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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 21/09/2020 Scarica PDF
È a carico del creditore-opposto l'onere di promuovere la procedura di mediazione obbligatoria
Giuseppe D'Elia, Professore associato di Istituzioni di diritto pubblico nell'Università degli Studi dell'Insubria. Avvocato cassazionista nel Foro di MilanoBrevi note, a prima lettura, alle Sezioni Unite Civili n. 19596 del 18 settembre 2020
1. Con sentenza n. 19596, depositata il 18 settembre 2020, le Sezioni Unite Civili della Suprema Corte hanno chiuso l’annosa questione dell’onere di promuovere la procedura di mediazione obbligatoria, ai sensi dell’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, decidendo che l’onere grava sul creditore-opposto; sicché, ove questo non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità, di cui al citato comma 1-bis, consegue la revoca del decreto ingiuntivo.
Secondo le Sezioni Unite, militano a favore della decisione argomenti di carattere testuale, logico e sistematico; e tale soluzione sarebbe, altresì, l’unica costituzionalmente orientata.
2. Quanto agli elementi testuali, le Sezioni Unite, in sostanza, osservano come diverse disposizioni del cit. d.lgs. n. 28 diano per scontato che sia l’attore e non il convenuto a dover attivare la relativa procedura. In effetti, è così. Chiaro sul punto è l’incipit del cit. comma 1-bis: «Chi intende esercitare in giudizio un’azione...».
Ma la questione è, evidentemente, altra: non certo ciò che accade di regola, ma in quelle particolari situazioni, di cui al comma 4, in cui «i commi 1-bis e 2 non si applicano» e, tra questi, «a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione».
Semmai, si potrebbe rilevare come il legislatore abbia ritenuto di non imporre il «preliminarmente», che invece campeggia nel cit. comma 1-bis, con riguardo ad entrambe le fasi iniziali del procedimento de quo, ricorso monitorio e atto di opposizione, posticipando l’obbligo ad una fase successiva, però non espressamente regolamentata. E ci si potrebbe anche domandare se la decisione di riproporre l’obbligatorietà della mediazione anche quando sia già in corso un giudizio (anziché, per intenderci, rimetterla alle pertinenti valutazioni del giudicante) sia espressione di una razionalità coerente con le finalità deflative o sia, piuttosto, un mero omaggio al mercato della mediazione, tenuto conto che «il carattere obbligatorio della mediazione non è intrinseco alla sua ratio» (Corte cost., n. 272 del 2012). Del resto, nella spesso evocata sentenza n. 97 del 2019, la Corte costituzionale non ha affermato che l’obbligatorietà della mediazione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è senz’altro conforme al canone della razionalità, ma – nei limiti della questione sollevata dal rimettente Tribunale di Verona – ha solo escluso che il differente trattamento normativo tra mediazione e negoziazione fosse manifestamente irragionevole o arbitrario (§ 5 e ss. del Cons. in dir.).
3. Quanto agli argomenti di carattere logico e sistematico, le Sezioni Unite, innanzitutto, osservano che «nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è l’opposto ad avere la qualità di creditore in senso sostanziale», «per cui sarà il creditore a dover assumere l’iniziativa di promuovere la mediazione».
Tuttavia, si è già visto che il legislatore ha chiaramente assunto come criterio discretivo il concetto di azione («chi intende esercitare in giudizio un’azione»), non la dicotomia creditore/debitore. E la scelta del legislatore ha reso irrilevante, ai fini dell’avvio del procedimento di mediazione, la posizione sostanziale rivestita nel rapporto controverso. Del resto, nel caso di azione di accertamento negativo, l’avvio del procedimento di mediazione spetta, appunto, a chi intende far valere l’inesistenza di un rapporto, cioè all’asserito debitore; come, nelle actiones negativae, spetta a chi nega l’altrui ius in re aliena.
Dunque, l’inversione dei ruoli non solo non è affatto incoerente con il sistema delineato dal cit. d.lgs. n. 28, che si concentra sull’azione e non sul diritto conteso, ma è anzi, talora, imposta dalla specificità dell’azione.
4. Secondo le Sezioni Unite, «un secondo argomento sistematico si deduce confrontando le diverse conseguenze derivanti dall’inerzia delle parti a seconda che si propenda per l’una o per l’altra soluzione»: in un caso, l’irrevocabilità del decreto ingiuntivo; nell’altro, la revoca del decreto ingiuntivo che – aggiungono – potrà essere nuovamente richiesta «senza quell’effetto preclusivo che consegue alla irrevocabilità del decreto».
Non crediamo di fare un torto alle Sezioni Unite se mostriamo di comprendere l’anelito sociale che commuove la decisione, tenuto conto che, nei rapporti azionabili in via monitoria soggetti alla mediazione obbligatoria, il creditore-opposto è, di regola, la parte economicamente più forte.
Tuttavia, riteniamo che il risvolto sociale, in questo caso, non sia un valido argomento, perché volto a creare una norma in realtà inesistente e, come vedremo, niente affatto imposta dalla Costituzione. Competeva, infatti, al legislatore individuare la parte onerata. Compito dell’interprete era, semmai, quello di individuare quale scelta avesse esercitato il legislatore ed eventualmente valutarne la conformità a Costituzione con gli strumenti propri del giudizio sulle leggi; non indurre dalle possibili soluzioni quella che appariva migliore all’interprete e attribuirne la paternità ad un distratto legislatore. E ciò anche perché è sempre consentito ammettere, senza infingimenti, che, in realtà, il legislatore non ha espresso alcuna scelta e concludere che spettava, per conseguenza, al giudice del procedimento di valutare nel caso concreto a chi assegnare l’onere in parola.
5. Infine, le Sezioni Unite concludono che la soluzione da loro prescelta sarebbe più conforme al dettato costituzionale di quella fatta propria dalla terza sezione, con la sentenza n. 24629 del 3 dicembre 2015, la quale, invece, aveva posto l’onere a carico dell’opponente, «alla luce del principio costituzionale del ragionevole processo e, dunque, dell’efficienza processuale» unitamente alla ratio deflativa dell’istituto della mediazione obbligatoria. Secondo le Sezioni Unite, quell’orientamento non merita di essere più coltivato, perché «nel conflitto tra il principio di efficienza (e ragionevole durata) e la garanzia del diritto di difesa, quest’ultimo deve necessariamente prevalere».
Tuttavia, in disparte il condivisibile bilanciamento tra efficienza processuale e diritto di difesa a favore del secondo, le Sezioni Unite non hanno sufficientemente argomentato la ragione per la quale l’effetto dell’inerzia costituirebbe un vulnus all’inviolabilità della difesa - predicata dall’art. 24 comma 2 Cost. senza distinzioni - solo per la parte opponente.
Piuttosto, la lesione del diritto alla difesa si verifica quando, come nel caso di specie, l’effetto negativo per le parti (rispettivamente, irrevocabilità o revoca) non è la conseguenza di una scelta consapevole, avendo il legislatore omesso di precisare, come se fosse un dettaglio di poco momento, su chi grava l’onere dell’attivazione del procedimento di mediazione nei casi particolari di cui al cit. comma 4.
6. Sembra, infine, che abbia contribuito al cambio di orientamento anche un inciso, apparso a molti incoerente, contenuto nella sentenza del 2015, quando la terza sezione afferma: «Del resto, non si vede a quale logica di efficienza risponda una interpretazione che accolli al creditore del decreto ingiuntivo l’onere di effettuare il tentativo di mediazione quando ancora non si sa se ci sarà opposizione allo stesso decreto ingiuntivo». In realtà, in quella osservazione v’è del vero, quantomeno nella parte in cui sottolinea che l’onere per il creditore monitorio sorgerebbe a seguito della libera decisione dell’ingiunto di proporre opposizione.
Il meccanismo dell’esperimento della mediazione come condizione di procedibilità è, però, costruito nel cit. d.lgs. n. 28 su una preventiva scelta espressa dal legislatore (art. 5 comma 1-bis) ovvero consegnata al giudice, anche d’appello, del caso concreto (art. 5 comma 2). Trattandosi di condizione di procedibilità, tertium non datur, perché siamo prossimi alla violazione del diritto costituzionale all’azione (art. 24 Cost.). Invece, far sorgere l’obbligo in capo al creditore-opposto come automatica conseguenza della proposizione dell’opposizione equivale a introdurre una terza ipotesi di condizione di procedibilità che non solo non è espressamente prevista dalla legge, ma addirittura discende dalla volontà di una parte di gravare l’altra di un onere condizionante l’esercizio di un diritto costituzionale. Ed è improbabile che questa sia una soluzione necessitata dalla Costituzione.
7. Escluso, dunque, che la soluzione professata dalle Sezioni Unite sia l’unica costituzionalmente orientata, in quanto entrambe le soluzioni necessitano di essere bilanciate, senza che possa affermarsi una prevalenza dell’una sull’altra, continuiamo a preferire il precedente orientamento del 2015, perché ci appare contrario alla logica, prima che al diritto, che si possa onerare il creditore-opposto di “coltivare l’opposizione” (addirittura, anche quando contenga una domanda riconvenzionale) e che si possano interpretare le disposizioni del d.lgs. n. 28 del 2010 fino al punto di comportare l’inefficacia di atti giurisdizionali già emessi, così producendo il risultato opposto alla finalità deflativa e, più in generale, il risultato di minare l’efficacia dell’azione monitoria, antico strumento di deflazione del contenzioso ordinario.
La soluzione del 2015 aveva il merito, in breve, di essere conforme al criterio ermeneutico dell’effetto utile, secondo cui, al cospetto di più soluzioni (nessuna necessitata dalla Costituzione), è preferibile quella che consegni utilità ed effettività a disposizioni, norme e istituti giuridici, conformemente al loro scopo.
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