CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 15/12/2015 Scarica PDF
L'atomo di Bohr e le procedure concorsuali: una metafora della interazione tra giudice, debitore e creditori nella crisi di impresa
Paola Vella, Giudice nella Corte di Cassazione1. Normazione, giurisdizione ed autonomia privata: un complesso equilibrio - 2. Dalla logica dell’eliminazione alla strategia del salvataggio. - 3. I nuovi imput delle riforme concorsuali - 4. Autonomia ed eterotutela nella regolazione della crisi d’impresa (l'atomo di Bohr) - 5. La marginalità dell’intervento giudiziale nei piani attestati di risanamento - 6. Il (non univoco) self-restraint dei giudici di merito negli accordi di ristrutturazione dei debiti - 7. L’evoluzione storica della soluzione concordataria - 8. Il recente potenziamento del ruolo del giudice nel concordato preventivo - 9. Il controllo giudiziale sulla fattibilità del concordato preventivo - 10. Il progressivo esautoramento del principio della par condicio creditorum - 11. La tutela dei creditori lungo l’iter concordatario - 12. L’absolute priority rule statunitense - 13. Il nuovo approccio all’insolvenza raccomandato dalla Commissione europea.
1. Normazione, giurisdizione ed autonomia privata: un complesso equilibrio
L’efficienza della giustizia - e, in particolare, l’efficacia del ruolo che il giudice è chiamato a svolgere nelle procedure di regolazione della crisi d’impresa, a tutela degli interessi contrapposti che vi si fronteggiano - è direttamente proporzionale alla chiarezza delle norme che la giurisdizione è chiamata ad applicare, se necessario interpretandole. In effetti, la certezza del diritto rappresenta un valore fondamentale non solo per la tutela dei diritti, ma anche per il corretto funzionamento del mercato; tuttavia, essa resta inevitabilmente annichilita in presenza di estenuanti fibrillazioni normative.
Pertanto, considerata l’esecrabile alluvione legislativa che da tempo affligge il sistema italiano, è solo un’amara consolazione constatare che non si tratta, in fondo, di un fenomeno esclusivo di questi tempi - basti pensare ai classici della letteratura latina (con l’ammonimento tacitiano corruptissima re publica, plurimae leges) o di quella italiana (con la pungente ironia manzoniana sulle grida spagnole) - né tutto e solo (per quanto tipicamente) italiano, se è vero che anche nel paese-icona dell’efficientismo giudiziario, gli Stati Uniti d’America, la crisi del 2008 è stata fronteggiata con un elefantiaco testo legislativo di oltre duemila pagine (il Dodd-Frank Act del 2010).
Non deve quindi sorprendere che nel lontano 1955 Piero Calamandrei, di fronte a produzioni legislative ritenute - già allora - sciatte e disinvolte, rivendicasse il ruolo creativo del Giudice, ritenuto non più semplice “operatore di sillogismi” (Beccaria) o bouche de la loi (Montesquieu), ma fonte di una produzione giuridica “per principi”, così preconizzando il ruolo che avrebbero poi assunto in ambito comunitario la Corte di Giustizia Europea e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, pur in assenza dello stare decisis proprio dei sistemi di common law[2].
La stessa analisi economica del diritto (Law and Economics) - che trova le sue fondamenta nel noto saggio pubblicato nel 1960 da Ronald Coasesui c.d. costi di transazione[3]- studia sostanzialmente il modo in cui le norme devono essere modellate (dal legislatore) o interpretate (dal giudice) per ottenere la massima efficienza[4]; tale metodo, di matrice neoclassica, esprime un approccio per lo più individualistico e concorrenziale che, applicato allo studio dei rapporti tra impresa e giustizia (e delle rispettive crisi), alimenta la visione neoliberista dell’affrancamento del mercato dallo stato di diritto, con affidamento alle naturali asimmetrie del contratto, ove alla mediazione dei rapporti si sostituisce l’egemonia delle forze economiche, cui resta estranea ogni logica di protezione e di parità di trattamento.
Sono queste, in estrema sintesi, le radici culturali della più recente “contrattualizzazione” del diritto fallimentare, che ha progressivamente disgregato il tradizionale principio della par condicio creditorum in mille rivoli di “preferenze” (accordate sull’onda della contingenza o emergenza economica), immolandolo sull’altare della salvaguardia - ad ogni costo - delle imprese, travolte da una crisi sistemica senza precedenti.
Peraltro, se è vero che l’impronta delle riforme concorsuali avviate in questo secondo millennio registrava un arretramento del ruolo del giudice e la perdita di centralità degli interessi dei creditori, tuttavia un più attento esame dei più recenti movimenti legislativi segnala una decisa inversione di tendenza, specie quanto all’intervento giudiziale nel procedimento di regolazione concordataria della crisi di impresa, il cui accrescimento è del resto funzionale proprio alla tutela degli interessi contrapposti alle iniziative del debitore, in primis quelli dei creditori.
2. Dalla logica dell’eliminazione alla strategia del salvataggio
Tradizionalmente, se la finalità immediata e diretta delle procedure concorsuali era il soddisfacimento delle pretese dei creditori, attraverso la liquidazione dell’impresa e dell’eventuale patrimonio personale dell’imprenditore insolvente, quella indiretta - ma non meno importante - era la tutela dell’interesse collettivo alla sicurezza e stabilità dei traffici commerciali, in una “visione darwininana dell’economia”[5], ove i soggetti imprenditorialmente incapaci rappresentavano un semplice rischio di “contagio” per il mercato.
L’impronta radicalmente liquidatoria, incentrata sulla tutela del ceto creditorio, ha di fatto soffocato l’unico istituto fallimentare ab origine destinato alla conservazione dell’unità produttiva e dei posti di lavoro, quale è l’esercizio provvisorio dell’impresa del fallito (art. 104 l.fall.), le cui applicazioni sono state infatti, statisticamente, assai limitate.
Solo gradualmente, e sotto le spinte contingenti delle varie recessioni economiche (specie la crisi globale degli ultimi anni), sul terreno perso dalla prospettiva soggettivistica e colpevolistica dell’imprenditore, si è fatto spazio l’obbiettivo della conservazione e del ricollocamento sul mercato dell’impresa in sé, quale organismo produttivo, nella consapevolezza che una oculata e soprattutto precoce ristrutturazione può conciliare (ed anche meglio soddisfare) gli interessi - tradizionalmente contrapposti - del debitore, dei creditori e degli altri stakeholders dell’impresa (primi fra tutti i dipendenti, ma anche la stessa proprietà), attraverso una proficua continuazione dell’attività, in chiave conservativa degli assets e del plusvalore dei complessi aziendali, ben più fruttuosa della semplice liquidazione atomistica[6], specie quando il valore dell’impresa in esercizio supera il valore di liquidazione (c.d. valore di going concern).
E poiché, spesso, dalle parole traspare il senso delle cose, non è un caso che dal predominio soggettivo dell’insolvenza (riferita all’imprenditore) si sia passati a quello oggettivo della crisi (riferita all’impresa), la cui etimologia (dal sostantivo greco krisis - scelta, decisione, derivato dal verbo krino, distinguo, giudico) descrive piuttosto una possibilità dinamica di cambiamento, che non - come invece nell’accezione moderna - una condizione statica di squilibrio e difficoltà.
In effetti, la tutela dei creditori ha cominciato a perdere centralità nel sistema concorsuale a partire dalla c.d. legislazione di salvataggio degli anni ’70, per lo più finalizzata al risanamento delle imprese di grandi dimensioni, in funzione di superiori esigenze sociali e di politica economica nazionale (si pensi alle varie leggi Prodi, Prodi-bis e Marzano), per poi essere traghettata - anche sull’onda della cultura della ristrutturazione, di matrice europeistica - nella stagione delle riforme fallimentari, ove ha finito per perdere terreno anche all’interno delle ordinarie procedure concorsuali, sempre meno orientate alla par condicio creditorum ed invece proiettate verso la risoluzione negoziale della crisi, ove il raggiungimento dell’equilibrio degli interessi tra debitore e creditori viene affidato all’autonomia delle parti, piuttosto che alla tutela del giudice, il quale - in linea con i nuovi principi del giusto processo - guadagna una posizione di maggiore terzietà, essendo tendenzialmente destinato ad intervenire solo laddove accordi e negoziazioni inter partes falliscano.
Fondamentale, in questa nuova ottica, l’abolizione dell’iniziativa d’ufficio per la dichiarazione di fallimento, che nonostante la sua connotazione ancora fortemente pubblicistica, testimoniata dalla costante presenza del pubblico ministero, già in fase preconcordataria (art. 161, comma 5, l.fall.), è di fatto divenuta una semplice “opzione” - tendenzialmente l’ultima - dei creditori, quasi una extrema ratio cui “arrendersi” quando ormai nessuna soluzione negoziata risulti percorribile. Si è in questo senso parlato di “superamento del dogma dell’insolvenza”[7].
Nelle nuove procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento[8] - destinate a regolare la crisi delle imprese non fallibili e l’insolvenza civile del debitore o del consumatore - il legislatore ha invece cercato in tutti i modi di agevolare i creditori, affrancandoli sia dall’onere dell’anticipazione dei costi, sia dal disagio dei tempi, delle procedure esecutive individuali, anche tramite l’ausilio di figure professionali (gli organismi di composizione della crisi) assai più vicine al moderno ruolo di “mediatore”, di stampo europeo.
3. I nuovi imput delle riforme concorsuali
Il leit motiv delle novelle concorsuali dell’ultimo decennio ha un’impronta binaria - continuità e negozialità, l’una come obbiettivo prioritario[9], l’altra come strumento ideale per il suo conseguimento - che non ha avuto, però, uno sviluppo lineare.
Infatti, mentre l’obbiettivo del salvataggio dell’impresa in crisi ha impregnato l’humus di ogni istituto concorsuale, finendo per scardinare principi anche inveterati (si pensi alla possibilità di pagamento dei creditori anteriori e di scioglimento del debitore dai contratti in corso di esecuzione, ma anche alle prededuzioni “elargite” lungo tutto il corso del concordato preventivo con riserva), il mito della negozialità ha visto gradualmente affievolirsi la sua spinta propulsiva iniziale, anche a causa dell’inaspettato insuccesso degli strumenti più innovativi sui quali si era fatto leva - i piani attestati di risanamento e gli accordi di ristrutturazione dei debiti - che hanno infatti registrato applicazioni alquanto scarse, tanto da potersi dire che i secondi, in paticolare, rappresentano forse il più grande “fallimento” dell’investimento fatto dal legislatore delle riforme.
Di qui - oltre che in reazione a strumentalizzazioni e abusi delle nuove procedure - il revirement normativo verso ulteriori (e talvolta più pervasive) forme di controllo giudiziale, in controtendenza rispetto al fenomeno espansivo dell’autonomia negoziale: si pensi ai penetranti poteri autorizzatori del tribunale ed agli stringenti obblighi informativi del debitore pre-concordatario (art. 161 commi 6, 7 ed 8, l.fall.) dapprima imposti dal Decreto sviluppo[10] e poi rafforzati dal Decreto crescita[11], anche con l’introduzione della figura del pre-commissario giudiziale, con ficcanti poteri di controllo sull’attività del debitore, anche ai fini di una eventuale revoca ex art. 173 l.fall.
Evidentemente, il presupposto di fondo da cui muoveva la riforma - l’essere la giurisdizione un fattore anticompetitivo, in quanto causa di aumento dei costi e dei tempi della procedura, e quindi ostacolo ai tentativi di risanamento delle imprese - pur essendo supportato da apposite ricerche (come quella della Banca d’Italia[12] da cui era emerso che le procedure giudiziali avevano una durata media di 72 mesi ed una percentuale di soddisfazione del 30%, a fronte dei rispettivi 19 mesi e 60% delle convenzioni stragiudiziali) e da risalenti studi (se già negli anni ’50 studiosi come Ascarelli o Jaeger sottolineavano l’inefficienza della disciplina fallimentare e la sua incapacità di conservare i valori aziendali)[13], ha dovuto fare i conti con una sostanziale immaturità sia del debitore (per nulla propenso alla precoce denuntiatio del proprio stato di crisi) che dei creditori (per nulla avvezzi ad assumere un ruolo attivo nel perseguimento di una equilibrata soluzione della crisi, al di là del particolarismo della propria posizione), e quindi con la tendenza inerziale di entrambi a delegare al giudice - troppo spesso intempestivamente - la soluzione della crisi, confidando nelle garanzie di terzietà e certezza del vaglio giudiziale.
La cartina al tornasole di questo “abbaglio” sono le più recenti rilevazioni statistiche, che registrano - nonostante le innumerevoli riforme susseguitesi nel tempo, un aumento esponenziale dei fallimenti (più che raddoppiati rispetto al 2008, con un aumento del 14,1% nel terzo trimestre 2014, rispetto al corrispondente periodo del 2013) ed una contrazione delle domande di concordato preventivo (ridottesi del 29% nel terzo trimestre 2014, rispetto al corrispondente periodo del 2013)[14], cui fa eco un allarmante tasso di insuccesso nelle operazioni di risanamento e ristrutturazione delle imprese, attraverso i concordati preventivi (prevalentemente liquidatori) ed i (rari) accordi di ristrutturazione dei debiti.
Alla prova dei fatti, il mantra dell’arretramento del ruolo del giudice si è rivelata una chimera; al tempo stesso, la sua pretesa contrarietà ideologica alle soluzioni concordate della crisi di impresa si è rivelato un pregiudizio, come attestano recenti indagini empiriche sulla propensione all’utilizzo (anche nel concordato preventivo con riserva) dello strumento interlocutorio di cui all’art. 162, comma 1, l.fall., indice di un atteggiamento dell’organo giuridiziario partecipativo al corretto allestimento della domanda, ai fini del buon esito della soluzione concordataria, in pefetta sintonia con il favor concordati che permea il nostro ordinamento[15].
Per non dire dei ripetuti interventi della Suprema Corte, rivelatasi su questo terreno ancor più all’avanguardia dei giudici di merito nell’interpretare il self-restraint giudiziale imposto dallo spirito delle riforme.
Si pensi, emblematicamente, allo sforzo euristico compiuto dalle Sezioni Unite (sent. n. 1521/13, su cui v. infra) nello scorporare la categoria della “fattibilità giuridica” da quella della fattibilità economica, probabilmente anche per arginare la tendenza (realistica) dei giudici di merito ad arrestare subito - senza nemmeno passarle al vaglio dei creditori - proposte concordatarie prive di fattibilità, spesso viste come schermo all’abuso dell’istituto.
Ma si pensi anche all’orizzonte più vasto in cui lo stesso giudice di legittimità ha collocato le prededuzioni pre-concordatarie[16] (specie dei crediti sorti in funzione della procedura), sottolineando l’ontologica vantaggiosità del concordato (specie per la cristallizzazione della massa ex art. 55 l.fall. e la retrodatazione del periodo sospetto delle azioni revocatorie alla data di pubblicazione della domanda nel registro delle imprese, ex art. 69-bis, comma 2, l.fall.) e sposando una concezione sostanziale della consecutio procedurarum[17], non condizionata dall’effettiva apertura della procedura minore, né dalla contiguità cronologica con la procedura successiva, in cui pertanto l’unicità della crisi non è incompatibile con soluzioni di continuità, purchè si verifichi - a posteriori - l’irreversibilità della crisi inizialmente ritenuta suscettibile di regolazione concordataria[18].
In ogni caso, considerata l’oggettiva difficoltà di un’appropriata regolazione dei molteplici interessi (individuali e collettivi) coinvolti nella crisi di impresa, è necessario che alla dilatazione dell’autonomia negoziale corrisponda un proporzionale innalzamento della soglia di attenzione verso i possibili abusi degli strumenti allestiti dall’ordinamento, da ricondurre alla supervisione del giudice, quale organo terzo capace di incarnare, al tempo stesso, il ruolo più tradizionale di risolutore dei conflitti e quello più innovativo di mediatore tra contrapposte esigenze.
In dottrina vi è addirittura chi auspica, con originale sensibilità, “la predisposizione di piani di ristrutturazione non necessariamente concertati con i creditori (emotivamente coinvolti dalle sorti dell’impresa e nella gran parte portatori di interessi egoistici confliggenti con l’interesse alla tutela della continuità produttiva)”, ma da sottoporre al loro parere, obbligatorio ma non vincolante (così da sterilizzarne le inerzie o l’ostruzionismo), prima dell’inoltro all’approvazione del tribunale, chiamato a “controllare la predisposizione del piano, anche nel merito, attraverso la verifica del miglior interesse per tutti i creditori”[19].
Una simile visione, de iure condendo, potrebbe integrarsi con l’importazione di felici esperienze di vari Paesi dell’Unione europea, ove il tribunale commerciale viene stabilmente integrato da esperti, le cui competenze specialistiche contribuiscono ad assicurare tempestività ed efficacia a decisioni giudiziali destinate ad incidere così significativamente nel tessuto economico, sociale e produttivo.
4. Autonomia ed eterotutela nella regolazione della crisi d’impresa (l'atomo di Bohr)
Il tema dei rapporti tra mercato e giurisdizione, al cui interno si inscrivono le riflessioni sul ruolo del giudice nella crisi di impresa, registra una frequente polarizzazione tra i modelli di possibile elezione, quali l’autotutela o l’eterotutela[20].
Ne è fedele testimonianza l’evoluzione del nostro ordinamento concorsuale che, dopo aver mantenuto per oltre mezzo secolo l’originario impianto marcatamente pubblicistico, ha visto avviarsi nel 2005 una svolta privatistica con il Decreto competitività[21], il quale ha drasticamente ridotto l’ambito di operatività delle azioni revocatorie fallimentari, reso più flessibile il concordato preventivo (anche legittimando la creazione di classi di creditori, con trattamenti differenziati) ed introdotto due strumenti d’avanguardia nella regolzione negoziata della crisi di impresa - i piani attestati di risanamento (art. 67, comma 3, lett. d), l.fall.) e gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis l.fall.) - per poi reintrodurre, dopo poco più di un lustro (nell’estate 2012 con il Decreto sviluppo e l’anno successivo con il Decreto crescita del 2013), nuove ed anche più penetranti forme di intervento giudiziale, in evidente (per quanto implicita) rivisitazione autocritica del dogma della privatizzazione.
Da ultimo, proprio il tema del controllo giudiziale sulla “fattibilità” del concordato preventivo (neologismo coniato dal legislatore del 2005), ha rappresentato il crocevia più spinoso di quella tensione tra visione pubblicistica e privatistica della regolazione della crisi di impresa, destinata a comporsi nel delicato equilibrio tra autonomia negoziale (dei suoi protagonisti) e protezione giudiziale (dei soggetti da essa incisi).
Peraltro, l’intero sistema concorsuale - nella versione risultante dalle stratificazioni normative susseguitesi, con frequenza anche infrannuale, nell’ultimo decennio - è innervato da continui compromessi, sostanziali e processuali, tra libertà (nel perseguimento degli interessi economici) e coazione (per la tutela dei diritti soggettivi), in una prospettiva teleologicamente orientata al conseguimento del miglior risultato possibile, tenendo conto non solo degli interessi soggettivi tradizionalmente contrapposti (debitore e creditori), ma anche delle posizioni soggettive coinvolte nella crisi (dipendenti e terzi contraenti) nonchè degli interessi superindividuali connessi al valore intrinseco della continuità aziendale - specie per i suoi riflessi su mercato e occupazione - in un orizzonte di più ampio respiro economico e sociale.
Se si dovessero tracciare i vari livelli di autonomia-eteronomia nella regolazione della crisi di impresa come cerchi concentrici - adottando a modello l’atomodiBohr, nella versione perfezionata dalla meccanica quantistica, di impronta probabilistica - potremmo paragonare il nucleo all’intervento del giudice (coincidente con il momento di massima giurisdizionalizzazione), e gli elettroni ai protagonosti della crisi (debitore e creditori), poichè all’aumentare della distanza dei secondi dal primo aumenta il livello energetico, ossia quell’energia cinetica che può consentire loro di passare agli orbitali più esterni.
Fuor di metafora, quanto più energica è la capacità del debitore (e dei creditori) di anticipare la soglia di emersione della crisi, prima che essa diventi irreversibile, tanto maggiore è la loro possibilità di ricorrere a strumenti negoziali che non richiedano un’ingerenza giudiziale; viceversa, quanto più statico è il loro atteggiamento di fronte alla naturale involuzione della crisi in insolvenza, nell’attesa passiva di un intervento ab externo, tanto più inevitabile sarà la necessità di affidare il governo della crisi agli organi concorsuali. Il tutto in un progressivo decrescendo di autonomia, che va dagli orbitali più esterni (accordi stragiudiziali e piani attestati di risanamento), a quelli intermedi (accordi di ristrutturazione dei debiti e concordato preventivo), sino a “precipitare” nel nucleo della soluzione fallimentare.
Prendendo come punto di osservazione proprio il ruolo del giudice, si ha che:
I.) nei livelli “esterni”, deprocedimentalizzati (accordi stragiudiziali e piano attestato di risanamento) l’intervento giudiziale si verifica a posteriori e può essere, segnatamente: i) del giudice ordinario, per la risoluzione di singole controversie negoziali tra creditore e debitore; ii) del giudice fallimentare, nell’ipotesi di contestazione dei requisiti di irrevocabilità ex art. 67, comma 3, lett. d), l.fall.; iii) del giudice penale, ai fini del controllo sui presupposti sostanziali della “esenzione” ex art. 217-bis l.fall. dai reati di bancarotta fallimentare semplice (art. 217 l.fall.) o preferenziale (art. 216, comma 3, l.fall.) - mancando il vaglio preventivo del giudice civile sulla “apparente idoneità del piano attestato a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria” - ma anche, in ipotesi, sulla indipendenza del professionista chiamato ad attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, ovvero sull’effettiva natura esecutiva dei pagamenti e delle operazioni compiute, rispetto al piano medesimo;
II.) nel primo livello intermedio, semiprocedimentalizzato (accordi di ristrutturazione dei debiti) si ha un intervento di tipo omologatorio successivo alla fase negoziale delle trattative - salva l’istanza di sospensione, per l’anticipazione dell’automatic stay, nel corso delle trattative con i creditori che rappresentino il sessanta per cento dei crediti (sulla base dell’attestazione dell’idoneità della proposta ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei, ai sensi dell’art. 182-bis, comma 6, l.fall.) - il quale tendenzialmente non ha carattere contenzioso, dovendo il giudice concorsuale controllare la documentazione allegata all’accordo e verificare la sua idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei, anche a prescindere dalle opposizioni, che i creditori ed ogni altro interessato possono comunque proporre entro trenta giorni dalla pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese[22];
III.) nel livello intermedio successivo, completamente procedimentalizzato nonostante la liberalizzazione del contenuto della proposta (concordato preventivo), l’applicazione della regola maggioritaria rende necessaria una tutela giudiziale delle minoranze e quindi una procedura più complessa, che registra una presenza alquanto invasiva del giudice, lungo il suo intero corso e nelle varie fasi in cui essa si articola: i) la fase dell’ammissione, caratterizzata da penetranti controlli di legittimità e, nel concordato con riserva, anche di merito, sull’attività gestoria e di allestimento della proposta, per il tramite del pre-commissario giudiziale; ii) la fase delle votazioni, in cui il giudice delegato decide sui crediti contestati, sia pure ai solo fini del voto e del calcolo delle maggioranze, ex art. 175, l.fall.; iii) le fasi eventuali dei subprocedimenti autorizzatori previsti per finanziamenti e pagamenti di crediti anteriori (art. 182-quinquies, co. 1 e 4, l.fall.), sospensione o scioglimento dai contratti (art. 169-bis, l.fall.) e atti di straordinaria amministrazione, di competenza del tribunale nel preconcordato (art. 161, comma 7, l.fall.) e del giudice delegato dopo l’apertura della procedura (art. 167, l.fall.); iv) la fase parimenti eventuale della revoca dell’ammissione, ex art. 173 l.fall., in cui il tribunale è chiamato a valutare la presenza di atti di frode, ovvero di occultamento o dissimulazione dell’attivo, esposizione di passività inesistenti o dolosa omissione di denuncia di crediti, nonchè - su iniziativa dei creditori o del pubblico ministero - i presupposti per la dichiarazione di fallimento; v) la fase dell’omologazione, in cui il tribunale, ai sensi dell’art. 180 l.fall., ripete il controllo di legittimità sulla proposta e sulle operazioni di voto e decide sulle eventuali opposizioni, spingendosi - nel caso di opposizione di creditori appartenenenti ad una classe dissenziente o, in mancanza di classi, da creditori dissenzienti che rappresentino almeno il venti per cento dei crediti ammessi al voto - anche ad un controllo di convenienza comparativo, rispetto alle alternative concretamente praticabili (c.d. cram down); vi) la fase esecutiva, con i subprocedimenti eventuali di risoluzione (per inadempimento di non scarsa importanza) o annullamento (per dolosa esagerazione del passivo ovvero sottrazione o dissimuazione di una rilevante parte dell’attivo) ex art. 186 l.fall., anch’essi però non in via officiosa, ma su istanza dei creditori e, nel secondo caso, anche del commissario giudiziale;
IV.) nell’ultimo livello (procedura di fallimento) manca ogni connotazione negoziale ed il procedimento è affidato alle scansioni procedimentali e decisionali del tribunale fallimentare e degli altri organi della procedura, per quanto le recenti riforme abbiano valorizzato il ruolo del comitato dei creditori - peraltro sempre di nomina giudiziale, ex art. 40 comma 1, l.fall. - rendendolo non più solo consultivo, ma anche autorizzatorio e propositivo.
Tornando alla similitudine del modello atomistico, il sistema registra la possibilità di “salti quantici” (o transizioni) tra i vari livelli orbitali, come dimostrano il rapporto biunivoco tra accordi di ristrutturazione dei debiti (livello II) e concordato preventivo (livello III) - quanto alle fasi preparatorie del preconcordato ex art. 161, comma 6, l.fall. e delle trattative ex art. 182-bis, comma 8, l.fall. - nonchè la possibilità di inserti giudiziali nel momento concorsuale (livelli III e I) - come il giudizio per la determinazione dell’indennizzo spettante al terzo a seguito dello sciolgimento del debitore concordatario dal contratto (art. 169-bis l.fall.) - e, specularmente di inserti negoziali nella fase di massima concorsualizzazione (livelli IV e III), come nel caso del concordato fallimentare.
Si può quindi concludere che il minimo comun denominatore strutturale dei vari strumenti concorsuali sia l’accordo con i creditori, sia pure diversamente modulato a seconda delle misure prescelte (accordi singoli; fasci di accordi; deliberazioni di maggioranze, semplici o qualificate), e che il minimo comun denominatore funzionale siano invece gli “effetti stabilizzanti”, quali le esenzioni da revocatoria (art. 67, comma 3, lett. d) ed e), l.fall.) e l’esimente penale da bancarotta semplice e preferenziale (art. 217-bis l.fall.).
5. La marginalità dell’intervento giudiziale nei piani attestati
In teoria, il piano attestato di risanamento può essere uno strumento di risoluzione della crisi di impresa del tutto unilaterale, che l’imprenditore può redigere e conservare “nel cassetto”, in vista dei futuri ed eventuali effetti protettivi di cui ai menzionati artt. 67, comma 3, lett. d), e 217-bis, l.fall.; esso può inoltre consistere anche esclusivamete in operazioni societarie, autonomamente assunte dall’imprenditore (aumento di capitale, conferimenti ecc.).
La pubblicazione del piano è infatti facoltativa, anche se necessaria per fruire del beneficio fiscale di cui all’art. 88, comma 4, d.P.R. n. 917/86 (il quale esclude che costituiscano sopravvenienze attive - per la parte eccedente le perdite pregresse e di periodo - le riduzioni dei debiti dell’impresa derivanti dal piano, come per gli accordi di ristrutturazione ed il concordato preventivo). Al contrario, non sono previsti benefici fiscali per i creditori, nemmeno sotto forma di deducibilità fiscale delle perdite su crediti, che l’art. 101, comma 5, d.P.R. cit. circoscrive ad accordi di ristrutturazione e concordato preventivo, creando così un meccanismo di “concorrenza asimmetrica”[23] tra i vari istituti concorsuali.
Nei fatti, la prassi registra più spesso forme propriamente negoziali, dove l’obbiettivo del risanamento è perseguito mediante il coinvolgimento di uno o più creditori, con i quali l’accordo viene per lo più raggiunto separatamente. Peraltro, se in linea di massima il piano è fondato sull’accordo con i creditori pregressi, nulla esclude che esso sia raggiunto anche con i creditori nuovi (ad esempio finanziatori) o con soggetti diversi dai creditori (come soci, partners commerciali o acquirenti di assets o rami d’azienda)[24].
In ogni caso, dalla mancanza del carattere dell’universalità - così come di un vero e proprio procedimento, di una collettività di creditori retta dal principio maggioritario, della tendenziale parità del loro trattamento e, non ultimo, del meccanismo di blocco degli interessi - la dottrina desume concordemente la natura non concorsuale dei piani attestati.
Rispetto agli accordi di ristrutturazione dei debiti, l’art. 67 comma 3 lett. d), l.fall. richiede che il piano sia idoneo non solo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria, ma anche ad assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria. Al riguardo è necessaria l’attestazione di un professionista, munito dei medesimi requisiti di assoluta indipendenza previsti per gli accordi di ristrutturazione (in sintesi, assenza di rapporti personali o professionali con l’impresa e con coloro che hanno interesse all’operazione di risanamento) il quale - a decorrere dal 12 agosto 2012, data di entrata in vigore del Decreto sviluppo - è tenuto ad attestare sia la veridicità dei dati aziendali, sia la “fattibilità” del piano (in luogo della sua “ragionevolezza”, come era in precedenza previsto).
Solo a far tempo dalla riforma del 2010[25] è stata prevista l’esimente penale, con l’introduzione dell’art. 217-bis l.fall. A differenza degli altri strumenti di soluzione concordata della crisi, non sono invece previste nè prededuzioni, nè fattispecie di consecutio procedurarum.
Apparentemente, i soggetti direttamente tutelati dalla norma - attraverso l’esenzione da una futura revocatoria fallimentare e dall’eventuale imputazione di concorso in bancarotta - sembrano essere i soli creditori. Indirettamente, però, lo stesso debitore se ne avvantaggia, poiché vengono così rimossi i possibili ostacoli alla negoziazione del risanamento (essendo infatti questa la ragione che può indurlo a sostenere i costi di attestazione da parte di un professionista indipendente); sicchè, a ben vedere, l’interesse protetto dalla norma è la conclusione - in sé - dei piani di ristrutturazione industriale o finanziaria delle aziende, anche in funzione di salvaguardia dei livelli occupazionali.
E’ dunque evidente che il piano attestato di risanamento mira alla soluzione della crisi per via squisitamente privatistica, non essendo previsto alcun intervento da parte del tribunale: gli effetti stabilizzanti - in termini di esenzioni, penale e revocatoria - discendono direttamente dal fatto che si tratti di atti compiuti in esecuzione di un piano munito dei requisiti di legge. In particolare, la fattispecie esonerativa da revocatoria resta integrata dal concorrere dei seguenti elementi: 1) natura di atto esecutivo del piano attestato; 2) idoneità (ex ante) del piano a consentire il risanamento debitorio ed il riequilibrio finanziario dell’impresa; 3) designazione di un professionista indipendente; 4) attestazione su veridicità e fattibilità del piano. Ma solo in caso di successivo fallimento - e di esperimento di azione revocatoria da parte del curatore - tali presupposti vengono assoggettati al vaglio del tribunale fallimentare. Inoltre, come sopra anticipato, anche il pubblico ministero ed il giudice penale potrebbero essere chiamati a vagliare la reale fattibilità del piano, al fine di escludere, in ipotesi, l’esimente penale dal reato di bancarotta.
6. Il (non univoco) self-restraint dei giudici di merito negli accordi di ristrutturazione dei debiti
In dottrina si è acutamente osservato che gli accordi di ristrutturazione dei debiti disciplinati dall’art. 182-bis l.fall. - che astrattamente sono compatibili sia con il salvataggio che con la liquidazione dell’impresa - rappresentano uno (sfortunato) tentativo di connubio tra giudice e contratto, una sorta di “contratto rafforzato dalla presenza del giudice in funzione meramente stabilizzatrice”: non più iudex gestor, ma iudex statutor[26].
La dimensione privatistica svolge un ruolo predominante nella fase costituiva dell’accordo, mancando del tutto sia lo spossessamento (o un controllo giudiziale sull’attività del debitore), sia la predeterminazione legale di limiti e vincoli al contenuto dell’accordo, che peraltro - a differenza del concordato preventivo - non è vincolato al rispetto né della par condicio creditorum, né dell’ordine delle cause legittime di prelazione.
La dimensione procedimentale e giurisdizionale subentra invece a posteriori (fatta salva l’eventuale anticipazione dell’automatic stay durante la fase delle trattative), per suggellare in chiave meramente omologatoria - non essendovi minoranze “perdenti” da tutelare - l’accordo raggiunto.
Ai fini dell’omologa, il tribunale deve verificare la sussistenza dei presupposti processuali e sostanziali dell’istituto (competenza del tribunale adito; qualifica di imprenditore fallibile in stato di crisi; esistenza di un accordo con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti; pubblicazione nel registro delle imprese) e la completezza della documentazione da allegare ex art. 161 l.fall., ivi compresa la relazione di un esperto indipendente (in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. d), l.fall.) attestante la veridicità dei dati aziendali e l’attuabilità dell’accordo, con particolare riferimento alla sua idoneità a garantire il pagamento “integrale” (non più “regolare”, come era previsto prima del Decreto sviluppo) dei creditori ad esso estranei.
In presenza di una “istanza di sospensione” ex art. 182-bis, comma 6, l.fall., diretta all’anticipazione della tutela inibitoria prevista dal terzo comma (di cui, quantomeno espressamente, viene richiamato solo il divieto di iniziare o proseguire le azioni esecutive e cautelari, non anche quello di acquisire titoli di prelazione non concordati), il tribunale è tenuto a compiere la medesima valutazione, che però - riguardando una mera “proposta di accordo” - assume una connotazione ancor più probabilistica e prognostica, essendo più che altro funzionale all’espletamento del ruolo di “protezione” giudiziale dei negoziati.
L’istituto presenta quindi una configurazione complessa, in cui la dimensione contrattuale gravita all’interno di una sovrastruttura procedimentale destinata ad assicurare una protezione dapprima interinale (inibitoria delle azioni esecutive e cautelari) e poi finale (stabilizzazione degli effetti, grazie all’esenzione dalla revocatoria di atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo omologato, ex art. 67, comma 3, lett. e), l.fall., nonché all’esimente dai reati di bancarotta semplice e preferenziale per i pagamenti e le operazioni compiute in esecuzione dell’accordo medesimo, ex art. 217-bis l.fall.
In questo contesto, l’introduzione - con il Decreto sviluppo - della facoltà, per il debitore che presenta la domanda di omologazione dell’accordo, di essere autorizzato dal tribunale “a pagare crediti anche anteriori per prestazioni di beni e servizi”, purché “essenziali alla prosecuzione dell’attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori”, sulla base di apposita attestazione (art. 182-quinquies, comma 5, l.fall.), costituisce una distonia, per la sua apparente superfluità, a fronte dell’ampia autonomia negoziale di cui godono le parti.
Certamente, si tratta di una previsione che ha apportato un forte argomento - testuale e sistematico - a favore della natura concorsuale degli accordi di ristrutturazione, sebbene non manchi chi ne svaluta la portata innovativa, concentrandone il senso nel conseguimento della stabilizzazione per esenzione da revocatoria (che in effetti la lett. e) dell’art. 67 l.fall. contempla solo per gli atti posti in essere in esecuzione dell’accordo omologato) e scriminante penale (art. 217-bis l.fall.).
Lo stesso Decreto sviluppo ha però apportato un ulteriore vulnus alla tesi della natura non concorsuale dell’istituto, prevedendo nell’ultima parte del novellato art. 182-bis, comma 1, l.fall., che i creditori estranei (i veri destinatari - quali “battitori liberi” - delle inibitorie) possano essere sottoposti dal debitore, senza alcuna possibilità di opposizione, ad una moratoria - da intendersi come esigibilità differita del credito scaduto - sino a centoventi giorni.
Considerando poi che, sin dal riconoscimento della prededuzione ai finanziamenti erogati in esecuzione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182-quater, comma, 1 l.fall.), o in funzione della domanda diretta alla sua omologazione - con esclusione del finanziatore dal computo della percentuale del sessanta per cento (art. 182-quater, comma 2, l.fall.) - ovvero successivi al deposito della domanda medesima (art. 182-quinquies, comma 1, l.fall.), la più accorta dottrina aveva colto, con espressione icastica, una sorta di “mutazione genetica” dell’istituto[27], può ben comprendersi la più recente convergenza di gran parte della dottrina sulla tesi della natura concorsuale, quasi si trattasse, ormai, di un “sub-concordato semplificato”[28].
Da sottolineare che l’automatic stay, essendo conseguibile già nel corso delle trattative, può finire per estendersi dalla data di pubblicazione dell’istanza di sospensione nel registro delle imprese, sino all’udienza che il giudice deve fissare entro trenta giorni, e poi per gli ulteriori sessanta giorni destinati al deposito dell’accordo, dalla cui pubblicazione decorrono altri sessanta giorni (art. 182-bis, comma 3, l.fall.), nonché - laddove non si depositi l’accordo, bensì una domanda di concordato preventivo con riserva (e sempre che ciò sia ritenuto possibile, posto che l’art. 182-bis, comma 8, l.fall. prevede solo il deposito alternativo di una “domanda di concordato preventivo”) - di un ulteriore periodo compreso tra sessanta e centoventi giorni, a sua volta prorogabile di sessanta (art. 161, comma 6, l.fall.).
E’ quindi evidente quanto possa essere prolungata la compressione dei diritti che i creditori sono chiamati a subire per consentire la soluzione della crisi, assurta ormai ad obbiettivo prioritario del legislatore.
Sin dalle prime applicazioni dell’istituto, la giurisprudenza di merito si interroga sull’effettivo perimetro del controllo giudiziale in ordine alla attuabilità dell’accordo, se cioè si tratti di un giudizio di merito, con valutazione concreta delle effettive prospettive di realizzo[29], ovvero un semplice controllo di legalità sui requisiti previsti, senza possibilità di sindacare i contenuti della relazione dell'esperto in ordine alle probabilità di successo del piano[30].
Tra le pronunce più recenti, merita menzione il decreto con cui il Tribunale di Milano[31], nell’omologare un complesso accordo di ristrutturazione dei debiti - costituito da tre separati accordi con il ceto bancario nonchè un accordo di moratoria e standstill con le società controllate, e basato su un piano che prevedeva vari finanziamenti, l’impegno alla sottoscrizione di un aumento di capitale inscindibile ed una fusione per incorporazione - ha espressamente affermato che, “in mancanza di opposizioni da parte di creditori estranei agli accordi o di terzi interessati, l’indagine del tribunale si deve limitare ad accertare che il procedimento sia stato regolare e conforme alle disposizioni di legge, non essendo prevista una valutazione di attuabilità ulteriore rispetto a quella contenuta nella relazione attestatrice del professionista e, quanto a quest’ultima, dovendosi il giudicante limitare ad una valutazione della sua congruità e conseguente idoneità a svolgere la funzione per cui è prevista”.
Diversamente, il Tribunale di Modena[32] ha ritenuto che il controllo giudiziale non sia meramente formale, ma di merito, e quindi non limitato alla verifica di completezza, coerenza e ragionevolezza della relazione dell'esperto, dovendo il tribunale garantire i creditori estranei (ed i terzi) rispetto agli effetti stabilizzanti che si producono nei loro confronti (specie l'esenzione da revocatoria), in mancanza di un loro diretto coinvolgimento e dell’espressione di un consenso realmente informato. Al tribunale resterebbe dunque preclusa solo la valutazione di convenienza economica dell'accordo, potendosi invece spingere a verificare le concrete prospettive di realizzabilità delle entrate e la loro idoneità a consentire il pagamento integrale dei creditori estranei, nel rispetto della tempistica indicata dalla norma.
Per quanto concerne la fase di attuazione post-omologa, può essere richiamata la decisione con cui il Tribunale di Terni[33], rilevata la mancanza di disciplina su esecuzione, annullamento e risoluzione degli accordi, ha ritenuto che - tanto aderendo alla tesi della natura concorsuale (con applicazione analogica degli artt. 185 e 186 l.fall.) quanto alla tesi della natura negoziale (con applicazione delle norme civilistiche sulla risoluzione per inadempimento, avendo lo stesso art. 186 l.fall. mutuato dall’art. 1455 cod. civ. il principio della “non scarsa importanza”) - l’intervento giudiziale non potrebbe prescindere dalla “iniziativa di un creditore che rilevi l’inadempimento ed agisca per la risoluzione dell’accordo medesimo”, mancando la quale va dichiarata inammissibile un’istanza di semplice “omologa delle modifiche apportate agli accordi già omologati”; ciò in quanto - in difetto di specifiche censure di inadempimento, ed in considerazione della “persistente libertà negoziale dei partecipanti all’accordo” - risulta sfornito di tutela l’interesse del creditore ad ottenere un mero suggello formale del tribunale sulla modifica dell’accordo (peraltro corredata, nella specie, dalla relazione del professionista sulla sua persistente attuabilità ed idoneità a garantire il pagamento dei crediti estranei); d’altro canto, l’attivazione ex novo della procedura di omologazione, presupponendo il venir meno (per risoluzione o annullamento) dell’accordo originario, sarebbe incompatibile con la sua conferma, implicitamente contenuta nella domanda di (semplice) modifica o integrazione.
Può dunque dirsi che negli accordi di ristrutturazione dei debiti i giudici di merito tendano ad un maggior self-restraint (quantomeno rispetto alle posizioni assunte nelle procedure di concordato preventivo), anche di fronte a specifiche sollecitazioni provenienti dal ceto creditorio, il quale - ad onta della maggiore autonomia negoziale riconosciuta dall’ordinamento - continua a ricercare la supervisione del tribunale, da cui si sente, evidentemente, più tutelato.
7. L’evoluzione storica della soluzione concordataria
La datazione dell’istituto del concordato preventivo, strumento tradizionale del sistema concorsuale, consente di tracciare l’evolversi dell’intervento giudiziale al suo interno in una prospettiva storica di più ampio respiro. Procedendo necessariamente per cenni, può osservarsi come nel codice di commercio del 1865 fosse addirittura obbligatorio il tentativo di concordato, per giunta rimesso all’iniziativa individuale di chiunque vi avesse interesse, sempre che la convocazione presentasse “probabilità di successo”.
Questa obbigatorietà fu eliminata nel codice di commercio del 1882, in quanto spesso portatrice di inutili rallentamenti della procedura giudiziale, nel corso della quale potevano peraltro esperirsi ulteriori tentativi di concordato stragiudiziale, rimessi all’iniziativa del curatore, del fallito e dei creditori. Tale eliminazione fu bilanciata dall’introduzione dell’istituto della moratoria, in cui il giudice, all’esito di un penetrante sindacato di merito, omologava l’accordo tra debitore e creditori e concedeva una dilazione della dichiarazione di fallimento (o la sospensione dell’esecuzione della relativa sentenza) per un periodo massimo di sei mesi - prorogabile, sotto determinate condizioni - entro il quale doveva però avvenire il pagamento integrale dei creditori.
Era poi possibile concludere, anche in corso di fallimento, il “concordato amichevole” o individuale, totalmente rimesso all’autonomia privata - con facoltà di trattamento diseguale tra i vari creditori - cui il giudice era chiamato solo a conferire efficacia, previa verifica dell’effettivo raggiungimento dell’accordo, in vista della reimmissione del debitore nella piena amministrazione del proprio patrimonio. Il concordato di massa, o giudiziale, era invece stipulato tra il fallito e la massa dei creditori, su delibera assunta a maggioranza, con facoltà di opposizione dei dissenzienti ed intervento omologatorio finale del giudice.
Quanto alla successiva (e ben nota) legge fallimentare del 1942, interessa soprattutto rilevare come sia stata decisamente tradita l’aspirazione - espressa nella Relazione del Guardasigilli - di rendere il concordato preventivo “uno strumento funzionale alla composizione di quelle crisi economiche che non sono indici di mancanza di vitalità dell’impresa, e che possono essere superate senza arrivare alla liquidazione dell’impresa stessa”, per contrastare la vocazione pressochè esclusivamente liquidatoria che lo stesso concordato aveva allora assunto, nella forma più consueta della cessio bonorum. Tale aspirazione conserva ancora oggi tutta la sua modernità, in considerazione della differenza ontologica tra concordato e fallimento, sagacemente espressa nel rilievo che “la locuzione concordato con continuità è una tautologia”, mentre la locuzione “concordato liquidatorio è una contraddizione in termini”[34].
Nel vigore della legge fallimentare ante riforma, i primi tentativi di aggirare i vincoli della par condicio creditorum - in vista di una più personalizzata distribuzione negoziale delle risorse - si ebbero con i concordati stragiudiziali, destinati a massimizzare le prospettive di recupero, coniugando i vantaggi di minori costi e controlli giudiziali, con la maggiore rapidità e riservatezza nella regolazione della crisi.
Essi però pativano - dal punto di vista dei “creditori forti” - il rischio delle azioni revocatorie e delle incriminazioni di concorso in bancarotta preferenziale e ricorso abusivo al credito, così come - dal puto di vista dei “creditori deboli” - le asimmetrie informative e la mancanza di una tutela giudiziale destinata a garantire la veridicità delle prospettazioni e condizioni offerte dal debitore.
Da questo humus di generalizzata insoddisfazione nascono i germi riformistici per il superamento tanto della logica officiosa (propria delle procedure ordinarie) quanto di quella assistenzailistica (tipica delle amministrazione straordinarie delle grandi imprese in crisi), nella convinzione che le parti private possano essere i migliori tutori dei propri interessi, pur restando assegnato all’autorità giudiziaria il compito di tutelare gli interessi più deboli e garantire la correttezza del debitore, in funzione risolutiva dei possibili conflitti.
8. Il recente potenziamento del ruolo del giudice nel concordato preventivo
A partire dalla riforma del 2005 il legislatore, per fornire protezione all’imprenditore che volesse prevenire l’azione esecutiva (individuale o collettiva) dei creditori, attraverso un tentativo di risanamento e prosecuzione dell’attività, ha esaltato il ruolo di quelle che un tempo erano definite “procedure concorsuali minori”, in contrapposizione alla più drastica soluzione fallimentare.
Con l’ulteriore intervento dell’estate 2012 (Decreto sviluppo) lo stesso legislatore, disilluso dal mancato decollo dei più innovativi strumenti negoziali, sui quali pure aveva scommesso (piani attestati di risanamento e accordi di ristrutturazione dei debiti), per incentivare l’emersione anticipata della crisi di impresa è tornato a far leva sul più tradizionale istituto del concordato preventivo, però integrandolo con due nuove “versioni” – il concordato con riserva (art. 161, comma 6, l.fall.) e il concordato in continuità aziendale (art. 186-bis l.fall.) – ed innervandolo di una serie di meccanismi diretti a garantirne il buon esito, primo fra tutti il sistema di voto per “silenzio-assenso” (art. 178, comma 4, l.fall.), originariamente riservato al solo concordato fallimentare.
In breve tempo, il nuovo concordato preventivo - specie quello con riserva - è divenuto il protagonista della regolazione della crisi di impresa, svolgendo anche il ruolo di eventuale “trampolino di lancio” per gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 161, comma 6, ult. parte, l.fall.), retrocessi invece in posizione subalterna e a loro volta collocati in “corrispondenza biunivoca procedurale” con il primo (art. 182-bis, ult. comma, l.fall.). Così, nei primi nove mesi del 2013 si è registrato un incremento del 91% (rispetto al corrispondente periodo del 2012) delle domande di concordato preventivo[35] - segno evidente del gradimento del nuovo automatic stay rinforzato ex art. 168 l.fall. - mentre dall’entrata in vigore delle nuove norme (11 settembre 2013) al 31 marzo 2013 risultava depositato un numero di ricorsi per concordato con riserva pari ad oltre il doppio delle istanze ordinarie di concordato presentate nell’intero 2012[36].
E’ stato quello il primo passo di una sorta di “controriforma”, con la quale il legislatore ha inteso altresì valorizzare il ruolo dell’organo giudiziario, attribuendogli ex novo una serie di poteri autorizzatori di una pregnanza sconosciuta anche all’originaria connotazione pubblicistica dell’istituto[37], e tali da lambire in alcuni casi lo stesso profilo della convenienza, che – se si esclude il c.d. cram down in sede di omologa (art. 180, comma 4, l.fall.) – sembrava definitivamente ostracizzata dal perimetro dei controlli giudiziali[38].
Sin dall’avvio del procedimento, con il deposito della domanda - e specie nel concordato preventivo con riserva - il tribunale è stato quindi chiamato a continue interlocuzioni anche sul merito della soluzione concordataria, ai fini dell’autorizzazione del debitore ora al compimento di atti urgenti di straordinaria amministrazione, previa eventuale assunzione di sommarie informazioni (art. 161, comma 7, l.fall.), ora all’ottenimento di finanziamenti prededucibili (artt. 182-quater e 182-quinquies, comma 1, l.fall.), ora alla sospensione o scioglimento dei contratti in corso di esecuzione (art. 169-bis l.fall.)[39] e, nel concordato con continuità, anche al pagamento di crediti anteriori (art. 182-quinquies, comma 4, l.fall.), o alla partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici (art. 186-bis, comma 3-bis, l.fall.)[40], sino al penetrante potere di revoca d’ufficio della procedura, ex art. 173 l.fall., non solo in caso di cessazione dell’attività di impresa, ma anche in ipotesi di manifesta dannosità della sua continuazione per i creditori (art. 186-bis, ultimo comma, l.fall.). Inoltre, il nuovo quarto comma dell’art. 180 l.fall. ha esteso la possibilità per il tribunale di svolgere un sindacato di convenienza del concordato (cram down) anche in caso di mancata formazione delle classi, purché l’opposizione all’omologazione provenga da creditori rappresentanti almeno il venti per cento dei crediti ammessi al voto[41].
La peculiarità di questa esaltazione del controllo giudiziale di merito[42] è di essere pressoché costantemente veicolata da attestazioni tecniche esterne - per quanto indipendenti e soggette a presidio penale - che costellano ogni passaggio cruciale del procedimento, talvolta anche in funzione prodromica all’assunzione di decisioni giudiziali di natura latamente “gestionale”. Stride, al confronto, la mancata previsione di qualsivoglia attestazione per l’autorizzazione allo scioglimento dei contratti in corso di esecuzione, che l’art. 169-bis l.fall. rimette all’esclusiva valutazione del tribunale - cui non è peraltro vieteta una discrezionale interlocuzione preventiva con il commissario giudiziale -, nonostante si tratti di scelta che ben può implicare profili di natura tecnico-economica.
In ogni caso, tali poteri giudiziali - che integrano uno “statuto autorizzatorio” parallelo allo “statuto protettivo” generale, previsto dalla legge (artt. 168 e 69-bis l.fall.) - non hanno lo scopo di “ingessare” la soluzione negoziata della crisi di impresa, bensì, al contrario, di agevolarla, blindando gli atti autorizzati (attraverso i benefici della prededuzione) e rendendoli pressochè impermeabili a future contestazioni (attraverso i benefici delle esenzioni). A tal punto da suscitare, anzi, preoccupate critiche in dottrina, per il rischio di un eccessivo indebolimento della tutela dei diritti dei creditori[43].
I successivi interventi sul sistema concorsuale, specie quelli effettuati dal legislatore nell’estate 2013 (Decreto crescita), hanno proseguito quell’opera di “rinvigorimento” del ruolo del tribunale all’interno della procedura concordataria, introducendo nell’art. 161 l.fall., segnatamente: i) l’obbligo per il debitore di depositare anche l’elenco nominativo dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti; ii) la facoltà del tribunale di nominare un commissario giudiziale anche durante il concordato con riserva; iii) l’attribuzione a quest’ultimo del compito di accertare e riferire al tribunale eventuali condotte fraudolente ex art. 173 l.fall., ai fini della declaratoria di improcedibilità della domanda di concordato e di eventuale dichiarazione di fallimento del debitore, su istanza del creditore o richiesta del pubblico ministero; iv) l’imposizione di più frequenti e stringenti obblighi informativi periodici a carico del debitore, sotto la vigilanza del pre-commissario, anche con riguardo alla gestione finanziaria dell’impresa ed all’attività di allestimento della proposta concordataria; v) l’obbligo del debitore di depositare, con periodicità mensile, anche una situazione finanziaria, soggetta a pubblicazione nel registro delle imprese; vi) il potere officioso del tribunale, sentiti il debitore ed il pre-commissario, di abbreviare il termine fissato per il deposito della proposta (e del piano), quando risulti che l’attività compiuta dal debitore sia manifestamente inidonea alla sua predisposizione; vi) la possibilità per il tribunale di sentire in ogni momento i creditori.
Tanta è stata la mole dei nuovi vincoli imposti al debitore, da suscitare il timore che le più recenti misure finiscano per imporre una trasparenza quasi esasperata, la quale rischia di tramutarsi - ex latere creditorum - in una sorta di sovrainformazione decettiva[44]. Di fatto, però, l’unico effetto dissuasivo sinora verificatosi ha riguardato la stessa appetibilità - ex latere debitoris - della procedura di concordato preventivo con riserva, che ha registrato un calo del 23% nel periodo luglio 2013 - giugno 2014 (percentuale che ascende addirittura al 52,2% se si prende a riferimento il secondo trimestre del 2014), sebbene sia lecito presumere che il dato riguardi soprattutto le iniziative mosse ab origine da fini meramente dilatori (se non temerari o abusivi), con un indiretto effetto di “scrematura” - a priori - della serietà delle intenzioni del debitore.
9. Il controllo giudiziale sulla fattibilità del concordato preventivo
Una breve parentesi merita il tema, lungamente dibattuto, della ammissibilità di un controllo giudiziale diretto sulla fattibilità del concordato preventivo, che registrava il favore di gran parte della giurisrudenza di merito[45] e lo sfavore della prevalente giurisprudenza di legittimità[46]. Come noto, nel 2013 le Sezioni Unite della Cassazione[47] hanno tentato di comporre le opposte visioni, ritagliando - sullo sfondo di un pur opinabile adattamento della nozione di “causa concreta” alla procedura di concordato preventivo - la formula (ossimorica) della “fattibilità giuridica”, distinta da quella economica.
Nonostante le perpessità sollevate da gran parte della dottrina[48], a quell’arresto nomofilattico si sono conformate - sia pure con qualche distinguo - le successive pronunce della Suprema Corte[49].
In particolare, con una recente sentenza[50] la Prima sezione civile ha precisato: i) che il giudizio sull’attendibilità della previsione di realizzo dei crediti (quanto a solvibilità, garanzie e controversie pendenti) - integrante una delle ipotesi di c.d. fattibilità economica - spetta in linea di principio al commissario giudiziale; ii) che ciò non esclude, però, il potere-dovere del tribunale di rilevare eventuali carenze informative della documentazione o incongruenze del piano, “dovendo esso procedere, ai fini dell’ammissione alla procedura, ad una delibazione in ordine alla correttezza delle argomentazioni svolte e delle motivazioni addotte a sostegno delle conclusioni finali prospettate, alla possibilità giuridica di dare esecuzione alla proposta di concordato o all’inidoneità prima facie della stessa a soddisfare in qualche misura i crediti rappresentati, nel rispetto dei termini di adempimento previsti”.
Al riguardo, merita attenzione la circostanza che non si sia fatto più riferimento ai concetti astratti di “minimale consistenza” della soddisfazione dei creditori, né ai “tempi di realizzazione ragionevolmente contenuti” - che invece le Sezioni Unite avevano segnalato come punto di riferimento dello scrutinio giudiziale - ma, piuttosto, al soddisfacimento (purchessia) del credito ed ai tempi di soddisfazione previsti, in concreto, dalla proposta.
In effetti, non convinceva sino in fondo la riconduzione al concetto di causa concreta del concordato - ai fini dell’eventuale inammissibilità della domanda - non solo della quantità, ma anche della tempistica del soddisfacimento dei creditori, che sembrano piuttosto attenere ai profili di convenienza[51], rimessi in via esclusiva alla valutazione dei creditori (ed anche del tribunale nel solo caso di opposizione qualificata all’omologa); a meno di riferire quell’approccio epistemologico ai casi-limite di pagamenti infinitesimali e tempistiche esorbitanti, lasciando intatta la discrezionale valutazione dei creditori sulla convenienza di quantum e quando della proposta concordataria, rispetto alle alternative liquidatorie praticabili.
Occorre comunque essere consapevoli che consegnare al tribunale il potere di dichiarare subito inammissibile - sottraendola al vaglio dei creditori - una proposta concordataria (sol perchè) prevedente una durata reputata “irragionevole”, o una misura di soddisfazione ritenuta “irrisoria”[52], significa dilatare oltremodo la discrezionalità giudiziale, sulla scorta di parametri peraltro declinati solo in termini qualitativi; con il rischio - da scongiurare - di eclatanti disomogeneità decisionali.
Al contrario, e specularmente, a fronte di una proposta contenente percentuali di pagamento e tempi di esecuzione astrattamente ragionevoli, ma in concreto fondati su una evidente sopravvalutazione di cespiti patrimoniali, o sull’indebita pretermissione o svalutazione di voci del passivo[53] (fattispecie che, secondo le Sezioni Unite, non configurerebbero l’ipotesi-limite del “vizio genetico della causa, accertabile in via preventiva alla luce della radicale e manifesta inadeguatezza del piano”), appare poco sensato precludere al tribunale l’immediato rilievo di inammissibilità - per mancanza di fattibilità - e rinviare il tutto alla successiva valutazione dei creditori, se non addirittura al futuro accertamento di eventuali responsabilità penali dell’attestatore[54].
Invero, seguendo la stessa logica della “causa concreta”, nemmeno un concordato preventivo palesemente non fattibile dovrebbe ritenersi idoneo ad adempiere la funzione economico-sociale di regolare la crisi dell’impresa, rappresentando anzi, assai verosimilmente, un mezzo dilatorio finalizzato a procrastinare ingiustamente il sacrificio dei diritti dei creditori, sottoposti alle pesanti (ed ora aumentate) limitazioni del novellato art. 168 l.fall.
10. Il progressivo esautoramento del principio della par condicio creditorum
Il primo vulnus sistematico al principio della par condicio creditorum - dopo le deroghe singolari introdotte negli anni settanta-ottanta, attraverso i vari privilegi previsti dalle c.d. “leggi fotografia”[55] - si è avuto proprio con la riforma del concordato preventivo del 2005, che, introducendo il concetto delle classi dei creditori (art. 160, comma 1, lett. c) e la possibilità di attribuire loro trattamenti differenziati (art. 160, comma 1, lett. d) - senza nemmeno pretendere l’indicazioni delle ragioni, come invece fa l’art. 124, comma 2, lett. b), l. fall. per il concordato fallimentare - ha operato una vera e propria “rivoluzione copernicana”.
Tale “rivoluzione” è stata alimentata (forse meno clamorosamente, ma di certo più efficacemente) non solo dalla riformulazione - in senso estensivo - dell’art. 111 l.fall., ma anche dal dimezzamento del periodo sospetto ai fini delle azioni revocatorie fallimentari nonché dall’introduzione di un nutrito sistema di esenzioni (nuovo art. 67, comma 3, l.fall.); deve infatti tenersi conto che, nel sistema concorsuale, l’azione revocatoria ha sempre rappresentato il volano per una forma di “solidarietà redistributiva” del pregiudizio della crisi, attraverso l’ampliamento della platea dei soggetti da essa incisi.
Quest’opera di progressivo scardinamento è poi proseguita con l’espressa attribuzione della prededucibilità ai crediti da rimborso di varie tipologie di finanziamenti (art. 182-quater e art. 182-quinquies, comma 1, l.fall.) ed ai crediti derivanti dagli atti legalmente compiuti dal debitore preconcordatario (art. 161, comma 7, l.fall.), nonchè con il riconoscimento della facoltà di sospensione o scioglimento dei contratti in corso, mediante la corresponsione all’altro contraente di un semplice indennizzo non prededucibile (art. 169-bis l.fall.), per raggiungere il suo culmine - nel concordato in continuità - con l’autorizzazione del pagamento di crediti anteriori (art. 182-quinquies, comma 4, l.fall.).
Si tratta di misure diverse, talora collocate anche agli antipodi, come lo scioglimento dai contratti in corso, rispetto al pagamento di crediti anteriori: invero, il primo consente il sacrificio degli interessi di un singolo contraente, a vantaggio di tutti i soggetti coinvolti nella crisi (debitore, creditori, dipendenti e stakeholders)[56], degradandolo da una sostanziale prededucibilità (di fatto) al chirografo[57]; il secondo antepone invece l’interesse di un singolo creditore - in quanto “strategico” - a quello degli altri creditori, spesso mediante un up-grade dal livello chirografario a quello prededucibile, purchè sia attestato che le relative “prestazioni sono essenziali per la prosecuzione dell’impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori”[58] (e sempre che non si tratti di pagamenti effettuati con risorse finanziarie che non incidono sul fabbisogno concordatario, perchè provenienti da terzi senza obbligo di restituzione, o con obbligo di restituzione postergato).
In particolare, il pagamento anticipato dei creditori strategici svolge un ruolo “destabilizzante” poichè, oltre a derogare il principio della par condicio creditorum, comporta anche - e più radicalmente - la “deconcorsualizzazione” del credito anteriore, con sua conseguente esclusione anche dal voto. Infatti, l’espressa possibilità di utilizzo nel concordato con riserva - quando, cioè, la proposta e le varie percentuali di trattamento possono non essere ancora previste - impedisce un’applicazione generalizzata della regola della falcidia concordataria[59]; ferma restando, ovviamente, la possibilità di diverse configurazioni, tenuto conto dello stato di avanzamento della proposta e dell’assenso prestato dal creditore interessato[60].
Quanto invece alla facoltà di sospensione e scioglimento dei contratti, il fatto che non vi sia alcuna attestazione ed alcun riferimento al canone della migliore soddisfazione dei creditori[61], induce ad accostare questo istituto - per quella sorta di automatismo che pare caratterizzarlo - alle ulteriori misure “protettive” previste dall’art. 168 l.fall. (divieto di azioni esecutive e cautelari; divieto di acquisto di diritti di prelazione, salva l’autorizzazione giudiziale; inefficacia delle ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni antecedenti la pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese), con le quali condivide in effetti la funzione di agevolare il superamento della crisi[62].
L’assunto risulta condiviso in un recente decreto del Tribunale di Cassino[63], ove si ritiene trattarsi di uno “strumento incentivante il ricorso al concordato preventivo”, poiché “il tribunale non può rigettare l’istanza di scioglimento del contratto se non per ragioni connesse all’incongruenza con la proposta concordataria” - di cui si predica perciò una necessaria (sia pur sintetica) disclosure, anche in considerazione “dei presumibili effetti stabilizzati dello scioglimento, nell’ipotesi di mancata conclusione della procedura concordataria” -, mentre ogni ulteriore e diverso giudizio “esula dal sindacato sulla causa concreta”; tutto ciò collocato in una “cornice bifasica”, che si articola in un primo momento autorizzatorio, ove “si soppesa l’interesse della massa dei creditori”, ed un successivo momento determinativo dell’indennizzo, destinato alla “tutela del terzo contraente”, peraltro non rientrante nella competenza del tribunale fallimentare, bensì del giudice civile ordinario.
A tutte le inibizioni imposte al ceto creditorio fa da contrappeso la prevista retrodatazione del c.d. “periodo sospetto” - per l’esercizio delle azioni revocatorie e di inefficacia (ex artt. 64, 65 e 67, commi 1 e 2, l.fall.) - alla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese; misura provvidenzialmente disposta dal nuovo art. 69-bis l.fall., anche tenuto conto del termine massimo di sei mesi che il tribunale può fissare per il deposito della proposta completa di concordato, ai sensi dell’art. 161, comma 6, l.fall.
Si tratta, a ben vedere, di uno dei pochi tributi delle riforme al principio della par condicio creditorum.
11. La tutela dei creditori lungo l’iter concordatario
Da tutte le considerazioni sinora svolte risulta evidente come il tema della tutela dei creditori sia legato a doppio filo a quello del ruolo del giudice nelle soluzioni concordate della crisi di impresa.
In proposito, la stessa sentenza n. 1521/13 delle Sezioni Unite ha avuto il pregio di sottolineare che, nonostante l’impronta tendenzialmente negoziale impressa al concordato preventivo riformato, il legislatore “non si è curato di cancellare tutti gli aspetti pubblicistici che caratterizzavano la procedura prima della riforma”, aggiungendo che questo dato “non può essere interpretato come casuale, e ciò sotto il duplice profilo del numero di interventi effettuati (circostanza questa che, ove si fosse voluto, avrebbe reso agevole una più radicale riforma) e della significativa rilevanza degli interessi sostanziali ancora ritenuti meritevoli di tutela.”
Vengono al riguardo rimarcate “le forti limitazioni e compressioni che il creditore finisce per subire per effetto del procedimento di concordato, vedendo vanificato il suo diritto di azione, pur costituzionalmente garantito, e assistendo alla formalizzazione di una limitazione del suo credito, per effetto di maggioranze ipoteticamente non condivise formatesi sul punto”. Proprio per questo, il massimo organo nomofilattico valorizza “il compito di tutela della legalità del procedimento” che resta “demandato al giudice, per il ruolo istituzionale svolto, oltre che per i diversi espliciti richiami in tal senso risultanti dal vigente testo normativo (segnatamente artt. 162, secondo comma, 173, 180, terzo comma, l.f.)”.
In dottrina[64], i poteri riconosciuti al tribunale in costanza di procedura concordataria vengono così raggruppati: i) poteri organizzatori (coordinamento con l’istruttoria prefallimentare, nomina del commissario, prescrizione degli obblighi informativi, richiesta di chiarimenti e integrazioni della domanda); ii) poteri autorizzatori (atti urgenti di straordinaria amministrazione ante ammissione, sospensione o scioglimento dei contratti in corso, finanziamenti, pagamento di crediti anteriori, atti di straordinaria amministrazione post ammissione); iii) poteri decisori (ammissione, revoca, annullamento, risoluzione del concordato). Quanto all’esercizio di quei poteri, si assume che le sottese valutazioni di merito, rimesse all’organo giudiziario, risultano variamente giustificate ora dall’urgenza di provvedere, in assenza di apposita interlocuzione con i creditori (come nell’autorizzazione degli atti urgenti di straordinaria amministrazione), ora dalla funzione pubblicistica di reprimere abusi dello strumento concordatario (come nella fissazione del termine per il deposito della proposta di concordato), ora dalla necessità di garantire una genuina formazione del consenso dei creditori (come nei controlli in fase di ammissibilità della domanda e nelle operazioni di voto), ora infine dall’esigenza di proteggere gli accordi raggiunti tra debitore e creditori (come nelle varie ipotesi di revoca del concordato).
Il primo (e forse più importante) momento in cui al giudice viene rimesso il compito di bilanciare i contrapposti interessi dei creditori (a vedere accertata l’insolvenza, senza subire gli effetti esdebitatori ex art. 184 l.fall.) e del debitore (alla regolazione della crisi con strumenti meno invasivi della soluzione fallimentare) si ha nel caso di interferenza tra le reciproche iniziative processuali che danno corso, rispettivamente, al procedimento per la dichiarazione di fallimento e alla procedura di concordato preventivo.
In ordine alle varie opzioni procedurali astrattamente praticabili (sospensione, improcedibilità temporanea o definitiva, rinvio, trattazione simultanea, riunione) - in corrispondenza dei possibili criteri di risoluzione del conflitto adottabili (pregiudizialità, prevenzione, connessione soggettiva, oggettiva o per incompatibilità, dipendenza, consequenzialità logica o procedimentale, coordinamento)[65] ed anche alla luce delle posizioni assunte, nel tempo, dalla Corte di Cassazione[66] - va registrata la recente rimessione alle Sezioni Unite della questione dei rapporti tra le due procedure[67], evidentemente alimentata dalle nuove disposizioni dettate, in tema di concordato con riserva, dall’art. 161, commi 8 e 10, l.fall., le quali vanno però lette in combinazione con il discusso riferimento della stessa norma al disposto dell’art. 22, comma 1, l.fall.[68]
Nella sostanza, tra i più recenti arresti della giurisprudenza di merito si registra una significativa tendenza ad attuare il coordinamento tra le procedure attraverso un bilanciamento dei contrapposti interessi, con prevalenza dell’opzione concordataria, ma senza esclusione della dichiarazione di fallimento ove la domanda, anche alternativamente: i) sia irrituale o incompleta ex artt. 160 e 161 l.fall.; ii) configuri un evidente abuso dello strumento concordatario; iii) sia fondata su condotte penalmente sanzionabili (bancarotta fraudolenta per distrazione, ex art. 216, n. 1, l.fall., ovvero bancarotta semplice ex art. 217, n. 3 e n. 4, l.fall., per avere l’imprenditore compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento, o aggravato il proprio dissesto astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento); iv) pregiudichi, definitivamente e in concreto, una più proficua liquidazione fallimentare, in danno della massa dei creditori (consolidamento di un’ipoteca, maturazione medio tempore della prescrizione di eventuali azioni di massa esperibili dal curatore)[69].
Al fine di impedire iniziative dilatorie e strumentali del debitore, si è anche ritenuto che, prima ancora di accertare la regolarità formale e sostanziale della domanda, il tribunale debba valutare se l'accoglimento della proposta concordataria sia per la massa dei creditori più vantaggiosa rispetto alla soluzione fallimentare, potendosi dare prevalenza alla domanda di concordato “depositata nel corso dell'istruttoria prefallimentare solo se la proposta sia finalizzata a conseguire due, alternativi, obiettivi: (1) la conservazione imprenditoriale e la ripresa dell'attività produttiva; (2) il soddisfacimento dei creditori mediante un modello tipicamente liquidatorio che, però, deve sostanziarsi in un programma più vantaggioso rispetto a quello conseguibile con la liquidazione fallimentare”[70].
Nelle successive fasi dell’ammissione del concordato (artt. 160 e ss. l.fall.) e dello svolgimento delle operazioni di voto (art. 174 ss. l.fall.), la tutela dei creditori si concentra sulla verifica di una corretta espressione della loro volontà (c.d. consenso informato), cui è strumentale la verifica, da parte del tribunale: della regolarità e completezza della domanda; della adeguatezza dell’attestazione sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità del piano; della analitica descrizione di modalità e tempi di adempimento della proposta; della completezza della relazione del commissario giudiziale ex art. 172 l.fall.; del rispetto delle modalità telematiche di convocazione dei creditori ex art. 171 l.fall. e di tutte le altre scansioni temporali previste; della corretta comunicazione di ogni tempestiva modifica della proposta (possibile solo sino all’inizio delle operazioni di voto); della compiuta valutazione, sia pure ai soli fini del voto, di tutte le contestazioni sollevate nel corso dell’adunanza; della verifica della sussistenza di ragioni di esclusione dal voto o di conflitti di interessi; dell’avviso ai creditori dell’eventuale mutamento delle condizioni di fattibilità del piano, dopo l’approvazione del concordato, per consentire la loro eventuale costituzione nel giudizio di omologazione, ai fini della modifica del voto (ai sensi del novellato art. 179, comma 2, l.fall.); infine, della sollecita comunicazione ai creditori dell’esistenza di atti di frode, che possano giustificare la revoca dell’ammissione al concordato, ai sensi dell’art. 173 l.fall.
A tutto ciò si aggiunge il controllo giudiziale: sulla corretta formazione delle classi[71]; sull’esistenza di apposita relazione giurata ex art. 160, comma 2, l.fall. in caso di falcidia dei creditori privilegiati; sul rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione; nonché, nel concordato con continuità aziendale, sull’esistenza di tutti i presupposti per l’opzione della moratoria annuale - con esclusione dal voto - dei creditori muniti di privilegio, pegno ed ipoteca, ai sensi dell’art. 186-bis, comma 2, lett. c), l.fall.;
In particolare, in assenza di vincoli normativi, si ritiene per lo più che la flessibilità del concordato preventivo consenta sia il pagamento dilazionato dei creditori prelatizi (ammessi al voto per l’intero, o in misura corrispondente al saggio differenziale tra la remunerazione del capitale e gli interessi), sia la loro soddisfazione con mezzi diversi dal denaro (con conseguente ammissione al voto per l’intero), purchè vi sia la relazione di incapienza dei beni ex art. 160, comma 2, l.fall. [72]
In sede di omologa, poi, oltre alla ripetizione di tutte le verifiche già in precedenza effettuate, la tutela dei creditori si può realizzare anche secondo il modulo contenzioso, attraverso l’opposizione degli interessati, dunque con maggiore formalizzazione delle garanzie di difesa e del diritto al contraddittorio[73].
Infine, un controllo molto pregnante compete al tribunale in presenza di atti di frode, al riguardo essendosi da ultimo precisato in dottrina[74]: i) che gli atti pregiudizievoli posti in essere ante concordato, in modo da alterare la par condicio creditorum, non necessariamente rilevano a tal fine, poichè l’azione revocatoria, potendo investire anche atti legittimi (come l’ipoteca giudiziale), non è coerente con il percorso concordatario; ii) che la nozione di frode deve avere una connotazione non più oggettiva (altrimenti finendo per riesumare surrettiziamente il giudizo di meritevolezza) ma soggettiva, intesa cioè come inganno[75], mala fede, dolosa preordinazione[76], rappresentazione infedele, ovvero compimento di atti non disvelati, sempre e prevalentemente a tutela del consenso informato dei creditori; iii) che la sola ostensione dei fatti deliberatamente compiuti per frodare i credtori non è però sufficiente ad evitare l’inammissibilità o la revoca, avendo la Suprema Corte chiarito - da ultimo - che il consenso prestato dai creditori non può obliare la frode compiuta[77], mentre i giudici di merito tendenzialmente negano lo stesso “ravvedimento operoso” del debitore (o anche del soggetto in ipotesi avvantaggiato), a significare che la frode esula dal perimetro dell’autonomia negoziale ed appartiene alla sfera del sindacato giudiziale di legittimità, a tutela di principi fondanti dell’ordinamento.
12. L’absolute priority rule statunitense
Avendo la riforma del concordato preventivo attinto molto dal corrispondente istituto statunitense della Reorganization, disciplinato nel Chapter 11 del Title 11 (Bankruptcy Code) dello United States Code, può essere utile accennare ad alcuni tratti di quel modello cui il nostro legislatore si è ispirato[78], sempre nella prospettiva del ruolo del giudice e della tutela dei creditori.
Negli U.S.A., il debitore che voglia presentare un plan of reorganization (ma anche quando intende ricorrere alla liquidation) non deve dimostrare di versare in condizioni di insolvenza, quest’ultima intesa, ai sensi della Section 101, come insolvency in the bankruptcy (che ricorre quando l’ammontare attualizzato delle passività eccede quello delle attività). Sono invece i creditori, che intendano chiedere il fallimento involontario del debitore, a dover dimostrare la c.d. insolvency in the equity sense (ossia la sua incapacità di pagare i debiti in scadenza).
Una volta confermato dal tribunale, il plan of reorganization comporta la discharge, ovvero l’estinzione di tutti i debiti antecedenti, salvo però il diritto dei vecchi creditori e degli azionisti di ottenere soddisfazione sugli utili futuri, rinvenienti dall’esecuzione del piano.
Il criterio redistributivo statunitense è informato al principio della absolute priority rule (Section 1129) - apparentemente opposto a quello della par condicio creditorum, anche se quest’ultimo riguarda i soli creditori chirografari - in base al quale non vi è parità reciproca, bensì un ordine gerarchico di soddisfazione in senso discendente, tra creditori garantiti, creditori meno garantiti e soci.
Per l’approvazione del piano da parte di ciascuna classe occorre però una doppia maggioranza, per ammontare e per teste: 1) la maggioranza di due terzi del passivo nominale rappresentato dalla classe; 2) la maggioranza assoluta del numero di creditori che compongono la classe.
Ai sensi della Section 1129 a), il tribunale può confermare il piano se ciascuna classe l’ha votato - o comunque, non avendolo fatto, non ne resta pregiudicata - e ciascun creditore pregiudicato l’ha approvato, o comunque riceva un pagamento parziale non inferiore a quello che riceverebbe dalla Liquidation (disciplinata nel Chapter 7).
E’ questa, in estrema sintesi, la verifica del best interest of creditore test.
In deroga, secondo la Section 1129 b), il tribunale può ugualmente confermare il piano - così vincolando anche i creditori dissenzienti o pregiudicati - purchè esso non contempli delle ingiuste discriminazioni tra i creditori, ma sia “fair and equitable”, cioè giusto ed equo.
Si tratta, all’evidenza, di una formula alquanto ampia e generica, che rivela l’enorme discrezionalità attribuita al giudice americano; in effetti, l’evidenza empirica statunitense registra numerose combinazioni di priorità assolute e relative, ad esempio con pagamenti parziali dei creditori non garantiti o degli stessi azionisti, sebbene quelli garantiti non siano stati pagati integralmente.
Tali deroghe vengono appunto descritte come (consentite) violations of absolute priority rule.
13. Il nuovo approccio all’insolvenza raccomandato dalla Commissione europea
Allo scopo di gettare le basi per la creazione di un sistema concorsuale uniforme, la Commissione U.E. ha emanato la Raccomandazione 12 marzo 2014 n. 2014/135/UE su un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all’insolvenza, la quale, pur non avendo la cogenza propria della Direttiva - la cui adozione era stata invero sollecitata, ed anche in termini più ampi, dal Parlamento europeo, con la Risoluzione del 17 novembre 2011[79] - tuttavia non può considerarsi un semplice white paper[80], prevedendo anzi, sia pure per contenuti più limitati, una tempistica per gli Stati membri assai stringente (invio di informazioni statistiche ed attuazione dei principi entro il 14 marzo 2015; valutazione della Commissione sull’effettiva attuazione da parte degli Stati membri entro il 14 settembre 2015).
I criteri della Raccomandazione - cui il nostro ordinamento dovrà a breve conformarsi - prevedono tra l’altro, in tema di “ristrutturazione preventiva”:
i) procedure non lunghe né costose, ma flessibili, con ricorso al giudice solo quando necessario e se proporzionato alla tutela di creditori e terzi;
ii) ristrutturazioni da gestire tendenzialmente fuori dei tribunale, con iniziativa consentita non solo al debitore, ma anche ai creditori;
iii) facoltà del giudice di nominare (non obbligatoriamente, ma caso per caso) un mediatore, che assista debitore e creditori nei negoziati, ovvero un supervisore, che sorvegli l’attività di debitore e creditori e prenda le misure necessarie a tutela degli interessi legittimi di creditori e terzi;
iv) meccanismi che consentano al giudice di omologare, senza indugi (e in linea di principio con procedura scritta) il piano adottato dalla maggioranza dei creditori, suddivisi per classi omogenee, tenendo conto anche della consistenza dei crediti di ciascuna classe;
v) efficacia vincolante del piano di ristrutturazione adottato a maggioranza dei creditori, purchè omologato dal giudice;
vi) impossibilità di rendere vincolante un piano che incida sui creditori dissenzienti, o preveda nuovi finanziamenti, se non omologato dal giudice;
vii) tutela dei legittimi interessi dei creditori, compresa la garanzia del contraddittorio con tutti i soggetti potenzialmente coinvolti e la possibilità di ricorrere al test del c.d. cram down;
viii) possibilità di contrarre nuovi finanziamenti necessari per attuare il piano, purché non arrechino indebito pregiudizio agli interessi dei dissenzienti;
ix) potere del giudice di respingere un piano che non abbia manifestamente alcuna prospettiva di impedire l’insolvenza del debitore, né di garantire la redditività dell’impresa (e.g. perché non contempla i finanziamenti necessari per proseguire l’attività);
x) diritto di tutti i creditori di essere informati sul contenuto del piano, di votare - anche i privilegiati, restando esclusi i soli creditori non coinvolti dal piano - e di opporsi (senza che ne derivi la sospensione dell’attuazione del piano);
xi) chiara distinzione tra piani stragiudiziali (da approvarsi all’unanimità) e piani giudiziali con dissenzienti (per i quali è imprescindibile l’omologazione del giudice);
xii) necessità, anche in caso di piano stragiudiziale con voto unanime, che sia il giudice ad accordare il beneficio della sospensione delle azioni esecutive;
xiii) vincolatività del piano approvato a maggioranza “per il singolo creditore interessato ed identificato dal piano”, dunque non anche per i creditori pretermessi;
xvi) necessità che sia il giudice ad approvare i nuovi finanziamenti (compresa la vendita di attività e la conversione in capitale dei debiti).
Procedendo ad un rapido raffronto sui punti di maggiore “frizione” (o al contrario “assonanza”) con il sistema concorsuale interno, si rileva che:
(p.to ii): è evidente il ritardo del nostro ordinamento nel riconoscimento della legittimazione dei creditori a proporre la soluzione concordataria;
(p.to iii): una figura simile a quella del mediatore è contemplata solo nella legge sul sovraindebitamento (organismi di composizione della crisi), mentre quella del supervisore è assimilabile, nelle funzioni, al commissario giudiziale;
(p.to ix): il potere del giudice di respingere un piano che non abbia “manifestamente” alcuna prospettiva di impedire l’insolvenza del debitore evoca fortemente la teorica delle Sezioni Unite sulla “causa concreta” del concordato preventivo;
(p.to x): la differenza con il nostro ordinamento - che di regola esclude dal voto i creditori privilegiati - potrebbe rivelarsi più apparente che reale, se si considera che un creditore privilegiato pagato regolarmente ben potrebbe ritenersi soggetto “non coinvolto” dal piano;
(p.to xiii): la non vincolatività del piano approvato a maggioranza per i creditori pretermessiè del tutto disallineata dal nostro sistema, costretto a convivere con successive controversie sui crediti non denunciati o contestati.
In termini più generali, merita sottolineare che:
a) anche a livello eurounitario, l’insolvenza non ha una dimensione esclusivamente privatistica, poiché l’obbiettivo principale è la massimizzazione del valore dell’impresa, non solo nell’interesse dei creditori, ma anche degli altri stakeholders, tra i quali sono espressamente menzionati i dipendenti, i proprietari e la stessa economia in generale;
b) la Commissione, pur prefiggendosi di limitare quantitativamente l’intervento giudiziale, lo esalta qualitativamente, imponendo il controllo del giudice - anche di merito - su tutti gli aspetti più significativi, per lo più a tutela dei creditori dissenzienti ed ai fini di una proficua soddisfazione dell’intero ceto creditorio (si vedano le cautele che circondano la disciplina dei finanziamenti, peraltro fortemente incentivati come mezzo strumentale alla salvaguardia della prosecuzione dell’attività);
c) il bilanciamento tra il diritto di libertà d’impresa e il diritto di credito viene singolarmente perseguito attraverso la riconduzione di quest’ultimo nell’alveo del diritto di proprietà, in quanto espressamente garantito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE (v. 19° considerando).
Per concludere sullo stato di attuazione, ad oggi, dei principi indicati dalla Raccomandazione, può ben dirsi che il nostro Stato sia - quantomeno formalmente - piuttosto avanzato sul fronte del salvataggio dell’impresa[81], grazie ai “nuovi” strumenti dei piani attestati, degli accordi di ristrutturazione dei debiti e del concordato preventivo in continuità. Andrebbe invece alleggerita la fase più propriamente giudiziale del concordato, secondo taluno consentendo lo svolgimento delle operazioni di voto al di fuori delle aule giudiziarie e restringendo gli ambiti autorizzatori di merito del tribunale[82].
De iure condendo, si potrebbero immaginare percorsi negoziali rimessi in via esclusiva alla trattativa fra debitore e creditori - sia pure con il supporto di mediatori qualificati - nei quali il giudice sia chiamato ad intervenire su opposizione degli interessati, con apertura (solo in quel caso) di un vero e proprio procedimento.
In alternativa, ed allo scopo quantomeno di ridurre i costi delle procedure di regolazione della crisi - al momento divenuti esorbitanti per la superfetazione delle figure professionali coinvolte (legali, advisors, consulenti, professionisti attestatori, redattori di relazioni giurate, precommissari giudiziali, commissari giudiziali, liquidatori) - potrebbe immaginarsi una traslazione sul precommissario giudiziale dei compiti oggi svolti dai professionisti attestatori, con attrazione nell’orbita delle funzioni di verifica e controllo già oggi comunque rimesse all’organo tecnico ausiliare del tribunale.
[1] Rielaborazione scritta in data 21 gennaio 2015 (anteriormente alla riforma di cui al d.l. 83/2015) della relazione tenuta al Convegno Crisi d’impresa e ristrutturazione: protagonisti, costi e scenari europei - Alba, 22 novembre 2014.
[2] Si veda l’interessante relazione di Guido Rossi, I diritti dei cittadini fra le crisi dell’impresa e della giustizia, in occasione della “Giornata europea della giustizia civile dedicata al rapporto tra giustizia e impresa”, Milano 25 ottobre 2013, in www.coe.int/t/dghl/cooperation/cepej/events/EDCJ/2013/Milano_2013 .pdf, 14.
[3] Secondo il Teorema di Coase (divulgato con l’articolo The problem of social cost, che gli valse nel 1991 il Nobel per l’economia), se i diritti fossero ben definiti e non vi fossero costi di transazione, il meccanismo di mercato farebbe sì che i diritti di proprietà finirebbero nelle mani dei soggetti che li valutano di più; in altri termini, senza i costi di transazione, i privati non avrebbero bisogno di norme imperative, per organizzare autonomamente il mercato in modo efficiente. Il teorema rappresentò un tentativo di dimostrare come, attraverso il mercato, si possa giungere a un'efficienza (intesa come somma netta del benessere sociale) superiore rispetto a quella che si può ottenere con l'intervento dello stato o di altre regolamentazioni esterne.
[4] Secondo l’economista italiano Vilfredo Pareto, il sistema economico più efficiente è quello che realizza un'allocazione di risorse tale per cui non sia possibile migliorare ulteriormente la condizione di un individuo senza peggiorare quella di un altro: si tratta del concetto di ottimo paretiano (o efficienza paretiana).
[5] Alberto Jorio, Le procedure concorsuali tra tutela del credito e salvaguardia dei complessi produttivi, in Giur.comm., 1994, I, 513, con riguardo all’affermazione Einaudiana per cui, per uscire dalla crisi, occorre “lasciar fallire coloro che non sono in grado di vivere”.
[6] Lorenzo Stanghellini, Le crisi di impresa fra diritto ed economia, Bologna, 2007, 69.
[7] Ivan Libero Nocera, Autonomia privata e insolvenza: l’evoluzione delle soluzioni negoziali dai codici ottocenteschi al contratto sulla crisi di impresa, in Dir. fall., 2014, n. 3-4, 419.
[8] Legge 27 gennaio 2012, n. 3, come riformata dall’art. 18 del decreto legge n. 179/12, convertito dalla legge n. 122/12.
[9] Come si osserva in dottrina, la preferenza per soluzioni conservative (piuttosto che liquidatore) dei valori aziendali risponde ad una moderna concezione dinamica della responsabilità
patrimoniale, incentrata sulla gestione produttiva, la quale comporta un avanzamento dalla visione privatistica alla visione “commercialistica” della crisi di impresa, in cui i creditori “hanno una spiccata consapevolezza del rischio ed una correlativa legittimazione a governarla”: in termini, Luigi Amerigo Bottai, Revisione della legge fallimentare per favorire la continuità aziendale, in Fall., 2012, 928.
[10] Decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 34.
[11] Decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98.
[12] Riportata da Ezio Tartaglia, Revocatoria fallimentare dei versamenti in conto corrente e ruolo delle anche nella crisi d’impresa, in U. Apice (a cura di), L’impresa in crisi: tra liquidazione e conservazione, Roma, 2002, 13.
[13] cfr. Ivan Libero Nocera, op.cit., 405 s.
[14] Si vedano i dati dell’Osservatorio sui fallimenti commentati da Andrea Bonelli, Fallimenti record, in calo liquidazioni e concordati in bianco, in Ipsoa Quotidiano, www.ipsoa.it, 2 gennaio 2015, ove risulta che dal 2008 al giugno 2014 una società su cinque ha avviato una procedura concorsuale o è stata liquidata volontariamente.
[15] cfr. Massimo Ferro, Raffaele D’Amora, Massimo Fabiani, Il concordato con riserva di presentazione della proposta, del piano e della documentazione, in M. Ferro, P. Bastia, G.M. Nonno (a cura di), Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione, Milano, 2013, 130 s.
[16] V. Cass.civ. sez. I, 14 marzo 2014, n. 6031, in Fall., 2014, 516
[17] Inaugurata da Cass. civ. sez. I, 6 agosto 2010, n. 18437, in Giust.civ., 2010, 2457 ss., con nota di Antonio Didone, “Note minime sulla consecuzione delle procedure concorsuali”, e in Fall., 2011, 30, con nota di Paolo Bosticco, “E’ ancora attuale la consecuzione dei procedimenti nella nuova legge fallimentare?”.
[18] Cfr. Paola Vella, L’enigmatico rapporto tra prededuzione e concordato preventivo, in Fall., 2014, 522 s.
[19] Federico Marengo, Un approccio di analisi economica del diritto sulla crisi d’impresa; l’absolute priority rule statunitense e le sue deroghe giurisprudenziali - prospettive di riforma del dato normativo italiano, in www.ilcaso.it, 2014, 19 s.
[20] Paola Vella, L’accrescimento dei controlli giudiziali di merito e degli strumenti protettivi nel nuovo concordato preventivo, in www.ilcaso.it, sez. II, Dottrina e opinioni, doc. n. 320/2012, 3.
[21] Decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.
[22] Secondo App. Napoli 1 dicembre 2014, pres. Lipasi, est. Dacomo, in www.ilcaso.it, 2014, il giudizio di omologazione si atteggia diversamente a seconda che siano state o meno proposte opposizioni, poiché, mentre nel primo caso si ha un sindacato pieno di merito, avente ad oggetto l’idoneità dell'accordo ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei, nel secondo caso si ha un sindacato di mera legittimità, limitato alla verifica degli adempimenti prescritti dalla legge e della coerenza logica dell'attestazione sulla attuabilità del piano.
[23] Stefano Ambrosini e Marco Aiello, I piani attestati di risanamento: questioni interpretative e profili applicativi, in www.ilcaso.it, 2014, 4 (nota 3) e 11.
[24] Sido Bonfatti, Gli incentivi alla composizione negoziale delle crisi d’impresa: uno sguardo d’insieme, in Bonfatti-Falcone (a cura di), Le procedure di composizione negoziale delle crisi e del sovraindebitamento, Milano, 2014, 15.
[25] Decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.
[26] Ivan Libero Nocera, op. cit., 407.
[27] Massino Fabiani, L’ulteriore up-grade degli accordi di ristrutturazione e l’incentivo ai finanziamenti nelle soluzioni concordate, in Fall., 2010, 899.
[28] Piero Valensise, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge fallimentare, Torino, 2012, 23; conf. Antonio Didone, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis legge fallim.), in Dir. fall., 2011, 17; Giuseppe Terranova, I nuovi accordi di ristrutturazione: il problema della sottocapitalizzazione dell’impresa, in Dir. fall., 2012, 1. Sul tema v. anche Paola Vella, Postergazione e finanziamenti societari nella crisi di impresa, Milano, 2012, 123, ove si sostiene che la connotazione di concorsualità si sarebbe ormai concentrata sul solo aspetto (imprescindibile e perciò essenziale) della necessaria - e non spontaneistica - partecipazione di tutti i creditori alla definizione (più o meno concordata) della crisi di impresa, fosse anche solo per assumere formalmente una posizione di estraneità (come nell’accordo di ristrutturazione e nella procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento), posto che anche i creditori estranei all’accordo sono comunque chiamati a subire l’automatic stay e la moratoria quadrimestrale. Cfr., sul tema delle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, Paola Vella, La formazione dell’accordo e i suoi effetti, in M. Ferro (a cura di), Sovraindebitamento e usura, Milano, 2012, 165 s., ove si registra il progressivo accostamento tra le varie “placche tettoniche” di cui si compone il sistema di regolamentazione dell’insolvenza, in uno all’espansione del modulo concorsuale, come conferma l’alternatività tra il percorso concordatario ed il modulo degli accordi di ristrutturazione dei debiti.
[29] Ex ceteris, Trib. Milano, 23 gennaio 2007, in Fall., 2007, 701; Trib. Ancona, 12 novembre 2008, in www.ilcaso.it.
[30] Trib. Bari, 21 novembre 2005, in Fall., 2006, 169; Trib. Brescia, 22 febbraio 2006, in Fall., 2006, 669; Trib. Brescia, 22 febbraio 2006, in Fall., 2006, 669; App. Roma, 3 giugno 2010, in www.ilcaso.it
[31] Trib. Milano, II sez. civ., 31 luglio 2014, pres. C. Macchi, rel. F.M. Mammone, in www.ilcaso.it, 2014; conf. App. Napoli 1 dicembre 2014 cit.
[32] Trib. Modena, 19 novembre 2014, pres. V. Zanichelli, rel. A. Mirabelli. Negli stessi termini già Trib. Ancona, 20 marzo 2014, pres. est. Ragaglia, entrambi in www.ilcaso.it, 2014.
[33] Trib. Terni, 4 luglio 2011, pres. G. Lanzellotto, est. P. Vella, annotato da Marco Arato, Modifiche all’accordo di ristrutturazione dei debiti e nuovo controllo giudiziario, in Fall., 2012, 205 ss.
[34] Federico Marengo, op.cit., 16.
[35] CERVED, Osservatorio su fallimenti, procedure e chiusure di imprese, https://www.cerved.com/xportal/web/ita/cervedfree/statistiche/pillole.jsp
[37] In dottrina si sottolinea che, in assenza di fattispecie tipizzate, lasalvaguardia dell’impresa insolvente rischia di essere consegnata -
specie con riguardo alla gestione dei rapporti pendenti - a scelte completamente discrezionali del tribunale, il quale, attraverso le innumerevoli autorizzazioni che è tenuto a rilasciare, finisce per incidere non solo sulla gestione dell’attivo, ma anche sulla soddisfazione del passivo, di tal che il modulo concorsuale risulta collocato in un’ottica non solo dinamica, ma anche amministrata: v. Giuseppe Terranova, Il concordato con continuità aziendale e i costi dell’intermediazione giuridica, in Dir. fall., 2013, I, 15.
[38] Paola Vella, Autorizzazioni, finanziamenti e prededuzioni nel nuovo concordato preventivo, in Fall., 2013, 657 ss.
[39] Con espressa esclusione - ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 169-bis, l.fall. - dei rapporti di lavoro subordinato, dei contratti di
locazione attiva, dei contratti di finanziamento destinati ad uno specifico affare (art. 2247-bis, comma 1, lett. b), cod. civ.) nonché
dei preliminari di vendita immobiliare trascritti ex art. 2645-bis cod. civ., aventi ad oggetto l’immobile ad uso abitativo destinato ad abitazione principale dell’acquirente (o suoi parenti ed affini entro il terzo grado), nonché l’immobile ad uso non abitativo destinato a sede principale dell’impresa dell’acquirente.
[40] Introdotto dal decreto legge 23 dicembre 2013, n. 145 (c.d. Decreto destinazione Italia), convertito con modifiche dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9.
[41] Le stesse Sezioni Unite con la sent. n. 1521/13 (v. infra) hanno elencato le innovazioni normative che hanno «incontestabilmente potenziato l’area di intervento dell’organo giudiziario», chiamandolo a controlli ed autorizzazioni non solo di legittimità, ma anche di opportunità.
[42] In nuce già presente nella prima riforma: si pensi alla latitudine del controllo giudiziale sulla correttezza della formazione delle classi (art. 163, comma 1, l.fall.), che può sottendere criteri di valutazione non giuridici, come l’omogeneità degli interessi economici (art. 160, comma 1, lett. c), l.fall.).
[43] Giovanni Lo Cascio, Crisi delle imprese, attualità normative e tramonto della tutela concorsuale, in Fall., 2013, 19 s.
[44] Nel saggio di Guido Rossi sopra cit., viene argutamente richiamato “lo slogan famoso del Giudice Brandeis che la trasparenza è come la luce del sole, sunshine, il miglior disinfettante per le infezioni societarie, ma, come la luce del sole, la sua abbondanza - secondo la felice intuizione di Loss - può provocare il cancro della pelle, osservazione evidentemente dimenticata dal legislatore americano del 2013, che ha approvato il Sunshine Act, teso a rendere palesi (alla luce del sole) i rapporti contrattuali tra medici e case farmaceutiche”.
[45] Ex ceteris: Trib. Firenze, 27 luglio 2012, in www.ilcaso.it, I, 7820, 24/09/2012; Trib. Monza 10 luglio 2012, ivi, I, 770, 3/9/2012; Trib. Milano 28 ottobre 2011, Foro it., 2012, 1, I, 136; App. Roma, 18 settembre 2010, in Dir. fall., 2011, II, 18; App. Bologna, 15 giugno 2009, in Corr. Mer., 2009, 1091; Trib. Pescara 16 ottobre 2008, in Giur. mer., 2009, 1, 125; Trib. Palermo 18 maggio 2007, in Fall., 2008, 75 ss.; Trib. Torino 12 dicembre 2006, in Fall., 2007, 685; Trib. Sulmona 6 maggio 2005, in Fall., 2005, 793.
[46] Cass. 16 settembre 2011, n. 18987, in Fall.,, 2012, 39; Cass. 23 giugno 2011, n. 13818, ivi, 2011, 903; Cass. 14 febbraio 2011, n. 3586, ivi, 2011, 805; Cass. 25 ottobre 201, n. 21860, ivi, 2011, 167; contra Cass. 15 settembre 2011, n. 18864, ivi, 2012, 39.
[47] Cass., s.u., sent. 23 gennaio 2013, n. 1521, commentata, ex multis, da Costanza Alessi, Autonomia privata nel concordato preventivo e il ruolo del tribunale, in Giur. comm., 2014, 443; Adolfo Di Majo, Il percorso “lungo” della fattibilità del piano proposto nl concordato, in Fall., 2013, 92 ss; Massimo Fabiani, Concordato preventivo e giudizio di fattibilità: le sezioni unite un po’ oltre la metà del guado, in Foro it., 2013, I, 1573 s.; Ilaria Pagni, Il controllo di fattibilità del piano di concordato dopo la sentenza 23 gennaio 2013, n. 1521: la prospettiva “funzionale” aperta dal richiamo alla “causa concreta”, in Fall., 2013, 287 s.
[48] La distinzione risulta invero sfumata, e forse ultronea, poiché, a ben vedere, la “fattibilità giuridica” andrebbe più propriamente ricondotta alla sfera del vaglio di legittimità, che nessuno revoca in dubbio competa al tribunale.
[49] Cfr. Cass., Sez. I civile, 9 maggio 2013, n. 11014 e 27 maggio 2013, n. 13083, entrambe in Giust. civ. Mass., 2013; 6 novembre 2013, n. 24970, in Dir. fall. 2014, 223 ss.; 31 gennaio 2014, n. 2130, 23 maggio 2014, n. 11497 e 17 ottobre 2014, n. 22045, reperibili in www.cassazione.it
[50] Cass., Sez. I civile, 17 ottobre 2014, n. 22045, in FallimentieSocietà.it
[51] Cfr. Trib. Terni, 7 novembre 2013, pres. G. Lanzellotto, est. P. Vella, in unijuris.it
[52] Meno opinabile il caso di assenza di qualsivoglia soddisfazione affrontato da Cass. 23 giugno 2011, n. 13817, per cui sarebbe da escludere che la proposta non preveda “alcun pagamento in favore dei chirografi, in quanto se così fosse l’inammissibilità sarebbe stata rilevata e pronunciata immediatamente in sede di esame della proposta stessa, in quanto difforme dal modello legale”.
[53]Si tratta delle ipotesi contemplate da Cass. 15 settembre 2011, n. 18864, in Fall., 2012, 39, la quale, piuttosto che alla causa concreta, ha fatto ricorso al concetto di “impossibilità dell’oggetto, riscontrabile ove la proposta concordataria non abbia, alla luce della relazione del commissario giudiziale, alcuna probabilità di essere adempiuta”.
[54] Il nuovo art. 236-bis l.fall. prevede il delitto di “falso in attestazioni e relazioni” del professionista che, nelle relazioni o attestazioni di cui agli artt. 67, comma 3, lett. d), 182-bis, 182-quinquies e 186-bis l.fall., “espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti”. La pena prevista è della reclusione da 2 a 5 anni e la multa da 50mila a 100mila euro, peraltro aumentabile fino a un terzo o alla metà, qualora, rispettivamente, il fatto sia commesso al fine di conseguire un ingiusto profitto per sé o per altri, o dal fatto consegue un danno per i creditori. Poiché, peraltro, ai sensi dell’art. 236, comma 2, n. 1), l.fall., gli amministratori di una società in concordato preventivo non rispondono - come invece l’imprenditore individuale, a norma del comma 1 - del reato di denuncia di crediti inesistenti ed occultamento di attività (a causa del mancato richiamo dell’art. 220 l.fall.), si ha la conseguenza - paradossale - che di eventuali condotte fraudolente nella esposizione dei dati aziendali l’amministratore potrebbe rispondere, al più, quale extraneus in concorso con il professionista.
[55] Giuseppe Bozza, Il rispetto della par condicio creditorum nelle soluzioni della crisi dell’impresa, in www.fallimentiesocieta.it, 2014, 6.
[56] Sul mercato, questa singolare facoltà di scioglimento unilaterale del sinallagma contrattuale può addirittura originare una forma di “dumping da procedura concorsuale”.
[57] L’indennizzo equivalente al risarcimento del danno in favore dell’altro contraente viene infatti pagato in moneta concorsuale, nonostante il fatto genetico sia successivo al deposito del ricorso.
[58] Al riguardo, un vaglio giudiziale non adeguatamente rigoroso potrebbe dar vita ad una sorta di “legalizzazione della prepotenza” di determinati creditori: cfr. Paola Vella, op.ult.cit., 663.
[59] Cfr. Dario Finardi e Giovanni Sandrini, La deroga alla par condicio creditorum nel concordato in continuità aziendale: il pagamento dei debiti pregressi, in www.ilcaso.it, 2014, 12 ss. , per i quali, non derogando l’art. 182-quinquies, comma 4, l.fall., ai principi generali previsti dall’art. 160 l.fall., tale norma speciale potrebbe solo consentire - per il creditore privilegiato - la mera anticipazione temporale del pagamento, e - per il creditore chirografario - l’anticipazione del pagamento in misura pari alla percentuale prevista nella proposta per gli altri chirografari, ovvero in percentuale diversa rispetto ad essi, ma mai superiore a quella prevista per i privilegiati, fatto salvo il disposto dell’art. 160, comma 2, l.fall.
[60] Circa le conseguenze del pagamento non auorizzato di crediti pregressi, la giurisprudenza di merito si divide tra chi vi ravvisa un atto di frode sanzionabile con la revoca ex art. 173 l.fall. (Trib. Pesaro 26 luglio 2013, Trib. Milano 6 marzo 2013, Trib. Siracusa 20 dicembre 2012), chi ritiene che esso comporti l’inammissibilità della domanda (App. Bologna 25 giugo 2013, Trib. Udine 16 aprile 2013, Trib. Milano 28 febbraio 2013) e chi si limita a registrare un’ipotesi di violazione della par condicio creditorum (Trib. Modena 15 dicembre 2012), tutte in www.ilcaso.it
[61] Che pure sarebbe assurta al ruolo di “clausola generale, cui ricorrere per orientare le valutazioni o le scelte da compiere nel concordato preventivo”, anche laddove non sia espressamente previsto, quale “criterio orientativo delle scelte strategiche e della gestione della procedura”: in tal senso l’interessante ricostruzione di Adriano Patti, Il miglior soddisfacimento dei creditori: una clausola generale per il concordato preventivo?, in Fall., 2013, 1102 e 1106.
[62] Si veda anche la Relazione illustrativa di accompagnamento al nuovo art. 169-bis l.fall., ove si sottolinea la contrapposizione alla regola generale della prosecuzione dei rapporti in corso, ritenuta più onerosa rispetto al costo di un “indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento”, in quanto da soddisfarsi “come credito anteriore al concordato”.
[63] Trib. Cassino 29 ottobre 2014, Pres. Sordi est. Petterutti, in www.ilcaso.it
[64] Francesco De Santis, Rapporti tra poteri delle parti e poteri del giudice nel concordato preventivo: i poteri del giudice, in Fall., 2013, 1063.
[65] Sul tema si vedano i contributi di Ilaria Pagni, I rapporti tra concordato e fallimento in pendenza dell’istruttoria fallimentare, in Fall., 2013, 1075 ss., e Massimo Ferro, La dichiarazione di fallimento e l’ammissione ai concordati (ordinario e con riserva), in Fall., 2013, 1086 ss.
[66] Cass. Sez. 1, 5 giugno 2009, n. 12986 (CED Rv. 608316), 8 febbraio 2011, n. 3059 (CED Rv. 617167), 24 ottobre 2012, n. 18190, 6 novembre 2013, n. 24969 (CED Rv. 628898), 4 giugno 2014, n. 12534 (CED Rv. 631615).
[67] Cass., Sez. 1, ord. 30 aprile 2014, n. 9476 in www.cassazione.itin ordine alla questione “se la pendenza della procedura di concordato preventivo, conseguente alla sua apertura ai sensi dell’art. 163 legge fall., precluda, o no, la possibilità di dichiarare il fallimento e se, più in generale, il principio della prevalenza della procedura di concordato, desumibile, in passato, dall’inciso contenuto nell’art. 160 legge fall. relativo alla facoltà del debitore di proporre il concordato preventivo fino a che il suo fallimento non venga dichiarato, sia venuto meno, o no, in ragione dell’eliminazione di tale inciso nella riscrittura dell’art. 160 cit. ad opera del d.l. n. 35 del 2005 conv. in l. n. 50 del 2005”.
[68] Sulle varie teorie formulate in dottrina sul punto v. amplius Ilaria Pagni, op. cit., 1078 (nota 10).
[69] In termini, Trib. Terni, 26 febbraio 2013, in www.osservatorio-oci.org, 2013, ms. 781; cfr. Trib. Vicenza, 24 agosto 2012, www.osservatorio-oci.org, 2012, ms. 555; Trib. Terni, 18 luglio 2012, in www.osservatorio-oci.org, 2012, ms. 749. Secondo Trib. Prato, 16 giugno 2014, in www.osservatorio-oci.org, 2014, ms. 906, configura abuso il comportamento dell’imprenditore che, dopo la revoca di una prima proposta di concordato, ne depositi una seconda, in pendenza di istanza prefallimentare; analogamente tale è, per Trib. Forlì, 12 marzo 2013, in Fall., 2014, 97 ss. e Trib. Milano, 24 ottobre 2012, in Fall., 2013, 77 s., la rinuncia alla domanda di concordato preventivo dopo la convocazione in camera di consiglio ex art. 162 l.fall., con presentazione di una successiva domanda di concordato preventivo con riserva; contra, App. Venezia, 10 luglio 2013, in www.osservatorio-oci.org, 2013, ms. 844.
[70] Trib. Perugia, 19 luglio 2013, in www.ilcaso.it, 2013.
[71] Secondo Massimo Fabiani, Per un superamento delle reciproche diffidenze fra giudice e parti nel concordato preventivo, in www.ilcaso.it, 2014, 6,il rischio di annacquamento della volontà contraria - attraverso il gioco delle classi - sarebbe tollerabile in ragione della facoltà di opposizione dei creditori, che rimette la decisione finale al giudice, piuttosto che al volere della maggioranza.
[72]Per ulteriori approfondimenti sul tema, ancora assai dibattuto e magmatico, si rinvia, tra gli scritti più recenti, a Luigi D’Orazio, L’ammissiblità della domanda di concordato preventivo con proposa di dilazione di pagamento ai creditori prelazionari, in Fall., 2014, 447 ss.; Massimo Fabiani, op.ult.cit., 5 ss.; Paola Vella, op.ult.cit., 661 s.
[73] Cfr. Franceso Cordopatri, Il processo di concordato preventivo, in Riv. Dir. proc., 2014, 361 s.
[74]Massimo Fabiani, op.ult.cit., 12 ss.
[75]App. Milano, 10 gennaio 2014, in www.ilcaso.it
[76]Trib. Mantova ,12 luglio 2012, in Fall., 2013, 450
[77]Cass. 24 giugno 2014, n. 14552, in www.cassazione.it, per cui “l’accertamento ad opera del commissario giudiziale di fatti integranti le fattispecie previste ell’art. 173 l.fall. determina la revoca dell’ammissione al concordato, indipendentemente dal voto espresso in adunanza, e quindi anche nelle ipotesi in cui i creditori medesimi siano stati resi edotti di quell’accertamento”.
[78] V. amplius Elena Marinucci, La domanda di concordato preventivo dopo il "decreto sviluppo": legge fallimentare e bankruptcy code a confronto, in Riv. dir. internaz. priv. proc., 2/2013, 426-448.
[79] Tra le indicazioni della citata Risoluzione meritano menzione il p.to 12°), relativo all’armonizzazione delle azioni revocatorie e dei relativi periodi sospetti, a vantaggio dei creditori pregiudicati da atti fraudolenti - per colpire le transazioni fatte in situazione di imminente insolvenza (da 3 a 9 mesi), la costituzione di diritti di garanzia (da 6 a 12 mesi), le transazioni con le parti correlate (da 1 a 2 anni) e le transazioni con intento di frodare creditori (da 3 a 5 anni) - nonché il p.to 14°), riguardante la “armonizzazione dei profili connessi ai piani di risanamento, quale alternativa al rispetto delle norme ordinarie, con la previsione di norme sulla soddisfazione dei creditori e la responsabilità del debitore dopo la conclusione della procedura di insolvenza, sull’effettività e appropriatezza dell’informazione, sul controllo giudiziale, sull’esclusione dal voto dei privilegiati e delle parti non interessate”.
[80] Ubalda Macrì, Un commento a prima lettura, in Fall., 2014, 399.
[81] Ubalda Macrì, op.cit., 401.
[82] Luciano Panzani, La Raccomandazione 12 marzo 2014 della Commissione europea per l’adozione di una disciplina uniforme in materia di insolvenza, in www.questionegiustizia.it/ Oct 10, 2014
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