della mandataria).
E' incontestabile che per espressa volontà del legislatore l'impresa in
concordato non può rivestire nel raggruppamento la qualità di mandataria al
fine di concorrere a procedure di assegnazione di contratti pubblici; ma, se
l'assegnazione è già avvenuta e il contratto è in corso, dovrebbe valere il
principio generale enunciato nella prima parte del terzo comma dell'art.
186-bis l. fall.: cioè la continuazione del contratto, soggetta solo
all'attestazione del professionista qualificato e indipendente, finendo per
introdurre una distinzione alquanto irrazionale fra l'ipotesi che il contratto
sia già in corso (in cui l'impresa mandataria può continuare ad operare) e
quella che l'appalto pubblico sia ancora fermo alla fase preliminare della partecipazione
alla procedura di assegnazione (in cui viceversa il raggruppamento di imprese
deve trovarsi una nuova mandataria).
Detto questo, va subito aggiunto come la formulazione approssimativa delle
norme fin qui esaminate, lungi dall'aver offerto una disciplina esaustiva della
sorte dei contratti in corso di esecuzione nel concordato preventivo, così da
lasciare irrisolte molte delle precedenti problematiche, ponga comunque una
nutrita serie di interrogativi, dei quali occorre dar conto, essendo già emersi
in sede di prima applicazione delle nuove disposizioni.
Il primo e principale interrogativo è quello che deriva dalla mancanza di
qualsiasi indicazione, da parte del legislatore, dei criteri alla stregua dei
quali il tribunale (o il giudice delegato) dovrebbe valutare la richiesta del
debitore di autorizzazione alla sospensione o allo scioglimento del contratto
pendente.
Ora se, per un verso, è vero che, una volta depositati proposta e piano
(contestualmente o meno alla domanda di concordato) quella richiesta può
indubbiamente essere valutata (se non altro) sotto il profilo della coerenza (o
sotto quello della "fattibilità giuridica") rispetto al piano
concordatario progettato dal debitore, per un altro verso è evidente che, in
caso di domanda "con riserva" priva di qualunque indicazione (sia
pure approssimativa) di ciò che il debitore intende fare, al tribunale non
sarebbe possibile né valutarla, né motivare, a sua volta, l'eventuale
provvedimento di autorizzazione, destinato evidentemente ad incidere in vario
modo sulla sfera giuridica del contraente in bonis, tanto per la semplice
sospensione della prestazione (come pure si dirà), quanto (e a maggior ragione)
per l'eventuale scioglimento del contratto; tanto più che il debitore potrebbe
anche decidere poi di abbandonare la soluzione concordataria, per abbracciare
quella dell'accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell'art. 182-bis
l. fall., come il sesto comma dell'art. 161 l. fall. gli consente di fare.
Dunque è da condividere la tesi che la richiesta di autorizzazione alla
sospensione o allo scioglimento sia (non solo motivata8, ma anche) accompagnata
dall'indicazione dei caratteri di massima del concordato preventivo che si
intende proporre9 (ad esempio, la cessione dei beni), con una comparazione (sia
pure) approssimativa degli oneri (in prededuzione) che conseguirebbero alla
prosecuzione del rapporto con quelli (in concorso, come ugualmente si dirà) che
conseguirebbero allo scioglimento anticipato dello stesso: comparazione tanto
più necessaria se il concordato è con "continuità aziendale", sia
perché lì la prosecuzione o lo scioglimento di un qualsiasi contratto (ad
esempio, contratti aventi ad oggetto la locazione dei locali dell'impresa
oppure la fornitura di beni o servizi essenziali oppure contratti di leasing
aventi ad oggetto apparecchiature o macchinari necessari allo svolgimento
dell'attività) possono incidere in modo più o meno rilevante sulla stessa
continuità aziendale, sia perché il piano di concordato, a sua volta, deve
contenere tutte le indicazioni aggiuntive previste dall'art. 186-bis, 2° comma,
lett. a) l. fall., fra le quali particolare peso possono assumere i
"costi" della conservazione dei contratti e le relative
"modalità di copertura".
Non sono viceversa da condividere né la tesi che pretenderebbe di escludere del
tutto e pregiudizialmente l'applicazione dell'art. 169-bis l. fall. fino a
quando il debitore non abbia adempiuto all'onere di depositare, dopo la domanda
"con riserva", la proposta, il piano concordatario e la
documentazione; né quella che pretenderebbe di consentire, fino a tale
adempimento, esclusivamente la sospensione (ma non lo scioglimento)10.
Entrambe mi sembrano non solo infondate, ma anche irrazionali; infondate perché
l'art. 169-bis l. fall. non distingue affatto né la domanda "con
riserva" da quella ordinaria (o completa), né la facoltà di sospensione
del contratto da quella del suo scioglimento, ma al contrario, nel fare
generico e onnicomprensivo riferimento al "ricorso di cui all'articolo
161", non ne consente una lettura riduttiva11; irrazionali perché, in
mancanza di tempestiva richiesta da parte del debitore nel senso della
sospensione o dello scioglimento, in relazione alle scadenze contrattuali delle
contrapposte prestazioni, la prosecuzione dell'esecuzione del contratto,
unitamente alla prededucibilità del credito del contraente in bonis, potrebbe
aggravare ulteriormente il passivo dell'impresa e, in taluni casi, potrebbe
persino finire per trasformare crediti concorsuali pregressi in crediti verso
la massa (come nel caso di unitarietà del sinallagma funzionale), riducendo le
aspettative di soddisfacimento dei creditori concorsuali ed eventualmente la
stessa realizzabilità del progetto che il debitore aveva programmato di
proporre a costoro.
Altro è invece imporre al debitore di motivare adeguatamente la sua richiesta,
facendo (sia pur sommaria) disclosure delle proprie intenzioni e avviando la
progettazione del piano su un terreno di concretezza; e anzi, da questo punto
di vista, poiché medio tempore fra la presentazione della domanda e l'apertura
del procedimento di concordato la tutela degli interessi dei creditori è
rimessa anche alla diligenza del debitore proponente, potrebbe persino
configurarsi un dovere di quest'ultimo di attivarsi per liberare il patrimonio
assoggettato al vincolo concordatario dagli oneri derivanti dall'eventuale
esecuzione di taluni rapporti in corso non compatibili con la situazione di
crisi o di insolvenza in cui versa la sua impresa, per non pregiudicare la garanzia
patrimoniale dei creditori medesimi e non incorrere in eventuali
responsabilità.
Anche sotto altro profilo la formulazione della norma ("il debitore nel
ricorso di cui all'art. 161 può chiedere") appare ambigua, non essendo
chiaro se la relativa istanza di autorizzazione alla sospensione o allo
scioglimento del contratto in corso debba essere necessariamente proposta dal
debitore nel contesto del ricorso introduttivo; o se possa essere proposta
anche successivamente o al tribunale (prima della decisione sull'ammissione al
concordato) o al giudice delegato, come lascerebbe intendere il riferimento a
quest'ultimo, che, come si sa, viene nominato appunto con il decreto di
ammissione; o se solo la sospensione possa essere chiesta (al tribunale o al
giudice delegato) successivamente al ricorso introduttivo con autonoma istanza,
come lascerebbe intendere la seconda proposizione del primo comma dell'art.
169-bis l. fall., separata dalla prima col punto.
Ragionevolmente appare preferibile ritenere che l'istanza possa essere proposta
anche successivamente al ricorso introduttivo, soprattutto se si parte dal
presupposto che il debitore debba prima fare (sia pur sommaria) disclosure
delle proprie intenzioni sulla proposta concordataria; ma è evidente che ciò
debba avvenire comunque in tempi molto rapidi e possibilmente prima della
scadenza delle reciproche obbligazioni, perché nel frattempo il contratto
continua e l'esecuzione da parte del contraente in bonis della prestazione da
lui dovuta finirebbe per gravare della controprestazione il patrimonio del
debitore concordatario, già assoggettato ad un vincolo di natura coattiva.
Sempre con riferimento alla formulazione della norma ci si potrebbe chiedere se
le facoltà ivi previste siano alternative (nel senso che l'istanza diretta alla
sospensione escluda la successiva riproposizione di un'istanza diretta allo
scioglimento, mentre quest'ultima è chiaramente assorbente dell'altra); oppure
se le stesse siano eventualmente cumulabili, nel senso che il debitore
concordatario possa chiedere in un primo momento la semplice sospensione del
contratto; e in un secondo momento, ma comunque prima della scadenza del
termine di sospensione concesso dal tribunale o dal giudice delegato,
l'autorizzazione allo scioglimento; quest'ultima - se si tiene conto della
separazione, nel dettato normativo del primo comma dell'art. 169-bis, delle due
proposizioni (quella riguardante lo scioglimento e quella riguardante la
sospensione) - mi pare la soluzione migliore, soprattutto nell'ipotesi di domanda
"con riserva", concedendo al debitore più tempo per verificare
l'eventuale incompatibilità del rapporto in corso con il piano concordatario in
fieri e per motivare adeguatamente la successiva istanza diretta al suo scioglimento.
D'altra parte non si può non sottolineare come anche la sospensione imponga
comunque al contraente in bonis un sacrificio, obbligando lo stesso a tenersi
pronto ad adempiere per tutto il periodo concesso (fino a sessanta giorni o
fino a centoventi giorni in caso di proroga): un termine indubbiamente molto
lungo e potenzialmente anche più lungo di quello concesso al curatore, messo
"in mora" dal contraente in bonis a norma del secondo comma dell'art.
72 l. fall., per decidere se subentrare nel rapporto o sciogliersi da esso.
4.- Le conseguenze dello scioglimento e della sospensione; in particolare, i
contratti ad esecuzione continuata o periodica
Ma aporie ancora più evidenti sono quelle registrabili nelle due proposizioni
(anch'esse separate dal punto) del secondo comma dell'art. 169-bis l. fall.,
relativamente alle conseguenze della scelta del debitore concordatario, sia
essa nel senso dello scioglimento, sia essa nel senso della sospensione
("in tali casi"): scelta che fa sorgere in capo all'altro contraente
il diritto ad un "indennizzo equivalente al risarcimento del danno
conseguente al mancato adempimento", ma da soddisfarsi "come credito
anteriore al concordato".
Innanzitutto va osservato che, se l'art. 169-bis attribuisce al debitore
concordatario la facoltà ("può") di chiedere che il tribunale o il
giudice delegato lo autorizzi a sciogliersi da un rapporto pendente o a
sospenderne l'esecuzione, è da escludere che, una volta concessa
l'autorizzazione, l'esercizio di quella facoltà e il mancato (o il ritardato)
adempimento costituiscano vero e proprio "inadempimento", fonte di
risarcimento del danno, comprendente il danno emergente (la perdita subìta) e
il lucro cessante (il mancato guadagno), secondo i principi generali enunciati
negli artt. 1218 e 1223 c.c.
Non diversamente nel fallimento l'esercizio da parte del curatore della facoltà
di sciogliersi da un contratto e a maggior ragione quella di lasciarlo in stato
di sospensione (artt. 72, 1° comma e 104, 7° comma l. fall.) non hanno nulla in
comune con l'inadempimento, tant'è che coerentemente il quarto comma dell'art.
72 concede al contraente adempiente non il diritto al risarcimento del danno
conseguente all'esercizio da parte del curatore della facoltà di scioglimento,
ma solo quello "di far valere nel passivo il credito conseguente al
mancato adempimento", cioè il credito per le eventuali restituzioni e
semmai il risarcimento dei danni derivati dall'inadempimento del debitore
anteriormente all'apertura del fallimento (come d'altra parte è sempre stato
pacifico in dottrina e in giurisprudenza anche nel passato più remoto); e allo
stesso principio si ispira il settimo comma dell'art. 72 con riferimento allo
scioglimento del contratto preliminare di vendita immobiliare trascritto.
Tutt'al più, quando una norma lo preveda espressamente, all'esercizio del
potere del curatore fallimentare di sciogliersi o di "recedere" dal
rapporto può corrispondere a favore del contraente in bonis (non il diritto al
risarcimento del danno, ma) un "equo compenso", come nel caso dello
scioglimento del contratto di vendita con riserva di proprietà, nel fallimento
del compratore (art. 73, 1° comma l. fall.), o un "equo indennizzo",
come nel caso del recesso dal contratto di locazione di immobili, nel
fallimento del locatore o del conduttore (credito che però deve essere
soddisfatto "in prededuzione": art. 80 l. fall.).
Ma l'equo compenso o l'equo indennizzo non hanno nulla a che vedere con il
risarcimento del danno da inadempimento: quindi l'equivalenza operata nel
secondo comma dell'art. 169-bis fra "indennizzo" e "risarcimento del danno conseguente al
mancato adempimento" è giuridicamente priva di senso.
Una ulteriore aporia è poi quella contenuta nella seconda proposizione della
norma in esame, relativamente all'attribuzione della natura concorsuale al
credito per il c.d. indennizzo (id est per il risarcimento del danno da
inadempimento), sulla quale il legislatore si è esibito in un vero e proprio
gioco di prestigio.
Infatti è opinione comune che la concorsualità di un credito sia in generale
legata all'anteriorità della radice causale del titolo da cui lo stesso trae
origine rispetto all'inizio della procedura concorsuale, come - con appropriato
riferimento agli effetti sostanziale del concordato preventivo - può desumersi
agevolmente dall'art. 167, 2° comma l. fall. ("creditori anteriori al
concordato") o dall'art. 168, 1° e 3° comma l. fall. ("creditori per
titolo o causa anteriore" [alla data della pubblicazione del ricorso nel
registro delle imprese]; "creditori anteriori al concordato") o
dall'art. 184, 1° comma l. fall. ("creditori anteriori alla pubblicazione
nel registro delle imprese del ricorso di cui all'art. 161"); è quello il
momento in cui cala il sipario e dal quale tutti i crediti concorsuali,
chirografari o muniti di diritti di prelazione, scaduti o non scaduti,
pecuniari o non pecuniari, fruttiferi o infruttiferi subiscono le
trasformazioni dipendenti dalla c.d. liquidazione del passivo, mutuata
(nell'art. 169 l. fall.) da quella fallimentare, salvo stabilire se il giorno
da considerare sia quello della "presentazione della domanda" (art.
169) o verosimilmente quella della "pubblicazione del ricorso nel registro
delle imprese" (art. 168, 1° comma).
E' vero che non qualunque credito che ha causa o titolo anteriore a quel momento
ha natura esclusivamente concorsuale: basti qui ricordare i numerosi casi di
crediti sorti anteriormente - e quindi geneticamente concorsuali - ma
considerati dal legislatore stesso (o parificati ai) prededucibili non solo nel
concordato preventivo, ma anche nell'eventuale fallimento consecutivo (come
dimostrano, in generale, il secondo comma dell'art. 111 l. fall. - per il quale
"sono considerati crediti prededucibili quelli così qualificati da una
specifica disposizione di legge, e quelli sorti [...] in funzione delle procedure concorsuali" - ed, in particolare, il secondo e il terzo
comma dell'art. 182-quater l. fall.).
Ma è altrettanto vero che tutto ciò che ha causa o titolo posteriore a quel
momento può solo dar luogo o ad un credito prededucibile, nelle ipotesi e alle
condizioni stabilite dalla legge (come accade, ad esempio, per i crediti sorti
dopo il deposito del ricorso introduttivo "per effetto degli atti
legalmente compiuti dal debitore": art. 161, 7° comma l. fall.); o ad un
credito inopponibile alla massa creditoria concorsuale (come deve affermarsi
per i crediti sorti dopo l'apertura del concordato per effetto di atti di
straordinaria amministrazione privi dell'autorizzazione scritta del giudice
delegato: art. 167, 2° comma l. fall.): natura che poi quel credito manterrebbe
anche nell'eventuale fallimento consecutivo.
Anche prima della riforma della legge fallimentare era stato più volte
affermato12 che, nel caso in cui, pendendo il rapporto, l'inadempimento del
debitore concordatario fosse intervenuto nel corso o per effetto della
procedura, il contraente in bonis sarebbe stato legittimato a chiedere il
risarcimento del danno, la cui obbligazione, nascendo nel momento
dell'inadempimento, quindi successivamente all'inizio della procedura, sarebbe
stata sottratta tanto alla falcidia concordataria, quanto al divieto di azioni
esecutive di cui all'art. 168 l. fall., non distinguendosi prevalentemente (ma
non senza qualche contrasto sul punto) fra l'inadempimento determinato dalla
sola scelta del debitore e quello determinato dalla eventuale decisione del
giudice delegato di non autorizzare l'esecuzione del rapporto giuridico
preesistente rientrante nell'ambito della straordinaria amministrazione.
Si era osservato, a questo proposito, che, se si riteneva che il contratto
pendente dovesse essere eseguito interamente dal contraente in concordato,
sarebbe stato inammissibile assoggettare al concorso il credito del contraente
in bonis, fosse esso relativo alla prestazione dedotta nel contratto ovvero al
risarcimento del danno conseguente all'inadempimento, poiché obbligo di
esecuzione significava qui obbligo di tenere indenne il terzo dalle conseguenze
del concorso e quindi diritto di quest'ultimo al risarcimento integrale13.
In effetti anche dopo la riforma della legge fallimentare il credito del
contraente in bonis per il risarcimento dei danni conseguenti all'inadempimento
del debitore avrebbe dovuto sottostare ai medesimi principi: se l'inadempimento
del debitore è anteriore al concordato, lo stesso va trattato come concorsuale;
se invece è posteriore, quel credito dovrebbe essere considerato
prededucibile14, naturalmente a condizione che il contratto rimasto inadempiuto
sia opponibile alla massa: ciò che, prima dell'intervento del legislatore con
il d.l. n. 83 del 2012, era dato per ammesso, nel presupposto della
sopravvivenza dei rapporti pendenti nel concordato preventivo, tanto da
ritenere che il debitore, il quale intendesse lasciare inadempiuto il contratto
in corso, dovesse valutare comparativamente se l'onere finanziario
dell'esecuzione della sua obbligazione fosse maggiore o minore rispetto a
quello per il risarcimento dei danni da mancato adempimento.
Ed è qui appunto che è intervenuta con il d.l. n. 83 del 2012 l'eccezionale
trasformazione di un credito naturalmente prededucibile in un credito
concorsuale (generalmente chirografario): quindi con diritto di voto, salvo
stabilire (se contestato) come e per quale importo inserirlo nell'elenco di cui
all'art. 161, 2° comma, lett. b) l. fall. e nel piano concordatario e come e
per quale importo ammetterlo alla votazione, sempre che lo scioglimento del
rapporto avvenga in un momento anteriore all'adunanza dei creditori.
Ma interrogativi non meno giustificati potrebbero porsi anche con riferimento
ai contratti di durata e in particolare a quelli ad esecuzione continuata o
periodica (come, ad esempio, i contratti di somministrazione) per le consegne
già avvenute o per i servizi già erogati (non nell'ipotesi di scioglimento del
rapporto, ma) allorché - secondo la regola generale - il contratto continui,
trattandosi di stabilire se il credito del contraente in bonis maturato prima
dell'iscrizione della domanda di concordato nel registro delle imprese debba
essere considerato concorsuale o prededucibile.
Nel fallimento, prima della riforma, della sorte della vendita a consegne
ripartite e della somministrazione si occupava l'art. 74 l. fall., per
estendere a tali figure contrattuali le disposizioni dell'art. 72 l. fall.:
quindi la facoltà del curatore di scegliere se subentrare nel contratto o
sciogliersi dallo stesso, attribuendo eccezionalmente natura prededucibile al
credito del venditore o del somministrante in bonis per le consegne già
avvenute o per i servizi già erogati, in forza dell'unitarietà della causa che
nei contratti in esame lega le prestazioni nel loro insieme.
Ora la norma, che non fa più riferimento espresso alla disciplina dell'art. 72
l. fall., è stata estesa a tutti i contratti di durata, stabilendo che,
"se il curatore subentra in un contratto ad esecuzione continuata o
periodica deve pagare integralmente il prezzo anche delle consegne già avvenute
o dei servizi già erogati".
A sua volta, come detto in precedenza, il settimo comma dell'art. 104 l. fall.,
per l'ipotesi di esercizio provvisorio dell'impresa, stabilisce che (tutti) i
contratti "pendenti" proseguono nel fallimento, salvo che il curatore
non intenda sospenderne l'esecuzione o scioglierli.
Quindi anche i contratti di durata e in particolare quelli ad esecuzione continuata
o periodica, se è disposto l'esercizio provvisorio, continuano ex lege (salvo
che il curatore intenda
liberarsene); mentre, se si resta al di fuori dell'esercizio provvisorio,
continuano solo se il curatore decide di subentrare.
Il fatto che la continuazione dipenda direttamente dalla volontà del
legislatore piuttosto che da quella del curatore dovrebbe razionalmente
condurre alle medesime conseguenze per entrambe le ipotesi, anche per ciò che
riguarda la natura dei crediti del contraente in bonis per le consegne già
avvenute o per i servizi già erogati; infatti in ambedue il curatore ha
comunque lo strumento per liberarsi, a tutela della massa, di un contratto
oneroso e per non gravare l'attivo fallimentare della prededucibilità di quei
crediti (naturalmente concorsuali): in un caso manifestando espressamente la
volontà di scioglierlo, nell'altro bastando non manifestare espressamente una
volontà di subingresso al fallito.
Sorprendentemente, invece, la Corte di cassazione, con la sentenza 19 marzo 2012,
n. 430315, richiamandosi ad altri suoi precedenti (Cass., Sez. un., 22 maggio
1996, n. 4715; e Cass., 12 gennaio 2001, n. 396), tutti peraltro riferiti alla
disciplina anteriore alla riforma, ha eluso quella equivalenza, ritenendo che i
crediti del somministrante in bonis per le consegne già avvenute e per i
servizi già erogati prima dell'avvio del fallimento con esercizio provvisorio,
in cui l'esecuzione del contratto era proseguita, debbano essere considerati
concorsuali, sia per la natura eccezionale della disposizione contenuta
nell'art. 74 l. fall., sia per la necessità di considerare prededucibili a
norma dell'ottavo comma dell'art. 104 l. fall. (interpretato in senso
limitativo), solo i crediti sorti nel corso dell'esercizio provvisorio, quanto meno
laddove (come nel contratto di somministrazione e a differenza dalla vendita a
consegne ripartite) le singole prestazioni siano "tra di loro indipendenti
e distinte" e dirette ad appagare "interessi strutturalmente autonomi
del creditore" (così in effetti si erano espresse le Sezioni unite con
riferimento alla disciplina previgente).
A parte l'opinabilità (in sede fallimentare) di detta conclusione (che a mio
avviso non tiene conto fino in fondo della improvvida estensione della
disposizione dell'art. 74 a tutti i contratti di durata), in verità nell'ambito
del concordato preventivo, ai crediti del contraente in bonis per le consegne
già avvenute o per i servizi già erogati può certamente attribuirsi natura
concorsuale (salve semmai le ipotesi di indiscutibile unitarietà della causa
che lega insieme le varie prestazioni, come nella vendita a consegne
ripartite), se non altro perché qui non esiste una norma equivalente all'art.
74 l. fall.
D'altra parte, una conferma indiretta la si può ricavare anche dalla
disposizione del quarto comma dell'art. 182-quinquies l. fall., secondo cui, in
caso di concordato con continuità aziendale, il debitore "può chiedere al
tribunale di essere autorizzato, assunte se del caso sommarie informazioni, a
pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi", a condizione
che un professionista qualificato e indipendente attesti "che tali
prestazioni sono essenziali per la prosecuzione dell'attività di impresa e
funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori".
E' logico ipotizzare che la norma (che diversamente sarebbe stata superflua) si
riferisca soprattutto alle somministrazioni di beni e di servizi in corso al
momento della presentazione della domanda di concordato ed essenziali appunto
per la prosecuzione dell'attività, in cui il somministrante, impegnato a sua
volta ad eseguire il contratto di cui non sia stata chiesta dal somministrato
né la sospensione, né lo scioglimento, ma creditore per le consegne già
avvenute o per i servizi già erogati, a fronte dell'inadempimento del
somministrato medesimo, pretenda il pagamento integrale dei suoi crediti
pregressi quale condizione per l'adempimento delle sue ulteriori prestazioni,
magari mettendo in atto quelle misure cautelative tipiche delle singole erogazioni
(ad esempio, con la sigillazione dei contatori delle erogazioni dell'acqua, del
gas, della corrente elettrica, ecc.) che impedirebbero di fatto la stessa
continuità aziendale; e sempre che, con l'autorizzazione del tribunale, non si
ritenga più opportuno, senza eccessivi
ritardi, liberare l'impresa dai vecchi contratti per sostituirli con nuovi,
stipulandoli con diversi operatori del settore.
5.- I contratti esclusi
Il quarto comma dell'art. 169-bis l. fall. si preoccupa di escludere dalle
regole sopra enunciate alcune fattispecie contrattuali, quali: a) i rapporti di
lavoro subordinato; b) i contratti preliminari di vendita trascritti, che hanno
ad oggetto
un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l'abitazione principale
dell'acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado; o un immobile
ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell'attività di
impresa dell'acquirente; c) i finanziamenti destinati ad uno specifico affare
di cui all'art. 2447-bis, 1° comma, lett. b) c.c.; d) i contratti di locazione
di immobili, ma solo nel caso di concordato del locatore.
Sulla esclusione dei rapporti di lavoro subordinato non vi è nulla da
segnalare, posto che per le situazione di crisi aziendali (tra le quali
rientrano anche quelle che costituiscono il presupposto oggettivo del
concordato preventivo) esiste un'articolata e specifica disciplina, non
derogata dal principio enunciato nel primo comma della norma in esame.
Quanto alle altre fattispecie contrattuali, è singolare il fatto che il
legislatore, anziché chiamarle con il loro nome, si sia limitato a menzionare
le corrispondenti norme fallimentari ("le disposizioni di questo articolo
non si applicano [...] ai contratti di cui agli articoli 72, ottavo comma, 72
ter e 80 primo comma") senza tuttavia adottarne anche la relativa
disciplina.
In particolare, per ciò che riguarda i contratti preliminari di vendita
trascritti, occorre considerare che anche in caso di fallimento gli stessi sono
sottratti dall'ottavo comma dell'art. 72 l. fall. alla regola generale, che
però lì è quella della sospensione del contratto, salva la facoltà del curatore
(autorizzato dal comitato dei creditori) di sciogliere il rapporto
di subentrare in esso, mentre nel concordato preventivo la regola generale è
quella della continuazione del rapporto, salva la facoltà del debitore di farsi
autorizzare alla sospensione o allo scioglimento dello stesso.
Dunque, nel concordato la disapplicazione dovrebbe riferirsi alla sospensione o
allo scioglimento (ivi compresa l'eventuale facoltà - ove riconosciuta - di
provocare quest'ultimo processualmente, in via di eccezione, nel giudizio per
l'esecuzione specifica del contratto a norma dell'art. 2932 c.c., promosso dal
promissario acquirente, prima del deposito del ricorso di concordato, con
domanda regolarmente trascritta), con conseguente continuazione ex lege del
contratto in ogni caso16 .
Ma la continuazione di diritto del rapporto, con l'obbligo per il promittente
venditore in concordato (o per il commissario liquidatore in caso di concordato
con cessione dei beni) di sottoscrivere il contratto definitivo, può
razionalmente condividersi se l'immobile che è oggetto del preliminare è già
esistente; ma se l'immobile è ancora da costruire o in corso di costruzione,
poiché in tal caso l'esecuzione del contratto preliminare con la stipulazione
del contratto definitivo dipende necessariamente dal completamento della
costruzione dell'immobile e questo, a sua volta, dipende essenzialmente dal
contenuto concreto del piano concordatario, che potrebbe prescindere dalla
"continuità aziendale" (sia pure nelle forme della cessione o
dell'affitto dell'azienda,, che consentirebbero il trasferimento del contratto
in applicazione dell'art. 2558 c.c.), quel preliminare di vendita,
contrariamente a quanto stabilito, non potrebbe subire sorte diversa dallo
scioglimento.
Peraltro per i contratti aventi ad oggetto immobili da costruire a favore di
una "persona fisica" che sia promissaria acquirente per sé o per un
proprio parente in primo grado e di cui al d.lgs. 20 giugno 2005, n. 122,
mentre in caso di fallimento soccorre l'art. 72-bis l. fall., che regola sulla
base del principio di prevenzione il rapporto fra il potere del curatore
(autorizzato dal comitato dei creditori) di scegliere fra esecuzione o
scioglimento del contratto e quello dell'acquirente di escutere la fideiussione
a garanzia della restituzione di quanto versato al costruttore, nel concordato
preventivo c'è da chiedersi entro quali limiti siano ancora in vigore le disposizioni
contenute nel secondo e nel terzo comma dell'art. 3 del menzionato d.lgs. n.
122, a norma delle quali la semplice "presentazione della domanda di
ammissione alla procedura di concordato preventivo" (compresa quindi
quella "con riserva") è considerata "situazione di crisi"
idonea a far sorgere nel promissario acquirente (secondo la definizione
contenuta nell'art. 1, lett. a ) la facoltà di escutere la fideiussione, a
condizione che "il competente organo della procedura concorsuale non abbia
comunicato la volontà di subentrare nel contratto preliminare"; quale sia
nel concordato del costruttore l'organo competente ad esprimere tale volontà
non è precisato, ma deve ritenersi che il legislatore si riferisse allo stesso
debitore, opportunamente autorizzato dal giudice delegato a norma del secondo
comma dell'art. 167 l. fall. dopo l'apertura del procedimento.
E' infatti evidente che l'applicazione del principio di prevenzione nel
concordato preventivo presuppone sia nel costruttore che abbia presentato
domanda di concordato che nel promissario acquirente un potere di scelta fra
esecuzione e scioglimento che difficilmente si concilia con la continuazione ex
lege dei contratti ai quali conduce il quarto comma dell'art. 169-bis l. fall.
e cioè dei contratti preliminari di vendita trascritti, gli unici peraltro ai
quali la disposizione sopra esaminata [correlata all'ottavo comma dell'art. 72
l. fall.] è applicabile, ove l'immobile che ne è oggetto venga destinato nel
modo indicato; per tutti gli altri la facoltà di scelta del costruttore
concordatario (opportunamente autorizzato dal tribunale o dal giudice delegato
a norma degli artt. 161, 7° comma o 167, 2° comma l. fall.) non muta, salva
l'ipotesi di preventiva escussione della fideiussione da parte del promissario
acquirente.
Anche quanto ai finanziamenti destinati ad uno specifico affare, di cui agli
artt. 72-ter l. fall. e 2447-decies c.c. la disapplicazione nel concordato
preventivo delle regole contenute nei primi due commi dell'art. 169-bis
dovrebbe riferirsi alla sospensione o allo scioglimento con conseguente
continuazione ex lege del contratto in ogni caso; ma anche qui la prosecuzione
del rapporto dipende essenzialmente dal contenuto concreto del piano
concordatario, che potrebbe prescindere dalla "continuità aziendale"
e dalla "realizzazione
dell'operazione", il cui "impedimento" non potrebbe avere esiti
diversi da quelli considerati nel sesto comma del menzionato art. 2447-decies
c.c. per l'ipotesi di fallimento (ora compiutamente disciplinato dall'art.
72-ter l. fall.), ma applicabile anche al concordato preventivo, ove questo
impedisca la realizzazione o la continuazione dell'operazione, salvo il diritto
del finanziatore di partecipare al concordato per il suo credito (concorsuale),
"al netto delle somme di cui ai commi terzo e quarto" della
disposizione dell'art. 2447-decies c.c.
L'ultima fattispecie contrattuale menzionata nel quarto comma dell'art. 169-bis
l. fall. è quella disciplinata nel primo comma dell'art. 80 l. fall.: cioè la
locazione di immobili, ma nel solo caso del concordato del locatore.
Qui la disapplicazione della facoltà di sospensione o di scioglimento (che però
non riguarda il concordato del conduttore), con la conseguente continuazione
del contratto ex lege, non presenta profili di particolare interesse,
adeguandosi a quanto stabilito dalla norma richiamata per il caso di fallimento
del locatore (che appunto "non scioglie il contratto"), salvo che per
quanto riguarda piuttosto la disapplicazione della regola prevista dal secondo
comma dell'art. 169-bis relativamente alle conseguenze di un'eventuale
interruzione del rapporto imputabile al locatore, per l'impossibilità di
considerare "credito anteriore al concordato" e quindi concorsuale
quello per i danni eventualmente subìti dal locatario; ma anche in caso di
fallimento, qualora il curatore, in presenza delle condizioni temporali poste
dal secondo comma dell'art. 80 l. fall., eserciti la facoltà di anticipato
recesso, l'equo indennizzo spettante al conduttore "è soddisfatto in
prededuzione" (art. 80, 4° comma).
1) Relazione al Convegno di Studi su "Le procedure di composizione
negoziale delle crisi e del sovraindebitamento" svoltosi a Lanciano nelle
giornate del 25 e 26 gennaio 2013.
2) Analogamente a quanto si può affermare per il fallimento, su cui cfr.
CENSONI, Gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici pendenti, in
BONFATTI e CENSONI, Manuale di diritto fallimentare, 4¡ ed., 2011, Padova, 320
ss.
3) Sul tema, in generale, per il periodo antecedente la riforma della
disciplina del concordato preventivo, cfr. JORIO, I rapporti giuridici pendenti
nel concordato preventivo, Padova, 1973; DI SABATO, Il conto corrente bancario
nel concordato preventivo e nell'amministrazione controllata, Milano, 1982;
CENSONI, Gli effetti del concordato preventivo sui rapporti giuridici
preesistenti, Milano, 1988; BONSIGNORI, NARDO, LAZZARA, I contratti nelle
procedure concorsuali, Milano, 1992, 361 ss.; LO CASCIO, Il concordato
preventivo, Milano, 1997, 455 ss.; RAGO, Il concordato preventivo dalla domanda
all'omologazione, Padova, 1998, 251 ss.; DIMUNDO e PATTI, I rapporti giuridici
preesistenti nelle procedure concorsuali minori, Milano, 1999; STESURI,
Rapporti tra contratti bancari e concordato preventivo, Padova, 2004.
Per il periodo successivo, ma comunque prima del d.l. n. 83 del 2012, cfr.,
senza pretesa di completezza, TEDESCHI, Manuale del nuovo diritto fallimentare,
Padova, 2006, 554 ss.; FIMMANO', Gli effetti del concordato preventivo sui
rapporti in corso di esecuzione, in Fallimento, 2006, 1050 ss.; CENSONI, Il
concordato preventivo, in BONFATTI e CENSONI, La riforma della disciplina
dell'azione revocatoria fallimentare, del concordato preventivo e degli accordi
di ristrutturazione, Padova, 2006, 217 ss.; Id., in Il nuovo diritto
fallimentare (diretto da JORIO e FABIANI), II, Bologna, 2007, sub art. 168,
2422 ss.; CAFFI, Il concordato preventivo, in Il diritto fallimentare riformato
(a cura di SCHIANO DI PEPE), Padova, 2007, 634 s.; DI MAJO, in Codice
commentato del fallimento (diretto da LO CASCIO), Milano, 2008, sub art. 167,
1511; LO CASCIO, Il concordato preventivo, Milano, 2008, 566 ss.; GAETA,
Effetti del concordato preventivo, in Fallimento e altre procedure concorsuali
(diretto da FAUCEGLIA e PANZANI), III, Torino, 2009, 1658 s.; VITIELLO, Gli
effetti del concordato preventivo, dell'esercizio provvisorio e dell'affitto
dell'azienda del fallito sui rapporti giuridici pendenti, in Procedure
concorsuali e rapporti pendenti (a cura di SANZO), Bologna, 2009, 374; PATTI,
La disciplina dei rapporti giuridici preesistenti nel nuovo concordato
preventivo, in Fallimento, 2010, 261 ss.; FILOCAMO, in La legge fallimentare.
Commentario teorico-pratico (a cura di FERRO), Padova, 2011, sub art. 167, 1906
ss.; CASSANDRO, Gli effetti sui rapporti giuridici preesistenti, in Trattato di
diritto delle procedure concorsuali (diretto da APICE), III, Torino, 2011, 244
ss.; FABIANI, La sorte del contratto preliminare di compravendita nel
concordato preventivo alla luce della Riforma, in Fallimento, 2011, 765 ss.;
BONFANTE, Il nuovo concordato preventivo e il contratto di locazione
finanziaria, in Nuovo dir. soc., 2011, n. 2, 9 ss. Per il periodo successivo al
d.l. n. 83 del 2012 si possono utilmente consultare FABIANI, Vademecum per la
domanda "prenotativa" di concordato preventivo, in www.ilcaso.it,
II, n. 313/2012, 8 ss.; CARAVELLA, La tutela, anche conservativa, dei diritti e
il concordato preventivo, in Nuovo dir. soc., 2013, n. 5, 23 ss.; Le nuove
soluzioni concordate della crisi d'impresa, circolare Assonime n. 4 del 7
febbraio 2013, in www.assonime.it; Il leasing finanziario:
regolamentazione della risoluzione del contratto a seguito della riforma della
legge fallimentare, circolare Fondazione Centro Studi U.N.G.D.C. n. 11 del 7
febbraio 2013, in www.knos.it.
4) Cfr. in particolare VIGO, I contratti pendenti non disciplinati nella
"legge fallimentare", Milano, 1989, 61 ss.
5) In Fallimento, 2008, 1394, con nota di LO CASCIO, Natura giuridica della
liquidazione postconcordataria.
6) Cfr. Trib. Verona, 31 ottobre 2012, in www.ilcaso.it, I, 8381.
7) Su cui cfr. CENSONI, Gestione commissariale e funzione dell'amministrazione
controllata, Milano, 1994.
8) Cfr. Trib. Biella, 13 novembre 2012, in www.ilcaso.it, I, 8359.
9) Sostanzialmente nello stesso senso cfr. Trib. La Spezia, 24 ottobre 2012 e
25 ottobre 2012, entrambi in Fallimento, 2013, 76 s. con nota di P. VELLA, Il
controllo giudiziale sulla domanda di concordato preventivo "con
riserva"; Trib. Mantova, 27 settembre 2012, in www.ilcaso.it,
I, 7874; e Trib. Monza, 16 gennaio 2013, in www.ilcaso.it, I, 8351, che
però nel caso di specie ha ritenuto opportuno disporre la sospensione dei
contratti pendenti, "dovendosi eventualmente optare per la soluzione dello
scioglimento solo all'esito della proposta della domanda di concordato completa
alla quale acceda la dettagliata situazione per ciascun contratto"; sulla
necessità di disporre la sospensione o lo scioglimento dei contratti bancari
pendenti, allo scopo di evitare il pregiudizio che deriverebbe alla massa
creditoria dall'eventuale compensazione fra i crediti della banca e le somme
che affluiscono sui conti correnti, ledendo la par condicio creditorum, cfr.
rispettivamente Trib. Busto Arsizio, 11 febbraio 2013, in www.ilcaso.it,
I, 8564; e Trib. Como, 5 novembre 2012, in www.ilcaso.it, I, 8523.
10) In questo senso cfr. Trib. Pistoia, 30 ottobre 2012, in www.ilcaso.it,
I, 8079; e in Fallimento, 2013, 74, con la citata nota di P. VELLA; al
contrario Trib. Salerno, 25 ottobre 2012, in www.ilcaso.it, I, 8499; e
in Fallimento, 2013, 75, ha ritenuto che "si tratti di una mera presa
d'atto di un diritto potestativo del debitore che sceglie di sciogliersi da un
determinato rapporto giuridico nell'ambito di un proprio disegno
imprenditoriale che nel caso del preconcordato non è obbligatorio comunicare
al Tribunale chiamato ad attendere il deposito del piano".
11) Così correttamente anche Trib. Modena, 30 novembre 2012, in www.ilcaso.it,
I, 8196.
12) Per ampi richiami sul punto cfr. CENSONI, Gli effetti del concordato
preventivo sui rapporti giuridici preesistenti cit., 136 ss.
13) Così JORIO, I rapporti giuridici pendenti nel concordato preventivo cit.,
245 s.
14) In questo senso cfr. anche FABIANI, La sorte del contratto preliminare di
compravendita cit., 769, il quale osservava come, per ricondurre il credito
risarcitorio ad un momento anteriore all'apertura del concordato, non restava
al debitore altra possibilità che quella di "dichiarare nel piano quali
sono i contratti che non intende proseguire, così manifestando la volontà di
non adempiere", salvo poi misurare questa strategia con gli strumenti di
reazione a disposizione della parte in bonis e soprattutto con l'esecuzione in
forma specifica dell'obbligo a contrarre, su cui peraltro la giurisprudenza è
stata a lungo divisa, discutendosi se il divieto di procedere in executivis di
cui al primo comma dell'art. 168 l. fall. comprenda (così App. Firenze, 15
luglio 1996, in Dir. fall., 1997, II, 1000, con nota di DI GRAVIO, Concordato
preventivo: vietata anche l'esecuzione specifica dell'obbligo di contrarre?) o
non comprenda (così Cass., 1° marzo 2002, n. 3022, in Arch. civ., 2003, 69; in
Dir. fall., 2003, II, 187, con nota di MERLINO, Concordato preventivo e
preliminare di vendita; e in Fallimento 2002, 734, con nota di FABIANI,
L'esecuzione del contratto preliminare nel concordato preventivo; Cass., 23
gennaio 1998, n. 615, in Foro it., 1999, I, 638; in Giust. civ., 1998, I, 2245;
e in Fallimento, 1999, 40, con nota di RAGO, Se l'art. 2932 codice civile si
applica nei confronti del debitore concordatario) anche detta esecuzione in
forma specifica; per il passato su quest'ultimo tema cfr. anche CENSONI, Gli
effetti del concordato preventivo cit., 147 ss.
15) In Fallimento, 2012, 1222, con nota di PATTI, Rapporti pendenti ed
esercizio provvisorio tra prededuzione e concorsualità, alla ricerca della
regola da applicare; sul punto cfr. anche CENSONI, Gli effetti del fallimento
sui rapporti giuridici pendenti, in BONFATTI e CENSONI, Manuale di diritto
fallimentare cit., 338 s.; si noti che in precedenza la stessa Corte di
cassazione, proprio con riferimento al concordato preventivo, aveva deciso che,
in caso di prosecuzione del contratto di somministrazione, per effetto della
sua natura e struttura unitaria non era possibile scindere le prestazioni
anteriori da quelle posteriori al procedimento e sottoporre il credito per le
prime a falcidia concordataria: così Cass., 23 marzo 1992, n. 3581, in
Fallimento, 1992, 700; in Giust. civ., 1992, I, 3066; in Arch. civ., 1992,
1068; e in Dir. fall., 1992, II, 917.
16) In questo senso cfr. anche Trib. Padova, 15 gennaio 2013, in www.ilcaso.it,
I, 8534, secondo cui "non appare assolutamente ammissibile lo scioglimento
dei contratti preliminari rispetto ai quali è stata trascritta dal promissario
acquirente, anteriormente al deposito del ricorso, domanda giudiziale di
esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c.".
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