Tributario


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 26/04/2015 Scarica PDF

La qualificazione dell'obbligazione tributaria rispetto al fondo patrimoniale

Gennaro Di Gennaro, Dottorando di ricerca


Sommario: 1. Premessa. - 2. Le obbligazioni  della famiglia. - 3. La natura dell’obbligazione tributaria. - 4. Gli adempimenti pubblicitari. - 5. Considerazioni conclusive.


     

1. Premessa

La problematica sottesa al presente contributo, riguarda l’esatta qualificazione del debito tributario, quale obbligazione contratta nell’interesse della famiglia, o, invece, per finalità extrafamiliari.

In particolare, rileva verificare se, in virtù di un’interpretazione sistematica delle pertinenti regole giuridiche, le obbligazioni tributarie insorte nell’esercizio dell’attività d’impresa, o professionale, possano considerarsi sussumibili nel novero dei debiti della famiglia.

Pertanto, posto che alla preliminare (e corretta) qualificazione del debito tributario è subordinato il valido esercizio delle azioni espropriative e cautelari che ben potrebbero interessare i beni (e i loro frutti, civili e naturali) introdotti nel fondo patrimoniale, occorre appurare, per ciascuna fattispecie impositiva, l’esistenza, o meno, di una relazione diretta ed immediata tra il fatto generatore del rapporto obbligatorio ed i bisogni familiari.

   

2. Le obbligazioni della famiglia

Come noto, nel fondo patrimoniale, disciplinato dagli artt. 167 e segg. c.c., possono essere introdotti, esclusivamente, i beni indicati dalla regola codicistica di riferimento: l’elencazione, infatti, in virtù di un orientamento interpretativo ormai consolidato, è da considerarsi tassativa, e, quindi, insuscettibile di interpretazione estensiva e/o analogica.

Le ragioni sottese alla costituzione del fondo in esame, ove lecite, trasparenti e rispettose delle prescritte disposizioni all’uopo applicabili, risiedono, fondamentalmente, nel consentire al coniuge o ai coniugi costituenti (fatta salva l’ipotesi della costituzione ad opera del terzo, nei casi esplicitamente previsti e secondo le prescritte modalità normative) di imprimere, sui beni conferiti, un preciso vincolo di destinazione: attraverso, infatti, la costituzione del fondo patrimoniale, si realizza un fenomeno di segregazione che genera il c.d. patrimonio di destinazione, o separato, utilmente preordinato alla tutela, preservazione e conseguimento delle finalità familiari, secondo quanto previsto dal dettato normativo di riferimento (in argomento, sia consentito rinviare a G. DI GENNARO, Il doveroso adempimento delle obbligazioni tributarie e la costituzione del fondo patrimoniale, in il fisco n. 7/2014, p. 665).

Più in concreto, attraverso la costituzione di una massa patrimoniale ad hoc,i beni, assoggettati al particolare regime giuridico, sono destinati al soddisfacimento delle esigenze della famiglia secondo la nozione costantemente elaborata dalla giurisprudenza.

Tra gli effetti positivizzati che conseguono alla costituzione del fondo in discorso, appare utile soffermarsi, seppure sinteticamente, su quello di carattere patrimoniale: più precisamente, le azioni esecutive (nonchè quelle di carattere cautelare, per le ragioni che saranno, seppur brevemente, illustrate nel prosieguo del presente contributo) sui beni del fondo e sui loro frutti non possono essere esperite (e proseguite) per debiti che il creditore procedente conosceva essere stati contratti per finalità estranee ai bisogni della famiglia (per utili e puntuali approfondimenti, anche in merito all’imposizione diretta ed indiretta del fondo patrimoniale, si rinvia a R. SCHIAVOLIN, L’imposizione sui patrimoni destinati con particolare riferimento al trust, par. 3.1, relazione tenuta al “Seminario di aggiornamento professionale per i Magistrati delle Commissioni Tributarie delle Regioni Veneto-Friuli Venezia Giulia-Trentino Alto Adige” - 14 e 15 novembre 2014, Isola di San Servolo - in www.giustizia-tributaria.it; L. PERRONE, Profili tributari del fondo patrimoniale, in Rass. Trib. n. 6/2008, p. 1541).

Pertanto, la disciplina positiva, e, segnatamente, il disposto normativo di cui all’art. 170 c.c., pone una chiara linea di discrimine tra i debiti contratti nell’interesse della famiglia, per far fronte al soddisfacimento dei sottesi e conseguenziali bisogni, e le obbligazioni, di carattere extrafamiliare, avulse dal novero dai rapporti giuridici concernenti, in via diretta ed immediata, le esigenze familiari; detta demarcazione, per l’effetto, impone che solo per i primi (ovvero per i debiti della famiglia) sarà possibile agire in via esecutiva (e cautelare) sui beni del fondo e sui loro frutti, naturali e civili (in generale, per utili e puntuali approfondimenti sul tema, v. L. STRIANESE, Il fondo patrimoniale, strumento di articolazione del patrimonio familiare: alcuni tratti patologici rilevanti sul piano tributario, in Dir. Prat. Trib.,  2014, I, p. 181).

Per i rapporti obbligatori sorti in funzione di presupposti e circostanze causali avulse dalle esigenze familiari, invece, i rimedi di tutela ex lege esperibili non potranno essere invocati, sostenuti e azionati nei riguardi del fondo patrimoniale.

A tal riguardo, in tema di onere della prova circa l’ estraneità del debito dal novero di quelli della famiglia e, comunque, della conoscenza della natura extrafamiliare dell’obbligazione, si sono progressivamente sviluppati due contrapposti indirizzi interpretativi.

La prima opzione ermeneutica, peraltro minoritaria, ritiene che il creditore, in capo al quale si pone l’onus probondi, è tenuto a dimostrare che: 1) non era a conoscenza del fatto che l’obbligazione fosse stata contratta per finalità estranee ai bisogni della famiglia; 2)  l’obbligazione ha carattere familiare, stante l’evidente collegamento con le esigenze della famiglia; 3) in ogni caso, il debito è stato contratto per soddisfare precisi e circostanziati bisogni della famiglia.

Una differente soluzione interpretativa, che appare ormai essere quella prevalente, sostiene il principio secondo cui l’onere della prova, in ordine alla estraneità del debito alle esigenze familiari, incombe sui coniugi (in argomento, per approfondimenti, si rinvia, tra le altre, a Cass. n. 5385/2013; Id., n. 1295/2012).

Prima di affrontare la natura del debito tributario, appare utile, ai fini che qui interessano, soffermarsi, seppur brevemente, su altri due concetti: i bisogni della famiglia e i debiti della famiglia.

Circa i primi, giova osservare che la giurisprudenza di legittimità ha sviluppato, nel tempo, una nozione piuttosto ampia di bisogni della famiglia, comprendendovi non soltanto le esigenze essenziali proprie del nucleo familiare ma anche quelle volte a promuovere il  mantenimento, il pieno ed armonico sviluppo e il potenziamento delle capacità lavorative della famiglia medesima, escludendo le esigenze di carattere voluttuario e quelle connesse a interessi squisitamente speculativi (sul punto, per approfondimenti sul percorso argomentativo e logico-giuridico sul quale si fonda la statuizione, si rinvia a Cass. n. 15886/2014).

Circa, poi, i debiti della famiglia, il Giudice di legittimità, anche con risalenti decisioni (ci si riferisce, tra le altre, anche a Cass. 12998/2006; Id., n. 8991/2003; Id.,  n. 11230 /2003), ha costantemente affermato che essi si considerano tali a condizione che tra il fatto generatore del rapporto obbligatorio e i bisogni della famiglia, sussista, di fatto, un rapporto diretto ed immediato; in buona sostanza, occorre che l’obbligazione sia stata contratta al precipuo fine di soddisfare determinati bisogni della famiglia, intesi nel senso appena evidenziato, con la conseguenza che l’assunzione di un obbligo che presenta un collegamento solo eventuale, mediato,  incerto ed ipotetico con le esigenze familiari, non potrà considerarsi sussumibile nel novero delle obbligazioni della famiglia.

Le nozioni di debito della famiglia e di bisogno della famiglia, ampiamente confermate dai pronunciati del Giudice di legittimità, sono state ben recepite dalla giurisprudenza di merito.

Orbene, in virtù delle notazioni sin qui svolte, è di tutta evidenza, ad avviso di chi scrive, che, anche ai fini della qualificazione del debito tributario, quale debito extrafamiliare o inerente alla famiglia, occorre, volta per volta, considerare, accertare e valutare i seguenti imprescindibili dati: 1) i principi normativi sui quali si fonda l’onere della prova, così come interpretati da una corposa elaborazione pretoria; 2) la nozione, in senso non restrittivo bensì ampio, di bisogno della famiglia, alla luce della prevalente giurisprudenza; 3) il debito della famiglia e il suo effettivo e concreto collegamento, diretto ed immediato, con i sottesi bisogni, secondo costanti filoni interpretativi.

   

3. La natura dell’obbligazione tributaria

La problematica sottesa alla qualificazione dei debiti tributari, impone, per logiche ragioni intuitive, di prospettare due differenti opzioni interpretative sviluppatesi in seno alla giurisprudenza (di legittimità e di merito): a tal fine, rileva soffermarsi sulla natura delle obbligazioni insorte nell’esercizio di attività esercitate con intento lucrativo, sia imprenditoriali che libero-professionali.

Secondo un primo orientamento, non prevalente, e, comunque, non condiviso da chi scrive, i debiti tributari sono da considerarsi inerenti ai bisogni della famiglia, ragion per cui giustificano l’esercizio delle azioni recuperatorie sia sui beni conferiti nel fondo patrimoniale che sui loro frutti; il percorso logico-giuridico, che conduce a considerare aggredibile la massa patrimoniale, si fonda sull’assunto secondo cui dei risultati economici positivi conseguiti nell’esercizio dell’attività lucrativa ne trae vantaggio la famiglia e, in ogni caso, della liquidità sottratta al pagamento dei tributi essa ne trae giovamento (per approfondimenti sulla natura del debito tributario, si rinvia a Comm. trib. prov. Reggio Emilia, n. 90/2010).

La tesi interpretativa qui sinteticamente illustrata, non appare condivisibile in quanto i debiti tributari insorti nell’esercizio di un’attività economica si fondano su regole, condizioni, principi, bisogni ed esigenze che connotano esclusivamente l’organizzazione imprenditoriale o libero-professionale nell’ambito della quale si realizzano i presupposti fondanti l’obbligazione tributaria; tutto ciò, pertanto, prescinde dalle concrete esigenze e dai reali ed effettivi bisogni della famiglia.

A ciò si aggiunga, col conforto di una ricca giurisprudenza, che: 1) il debito tributario nasce automaticamente, allorquando si verificano i prescritti presupposti di carattere oggettivo e soggettivo indicati dalla norma impositiva, senza che a tal fine abbiano rilevanza i bisogni effettivi della famiglia; 2) le obbligazioni tributarie connesse all’esercizio di un’attività con finalità lucrative non possono considerarsi sic et simpliciter come debiti inerenti, in via diretta ed immediata, ai bisogni della famiglia.

Sul tema, per utili e puntuali approfondimenti, si rinvia alle decisioni pronunciate dalla Corte di legittimità (si vedano, tra le altre, Cass., n. 38925/2009; Id., n. 15862/2009).

Rileva inoltre evidenziare che l’estraneità del debito tributario insorto nell’esercizio di un’attività economica, ai debiti della famiglia, è stata ormai costantemente affermata anche dalla giurisprudenza tributaria di merito (in argomento, si rinvia a Comm. trib. reg. Puglia, n. 2052/2014; Comm. trib. prov. Milano, n. 437/2010; appaiono particolarmente interessanti i percorsi argomentativi ed interpretativi ricavabili da Comm. trib. prov. Ferrara, n. 172/2011; Comm. trib. reg. Toscana, n. 34/2010; Comm. trib. prov. Lecce, n. 283/2011; Comm. trib. prov. Mantova, n. 71/2008).

Ad avviso di chi scrive, comunque, le considerazioni innanzi esposte non possono  considerarsi valide per qualsiasi fattispecie impositiva, difettando in radice, per ragioni logico-sistematiche, la possibilità di generalizzare la tesi ricostruttiva a prescindere dall’analisi del caso concreto; a tal proposito, infatti, si ritiene, col conforto di una condivisibile elaborazione interpretativa, che il vincolo di inespropriabilità che generalmente connota il fondo patrimoniale non possa essere opposto ove sia ravvisabile un collegamento oggettivo, diretto e concreto, tra la prestazione tributaria e il bene che, in quanto introdotto nel fondo medesimo, é utilizzato per far fronte ai bisogni della famiglia (in ordine ai debiti extratributari, rileva evidenziare che  - secondo Cass. civ., sez. III, 31 ottobre 2014, n. 23163 -  le obbligazioni per le spese condominiali, ove riguardanti un immobile conferito nel fondo patrimoniale, costituiscono debiti della famiglia).

Ci si riferisce, a titolo esemplificativo e non esaustivo, ai tributi locali (TASI, TARI, IMU, TOSAP  e via discorrendo) nonché, per rimanere nel solco delle esemplificazioni, al tributo Iva dovuto per un immobile conferito nel fondo patrimoniale, nel caso risulti applicabile l’ipotesi normativa della solidarietà passiva prevista dall’art. 60-bis, comma 3-bis, del D.P.R. n. 633/72.

Il disposto normativo de quo dispone che “Qualora l’importo del corrispettivo indicato nell’atto di cessione avente ad oggetto un immobile e nella relativa fattura sia diverso da quello effettivo, il cessionario, anche se non agisce nell’esercizio di imprese, arti o professioni, è responsabile in solido con il cedente per il pagamento dell’imposta relativa alla differenza tra il corrispettivo effettivo e quello indicato, nonché della relativa sanzione. Il cessionario che non agisce nell’esercizio di imprese, arti o professioni può regolarizzare la violazione versando la maggiore imposta  dovuta entro sessanta giorni dalla stipula dell’atto. Entro lo stesso termine, il cessionario che ha regolarizzato la violazione presenta all’ufficio territorialmente competente nei suoi confronti copia dell’attestazione del pagamento e delle fatture oggetto della regolarizzazione” (sulla solidarietà passiva in tema di Iva, circa la portata applicativa dell’art. 60-bis, si rinvia, tra i diversi documenti di prassi, alle circolari adottate dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Centrale Normativa e Contenzioso, nn. 10/E, del 16 marzo 2005, e 6/E, del 13 febbraio 2006).

L’ipotesi appena descritta in tema di IVA, ben può considerarsi applicabile all’istituto della solidarietà passiva regolata dall’art. 57 del D.P.R. n. 131/86, in tema di imposta di registro; sul piano dell’imposizione diretta, invece, si consideri, sempre a titolo esemplificativo, l’ipotesi dei canoni locativi percepiti “in nero” per aver ceduto in locazione un bene immobile conferito nel fondo patrimoniale.

Anche in quest’ultima circostanza, è di tutta evidenza il collegamento, diretto ed immediato, tra la prestazione tributaria dovuta e il bene facente parte del fondo in parola.

Altro aspetto da affrontare, ritenuto pertinente e degno di nota, è rappresentato dalla validità, o meno, dell’ipoteca iscritta sui beni costituenti il fondo patrimoniale, per debiti estranei ai bisogni della famiglia.

Sul punto, giova osservare che la giurisprudenza di legittimità, in via ormai consolidata, ha affermato che l’ipoteca costituisce atto strumentale e funzionale all’esecuzione forzata (in argomento, si rinvia a Cass., n.7880/2012), con la conseguenza che l’estraneità del debito alle esigenze familiari si riverbera sulla legittimità del provvedimento sotteso alla formalità ipotecaria (in generale, per utili approfondimenti sul tema, si rinvia al pronunciato del Tribunale di Mantova, del 20 febbraio 2014, reperibile in questa Rivista, Il Diritto degli Affari; sulla natura del debito fiscale rispetto all’iscrizione di ipoteca ex art. 77 del D.P.R. n. 602/73, si rinvia alla statuizione del Tribunale di Ferrara, 10 gennaio 2013, n. 9; per la giurisprudenza tributaria di merito, ex multis, v. Comm. trib. prov. Padova, n. 9/2011, commentata da A. BUSANI, Esattore senza poteri sui fondi patrimoniali, in Il Sole 24 Ore del 9/04/2011, Norme e Tributi).

Qualora, invece, la costituzione del fondo patrimoniale sia avvenuta nel corso di un periodo in cui il coniuge costituente risulti aver subito una verifica tributaria, la formalità ipotecaria, ove provata l’antidoverosità della condotta sottesa alla cennata costituzione, ben potrebbe prevalere sul fondo in esame (in tema, v. Comm. trib. reg. Liguria, n. 24/2012).

   

4. Gli adempimenti pubblicitari

Circa il regime pubblicitario che interessa l’atto di costituzione del fondo patrimoniale, rileva osservare che, trattandosi di una convenzione matrimoniale, qualificazione ormai pacificamente accolta dalla dottrina maggioritaria e dalla giurisprudenza, l’atto pubblico deve essere annotato, ai fini della valida ed efficace opponibilità ai terzi, a margine dell’atto di matrimonio.

Il disposto normativo di cui all’art. 162, comma 4, c.c., infatti, dispone che “Le convenzioni matrimoniali non possono essere opposte ai terzi quando a margine dell’atto di matrimonio non risultano annotati la data del contratto, il notaio rogante e le generalità dei contraenti, ovvero la scelta di cui al secondo comma”.

A tal proposito, la giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato il principio secondo cui il fondo patrimoniale può essere opposto ai creditori a condizione che sia stata eseguita l’annotazione prescritta dall’art. 162, comma 4, c.c., non potendosi, invece, considerare sufficiente a tal fine la sola trascrizione effettuata ai sensi dell’art. 2647 c.c., stante la natura di pubblicità-notizia assolta dall’anzidetto adempimento (Cass., SS.UU., n. 21658/2009; Id., n. 8610/2007).

   

5. Considerazioni conclusive

Occorre chiedersi, ora, quid iuris qualora alla costituzione del fondo patrimoniale il coniuge-costituente (o i coniugi) abbia fatto ricorso al precipuo fine di paralizzare e neutralizzare, ingiustamente,  eventuali azioni recuperatorie esperibili dall’ente creditore (si consideri la fattispecie astratta prevista dall’art. 22 del D.Lgs. n. 472/97; sulla portata applicativa dell’anzidetta disposizione, v. Cass., 28 gennaio 2010; contra, ex multis, Comm. trib. prov. di Cosenza, 30 luglio 2007), o dall’Agente della riscossione.

Fermi restando i rimedi di tutela esperibili innanzi al Giudice civile (attraverso l’esercizio dell’azione revocatoria di cui all’art. 2901 c.c.; sul rapporto tra l’azione in parola e l’atto costitutivo del fondo patrimoniale, si rinvia a Cass. civ., sez. VI, 10 febbraio 2015, n. 2530), non escludendo ulteriori possibili profili di responsabilità penale (in argomento, v. Cass., n. 40561/2012, in il fisco n. 41/2012, fascicolo n. 1, pp. 6628-6633; per utili approfondimenti in tema, v.  G. D’ANGELO, Costituzione di un fondo patrimoniale e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, in Rass. Trib. n. 1/2013, p. 277; A. GALIMBERTI, Stop al fondo patrimoniale che nasce “a orologeria”, in Il Sole 24 Ore, del 17 ottobre 2012, Norme e Tributi, p. 31), chi scrive ritiene di non dover escludere che l’Ufficio finanziario, convenuto nel giudizio tributario, eccepisca, tra le altre, nelle proprie controdeduzioni, quale questione preliminare, l’inefficacia dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale per evidente condotta abusiva del contribuente-costituente; in particolare, l’Amministrazione resistente potrebbe provare, avvalendosi di dati dimostrativi anche indiziari, che la costituzione del fondo in esame è avvenuta durante un periodo sospetto nel corso del quale il coniuge costituente (o i coniugi)  ha commesso gravi e ripetute violazioni formali e/o sostanziali delle leggi d’imposta: si pensi, a titolo esemplificativo, a omessi versamenti di imposte per somme particolarmente significative, a ripetuti atti evasisi o caratterizzati da interposizione fittizia di persona.

L’Amministrazione, in buona sostanza, ben potrebbe sostenere, nel rispetto dei principi che governano l’onere della prova, che le ragioni sottese alla costituzione del fondo patrimoniale sono da ricercare nella volontà di precostituirsi una “via di fuga” onde impedire all’Ente creditore il legittimo coattivo recupero del quantum debeatur (in generale, sull’abuso del diritto in materia tributaria, si rinvia a Cass., SS.UU., n. 15029/2009; sulla rilevabilità ex officio dell’abuso del diritto, a prescindere dalla eccezione in tal senso sollevata dalla parte processuale, si rinvia a Cass., n. 7393/2012).

 



[1] Il contributo riproduce, con integrazioni e adattamenti, il testo della relazione tenuta dall’Autore il 24 aprile 2015 al Convegno su “La tutela del patrimonio: Fondo patrimoniale, Trust, Vincolo di destinazione” organizzato in Bari-Palese dall’ASSO.C.A.L., Associazione Consulenti Aziendali e del Lavoro,  e dall’Associazione Giovani Avvocati “Giuseppe Napoli”; il convegno è stato accreditato dall’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Bari e dall’Ordine degli Avvocati di Bari.  

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