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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 02/05/2016 Scarica PDF

I bisogni della famiglia e il fondo patrimoniale nella esecuzione immobiliare

Giuseppe D'Elia, Professore associato di Istituzioni di diritto pubblico nell'Università degli Studi dell'Insubria. Avvocato cassazionista nel Foro di Milano


Sommario: 1. La presunzione di inerenza dei debiti ai bisogni della famiglia. - 2. I criteri di identificazione dei bisogni della famiglia. - 3. L’onere probatorio grava sulla parte che intende avvalersi della preclusione. - 4. L’opponibilità del fondo patrimoniale al debito ex delicto. - 5. Il debito estraneo e l’azione revocatoria. - 6. La duplice valenza, attiva e passiva, della soggezione funzionale dei patrimoni destinati.


     

1. La presunzione di inerenza dei debiti ai bisogni della famiglia

Il «fondo patrimoniale» è sempre stato visto con sospetto dalla dottrina; e ciò ancor prima che fosse introdotto, con la legge 19 maggio 1975, n. 151, al posto del «patrimonio familiare»[1]. Si diceva che il novello istituto, «tipico prodotto di laboratorio», non avrebbe soddisfatto alcun interesse; che, anzi, «il patrimonio familiare aveva, almeno, il pregio di presentarsi con alcuni caratteri ben definiti, quali l’inalienabilità e la inespropriabilità dei beni che ne formavano oggetto»; che «nella elaborazione del fondo patrimoniale, quelli che erano gli aspetti apprezzabili del patrimonio familiare sono andati smarriti senza che ne emergessero di nuovi»[2]. Del resto, al fondo patrimoniale si è ricorso più nel tentativo di eludere la responsabilità patrimoniale[3], che non per soddisfare le esigenze alle quali è destinato.

Appare allora comprensibile come anche la giurisprudenza, di legittimità e di merito, non si sia lasciata intorbidare, mostrando prudenza verso le limitazioni di responsabilità derivanti dal fondo patrimoniale; infatti, la disciplina del fondo patrimoniale, in quanto rimessa sostanzialmente alla discrezionalità dei coniugi, non garantisce affatto il creditore da un uso fraudolento dell’istituto[4]. Si pensi, tra l’altro, alla possibilità che l’atto costitutivo consenta ai coniugi di disporre dei beni in deroga ai limiti posti dall’art. 169 c.c., e anche senza necessità di autorizzazione giudiziale[5]; alla possibilità, ex art. 168 c.c., di conferire nel fondo il solo godimento del bene, conservandone la proprietà; al conferimento di beni sproporzionato rispetto alle reali esigenze della famiglia; al conferimento di beni acquisiti con i proventi dell’attività di impresa o professionale, in modo tale che i creditori di questa rimangano privi di adeguate garanzie.

Anche la formula “in negativo” dell’art 170 c.c. («L’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia») ci somministra un criterio ermeneutico restrittivo dell’ipostesi di esclusione dell’azione esecutiva: l’alternativa tra l’indicazione dei casi di esperibilità dell’azione esecutiva piuttosto che, all’inverso, dei casi di esclusione non è, infatti, irrilevante ai fini dell’interpretazione, al cospetto – s’intenda – di un legislatore consapevole della differenza.

L’art. 170, in altre parole, non indica quando il creditore titolato possa agire sui beni del fondo patrimoniale, ma quando non possa, perché al di fuori dei casi espressamente indicati, egli può. Del pari, muovendo dalla premessa interpretativa, secondo cui l’oggetto dell’art. 170 c.c. è l’efficacia del titolo esecutivo verso i beni conferiti in fondo patrimoniale[6], diremo che – più precisamente – l’oggetto è l’«inefficacia», essendo i titoli esecutivi astrattamente tutti efficaci.

Non solo. Il caso escluso è a sua volta “negativo”: l’estraneità. Tradotto in termini operativi, ciò si riassume nella riaffermazione della prospettiva del favor creditoris. Dunque, da un lato, l’onere di comprovare la sussistenza della preclusione grava su chi intende avvalersene e, dall’altro, nei casi dubbi l’azione esecutiva non è preclusa. In questo senso, si comprende il principio di diritto, isolato nella sua espressa formulazione per cui «esiste una presunzione di inerenza dei debiti ai detti bisogni»[7].

In realtà, per quanto l’affermazione si mostri tecnicamente imprecisa, essa sintetizza efficacemente l’approccio della giurisprudenza al tema. Del resto, dalla prospettiva del fondo patrimoniale, peraltro coerente con la sua sedes materiae, il parametro di giudizio somministrato dall’art. 170 c.c. appare come una sorta di inversione dell’onere della prova: se la regola fosse la preclusione all’azione esecutiva sul fondo, onerare l’opponente della dimostrazione della sussistenza dei presupposti di preclusione sarebbe, in effetti, una inversione dell’onere probatorio. Ma, nella prospettiva, che appare più appropriata, della responsabilità patrimoniale (pure evocata dall’incipit dell’art. 170 c.c.: «L’esecuzione...»), la fattispecie si colora del fatto impeditivo all’azione esecutiva e, conseguentemente, dell’onere della dimostrazione dei presupposti di sussistenza della preclusione. In questa prospettiva non c’è alcuna inversione dell’onus probandi.

   

2. I criteri di identificazione dei bisogni della famiglia

L’opponibilità del fondo patrimoniale ruota intorno all’idea di «bisogni della famiglia»[8] predicata nell’art. 170 c.c. con formula analoga a quella previgente con riguardo al patrimonio familiare[9].

Secondo il primo arresto di legittimità edito sul punto[10], «è da condividere la più lata interpretazione offerta dai giudici di merito che hanno ricompreso in detti bisogni anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da intenti meramente speculativi». Nel caso di specie, il creditore agiva sulla base di mutui concessi per consentire alla mutuataria ed alla sua famiglia colonica «un più sereno e proficuo svolgimento dell’attività lavorativa comune a tutti i componenti il nucleo familiare»; infatti, la concessione dei mutui aveva avuto come presupposto la qualità di coltivatore diretto della mutuataria, «qualità nella quale era compresa tutta la forza lavorativa (appunto) della sua famiglia colonica».

L’ampio principio di diritto, nonostante la specificità del caso concreto, è stato costantemente ribadito, nelle successive decisioni di legittimità, anche con riguardo a casi, di per sé, meno evidenti. E l’inciso «restando escluse solo le esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da intenti meramente speculativi» ha progressivamente assunto, di fatto, nei successivi arresti, dignità di criterio negativo autosufficiente all’identificazione dell’estraneità del debito ai bisogni della famiglia. Salvo, poi, a precisarsi in un isolato e recente arresto, che «le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti speculativi rilevano al fine di escludere la pignorabilità quando esse non ineriscano direttamente ai beni costituiti in fondo patrimoniale; qualora invece i debiti siano contratti per la gestione e l’amministrazione di questi stessi beni, essi debbono intendersi necessariamente riferiti ai bisogni della famiglia, anche quando inerenti, come detto, a spese a carattere voluttuario o comunque evitabili»[11].

D’altro canto, non è affatto possibile stilare una sorta di “lista della spesa”, in cui appuntare debiti che senz’altro rientrino o meno nel canone dei bisogni della famiglia. I bisogni della famiglia sono evidentemente un fatto relativo e mutevole, anche, in relazione alle specifiche condizioni socio-economiche della famiglia stessa[12]. Anzi, è proprio la consapevolezza della mutevolezza dei casi della vita che induce alla necessità di una formula elastica, di un contenitore a geometria variabile da riempire cum grano salis dall’operatore del diritto al cospetto della specificità del caso concreto.

Così, ad esempio, il Tribunale di Pavia[13] ha ritenuto che il debito sorto in ragione del mancato pagamento del corrispettivo per il parcheggio di un’autovettura (intestata a un coniuge e concessa in comodato al figlio) avvenuto in prossimità dell’immobile conferito in fondo patrimoniale (nel quale il figlio risiedeva) inerisca ai bisogni familiari conformemente all’indirizzo scelto dai coniugi, che rappresenta il parametro di riferimento: «la destinazione dell’immobile (...) ad abitazione del figlio, che ivi ha trasferito (...) la sua residenza, implica e conferma la persistente appartenenza di quest’ultimo al consorzio familiare, tanto che gli altri membri della famiglia hanno deciso di mettere a sua disposizione proprio uno dei beni confluiti nel fondo patrimoniale. Il parcheggio nelle aree limitrofe all’abitazione costituisce poi una modalità ordinaria di comportamento, naturalmente inerente al migliore godimento sia del veicolo che dell’immobile».

O, ancora. La Suprema Corte[14] ha confermato le conclusioni assunte dal giudice di merito, secondo cui tra i debiti contratti per i bisogni della famiglia sono compresi anche quelli inerenti agli atti di amministrazione dei beni appartenenti al fondo patrimoniale, e pertanto, anche, i debiti per gli oneri condominiali dei relativi immobili, costituenti spese per la loro gestione, in ragione dell’evidente finalità di manutenzione e di conservazione dei beni stessi.

   

3. L’onere probatorio grava sulla parte che intende avvalersi della preclusione

È costante nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione che l’onere della prova dei presupposti di applicabilità dell’art. 170 c.c. grava sulla parte che intende avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale[15]. Sicché il requisito «per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia», al fine di opporre con successo il fondo patrimoniale all’azione esecutiva, si risolve nel fatto processuale della previa allegazione[16] delle circostanze idonee alla valutazione giudiziale della sussistenza dei presupposti e nella successiva dimostrazione[17] anche per presunzioni semplici[18].

Sicché, l’opponente deve provare, innanzitutto, la regolare costituzione del fondo patrimoniale (elemento formale). Infatti, l’opponibilità ai terzi del fondo patrimoniale è soggetta all’annotazione, in quanto convenzione matrimoniale, a margine dell’atto di matrimonio, ai sensi dell’art. 162 c.c., e, per i beni immobili immessi nel fondo, altresì, alla trascrizione, ai sensi dell’art. 2647 c.c., con funzione che la giurisprudenza di legittimità ritiene «degradata» a pubblicità-notizia[19], inidonea a sopperire all’eventuale difetto di annotazione nei registri dello stato civile, formalità, quest’ultima, che non ammette deroghe o equipollenti[20].

Inoltre, l’opponente deve provare, nello specifico, la sussistenza dei presupposti che reggono la preclusione all’azione esecutiva nei confronti del creditore pignorante o ipotecario[21]: e, quindi, che il debito per cui si procede è stato contratto per scopi che il creditore sapeva[22] (elemento soggettivo) essere estranei ai bisogni della famiglia (elemento oggettivo).

Così, ad esempio, la Suprema Corte[23] ha confermato la decisone del giudice di merito che aveva ritenuto compresi tra i debiti contratti per i bisogni della famiglia anche quelli inerenti agli atti di amministrazione dei beni del fondo in quanto diretti a salvaguardare il ménage domestico; quindi, anche i debiti per gli oneri condominiali (si trattava, precisamente, delle spese legali per il recupero degli oneri condominiali) relativi ad immobili facenti parte del fondo patrimoniale, costituenti spese per la loro gestione, in ragione dell’evidente finalità di manutenzione e di conservazione dei beni stessi.

Con riguardo ai debiti derivanti dall’attività professionale o d’impresa (anche di uno solo dei coniugi), per la Suprema Corte non può predicarsi una presunzione né di familiarità né di estraneità, in quanto quel che rileva non è la natura della obbligazione ma il fatto generatore[24].

Così, ad esempio, è stato ricondotto ai bisogni della famiglia un debito assunto da un coniuge per esigenze imprenditoriali, quando l’altro coniuge, in regime di separazione dei beni, aveva prestato garanzia personale[25]; oppure un debito contratto conferendo garanzia ipotecaria su un bene appartenente al fondo patrimoniale per consentire un finanziamento in favore della società di cui i coniugi erano soci e amministratori; e la concessione di tale garanzia è stata valutata dal giudice di merito, secondo un apprezzamento condiviso dal giudice di legittimità, indice della destinazione del finanziamento alle esigenze familiari[26].

Analoga conclusione è tratta dal Tribunale di Reggio Emilia, per un caso di garanzia fideiussoria prestata a favore della società della quale il conferente (ex art. 2645-ter c.c., ma per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia) era socio e nella quale svolgeva la propria attività professionale[27]. In altro caso, invece, l’estraneità del debito ai bisogni della famiglia è ritenuta dimostrata dalla Corte d’Appello di Milano quando la fideiussione è contratta per una obbligazione assunta da una società di capitali e, dunque, nell’esercizio dell’attività di impresa, spettando in questo caso al creditore di superare la presunzione (semplice) dimostrando la dedotta attinenza[28].

Con riguardo a un debito assunto nell’esercizio dell’attività professionale (precisamente un debito verso l’avvocato che aveva agito per il recupero di crediti professionali del cliente), il Tribunale di Taranto afferma: «se si fosse trattato di un finanziamento per l’acquisto di un bene strumentale all’esercizio dell’attività professionale di uno dei coniugi, o dell’impresa, il creditore avrebbe dovuto sapere che si trattava di obbligazione estranea alla famiglia, perché appunto direttamente ed evidentemente coinvolta l’attività professionale di uno dei coniugi. Quando invece, come nel caso in esame, si tratta di obbligazione sorta per il recupero di un credito professionale, anche di rilevante importo, la finalità in gioco era invece quella di conseguire una ricchezza, per la quale si può presumere una sua destinazione alla famiglia»[29].

Infine, la Suprema Corte ha cassato la statuizione del giudice di merito secondo cui il debito fiscale avrebbe un’inerenza diretta ed immediata coi bisogni della famiglia solo limitatamente alle imposte relative ai redditi prodotti dalle attività conferite nel fondo patrimoniale[30]. Anche in questa materia ricorre il principio di diritto, secondo cui il criterio identificativo va ricercato non già nella natura in sé dell’obbligazione, ma nella relazione tra il fatto generatore di essa e i bisogni della famiglia, sicché anche un debito di natura tributaria sorto per l’esercizio dell’attività imprenditoriale può ritenersi contratto per soddisfare tale finalità, fermo restando che non può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito derivi dall’attività professionale o d’impresa del coniuge, dovendosi accertare, in concreto, nel giudizio di merito, e nel rispetto della distribuzione dell’onere probatorio, che l’obbligazione rientri o meno nel paradigma dell’art. 170 c.c.[31]

   

4. L’opponibilità del fondo patrimoniale al debito ex delicto

Un contrasto giurisprudenziale, tra giudici di merito e Corte regolatrice, si registra a proposito della opponibilità del fondo patrimoniale all’azione esecutiva fondata su un credito avente titolo in una obbligazione risarcitoria.

Secondo la Suprema Corte, infatti, anche il debito ex delicto è soggetto ai dettami dell’art. 170 c.c. Pertanto, non potendosi – evidentemente – indagare sulla sussistenza dell’elemento soggettivo della consapevolezza del creditore circa l’estraneità del debito ai bisogni della famiglia, con riguardo ai debiti de quibus la giurisprudenza di legittimità richiede la concorrenza almeno degli altri due elementi: formale della regolare costituzione del fondo patrimoniale e oggettivo della riconducibilità del debito ai bisogni della famiglia.

Ed è, altresì, evidente come la natura della obbligazione sia (a maggior ragione) a questi fini del tutto irrilevante, dovendosi piuttosto approfondire la dinamica dell’insorgenza del debito alla ricerca dei nessi che possano legarlo alle esigenze familiari, il cui onere probatorio – peraltro – non può, in questo caso, non gravare sul creditore. Insomma, per il giudice di legittimità, l’obbligazione aquiliana può fingersi ad sustinenda onera matrimonii quando il fatto illecito manifesti un elemento di collegamento con le esigenze familiari.

Così, ad esempio, è stato ricondotto ai bisogni della famiglia un debito ex delicto derivante dall’abusivo godimento abitativo da parte dei coniugi di un bene immobile, la cui nuda proprietà era stata donata (ad uno dei due coniugi) dal creditore procedente (il padre usufruttuario), e che successivamente i coniugi avevano versato nel fondo patrimoniale[32]; ovvero derivante dalla lesione delle aspettative contrattuali del creditore procedente, avendo il debitore indotto all’inadempimento il venditore di un immobile, allo scopo di conseguire la proprietà dello stesso, poi versato nel fondo patrimoniale[33].

Di contrario avviso, come si è accennato, è una parte della giurisprudenza di merito, secondo la quale «per i crediti derivanti da fatto illecito sia sempre possibile agire in executivis e non trovi applicazione il disposto di cui all’art. 170 c.p.c., sottolineando un argomento testuale della norma che fa riferimento esclusivamente a debiti “contratti”, così includendo solo i debiti ex contractu ed escludendo quelli ex delicto»[34]. In effetti, l’elemento testuale, esattamente rilevato da questa giurisprudenza, si coordina altresì, sistematicamente, con la richiesta consapevolezza da parte del creditore della estraneità del debito ai bisogni della famiglia, in modo tale che il diverso orientamento, fatto proprio dalla Suprema Corte, giunge ad eludere due elementi della fattispecie coniata dall’art. 170 c.c.

   

5. Il debito estraneo e l’azione revocatoria

Secondo la Suprema Corte «l’art. 170 c.c. non limita il divieto di esecuzione forzata ai soli crediti (estranei ai bisogni della famiglia) sorti successivamente alla costituzione del fondo, ma estende la sua efficacia anche ai crediti sorti anteriormente, salva la possibilità per il creditore, ricorrendone i presupposti, di agire in revocatoria ordinaria»[35].

In vero, la valorizzazione dell’inciso «contratti», oltre a consentire di affermare (insieme a una parte della dottrina[36] e della giurisprudenza di merito) l’inopponibilità del fondo patrimoniale al creditore non-contraente, dovrebbe altresì consentire di dedurre analoga conclusione anche in favore delle obbligazioni bensì estranee, ma sorte precedentemente alla costituzione del (o al conferimento di beni nel) fondo patrimoniale, rispetto alle quali il creditore può bensì avere conoscenza della estraneità del debito contratto ai bisogni della famiglia, ma non anche consapevolezza degli effetti in ordine alla diminuzione della garanzia patrimoniale.

La questione, tuttavia, pur non essendone priva, è di contenuta rilevanza pratica, in quanto, la costituzione del fondo patrimoniale è considerata dalla giurisprudenza (di legittimità e di merito) atto dispositivo a titolo gratuito[37]; ciò che comporta una indubbia semplificazione, soprattutto probatoria, per il creditore revocante.

Infatti, per il vittorioso esercizio dell’actio pauliana, nel caso di atti di disposizione a titolo gratuito, secondo l’art. 2901, n. 1, c.c., è necessaria la sussistenza di tre condizioni: oltre al credito e al pregiudizio alle ragioni del credito (eventus damni), è sufficiente la conoscenza del pregiudizio da parte del debitore (scientia damni) ovvero, quando l’atto è anteriore al sorgere del credito, la dolosa preordinazione al fine di pregiudicarne il soddisfacimento (consilium fraudis).

Per comprendere l’effettiva consistenza delle suddette condizioni nei confronti della costituzione di un (o al conferimento di un immobile in) fondo patrimoniale, occorre tener conto dello scopo dell’actio pauliana, la quale, in quanto mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale, «ha la funzione non solo di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore, al fine di permettergli il soddisfacimento coattivo del suo credito, ma anche di assicurare uno stato di maggiore fruttuosità e speditezza dell’azione esecutiva diretta a far valere la detta garanzia»[38].

Quanto alla nozione di credito, secondo la giurisprudenza di legittimità, in coerenza con la funzione propria dell’azione revocatoria, la quale non persegue scopi restitutori, ma di ripristino della garanzia generica sul patrimonio del debitore, l’art. 2901 c.c. ne accoglie una nozione lata non limitata alla certezza, liquidità ed esigibilità, ma estesa alle «legittime ragioni o aspettative di credito»[39].

Nello specifico dell’eventus damni, lo scopo non restitutorio dell’azione revocatoria, ma ripristinatorio della garanzia generica assicurata dal patrimonio del debitore, definisce il pregiudizio alle ragioni del credito come «lesione della garanzia patrimoniale», la quale, pertanto, si concreta «nel pericolo di danno» costituito dalla «eventuale infruttuosità»[40] di una futura azione esecutiva[41]. Non è, dunque, richiesta la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, «ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito»[42].

A tale orientamento, sembrano, ma solo in apparenza, contrastare alcune affermazioni di principio della Corte regolatrice, secondo cui: «nella revocatoria ordinaria il pregiudizio arrecato dal debitore alle ragioni del creditore (art. 2901 c.c.) consiste nella insufficienza dei beni residui del debitore ad offrire la garanzia patrimoniale, mentre è irrilevante una semplice diminuzione della stessa garanzia»[43]; «in tema di revocatoria ordinaria, il momento storico in cui deve essere verificata la sussistenza dell’eventus damni, inteso come pregiudizio alle ragioni del creditore, tale da determinare l’insufficienza dei beni del debitore ad offrire la necessaria garanzia patrimoniale, è quello in cui viene compiuto l’atto di disposizione dedotto in giudizio e può apprezzarsi se il patrimonio residuo del debitore sia tale da soddisfare le ragioni del creditore, restando, invece, assolutamente irrilevanti al fine anzidetto le successive vicende patrimoniali del debitore, non collegate direttamente a quell’atto di disposizione»[44].

In realtà, l’equivoco si risolve nella distribuzione dell’onere probatorio, per cui, da un lato, spetta al creditore che agisce in revocatoria allegare il pericolo conseguente alla variazione quantitativa o qualitativa del patrimonio del debitore in conseguenza dell’atto di disposizione, dall’altro «è onere del debitore, per sottrarsi agli effetti dell’azione, provare che il proprio patrimonio residuo sia tale da consentire ampiamente il soddisfacimento del credito»[45]. Il che vuol dire che mentre il creditore deve allegare e provare il pericolo di danno, il debitore deve allegare l’assenza di pericolo di danno, dimostrando l’adeguatezza del patrimonio residuo. Del resto, non può certo pretendersi che il creditore svolga invasivi, esaustivi, costosi e, spesso, impossibili accertamenti negativi sulla complessiva consistenza patrimoniale (mobile e immobile) del debitore, essendo dal suo punto di vista sufficiente l’apparenza del pericolo di danno alla conservazione della garanzia patrimoniale data dall’atto dispositivo di cui abbia avuto cognizione. Per contro, la vicinanza della prova offrirà facili strumenti difensivi al debitore che voglia dimostrare la capienza del suo patrimonio e l’ingiustificato allarmismo del suo ansioso creditore, alleggerendo, altresì, in questo modo, lo spettro discrezionale del giudicante, altrimenti prossimo al libero arbitrio.

Sicché, nella prospettiva che si è detta, la costituzione di un fondo patrimoniale soddisfa, in astratto, il primario requisito oggettivo dell’eventus damni, perché «limita l’aggredibilità dei beni conferiti solamente alla ricorrenza di determinate condizioni (art. 170 c.c.), rendendo più incerta o difficile la soddisfazione del credito, conseguentemente riducendo la garanzia generale spettante ai creditori sul patrimonio dei costituenti»[46]; ferma restando, come s’è detto, la facile dimostrazione del contrario per mano del debitore, il quale potrebbe, ad esempio, dimostrare l’inutilità, in concreto, dell’azione revocatoria (e, dunque, l’effettiva carenza di interesse), perché a quello specifico creditore revocante non solo non è opponibile il fondo patrimoniale, ma altresì dallo stesso è destinato a ricavare un incremento della sua garanzia patrimoniale, in deroga alla par condicio creditorum, in quanto creditore intaneo.

Quanto all’elemento soggettivo, se l’atto di disposizione è a titolo gratuito (art. 2901, n. 1, c.c.), è sufficiente la consapevolezza che il debitore conoscesse (scientia damni) il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, che l’atto fosse dolosamente preordinato (consilium fraudis)[47] al fine di pregiudicarne il soddisfacimento. Quando, invece, l’atto revocando è a titolo oneroso (art. 2901, n. 2, c.c.), il creditore deve altresì provare che anche il terzo fosse consapevole del pregiudizio (scientia damni)[48]; e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, che il terzo fosse partecipe della dolosa preordinazione (participatio fraudis)[49]. Insomma, come suol dirsi, quando l’atto è a titolo gratuito, tra il terzo che cerca di realizzare un vantaggio (qui certat de lucro captando) e il creditore che cerca di evitare un danno (qui certat de damno vitando), il legislatore dà prevalenza alle ragioni del creditore; oggi, ulteriormente rafforzate[50], per il creditore titolato, sussistendone i presupposti formali e temporali, dal novello “pignoramento revocatorio” ex art. 2929-bis c.c.[51].

   

6. La duplice valenza, attiva e passiva, della soggezione funzionale dei patrimoni destinati

La natura del fondo patrimoniale non è affatto quella di fornire alla famiglia uno strumento per resistere all’azione esecutiva: la disciplina posta dall’art. 170 c.c. è un accessorio dell’istituto, non l’elemento qualificante; infatti, il legislatore del 1975, col passaggio dal patrimonio familiare al fondo patrimoniale, ha esteso l’escussione dai soli frutti ai beni stessi. L’essenza dell’istituto[52] riposa sulla creazione di un vincolo “interno” al nucleo familiare per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, semmai rafforzato dalle preclusioni poste dal cit. art. 170 c.c. nei confronti dei soli creditori consapevolmente estranei[53].

D’altro canto, i patrimoni destinati non costituiscono affatto una deroga tout court alla responsabilità patrimoniale[54]. Anche il creditore può, infatti, nutrire un interesse alla costituzione di un patrimonio separato del debitore, e destinato allo scopo specifico per il quale gli farà credito, così da potersi, se del caso, soddisfare in deroga alla par condicio creditorum posta dall’art. 2741 c.c. Dunque, piuttosto che derogare alla responsabilità patrimoniale, il patrimonio destinato ne comporta, da altra angolazione, un rafforzamento[55] con riguardo a una particolare specie di creditori[56]. Correlativamente, la sussistenza di un fondo patrimoniale potrà favorire la concessione di crediti nella consapevolezza che il creditore intraneo potrà soddisfarsi senza la concorrenza dell’estraneo.

Insomma, la diffusa affermazione che i patrimoni destinati derogano alla generale garanzia patrimoniale, ex art. 2740 c.c., significa, appunto, non deroga alla garanzia patrimoniale tout court, ma deroga alla generalità della garanzia[57]. E, correlativamente, le «limitazioni di responsabilità» evocate dal secondo comma, non significano insensibilità del patrimonio del debitore all’escussione, ma specializzazione della garanzia patrimoniale in favore di particolari creditori[58]. Infatti, anche l’art. 2645-ter c.c.[59], mutatis mutandis[60], nel mentre afferma l’opponibilità ai terzi del vincolo di destinazione[61], altresì ribadisce che «i beni conferiti e i loro frutti (...) possono costituire oggetto di esecuzione», benché «solo per debiti contratti per tale scopo».

In breve, la soggezione funzionale dei patrimoni destinati opera tanto dal lato attivo quanto dal lato passivo; semmai, più ampio è lo scopo, come è per il fondo patrimoniale, maggiore sarà la platea di creditori legittimati all’esecuzione.



[1] Cfr. E. Russo, Il fondo patrimoniale, in Studi sulla riforma del diritto di famiglia, Giuffrè, 1973, 567 ss.

[2] F. Carresi, Del fondo patrimoniale, in Commentario alla riforma del diritto di famiglia, a cura di L. Carraro, G. Oppo, A. Traducchi, I, 1, Cedam, 1977, 343-344.

[3] T. Auletta, Riflessioni sul fondo patrimoniale, in Famiglia, Persone e Successioni, 2012, 326; M. Tamponi, Famiglia e lesione degli interessi dei creditori: oltre l’uso strumentale del fondo patrimoniale, in NGCC, 2014, 278.

[4] Peraltro, la costituzione di un fondo patrimoniale può integrare il reato di «sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte» previsto dall’art. 11, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74: così, Cass. pen., III, 4 aprile 2012, n. 40561.

[5] Cfr. Cass. civ., 4 giugno 2010, n. 13622, secondo cui, resta ferma la finalità intrinseca del fondo patrimoniale e degli atti stessi che devono in ogni caso essere assunti a vantaggio della famiglia e «nei soli casi di necessità od utilità evidente». E, più di recente, Trib. Milano, IX, 26 giugno 2013 (Est. E. Manfredini), in www.ilcaso.it: «nell’atto di costituzione del fondo patrimoniale i coniugi hanno espressamente consentito la possibilità di alienare i beni costituenti il fondo, su accordo di entrambi i coniugi, senza necessità di autorizzazione giudiziale, nonostante la presenza di figli minori nati in epoca antecedente alla costituzione del fondo; (...) pertanto nel caso di specie non vi sarebbe necessità, per alienare il suddetto bene, dell’autorizzazione del Tribunale, ove i coniugi, che hanno costituito il bene in fondo patrimoniale, ne decidessero l’alienazione». In dottrina, per tutti, C. M. Bianca, Diritto civile. 2.1. La famiglia, Giuffrè, 2014, 149.

[6] Così, Cass. civ., 5 marzo 2013, n. 5385, da cui la Suprema Corte deduce, altresì, l’estensione della preclusione all’iscrizione ipotecaria non volontaria.

[7] Precisamente, la presunzione è affermata da Cass. civ., 15 marzo 2006, n. 5684, nel contesto della distribuzione dell’onere probatorio con riguardo all’elemento soggettivo della fattispecie: «Coerentemente all’opinione dominante in dottrina si ritiene che spetta al debitore provare che il creditore conosceva l’estraneità del credito ai bisogni della famiglia; ciò perche i fatti negativi (in questo caso l’ignoranza) non possono formare oggetto di prova ed ancora perché esiste una presunzione di inerenza dei debiti ai detti bisogni».

[8] Oltre che in materia di fondo patrimoniale, i «bisogni della famiglia», nel codice, ricorrono nell’art. 143 (Diritti e doveri reciproci dei coniugi), comma 3: «Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia»; e nell’art. 326 (Inalienabilità dell’usufrutto legale. Esecuzione sui frutti), comma 2: «L’esecuzione sui frutti dei beni del figlio da parte dei creditori dei genitori o di quello di essi che ne è titolare esclusivo non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia».

[9] Art. 170, comma 2, c.c. previgente: «L’esecuzione sui frutti dei beni costituenti il patrimonio familiare non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia».

[10] Cass. civ., III, 7 gennaio 1984, n. 134, in Foro it., 1985, 561, con nota redazionale secondo cui «non constano precedenti editi in termini». Ma, come ricordato nella stessa decisione annotata, il principio di diritto ivi affermato è in linea di continuità con i precedenti di legittimità elaborati sul previgente art. 170 c.c., con riguardo al patrimonio familiare, e sul previgente art. 188 c.c., con riguardo ai beni dotali (cfr. Cass. civ., I, 19 maggio 1969, n. 1717, in Foro. it., 1970, I, 949).

[11] Cass. civ., III, 31 ottobre 2014, n. 23163.

[12] Insiste sulla ampiezza del criterio identificativo dei bisogni della famiglia, «nel quale sono ricompresi anche i bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell’indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto, in conseguenza delle possibilità economiche familiari», Cass. civ., III, 19 febbraio 2013, n. 4011. Sul tenore di vita familiare come criterio identificativo, v., anche, Cass. civ., VI, 24 febbraio 2015, n. 3738 e Cass. civ., VI, 13 novembre 2015, n. 23328.

[13] Trib. Pavia, III, 21 maggio 2015 (Rel. Cimati), in Famiglia e diritto, 2016, 290 ss.

[14] Cit. Cass. n. 23163/2014.

[15] Sembra, invece, seguire l’opposto orientamento Cass. civ., III, 31 maggio 2006, n. 12998, ma senza farne oggetto di espressa affermazione di principio.

[16] Cass. civ., 5 marzo 2013, n. 5385.

[17] Da ultimo, Cass. civ., 29 gennaio 2016, n. 1652: «l’onere della prova dei presupposti di applicabilità dell’art. 170 c.c., ed in particolare, per quanto rileva in questa sede, che il debito per cui si procede sia stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia e che il creditore sia a conoscenza di tale estraneità, grava sulla parte che intende avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale».

[18] Cass. civ., III, 7 febbraio 2013, n. 2970: «spetta agli opponenti allegare, prima, e, quindi, provare quali siano i titoli dai quali le singole obbligazioni siano sorte ed il contesto nell’ambito del quale vennero contratte, al fine di consentire al giudice di pervenire all’esclusione, anche per via presuntiva, della loro riconducibilità ai bisogni della famiglia, nel senso che (possa anche presumersi che) vennero contratte per scopi a questi del tutto estranei». E, nel merito, di recente, Trib. Como, 14 marzo 2016 (Est. A. Petronzi), in www.ilcaso.it.: «non risulta fornita la prova, anche solo in via meramente presuntiva, nemmeno invero allegata dalla parte opponente, che i debiti fossero contratti per scopi estranei ai bisogni famigliari. Sul punto, infatti, la parte opponente si è limitata ad allegare “la totale estraneità ai bisogni della famiglia” (cfr. pag. 7 ricorso), senza nemmeno offrire elementi a suffragio della deduzione, di contro fermamente contestata da tutti creditori».

[19] Tra le tante, Cass. civ., SS.UU., 13 ottobre 2009, n. 21658.

Per una diversa opinione, cfr. Bianca, op. cit., 79, secondo cui «l’annotazione consente di opporre ai terzi la convenzione annotata, non gli atti singolarmente assoggettati al regime della trascrizione. Tali atti possono essere opposti ai terzi solo in quanto trascritti».

Il doppio binario di pubblicità è stato ritenuto non in contrasto con gli artt. 3 e 29 Cost. da Corte cost., sent. 23 marzo - 6 aprile 1995, n. 111.

[20] Cass. civ., III, 12 dicembre 2013, n. 27854.

[21] Sulla applicabilità della preclusione ex art. 170 c.c. all’iscrizione di ipoteca non volontaria, in particolare, cit. Cass. n. 5385/2013.

[22] Sull’elemento soggettivo, cit. Cass. n. 5684/2006 precisa che «spetta al debitore provare che il creditore conosceva l’estraneità del credito ai bisogni della famiglia; ciò perche i fatti negativi (in questo caso l’ignoranza) non possono formare oggetto di prova».

[23] Cit. Cass. n. 23163/2014.

[24] Cit. Cass. n. 4011/2013; cit. Cass. n. 3738/2015.

[25] Cass. civ., I, 18 settembre 2001, n. 11683.

[26] Cass. civ., III, 11 luglio 2014, n. 15886, in Giur. it., 2015, 577 ss., con nota di M. Aureli, Fondo patrimoniale: debiti sorti nell’esercizio dell’impresa e bisogni della famiglia.

[27] Trib. Reggio Emilia, II, 10 marzo 2015 (Est. Morlini), in Pluris.

[28] App. Milano, III, 15 febbraio 2016 (Rel. Ferrero), in Pluris.

[29] Trib. Taranto, II, 5 dicembre 2014, n. 3688 (Est. Casarano), in Altalex con nota di N. Virdis.

[30] Cit. Cass. n. 23328/2015.

[31] Ex plurimis, Cass. civ., V, 21 ottobre 2015, n. 21396.

[32] Cass. civ., III, 26 agosto 2014, n. 18248.

[33] Cass. civ., I,  5 giugno 2003, n. 8991 e 18 luglio 2003, n. 11230.

[34] Così, cit. Trib. Como, 14 marzo 2016 (Est. A. Petronzi). In senso analogo, tra gli altri, anche, Trib. Lanusei, 31 maggio 2011 (Est. L. Ponzillo), in Pluris.

[35] Cass. civ., sez. trib., 7 luglio 2009 n. 15862.

[36] Cfr., tra gli altri, A. Di Sapio, Patrimoni segregati ed evoluzione normativa: dal fondo patrimoniale all’atto di destinazione ex art. 2645-ter, in Il diritto di famiglia e delle persone, 2007, 1276-1277, che fonda la tesi sull’argomento della mancanza dell’affidamento e non sul motivo, ritenuto minore, della mancanza di una scelta del creditore.

[37] Cass. civ., VI, 10 febbraio 2015, n. 2530: «per pacifica giurisprudenza di questa Corte, l’atto di costituzione del fondo patrimoniale, anche se compiuto da entrambi i coniugi, è atto a titolo gratuito e, come tale, soggetto ad azione revocatoria ordinaria ai sensi dell’art. 2901, primo comma, n. 1), c.c., ossia a condizione che sussista la mera conoscenza del pregiudizio arrecato ai creditori»; Trib. Reggio Emilia, I, 10 marzo 2014 (Est. Fanticini): «Non sono richiesti né consiliumscientia fraudis del terzo dal momento che la costituzione di fondo patrimoniale non è atto a titolo oneroso (e nemmeno il suo incremento lo è)». La natura del fondo patrimoniale come di atto in ogni caso a titolo gratuito non è, invece, condivisa dalla dottrina: per un quadro di sintesi delle diverse opinioni, F. Longo, Fondo patrimoniale ed azione revocatoria, in Famiglia e diritto, 2008, 593-594.

[38] Cass. civ., III, 7 ottobre 2008, n. 24757 e Id., 17 gennaio 2007, n. 966. Conf., di recente, Cass. civ., III, 23 settembre 2015, n. 18797.

[39] Cass. civ., III, 22 marzo 2013, n. 7250; cit. Cass. n. 24757/2008 e n. 966/2007; e, da ultimo, Cass. civ., III, 29 gennaio 2016, n. 1658.

[40] Il pericolo di infruttuosità deve intendersi, nella fase cautelare, in riferimento alla garanzia generica e non in relazione alla specifica capacità del bene, ai sensi dell’art. 164-bis disp. att. c.p.c., di soddisfare il credito azionato. Anzi, mentre il pericolo di infruttuosità nella fase cautelare alimenta il pregiudizio che concreta l’interesse del creditore all’azione conservativa; nella fase esecutiva, il pericolo di infruttuosità somministra una regola di astensione, invitando il creditore procedente a non escutere il debitore allorquando l’azione si mostri manifestamente inidonea al soddisfacimento del credito (anche in relazione ai costi dell’azione esecutiva), perché l’espropriazione è volta al soddisfacimento del credito e non alla demolizione, fine a sé stessa, del patrimonio del debitore.

[41] Cass. civ., III, 22 marzo 2016, n. 5619.

[42] Cass. civ., III, 9 febbraio 2012, n. 1896; e Cass. civ., III, 27 marzo 2001, n. 4422, con riguardo alla ammissibilità dell’azione revocatoria del conferimento di immobile in fondo patrimoniale acquisito al patrimonio del debitore successivamente al sorgere del debito.

[43] Cass. civ., I, 11 novembre 2003, n. 16915.

[44] Cass. civ., III, 14 novembre 2011, n. 23743.

[45] Cass. civ., II, 17 novembre 2015, n. 23509; cit. Cass. n. 1896/2012.

[46] Cit. Cass. n. 24757/2008 e  n. 966/2007.

[47] Sulla dolosa preordinazione (consilium fraudis) ex art. 2901, n. 1, seconda ipotesi, c.c., Cass. civ., III, 23 settembre 2004, n. 19131.

[48] Cass. civ., VI, 9 ottobre 2015, n. 20376: «gli atti dispositivi del fideiussore successivi alla prestazione della fideiussione medesima, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti alla predetta azione, ai sensi dell’art. 2901, n. 1, prima parte, c.c., in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore (e, in caso di atto a titolo oneroso, del terzo) di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (scientia damni)».

[49] Il ricorso alle formule latine non è sempre uniforme: cfr., di recente, Cass. civ., VI, 26 gennaio 2016, n. 1404: «la prova della “participatio fraudis” del terzo, necessaria ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria nel caso in cui l’atto dispositivo sia oneroso e successivo al sorgere del credito, può essere ricavata anche da presunzioni semplici, ivi compresa la sussistenza di un vincolo parentale tra il debitore ed il terzo, quando tale vincolo renda estremamente inverosimile che il terzo non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente».

[50] Sull’applicabilità dell’art. 2929-bis c.c., anche, al fondo patrimoniale, A. Gentili, Gli atti di destinazione non derogano ai principi della responsabilità patrimoniale, in Atti di destinazione, a cura di P. Rescigno e V. Cuffaro, in Giur. it., 2016, 228.

[51] Introdotto dall’art. 12 decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, conv. legge 6 agosto 2015, n. 132.

[52] Sulla natura di convenzione matrimoniale, secondo la dottrina dominante, G. Gabrielli, Regime patrimoniale della famiglia, in Dig. disc. priv. Sez. civ., XVI, Torino, 1997, 382: «come risulta dalla collocazione della disciplina del fondo patrimoniale, l’inequivoca intenzione del legislatore è stata quella di considerare anche la costituzione del fondo come scelta di un regime patrimoniale, in aderenza del resto alla tradizione formatasi fin dall’emanazione del vigente codice civile: con la conseguenza, esplicitamente tratta dall’orientamento dominante, di considerare convenzione matrimoniale, applicando la relativa disciplina, l’atto in cui tale scelta si concreta». V., supra, nota n. 19, per la giurisprudenza di legittimità.

[53] Cfr. L. Principato, Profili costituzionali della famiglia, come canone ermeneutico, soggetto giuridico e fattispecie, in Giur. cost., 2015, § 4:«Lo scopo dell’istituto è quello di preservare gli interessi della famiglia verso l’esterno ma anche verso l’interno, ossia nell’ambito del gruppo familiare, operando una ponderazione e composizione dei potenzialmente contrapposti interessi di ciascuno dei familiari e della famiglia nel suo insieme. La supremazia dell’interesse della formazione sociale, rispetto a quello dei singoli, è di tutta evidenza».

[54] Per una articolata critica sul punto, A. Gentili, Op. cit., 224 ss.

[55] Cfr. B. Franceschini, Fondo patrimoniale e trust, in Trusts e attività fiduciarie, 2009, 20: «La dottrina dominante qualifica il fondo patrimoniale quale patrimonio separato, in quanto vi si riscontra la destinazione dei beni ad una determinata finalità (i bisogni della famiglia legittima) a fronte della quale l’ordinamento prescrive le modalità di amministrazione (art. 169 c.c. per gli atti dispositivi, che deroga all’art. 1379 c.c.) e consente una limitazione di responsabilità di tali beni e dei loro frutti nei confronti di alcuni creditori (quelli per debiti non contratti per bisogni della famiglia - art. 170 c.c. che deroga all’art. 2740 c.c.) con conseguente rafforzamento della garanzia patrimoniale a vantaggio dei creditori relativi alle obbligazioni che hanno causa nella destinazione».

[56] Cfr. Cass. civ., sez. trib., 19 febbraio 2002, n. 8162, che definisce gli effetti del fondo patrimoniale come «distacco dal resto del patrimonio di un bene del soggetto per riservarlo ad alcuni creditori con esclusione degli altri»; nel caso di specie, si trattava di conferimento in fondo patrimoniale con espressa riserva di proprietà.

[57] D’altro canto, le limitazioni di responsabilità patrimoniale sono soggette ad uno stretto scrutinio di legittimità costituzionale: cfr. Corte cost., sent. 2 - 15 luglio 1992, n. 329, secondo cui l’elemento della responsabilità patrimoniale del debitore è una componente essenziale del diritto di obbligazione e funge da tramite dell’assoggettamento all’esecuzione forzata, incidendo sul diritto fondamentale alla tutela giurisdizionale, sicché il limite deve essere giustificato da un interesse pubblico riconoscibile come potenzialmente preminente su un principio, quale quello dell’art. 24 Cost., annoverato tra i «principi supremi» dell’ordinamento costituzionale.

[58] Cfr. B. Franceschini, Atti di destinazione (art. 2645-ter c.c.) e trust, in Trust, vol. II, a cura di M. Monegat, G. Lepore, I. Valas, Giappichelli, 2008, 263-264: «la non aggredibilità dei beni vincolati da parte dei creditori estranei alla destinazione è l’unico effetto che la legge prevede».

[59] Cfr., anche, l’art. 2447-bis c.c. «Patrimoni destinati ad uno specifico affare».

[60] Tra le differenze più rilevanti spicca, ai nostri fini, l’inciso «solo per debiti contratti per tale scopo», che inverte, rispetto al fondo patrimoniale, lo spettro dei creditori legittimati all’escussione e il relativo onus probandi, cfr., di recente, R. S. Bonini, Dall’azione revocatoria all’espropriazione anticipata: la tutela dei creditori rispetto agli atti di destinazione, in Atti di destinazione, a cura di P. Rescigno e V. Cuffaro, cit., 232; G. Oberto, Atto di destinazione e rapporti di famiglia, ivi, 241.

[61] Tra gli interessi meritevoli di tutela, rientra senz’altro anche la famiglia qui considerata, evidentemente, nei suoi risvolti patrimoniali.Si osservi, in proposito, che, se l’art. 29 Cost. tutela «essenzialmente gli aspetti etico-sociali della famiglia» (Corte cost., sent. 6 aprile 1995, n. 111), i profili anche patrimoniali discendono senz’altro, almeno, dai successivi artt. 30 e 31. L’utilizzabilità del fondo destinato ex art. 2645-ter c.c. per soddisfare gli interessi già codificati dal legislatore col fondo patrimoniale è controversa in dottrina: cfr. A. Fusaro, Prospettive di impiego dell’atto di destinazione per i conviventi, in Rivista del Notariato, 2014, § 2; G. Oberto, op. cit., 243 ss., ed ivi una rassegna di dottrina anche, p. 254 ss., con riguardo al delicato tema della famiglia more uxorio.


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