Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 21/01/2005 Scarica PDF
Il mercato delle regole. La questione dei bonds argentini
Filippo Sartori, Professore(*) In
Giurisprudenza italiana, n. 1, 2005
(**) La sentenza è riportata di seguito al commento.
1. Premessa; 2. La gestione del conflitto; 3. La diligenza professionale; 4.
L'adeguatezza delle informazioni; 5. La suitability rule; 6. la nullità del
contratto (ordine) d'acquisto; 7. il formalismo della libertà delle forme; 8.
L'inadeguatezza della mediazione al ribasso; 9. Prospettive.
1. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Mantova affronta il problema di
talune regole comportamentali che i soggetti abilitati devono rispettare, nei
loro rapporti con la clientela, nella prestazione dei servizi di
investimento[1].
Nella vicenda oggetto della sentenza, l'attore contesta la legittimità di due
differenti ordini di acquisto, impartiti nell'ambito di un contratto
"quadro" di negoziazione per conto terzi[2], di obbligazioni
argentine. Le censure ruotano principalmente intorno alla violazione da parte
della Banca della disciplina di settore in materia di informazione e
adeguatezza delle operazioni, prevista dal Decreto Legislativo 24 febbraio
1998, n. 58 (d'ora in avanti TUF) e dal Regolamento Consob n. 1522/98 e succ.
mod. (d'ora in avanti anche Regolamento Consob).
Il Tribunale di Mantova accoglie solo parzialmente la domanda di parte attorea,
condannando la Banca a restituire al cliente il danaro relativo al primo ordine
d'acquisto, in conseguenza della declaratoria di nullità del relativo negozio,
mentre si pronuncia per la validità della seconda operazione, non ravvedendo
nella condotta dell'intermediario alcuna illegittimità.
2. Relativamente al primo ordine di acquisto impartito il 5 settembre 2001, il
Tribunale esclude, in primis, che l'operatore finanziario abbia violato la
disciplina normativa in materia di conflitto di interessi. La soluzione - pur
argomentata succintamente - cui è pervenuto il Giudice monocratico sembra
condivisibile. Sul punto sono peraltro necessarie alcune considerazioni.
Come noto, l'art. 21, comma 1, lett. c) del TUF stabilisce che: "Nella
prestazione dei servizi di investimento e accessori i soggetti abilitati devono
(...) organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di
interesse e, in situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque
ai clienti trasparenza ed equo trattamento".
Si tratta di una regola analoga a quella codificata a livello europeo nel
documento del Committee of European Securities Regulators (noto come CESR)
"Un regime europeo per la protezione dell'investitore: l'armonizzazione
delle regole di condotta"[3]. Lo standard 5 stabilisce, infatti, che:
"Un'impresa di investimento deve prendere tutte le precauzioni necessarie
affinché i conflitti di interesse tra la stessa ed i propri clienti siano
identificati, e dunque eliminati o amministrati in modo tale da non pregiudicare
l'interesse dei risparmiatori (...)"[4]. Anche la Direttiva Europea del 21
aprile 2004, n. 39[5], che abroga la Direttiva 93/22/CEE, accoglie
un'impostazione simile, cristallizzando definitivamente un orientamento di
matrice anglo-americana[6], che si era da tempo imposto nel senso della
International Organisation of Securities Commissions[7].
Pertanto, il legislatore delegato, abbandonando il previgente modello di
gestione dei conflitti[8], da una parte, impone alle imprese di investimento di
strutturarsi in modo tale da evitare, per quanto possibile, una mera
concorrenza di interessi con gli investitori, dall'altra, preso atto
dell'ineluttabile compresenza di situazioni conflittuali, impone alle stesse di
informare i clienti della situazione e di agire equamente, cioè nell'esclusivo
interesse dell'investitore[9]. L'informazione va resa in via iniziale con il
contratto quadro concluso con il risparmiatore e non, per contro, volta per
volta, prima di ogni singola operazione.
Per vero, la disciplina regolamentare posta in essere dalla Consob con il
Regolamento n. 11522/98 "fa rientrare dalla finestra ciò che il
legislatore ha fatto uscire dalla porta". Ci si riferisce in particolare
all'art. 27, comma 2 del citato Regolamento il quale, per i servizi diversi
dalla gestione di portafogli di investimento su base individuale, prevede che:
"Gli intermediari autorizzati non possono effettuare operazioni con o per
conto della propria clientela se hanno direttamente o indirettamente un
interesse in conflitto, anche derivante da rapporti di gruppo, dalla
prestazione congiunta di più servizi o da altri rapporti di affari propri o di
società del gruppo, a meno che non abbiano preventivamente informato per
iscritto l'investitore sulla natura e l'estensione del loro interesse
nell'operazione e l'investitore non abbia acconsentito espressamente per
iscritto all'effettuazione dell'operazione (...)".
In altri termini, la Commissione introduce nuovamente nel nostro ordinamento
giuridico la nota regola disclose or abstain, in base alla quale
l'intermediario non deve operare nel caso di mero interesse nell'operazione
(recte concorrenza), salvo espressa e specifica autorizzazione preventiva del
cliente, messo a conoscenza della situazione.
Si tratta di una regola inefficiente, perché in un rapporto dinamico la
verifica della natura e dell'estensione del conflitto e l'autorizzazione time
by time incidono negativamente sull'esecuzione dell'incarico, oltre che
formalista poiché l'investitore non sofisticato non avendo competenze
specifiche nel settore finanziario non è comunque in grado di monitorare la
"situazione", e con l'escamotage del consenso-autorizzazione si
accolla i costi di un'eventuale operazione potenzialmente dannosa,
deresponsabilizzando l'operatore[10]. Si aggiunga altresì che tale impostazione
è foriera di eventuali comportamenti opportunistici da parte del cliente, il
quale potrebbe funzionalizzare a suo favore la puntigliosa disciplina normativa
per non accollarsi le perdite di un (dis)investimento, a seguito di sfavorevoli
congiunture di mercato, nonostante la buona fede dell'operatore.
Sono queste le ragioni che hanno indotto la Consob a proporre una modifica
dell'art. 27 del Regolamento n. 11522/98. La Commissione, in sede di
recepimento degli "standards comuni elaborati dal CESR (...) in tema di
regole di condotta degli intermediari", ha, infatti, definito un modello
di gestione del conflitto "più snello" che estende a tutti i servizi
"una modalità operativa di disclosure già conosciuta dalla disciplina
vigente per la gestione individuale (45)"[11].
Ciò premesso, e ritornando al caso che ci occupa, il Tribunale di Mantova pur
escludendo, sulla base delle risultanze probatorie, che la Banca avesse i
titoli argentini nel proprio portafoglio riconosce la presenza di un interesse
concorrente tra intermediario e cliente, posto che gli strumenti finanziari di
cui si discute sono stati acquistatati "tramite il circuito telematico
Bloomberg, dalla MPS Finance Banca Mobiliare s.p.a. (facente parte, come la
B.A.M., del gruppo bancario Monte dei Paschi di Siena atteso che la Banca Monte
dei Paschi di Siena s.p.a. controllava il 100% del pacchetto azionario della
MPS Finanza) (...)".
Sul punto dunque non sembrano esserci dubbi. La Banca ha operato in concorrenza
di interessi e, stando alla disciplina regolamentare vigente, avrebbe dovuto
informare per iscritto l'investitore sulla natura e l'estensione dell'interesse
nella specifica operazione. Così non è stato fatto. Pur tuttavia, "dalla
consulenza emerge nondimeno che il prezzo in concreto applicato era il migliore
rispetto a quello praticato dagli altri c.d. »contributori» agenti sul mercato
sicché nessun danno è derivato agli attori".
Escluso quindi che il comportamento dell'operatore finanziario fosse contrario
ai canoni della correttezza, ed accertata la mancanza del danno in capo al
risparmiatore a seguito dell'operazione in conflitto, il Giudice di Mantova,
disapplicando la normativa regolamentare, ha - saggiamente - utilizzato il
criterio generale dell'equo trattamento (rectius buona fede oggettiva[12]) per
calibrare gli interessi delle parti, evitando, per tale via, comportamenti
opportunistici da parte del cliente[13]. In altri termini, la mancata
applicazione della disciplina regolamentare da parte dell'Autorità giudiziaria
ha scongiurato il rischio di un utilizzo strumentale della normativa del
conflitto, in disprezzo dei principi generali previsti, tra l'altro, a livello
europeo, che mirano a funzionalizzare la discrezionalità dell'intermediario a
vantaggio esclusivo del risparmiatore e del mercato[14].
In sintesi, applicando, forse inconsapevolmente, il principio della
"supremazia del diritto comunitario", il Giudice di prime cure sfugge
dal neo-formalismo negoziale su cui si appunta, invece, la (vigente)
regolamentazione Consob ed accoglie un modello di gestione del conflitto che
sposta la valutazione del comportamento dell'intermediario ex post, attraverso
una difficile ma certamente più efficace analisi dell'"intenzione".
3. Provata la correttezza del comportamento della Banca, il Tribunale di
Mantova ha censurato l'agere della stessa in punto di verifica della diligenza.
In particolare, il Giudice ha puntualizzato che la "banca non si sia
comportata in conformità di quanto prescritto dal combinato disposto di cui
agli artt. 21 lett. a) e b) del TUF del regolamento Consob (...) che impongono
all'istituto di credito di prestare i servizi di investimento con diligenza e
di operare in modo che i clienti siano sempre adeguatamente informati".
Assunto, inoltre, come risulta dalle indagini del c.t.u, che i titoli del
debito argentino acquistati il 5 settembre 2001 erano considerati dalle
principali agenzie di rating ad alto rischio, il Tribunale contesta
all'istituto di credito il mancato rispetto della disciplina in materia di
adeguatezza delle operazioni, così come prevista dall'art. 29 del Regolamento
Consob n. 11522/98.
Come correttamente osservato dal Giudice, il concetto di diligenza di cui
all'art. 21, comma 1, lett. a) del TUF si riferisce alla "diligenza del
buon professionista" e non a quella del "buon padre di
famiglia". Pertanto, anche se non menzionata espressamente, la
professionalità contrassegna la modalità di comportamento degli intermediari,
precisando il significato della diligenza. È, quindi, al concetto di diligenza
professionale che possono ricondursi gli obblighi richiamati in sentenza che
gravano l'intermediario. In particolare, l'obbligo di acquisire le informazioni
necessarie dai clienti e di operare in modo che essi siano sempre adeguatamente
informati (art. 21, comma 1, lett. b) del TUF); l'obbligo di informarsi sulla
situazione finanziaria dell'investitore, - c.d. know your customer rule - (art.
28, comma 1, lett. a) del Regolamento Consob) e l'obbligo di astenersi
dall'effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per
tipologia, oggetto, frequenza o dimensione,- c.d. suitability rule - (art. 29,
comma 1 del Regolamento Consob).
4. Al di là delle risultanze probatorie, sul punto non si può che condividere
l'orientamento del Giudice là dove grava l'operatore dell'obbligo di fornire al
cliente indicazioni precise circa la pericolosità dell'investimento, anche con
riguardo al rischio rimborso capitale, non accogliendo le deduzioni difensive
basate prevalentemente sull'assolvimento degli obblighi suddetti, come naturale
conseguenza della consegna all'investitore del c.d. documento sui rischi
generali degli investimento in strumenti finanziari.
Ai sensi dell'art. 28, comma 1, lett. b) del regolamento Consob n. 11522/98,
infatti, "prima (...) dell'inizio della prestazione dei servizi di
investimento (...), gli intermediari autorizzati devono (...) consegnare agli
investitori il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti
finanziari di cui all'Allegato n. 3"[15].
Il documento in esame dovrebbe mettere l'investitore nelle condizioni di
comprendere la natura e il grado di esposizione al rischio delle operazioni in
strumenti finanziari. Per raggiungere un obiettivo così ambizioso, la Consob,
con un apprezzabile sforzo di semplificazione, sintetizza concetti complessi e
sofisticati, (apparentemente) strumentali ad una miglior comprensione della
dinamica delle operazioni nel mercato finanziario.
A titolo meramente esemplificativo, tramite il documento de quo, si insegna
all'investitore neofita che "il rischio può essere idealmente scomposto in
due componenti: il rischio specifico ed il rischio generico (o
sistematico)"; inoltre, si mette in guardia lo stesso investitore del
fatto che "il rischio sistematico per i titoli di capitale trattati su un
mercato organizzato si origina dalle variazioni del mercato in generale;
variazioni che possono essere identificate nei movimenti dell'indice del
mercato". Ovvero che "il rischio sistematico dei titoli di debito
(...) si origina dalle fluttuazioni dei tassi d'interesse di mercato che si
ripercuotono sui prezzi (e quindi sui rendimenti) dei titoli in modo tanto più
accentuato quanto più lunga è la loro vita residua (...)".
È agevole comprendere come, nella maggior parte dei casi, l'investitore non
professionale non abbia gli strumenti cognitivi per poter metabolizzare
informazioni così complesse e, in particolare, per funzionalizzarle
nell'elaborazione delle strategie di investimento.
"Rischio sistematico", "rischio di cambio",
"divisa", "opzioni di tipo americano" etc. sono termini che
non appartengono al vocabolario dell'investitore comune, il quale, dinnanzi
alla complessità attuale dell'ingegneria finanziaria, sente sempre più
l'esigenza di investire nella fiducia della controparte, minimizzando i costi,
soventi proibitivi, della "conoscenza".
Beninteso: quanto detto non deve essere interpretato come una presa di
posizione contrastante con la policy della c.d. investor education;
l'importanza di mettere gli investitori nelle condizioni di conoscere meglio i
prodotti finanziari, di orientarsi più agevolmente nelle scelte di
investimento, di utilizzare forme legittime di autotutela etc. è un dato di
fatto ormai acquisito e certamente apprezzabile anche a parere di chi
scrive[16].
Questo per dire che l'obbligo dell'intermediario di consegnare il documento sui
rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari deve essere
considerato esclusivamente come una delle tante tecniche utilizzate
dall'ordinamento giuridico per colmare il gap informativo tra le parti; e non,
quindi, come una "diabolica" presunzione di consapevolezza del
risparmiatore[17].
Siffatta chiave di lettura, accolta dal Tribunale di Mantova, conduce ad escludere
che il mero rispetto da parte dell'intermediario dell'obbligo in questione
trasformi - miracolosamente - il cliente non professionale in investitore
consapevole, capace di tutelare da sé il proprio interesse e, in ultima
analisi, in grado di assumersi i rischi dell'investimento compiuto.
"L'intermediario deve comunque assicurare all'investitore la propria
assistenza e la propria guida nella scelta delle operazioni da compiere, anche
al di là delle asettiche e standardizzate informazioni riportate nel
documento"[18].
In tale ottica, per giustificare, in termini tecnici, l'orientamento accolto
dal Giudice di primo grado, viene in rilievo il concetto di adeguatezza delle
informazioni che riecheggia all'art. all'art. 21, comma 1 lett. b) del TUF; il
quale stabilisce, per l'appunto, che nella prestazione dei servizi di
investimento e accessori gli intermediari finanziari devono operare in modo che
i clienti siano sempre adeguatamente informati[19].
Il concetto di adeguatezza delle informazioni, che trova la propria fonte
nell'art. 11, punto 5 della direttiva n. 93/22/CEE, consente, infatti, a
prescindere dalle aprioristiche specificazioni della Consob, valutazioni
discrezionali circa la definizione degli obblighi informativi, rimesse in prima
battuta all'intermediario e in secondo luogo all'interprete.
Vi è, quindi, spazio - anche in Italia[20] - per un'interpretazione elastica
della disciplina dell'informazione, in grado di evitare sia di circoscrivere
l'informazione richiesta a quella prevista a livello regolamentare, sia di
"travolgere il cliente sotto un flusso magmatico e incontrollato di dati
di ogni sorta, con conseguenti, inevitabili, effetti distorsivi"[21].
In altri termini, il riferimento alle informazioni adeguate può essere
utilizzato come strumento per rafforzare le regole informative previste a
livello regolamentare e allo stesso tempo per attenuarne la rigidità. Il
concetto di adeguatezza costituisce infatti nel settore in esame l'anello di
congiuntura con i principi generali, così che gli obblighi informativi possono
far leva sul principio di buona fede oggettiva e di professionalità ed essere
applicati con gradazioni e intensità diverse in tutte le fasi del rapporto tra
le parti[22].
Il riferimento all'adeguatezza presuppone naturalmente che le informazioni
debbano essere modellate dall'intermediario alla luce delle peculiarità del
rapporto con il cliente, in guisa che, a seconda della controparte, l'operatore
finanziario dovrà calibrare diversamente gli obblighi informativi, soddisfando
le specifiche esigenze informative proprie del singolo rapporto[23].
Siffatta chiave di lettura costituisce, in ultima analisi, un ostacolo ad un
modello operazionale che utilizza in modo distorto il dovere di buona fede e di
correttezza per imporre un dovere di informazione totalizzante. Restituire
valenza operativa alla clausola della buona fede permette di non sacrificare
gli interessi sostanziali delle parti (entrambe), evitando di creare un dogma
alternativo - ma altrettanto pericoloso - a quello della volontà e
dell'autonomia[24].
5. Come si è avuto modo di ricordare, il Tribunale di Mantova, ha censurato il
comportamento della Banca - per quanto concerne il primo ordine di acquisto -
anche in relazione al profilo dell' "adeguatezza dell'operazione".
Una volta assunto che i titoli del debito pubblico argentino erano considerati
di problematico rimborso, ai tempi della conclusione della operazione, il
Tribunale ha osservato, a ragione, che "l'istituto avrebbe (...) dovuto
segnalare l'inadeguatezza dell'operazione ai sensi dell'art. 29 del regolamento
sopra menzionato (c.d. suitability rule) in considerazione della sua dimensione
(sia in termini assoluti sia perché si trattava della metà del patrimonio dei
clienti), della natura altamente rischiosa dei titoli prescelti e della
circostanza che i clienti fossero investitori non professionali (...)".
La c.d. suitability rule - introdotta per la prima volta a livello europeo
nell'ordinamento inglese contestualmente all'inizio del dibattito che avrebbe
poi portato all'emanazione del Financial Services Act[25], e già nota da anni
nell'ordinamento giuridico statunitense[26] - è disciplinata all'art. 29 del
Regolamento Consob[27].
Il comma 1 della disposizione richiamata grava infatti gli intermediari
finanziari dell'obbligo di astenersi dall'effettuare con o per conto degli
investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o
dimensione. Naturalmente, l'intermediario può astenersi dall'effettuare con o
per conto degli investitori operazioni "non adeguate", solo se
conosce specificamente l'esperienza degli stessi clienti nel campo degli
investimenti in strumenti finanziari, la loro situazione finanziaria, i loro
obiettivi di investimento e la loro propensione al rischio.
In tale frangente, dunque, riemerge la centralità dei doveri informativi, ed in
particolare di quel dovere previsto all'art. 21, comma 1, lett. b) del TUF che
impone all'operatore finanziario di acquisire le informazioni necessarie dai
clienti. Informazioni specificate all'art. 28, comma 1 lett. a) del Regolamento
Consob[28].
Si aggiunga che l'assolvimento dell'obbligo in questione presuppone che gli
intermediari abbiano adeguate informazioni sui prodotti finanziari oggetto
della valutazione (c.d. know your merchandise rule)[29].
La sinergia tra i doveri richiamati è evidente, ed emerge altresì chiaramente
nella motivazione della sentenza in commento. Gli intermediari, infatti,
possono astenersi dall'effettuare con o per conto degli investitori operazioni
non adeguate in relazione alle caratteristiche finanziarie e personali della
clientela solo se conoscono, in primo luogo, gli strumenti finanziari oggetto
dell'operazione e, in secondo luogo, le caratteristiche della stessa clientela.
In sintesi, la know your merchandise rule e la know your custmomer rule sono
prodromiche all'applicazione della suitability rule[30].
Poiché da un punto di vista giuridico il concetto fondante la suitability rule
è quello della diligenza professionale, l'intermediario è responsabile per il
compimento di un'operazione non adatta, qualora non abbia utilizzato tutti i
mezzi e gli accorgimenti necessari per attuare il tipo d'attività in cui è
ravvisabile la soddisfazione dell'interesse dell'investitore.
Essendo il "rischio" l'elemento più idoneo a dare significato al
concetto di diligenza nell'ambito della suitability rule[31], compito
dell'autorità giudiziaria è di verificare, attraverso l'ausilio di c.t.u.,
l'effettivo grado rischio dell'investimento in relazione all'avversione al rischio
dell'investitore.
Una volta accertata l'esistenza di uno scarto tra tali due elementi
l'investitore è automaticamente protetto dalla normativa sull'adeguatezza; ed
il mancato rispetto della stessa da parte dell'intermediario, secondo ovvie
considerazioni dettate da un'analisi costi-benefici, è di per sé sufficiente
per censurarne il comportamento, in punto di verifica della diligenza[32].
Dalle evidenze processuali sembra potersi desumere che tale scarto sussistesse.
Il profilo di rischio dell'investitore era infatti di media propensione, mentre
era dato acquisito per il mercato che gli strumenti finanziari oggetto del
contendere appartenessero alla categoria speculativa.
In questo quadro operativo la Banca non ha informato il cliente
dell'inadeguatezza dell'operazione e delle ragioni per cui non era opportuno
procedere alla sua esecuzione. Pertanto la decisione sul punto del Tribunale
sembra ineccepibile e va accolta senza riserve alcune.
6. Come noto, il legislatore e la Consob non hanno preso posizione sulla natura
invalidante e imperativa delle regole richiamate (artt. 21 TUF, 28 e 29 del
Regolamento Consob). Si tratta di un atteggiamento che non caratterizza
esclusivamente il settore che ci occupa.
Come la dottrina più qualificata ha avuto modo di puntualizzare "il
legislatore non ha certo né la pazienza necessaria, né l'abitudine, di
avvertirci ogni volta" se le regole legali "sono dotate di una
qualità imperativa o dispositiva (...)"[33]. Spetta all'interprete
ipotizzare "collegamenti fra la natura invalidante della norma e il
carattere pubblico dell'interesse protetto dalla norma, il carattere oggettivo
e incondizionato del divieto (...)"[34]
In presenza di una norma proibitiva non formalmente perfetta è quindi
necessario controllare la natura sostanziale della disposizione violata,
stabilendo se la stessa è dettata a tutela di un interesse pubblico[35]. In
tale circostanza, una volta verificato che il negozio si pone in contrasto
diretto con la norma imperativa, l'autorità giudiziaria, salva l'eccezione di
una diversa disposizione di legge, commina la sanzione della nullità, così come
previsto dall'art. 1418, comma 1 cod. civ.
Seguendo tale impostazione, il Tribunale di Mantova, dopo aver accertato che le
disposizioni de quibus sono poste a salvaguardia del risparmio - ovvero di un
interesse pubblico (costituzionale[36]) generale[37] - ha dichiarato, a
ragione, la nullità dell'ordine d'acquisto[38] ai sensi e per gli effetti
dell'art. 1418, comma 1 cod. civ.[39]; e come conseguenza della conditio
indebiti sine causa ha condannato la Banca, ex art. 2033 cod. civ., alla
restituzione dell'intero investimento oltre agli interessi[40], "posto
che, nel dicembre 2001, è stato sospeso il rimborso delle obbligazioni (c.d.
default) e che, ad oltre due anni di distanza da tale fatto, nessuna concreta
assicurazione è stata fornita circa un rimborso anche solo parziale
dell'investimento".
Come noto, il pagamento dell'indebito oggettivo, quale trasferimento di un
valore patrimoniale che il solvens non aveva l'obbligo di effettuare, né
l'accipiens il diritto di ricevere, costituisce il presupposto per l'esercizio
dell'azione di ripetizione dell'indebito ai sensi dell'art. 2033 cod. civ. Si
aggiunga che il comportamento dell'accipiens, pur non legittimando
un'automatica richiesta risarcitoria, non esclude al creditore di agire per
chiedere l'ulteriore risarcimento del danno.
Tale profilo si inserisce nell'ambito del più ampio tema della responsabilità
per conclusione di contratto invalido[41]. Tema quest'ultimo che conduce a sua
volta al vivace dibattito sulla natura di tale responsabilità che, come noto,
ruota principalmente intorno al limite (dell'interesse negativo o positivo)
della risarcibilità dei danni.
Non è questa la sede più idonea per approfondire un argomento di così vasta
portata. Ai fini che qui rilevano è sufficiente evidenziare come la tesi più
accreditata ammette la risarcibilità dei danni nei limiti dell'interesse
negativo. Forma infatti "oggetto dell'obbligo del risarcimento quel danno
che la controparte avrebbe evitato se avesse saputo che la prestazione promessa
non era dovuta e non sarebbe stata effettuata; e non, invece, il lucro che la
controparte avrebbe conseguito per effetto della prestazione
promessa"[42].
Nel caso che ci occupa, parte attorea ha insistito per la liquidazione degli
ulteriori danni subiti. Il Giudice tuttavia in mancanza di prova (anche
presuntiva) del danno ex art. 1224, comma 2 cod. civ. ha - a ragione -
rigettato la domanda, limitandosi a condannare la Banca al pagamento del
capitale e degli interessi.
7. Quanto alla seconda operazione di investimento il Giudice ha valutato
diversamente il profilo dell'adeguatezza di cui all'art. 29 del Regolamento
Consob "(...) atteso che, in tal caso, la banca aveva segnalato
l'inadeguatezza dell'operazione e che, ciò nonostante, il cliente aveva
confermato per iscritto l'ordine di acquisto".
In merito, il Tribunale osserva "che a fronte della segnalazione
dell'inadeguatezza dell'operazione, la normativa non prevede un divieto di dare
esecuzione all'operazione ma si limita ad imporre una più rigorosa formalità e
cioè la conferma scritta dell'ordine che, nel caso di specie, è stata
data".
In particolare, come risulta dalla motivazione della sentenza, l'inadeguatezza
era stata segnalata dall'intermediario all'investitore "in relazione al
fatto che, con tale seconda operazione, costui avrebbe investito l'intero
patrimonio (...) e che il titolo, già rischioso ed in forte perdita anche in
considerazione degli eventi del 11-9-2001, era inoltre denominato in dollari e
quindi in valuta suscettibile di oscillazioni".
Da un punto di vista formale, l'impostazione accolta dal Giudice sembra -
apparentemente - ineccepibile. Nel caso in cui un'operazione disposta dal
cliente si configuri come inadeguata, l'intermediario è infatti tenuto al mero
rispetto degli ulteriori adempimenti dettati dall'art. 29, comma 3, del
Regolamento n. 11522/98 e, in particolare, a informare il cliente
dell'inadeguatezza dell'operazione disposta e delle ragioni per cui non è
opportuno procedere alla sua esecuzione. Qualora l'investitore intenda comunque
dar corso all'operazione, l'intermediario può eseguire l'operazione stessa solo
sulla base di un ordine impartito per iscritto (...) in cui sia fatto esplicito
riferimento alle avvertenze ricevute[43].
Per vero, nel caso di specie, e da quanto risulta dai motivi della sentenza,
tale disposizione è stata rispettata solo in parte, posto che la Banca, una
volta informato verbalmente l'investitore dell'inadeguatezza dell'operazione e
delle ragioni per le quali non era opportuno procedere, si è limitata a far
figurare sulla conferma d'ordine la dicitura "operazione non
adeguata". In altri termini, nell'ordine impartito per iscritto non si è
"fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute", come invece
prescritto dall'ultima parte dell'art. 29, comma 3 del Regolamento Consob.
Questo per dire che il richiamo del Tribunale all'art. 1350 cod. civ. in tema
di libertà delle forme di manifestazione della volontà negoziale vale
relativamente alla prima parte della disposizione mentre, per esplicita
previsione normativa, deve essere disatteso avendo riguardo alla seconda parte,
che prescrive, per l'appunto, all'operatore di formalizzare per iscritto le
ragioni per le quali l'operazione deve considerarsi inadeguata e quindi per le
quali non è opportuno procedere[44].
L'intento primario perseguito dal legislatore e dalla Consob attraverso il
formalismo negoziale è di tutelare il contraente disinformato, il risparmiatore,
cercando di ridurre il gap informativo che separa quest'ultimo
dall'intermediario[45]. Soprattutto nel mercato finanziario, dove gli studiosi
dell'economia dell'informazione[46] hanno da tempo sottolineato che solo una
piena efficienza informativa è idonea ad assicurare il buon funzionamento e
l'integrità del mercato[47], si è imposta prepotentemente l'idea che il
formalismo negoziale debba far sì che le parti trattino in una posizione di
simmetria informativa. Idea, quest'ultima, alimentata da una giurisprudenza
pratica e teorica che ha visto nei doveri informativi un efficace strumento per
imporre una maggior giustizia contrattuale o un modello più razionale[48]. In
altri termini, i regulators sembrano funzionalizzare il formalismo che permea
l'articolata disciplina informativa alla creazione di un investitore capace di
tutelare da sé i propri interessi e prendere delle consapevoli decisioni di
investimento.
Si tratta naturalmente di un'illusione che nella realtà genera mostri[49].
In guisa che, nel caso che ci occupa non sarebbe stata probabilmente
sufficiente un'informativa scritta per mettere il cliente nelle condizioni di
effettuare un investimento "consapevole e informato", tenuto peraltro
conto che tra la prima e la secondo operazione non sono intercorsi più di
quattordici giorni.
Tali brevi riflessioni mettono comunque in luce la fragilità della motivazione
della sentenza sul punto.
Il Tribunale di Mantova non censura, infatti, la condotta della Banca in quanto
la stessa avrebbe rispettato, nella forma, la disciplina regolamentare;
parimenti il Giudice non si sofferma a verificare se l'intermediario abbia
effettivamente perseguito l'utilità del risparmiatore (oltre che l'integrità
del mercato), utilizzando quei mezzi e quegli accorgimenti (non meramente
formalisti) necessari per attuare il tipo d'attività in cui è ravvisabile la
soddisfazione dell'interesse di controparte.
In altri termini, assumendo (peraltro erroneamente, a parere di chi scrive) il
rispetto "formale" della disciplina regolamentare (cfr. supra),
l'Autorità giudiziaria non ravvede alcuna illegittimità nel comportamento della
Banca, appellandosi "formalmente", per giungere a tali conclusioni,
al "principio della libertà delle forme".
Giova precisare, a scanso di equivoci, che la disciplina specifica dei
comportamenti degli intermediari finanziari, che caratterizza il settore in
esame, non esclude l'opportunità e sovente la necessità di ricorrere alla
disciplina di diritto comune.
Questo per dire che prima di applicare lo standard di condotta elaborato in
sede regolamentare dalla Consob, i giudici devono verificarne l'efficienza e
l'effettività alla luce del caso di specie, potendo riservarsi il potere di
(ri)scrivere, almeno in parte, il contenuto del concetto di diligenza.
È interessante notare dunque come nella prima parte della motivazione
l'Autorità giudiziaria attinge alle regole di diritto comune[50] per
interpretare, nel rispetto del principio di legalità, la disciplina
regolamentare della Consob: ad esempio, in materia di conflitto di interessi,
ovvero in materia di "informazioni adeguate". Mentre nella seconda
parte il Giudice di Mantova si appunta su regole formali(ste), peraltro
interpretandole, si è visto, non del tutto correttamente, senza tener conto di
quei principi e di quelle regole relative alla libertà di mercato, alla
responsabile autodeterminazione di chi nel mercato opera e alla tutela del
risparmio. Principi su cui si fonda il codice civile e più in generale il
nostro diritto privato[51].
8. La seconda operazione d'acquisto si inserisce nell'ambito di quel fenomeno
che gli operatori di settore definiscono come "mediazione al
ribasso". La c.d. average down consiste, in veloce sintesi, in quella
tecnica di investimento che prevede l'acquisto di strumenti finanziari della
stessa tipologia (non solo della stessa specie[52]) in tempi diversi, a seguito
di una flessione dei corsi sul mercato.
L'obiettivo che si persegue con tale tecnica è di strutturare un portafoglio
con un pacchetto di titoli aventi un prezzo medio di carico inferiore ai prezzi
d'acquisto iniziali.
La prassi di "mediare" i prezzi di carico di una posizione titoli,
nonostante abbia un appeal intuitivo, non ha nessun fondamento teorico, e sotto
il profilo della gestione del rischio è considerata dagli studiosi di settore
priva di qualsiasi validità scientifica.
Se la posizione dell'investitore perde è evidente che anche il capitale netto
investito si riduce di valore, in guisa che mediando il prezzo di carico si
incrementa l'esposizione al rischio[53].
È infatti noto che la scelta di acquistare uno strumento finanziario con un
trend al ribasso è del tutto indipendente dalla storia della posizione, ma
dipende esclusivamente dalle aspettative sul futuro.
"Ammettiamo (...) che un investitore abbia comprato a 10.000 lire mille
azioni che ora valgono 6.000 lire. In un caso simile converrebbe comprarne
altre, per es. la stessa quantità già posseduta: »infatti così - questo è il
ragionamento che si sente - il prezzo medio di carico scende a 8.000 lire e
dunque la perdita media passa dal 40% al 25%». Peccato che la perdita media
percentuale non conti nulla. Conta quella in termini assoluti (cioè tante lire,
tanti euro...), che non cambia di un centesimo per quanti ulteriori acquisti si
facciano. Prima era di 4.000 lire per mille titoli, dopo sarebbe di 2.000 lire
per duemila titoli: dunque sempre di quattro milioni. Anche per il futuro le
prospettive non migliorano per il semplice fatto di aver ridotto i costi medi.
È vero infatti che dopo basterebbe un rialzo di 2.000 lire della quotazione per
trovarsi complessivamente in pareggio. Ma ciò si è ottenuto raddoppiando
l'investimento. Raddoppiando quindi non solo i possibili guadagni, ma anche le
possibili perdite. Un ulteriore investimento nello stesso titolo si farà (o non
si farà) in funzione delle sue prospettive, senza nessun riferimento ai prezzi
di carico"[54].
Non intendiamo approfondire temi che sfuggono alla competenza di chi scrive.
Pur tuttavia, ai fini dell'analisi che si conduce, è opportuno evidenziare come
la "mediazione al ribasso" sia di per sé una tecnica di investimento
insidiosa (speculativa), giacché spinge l'investitore ad aumentare la propria
esposizione contro il mercato, in disprezzo sia dei principi fondamentali di
analisi finanziaria sia della regola basilare della diversificazione (regola
unanimemente riconosciuta e condivisa dagli esperti di settore).
Nel caso che ci occupa, come si è ricordato, la seconda operazione di acquisto
dei bonds argentini integra, nei fatti, un fenomeno di mediazione al ribasso.
In altri termini, l'operazione in questione è speculativa, giacché raddoppia
l'esposizione al rischio del risparmiatore; e come tale è inadeguata per un
investitore con un profilo di rischio medio.
Se così è, la suitability rule deve proteggere il cliente anche in tale
frangente, obbligando l'intermediario a informare il cliente dell'inadeguatezza
di una operazione "average down" e delle ragioni per cui non è
opportuno procedere alla sua esecuzione.
Nel caso di specie questo non è avvenuto. Come emerge dalla pronuncia in
commento, l'inadeguatezza era stata segnalata dall'intermediario
all'investitore esclusivamente "in relazione al fatto che, con tale
seconda operazione, costui avrebbe investito l'intero patrimonio (...) e che il
titolo, già rischioso ed in forte perdita anche in considerazione degli eventi
del 11-9-2001, era inoltre denominato in dollari e quindi in valuta
suscettibile di oscillazioni". Mentre nulla si dice sulla rischiosità
della tecnica di investimento utilizzata, e probabilmente consigliata dalla
stessa Banca, tenuto conto, come si legge nei motivi, "(...) che i clienti
erano investitori non professionali (funzionario di amministrazione statale
[...] e casalinga)".
Ciò sembra sufficiente, per censurare, in punto di accertamento del rispetto
della regola sull'adeguatezza delle operazioni, il comportamento della Banca,
anche avendo riguardo alla seconda operazione d'investimento.
9. In conclusione, giova ricordare che, il 21 aprile 2004, è stata approvata la
Direttiva n. 2004/39/CE relativa ai mercati degli strumenti finanziari. Come
noto, l'iniziativa del legislatore di Bruxelles, in armonia con gli indirizzi
strategici delineati dal Consiglio europeo di Lisbona[55] e dal Piano d'azione
per i servizi finanziari, è finalizzata a modernizzare il quadro normativo
europeo per far fronte alle esigenze del nuovo contesto in cui si svolge la
negoziazione degli strumenti finanziari.
La direttiva n. 04/39, fra l'altro, riscrive la disciplina delle norme di
condotta poste a tutela dei risparmiatori, tenendo conto degli standard di
tutela degli investitori adottati recentemente dal CESR.
Il legislatore comunitario non si limita più a codificare alcuni standard
comportamentali di ampio respiro, ma individua nel dettaglio regole di
condotta, demandando peraltro al CESR il compito di formulare le disposizioni
più analitiche e soggette ad una rapida obsolescenza[56].
I criteri della professionalità e della buona fede vengono specificati nel
dettaglio.
La disciplina dei contratti, il principio della know your customer, gli
obblighi di trasparenza sulle operazioni da eseguire, la suitability rule, etc.
diventano regole di diritto comunitario.
È interessante ricordare, ai fini che qui rilevano, che la nuova direttiva ha
fissato i criteri e le procedure che consentono di stabilire se un cliente
possa essere considerato professionale, ai fini dell'applicazione della
normativa di riferimento (Allegato II).
L'impostazione accolta dal Parlamento e dal Consiglio è condivisibile. Si
individuano, infatti, alcune categorie di soggetti da considerarsi investitori
professionali[57], senza peraltro privarli della possibilità di richiedere un
livello di protezione più elevato. Non solo. Quando il cliente è una società
(...), prima dell'inizio della prestazione dei servizi di investimento,
l'operatore finanziario deve informarlo che, sulla base delle informazioni di
cui dispone, esso viene considerato cliente professionale e verrà trattato come
tale, salvo una diversa pattuizione a riguardo. Vi è, altresì, un onere di
informare il cliente della facoltà di richiedere una modifica dei termini
dell'accordo, per ottenere un maggior livello di protezione.
Infine, e più importante, la Commissione ha previsto che anche i clienti non
"istituzionali", tra cui i singoli investitori privati, possano
essere autorizzati a rinunciare a talune delle protezioni previste dalle norme
di comportamento[58]. Si tratta di un orientamento che modifica l'attuale
sistema normativo. La Consob presuppone(va), a torto, che vi sia (fosse)
un'identità tra persona fisica e contraente debole[59], escludendo al private
investor la possibilità di richiedere la disapplicazione della stringente
disciplina di settore[60]. In tale contesto, per evitare di paralizzare il
sistema la gestione della regola sull'adeguatezza delle operazioni veniva
affidata alla discrezionalità professionale dell'intermediario.
È evidente tuttavia che nel nuovo quadro operativo è opportuno ripensare alla
regola di cui si discute. Una volta infatti che un investitore privato decide
di avvalersi della (costosa) protezione delle conduct of business rules è
preferibile un modello di suitability rigido, che non consenta alcuna deroga
alle parti entrambe[61].
In altri termini, verificato ex ante che l'investitore non è sofisticato, e che
non è dunque in grado di assumere delle consapevoli scelte di investimento
sarebbe ragionevole gravare l'intermediario dell'obbligo inderogabile di non
porre in essere operazioni unsuitable.
Si tratta di un modello razionale. È meno costoso spostare la valutazione
dell'operazione (rispetto al cliente) all'inizio del rapporto che in corso di
esecuzione. Si aggiunga che, da un punto di vista equitativo, si evitano
fenomeni di abuso del diritto, di cui sovente lo stesso interprete è impotente
spettatore.
* * * * *
TRIBUNALE DI MANTOVA, 18 marzo 2004 - MAURO BERNARDI Giudice unico. - Gambuti e
Meani - Banca Agricola Mantovana Spa.
Obbligazioni e contratti - Negoziazione per conto terzi di strumenti finanziari
- Obbligazioni argentine - Conflitto di interessi - Informazione adeguata -
Suitability rule - Nullità
Ai sensi degli artt. 28 e 29 del Regolamento Consob n. 11522/98 e succ. mod.
gli intermediari finanziari devono operare in modo tale che i clienti siano
sempre adeguatamente informati sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni
della specifica operazione o del servizio e devono astenersi dall'effettuare
con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia,
oggetto, frequenza o dimensione. La violazione di tali norme, poste a presidio
di interessi costituzionalmente rilevanti, comporta la nullità ex art. 1418
cod. civ. del contratto (ordine) di acquisto e il conseguente obbligo
dell'intermediario di restituire la somma di danaro investita, ai sensi e per
gli effetti dell'art. 2033 cod. civ.
Omissis. -
Svolgimento del processo: Con atto di citazione notificato in data 20-2-2002
gli attori, assumevano di avere fatto confluire parte dei propri risparmi,
depositati presso altro istituto di credito, sul conto corrente cointestato n.
160/32/123080 acceso presso la B.A.M., in un primo tempo utilizzato per far
fronte alle piccole spese, in quanto allettati dalle vantaggiose offerte
proposte dalla banca convenuta, conto che, alla data del 31-7- 2001, presentava
un saldo attivo di £ 98.625.187.
Gli istanti aggiungevano che al Gambuti, recatosi presso l'agenzia bancaria ove
era stato invitato a presentarsi, era stata rappresentata dal funzionario
addetto l'opportunità di acquistare obbligazioni argentine di cui la banca era
in possesso, in quanto esenti da ogni rischio ed aventi un alto rendimento e
che, stante la convenienza dell'operazione consigliata, il Gambuti aveva deciso
di investire anche ulteriori risparmi tanto che, il 5-9- 2001, egli aveva
versato sul conto la somma di £ 440.000.000 sottoscrivendo, il medesimo giorno,
un ordine d'acquisto di 315.000 titoli (argent. 00/07 10% EU) per un
controvalore di £ 501.332.658.
Da parte attorea veniva precisato che, in occasione dell'ordine di acquisto di
cui sopra, il Gambuti, contestualmente alla consegna di un documento sui rischi
generali degli investimenti, aveva sottoscritto, in qualità di consumatore, una
richiesta di apertura del deposito a custodia e amministrazione titoli ed un
questionario in cui si dava atto che l'esperienza degli esponenti era
medio-bassa con media propensione al rischio.
I coniugi istanti asserivano inoltre di essere stati avvertiti qualche giorno
dopo dal medesimo funzionario che, a seguito degli attentati del 11-9-2001 e
del crollo dei mercati finanziari, si era verificata una diminuzione della
quotazione dei titoli destinata ad essere riassorbita e che ciò avrebbe
costituito una ottima occasione per un ulteriore investimento anche al fine di
mediare il prezzo delle obbligazioni acquistate il 5 settembre rendendo così
più sicuro l'investimento: a seguito di ciò gli esponenti, dopo avere liquidato
una polizza costituita presso la Banca di Parma e Piacenza con una perdita di
circa £ 120.000.000, convogliavano il ricavato sul conto acceso presso la
B.A.M. ed il 19-9-2001 veniva sottoscritto un ulteriore ordine d'acquisto di
400.000 obbligazioni argentine 2010 11,375% per un controvalore di £
502.708.000, operazione che la banca segnalava come inadeguata ma che veniva
confermata dal Gambuti.
Alla luce di tali fatti e del successivo azzeramento del valore del titolo a
seguito della crisi finanziaria che aveva colpito lo stato argentino, gli
attori convenivano in giudizio la banca onde essere risarciti dei danni patiti
per effetto dell'operato della banca deducendo la nullità ovvero
l'annullabilità dei contratti d'acquisto delle obbligazioni in questione.
Essi premettevano che gli istituti finanziari già alla fine di luglio del 2001
sarebbero stati a conoscenza dello stato d'insolvenza dell'Argentina come si
poteva desumere dagli articoli apparsi sulla stampa specializzata nonché dal
basso rating attribuito ai titoli in questione dai più rinomati istituti
specializzati e che la banca, al fine di evitare una perdita certa e rilevante,
avrebbe illecitamente indotto i correntisti ad investire i propri risparmi
nell'acquisto delle obbligazioni argentine con una serie di artifizi,
consistiti anche nell'omissione delle necessarie informazioni circa
l'affidabilità del titolo, con ciò violando il disposto di cui all'art. 28 co.
II del regolamento Consob emanato in attuazione del d.lgs. 58/98.
La difesa degli attori sosteneva quindi l'invalidità dei contratti d'acquisto
ex art. 1418 c.c. in relazione all'art. 640 c.p. nonché ai sensi del combinato
disposto degli artt. 1427 e 1439 c.c..
Veniva inoltre sostenuto che la banca avrebbe violato, nel caso di specie,
l'art. 21 del d. lgs. 58/98 e gli artt. 26-27-28 e 29 del regolamento Consob,
da considerarsi tutte come norme imperative ex art. 1418 c.c..
In subordine veniva fatto rilevare che la firma di Menani Luciana in realtà
sarebbe stata apposta sui documenti contrattuali dal marito: posto che gli atti
negoziali in questione richiedevano ad substantiam la forma scritta, che il
marito non aveva una procura scritta e che non era intervenuta ratifica scritta
del suo operato, la difesa degli attori sosteneva l'inopponibilità alla Menani
dei contratti, con la conseguenza che la banca avrebbe dovuto restituire metà
delle somme investite.
La B.A.M., costituitasi, chiedeva il rigetto della domanda affermando a) che
gli istanti non erano sprovveduti risparmiatori avendo in precedenza investito
i propri risparmi in una gestione patrimoniale predisposta dalla B.A.M. di
natura altamente speculativa (ed internamente classificata come C3 ossia aperta
in titoli esteri sino al 25 % del capitale investito e all'investimento in
titoli azionari italiani sino al 50% del patrimonio) nonché in una Sicav ed in
una polizza Index allocate presso la Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza; b)
che il funzionario della B.A.M. aveva fornito al Gambuti tutti i necessari
ragguagli circa la rischiosità dell'investimento anche in considerazione
dell'alto rendimento previsto per l'obbligazione in questione desumibile dal
confronto con quello assicurato dai titoli di stato italiani, consegnando il
prescritto documento sui rischi degli investimenti in strumenti finanziari che,
con riguardo ai titoli di debito, contempla specifiche indicazioni nell'art. 1.3
co. III; c) che il Gambuti, pur avendo rifiutato di fornire indicazioni sulla
sua situazione finanziaria, aveva però dichiarato nel corso del colloquio con
il funzionario della banca, di avere investito importanti importi in strumenti
finanziari, di puntare all'elevata rivalutabilità dell'investimento in rapporto
al rischio di oscillazione dei corsi, opzione questa che avrebbe rappresentato
una scelta verso strumenti finanziari ad elevato rischio di oscillazione ed
infine di avere una media propensione al rischio: da tali dati e dalle
pregresse esperienze di investimento sarebbe emerso un profilo di risparmiatore
quale soggetto di medio-alta disposizione all'investimento speculativo sicché
l'operazione impartita era apparsa perfettamente in linea con le propensioni
all'investimento del risparmiatore; d) che la B.A.M. non aveva i titoli
argentini nel proprio portafoglio avendoli dovuti acquistare sul mercato (non
regolamentato) a seguito dell'ordine impartito il 5-9-2001 dal Gambuti; e) che,
in occasione del secondo ordine, la banca aveva segnalato l'inadeguatezza
dell'operazione e che, nondimeno, il Gambuti aveva ordinato l'acquisto dei
titoli (denominati in dollari) nonostante il prezzo delle obbligazioni, nel
giro di due settimane fosse già notevolmente calato e che, anche in questa
occasione, la banca aveva acquistato i titoli sul mercato.
In considerazione di quanto sopra esposto la difesa della B.A.M. rilevava come
non sussistessero né i presupposti della truffa contrattuale né quelli per
l'annullamento del contratto ex art. 1439 c.c. non essendo stati adoperati
raggiri per indurre il proprio correntista all'investimento in obbligazioni
argentine ed inoltre che sarebbe stata scrupolosamente osservata la normativa
sul collocamento dei titoli anche tenendo conto della propensione agli
investimenti in strumenti finanziari in concreto dimostrata dall'ordinante.
In ordine poi alla domanda svolta in via subordinata e con particolare riguardo
alla posizione di Menani Luciana, la banca faceva rilevare che, sul conto
corrente, potevano operare anche disgiuntamente i due coniugi, che gli ordini
erano stati impartiti dal Gambuti e che la Menani non aveva mai contestato gli
addebiti operati sui conti in conseguenza dell'acquisto dei titoli, sicché,
anche sotto tale profilo, la domanda doveva essere rigettata.
Esperita l'istruttoria orale e disposta c.t.u. affidata al dott. Chizzoni, la
causa veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni delle parti in epigrafe
riportate.
Motivi: La domanda è parzialmente fondata e merita accoglimento nei limiti che
seguono.
Preliminarmente va respinta l'eccezione di incapacità del teste Marani,
dipendente della banca, tempestivamente eccepita ex art. 246 c.p.c. dalla
difesa degli attori.
Invero secondo la giurisprudenza di legittimità non comporta incapacità a
testimoniare per i dipendenti di una banca la circostanza che questa, evocata
in giudizio da un cliente, potrebbe convenirli in garanzia nello stesso
giudizio per essere responsabili dell'operazione che ha dato origine alla
controversia poiché le due cause si fondono su rapporti diversi e i dipendenti
hanno un interesse solo riflesso a una determinata soluzione della causa
principale che non li legittima a partecipare al giudizio promosso dal cliente,
in quanto l'esito di questo, di per sé, non è idoneo ad arrecare ad essi alcun
pregiudizio (in tali termini vedasi Cass. 4-3-1993 n. 2641; Cass. 28-1-1983 n.
771; Cass. 27-1-1979 n. 623): la sua dichiarazione è quindi pienamente
utilizzabile salva un'attenta valutazione sotto il profilo dell'attendibilità.
Né ha fondamento la deduzione secondo cui l'incapacità deriverebbe dal fatto
che, nei confronti del funzionario, sarebbe ipotizzabile un concorso in truffa
contrattuale atteso che l'incapacità prevista dall'art. 246 c.p.c. ricorre solo
quando la persona chiamata a deporre abbia nella causa un interesse concreto ed
attuale che sia tale da coinvolgerla nel rapporto controverso e da legittimare
una sua assunzione della qualità di parte nel giudizio e non è pertanto
ravvisabile quando tale persona sia portatrice di un interesse di mero fatto ad
un determinato esito del giudizio stesso: ne consegue che la dedotta incapacità
non sussiste (peraltro non risulta nemmeno che il teste sia stato sottoposto a
procedimento penale), atteso che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 85
del 1983, ha ritenuto infondata la questione di illegittimità costituzionale
dell'art. 246 c.p.c nella parte in cui non prevede l'incapacità a deporre nel
giudizio civile di chi è imputato di un fatto-reato su circostanze relative o
connesse al fatto medesimo (in tal senso vedasi Cass. 3-2-1993 n. 1341).
Ciò premesso va osservato che dalla documentazione dimessa e dagli accertamenti
svolti dal consulente è emerso come la B.A.M. non avesse i titoli argentini nel
proprio portafoglio ma li abbia acquistati sul mercato contestualmente al
ricevimento dell'ordine da parte del cliente.
Va poi aggiunto che non è stato in alcun modo provato che fosse stato il
funzionario a consigliare agli istanti l'acquisto dei titoli: la circostanza
che i risparmiatori fossero stati invitati a recarsi in banca per valutare le
possibilità di investimento non appare di per sé significativa tenuto conto
della assai scarsa remunerazione riconosciuta ai fondi lasciati sul conto
corrente sicché deve ritenersi che l'invito in questione sia stato rivolto
unicamente al fine di rappresentare ai clienti l'opportunità di investire il
denaro in impieghi più vantaggiosi.
Da tutto ciò deriva che è infondata la domanda attorea diretta a sostenere
l'invalidità degli ordini d'acquisto ex artt. 1418 e 1439 c.c. non essendovi
alcuna prova che l'istituto, nel caso di specie, avesse artificiosamente
indotto i clienti ad acquistare i titoli obbligazionari in questione con il
fine di recare ad essi danno, dovendosi altresì osservare, con riguardo alla
prima delle prospettazioni che, per aversi contrarietà a norme imperative ai
sensi dell'art. 1418 c.c., occorre che il contratto sia vietato direttamente
dalla norma penale, nel senso che la sua stipulazione integri reato, mentre non
rileva il divieto che colpisca soltanto il comportamento materiale delle parti
(in tal senso vedasi Cass. 25-9-2003 n. 14234).
Per quanto attiene invece alle altre censure sollevate occorre valutare
separatamente i singoli atti di acquisto dei titoli. Con riguardo all'ordine
impartito il giorno 5-9-2001 va in primo luogo escluso che la B.A.M. abbia
violato il disposto di cui agli artt. 21 I co. lett. c) d. lgs. 58/98 e 27 reg.
Consob per non avere segnalato di avere un interesse in conflitto con quello
del cliente. Premesso che la convenuta non aveva tali titoli nel proprio
portafoglio e pur avendoli essa acquistati, tramite il circuito telematico
Bloomberg, dalla MPS Finance Banca Mobiliare s.p.a. (facente parte, come la B.A.M.,
del gruppo bancario Monte dei Paschi di Siena atteso che la Banca Monte dei
Paschi di Siena s.p.a. controllava il 100% del pacchetto azionario della MPS
Finance), dalla consulenza emerge nondimeno che il prezzo in concreto applicato
era il migliore rispetto a quello praticato dagli altri c.d.
"contributori" agenti sul mercato sicché nessun danno è derivato agli
attori: l'art. 27 reg. Consob deve infatti interpretarsi alla stregua del
principio giurisprudenziale affermatosi in sede di applicazione dell'art. 1394
c.c. secondo cui la responsabilità del rappresentante che persegua interessi
propri o di terzi incompatibili con quelli del rappresentato sussiste solo ove
alla utilità conseguita o conseguibile dal rappresentante per sé o per il
terzo, segua o possa seguire un danno per il rappresentato (cfr. Cass.
17-4-1996 n. 3630; Cass. 16-2-1994 n. 1498; Cass. 19-9-1992 n. 10749; Cass.
25-1-1992 n. 813).
Deve invece ritenersi che la banca non si sia comportata in conformità di
quanto prescritto dal combinato disposto di cui agli artt. 21 lett. a) e b) del
d. lgs. 24-2-1998 n. 58 e 28 del regolamento Consob 1-7-1998 n. 11522 che
impongono all'istituto di credito di prestare i servizi di investimento con
diligenza e di operare in modo che i clienti siano sempre adeguatamente
informati.
In proposito occorre osservare che, secondo quanto risulta dall'indagine svolta
dal c.t.u., ai titoli del debito argentino acquistati il 5-9-2001, nel mese di
luglio 2001 l'agenzia Moody's aveva attribuito come rating la valutazione Caa1
(indicante un titolo ad alto rischio di insolvenza) e che, nell'anno
precedente, tali obbligazioni erano state classificate rispettivamente, B1
(20-8-2000), B2 (20-3-2001 e 4-6-2001), B3 (13-7-2001), laddove tali indicatori
designano titoli molto speculativi che offrono scarsa sicurezza di puntualità
del pagamento nel lungo termine, con una valutazione progressivamente negativa
da B1 a B3.
Nella valutazione di Standard & Poor's invece al titolo in questione era
stato attribuito il seguente rating con andamento parimenti sempre più
negativo: BB (15-9-2000), B (8-5- 2001), B (6-6-2001), B- (12-7-2001), CCC+
(9-10-2001), laddove le prime classificazioni indicano titoli speculativi in
cui il debitore mantiene al momento la capacità di onorare i propri impegni ma
condizioni avverse di mercato potrebbero incidere negativamente sulla stessa,
mentre l'ultima designa un debitore ad alto rischio di insolvenza nel senso
che, ove le condizioni di mercato divengano sfavorevoli, molto probabilmente il
debitore non sarà in grado di onorare i propri impegni.
In proposito va detto che i titoli obbligazionari argentini al momento
dell'acquisto da parte degli istanti erano considerati ad alto rischio di
insolvenza dovendosi evidenziare inoltre che, nel corso del 2001, entrambe le
agenzie avevano ripetutamente rivisto in senso negativo il loro giudizio
sull'affidabilità ad onorare gli impegni da parte dello stato argentino (c.d.
downgrading): per quanto riguarda il rating leggermente più favorevole indicato
da Standard & Poor's nel periodo antecedente l'acquisto, va osservato che,
poiché rientra nelle massime di comune esperienza il dato secondo cui, di
fronte a valutazioni divergenti (peraltro modeste nel caso di specie), gli
investitori prendono in considerazione quella più negativa (peraltro già
nell'ottobre del 2001 il rating attribuito da tale agenzia si era allineato a
quello espresso da Moody's), deve ritenersi che costituisse dato acquisito per
il mercato quello secondo cui i titoli del debito pubblico argentino erano
considerati di roblematico rimborso.
Al riguardo va osservato che la banca doveva fornire una completa informazione
circa i rischi connessi a quella specifica operazione che il cliente intendeva
porre in essere (obbligo imposto dall'art. 28 co. II del regolamento Consob n.
11522), informazione che, trattandosi di soggetto tenuto ad agire con la
diligenza dell'operatore particolarmente qualificato (cfr. artt. 21 lett. a) d.
lgs. 58/98, 26 lett. e) reg. Consob cit. e 1176 II co. c.c.) nell'ambito di un
rapporto in cui gli è imposto di tutelare l'interesse dei clienti (v. artt. 5 e
21 lett. a) del d. lgs. 58/98, non senza dimenticare che la tutela del
risparmio è addirittura imposta dall'art. 47 della Costituzione),
necessariamente comprendeva l'indicazione, non generica, della natura altamente
rischiosa dell'investimento operata dalle maggiori agenzie specializzate in
materia, dovendosi ritenere, sotto tale profilo, che la banca sia obbligata a
conoscere tali dati e, conseguentemente, a riferirli al cliente.
Non vale poi a far ritenere immune da censure il comportamento da parte della
B.A.M., la circostanza che il funzionario escusso abbia riferito di avere
evidenziato la rischiosità dell'investimento anche in relazione al paese
emittente e di avere parlato di rating con il cliente: pur prescindendo da ogni
considerazione circa l'attendibilità del teste, va detto che tali avvertenze
avevano carattere del tutto generico laddove la banca avrebbe dovuto
espressamente informare il cliente del fatto che gli analisti del mercato
consideravano a rischio il rimborso stesso del capitale.
Né merita adesione la deduzione difensiva dell'istituto secondo cui il
risparmiatore sarebbe comunque stato in grado di valutare la pericolosità
dell'operazione alla luce delle indicazioni contenute, in particolare,
nell'art. 1.3 del documento previsto dall'art. 28 lett. b) del regolamento
Consob n. 11522/98, atteso che tali indicazioni hanno carattere generale
laddove, si ribadisce, la banca doveva fornire precise indicazioni circa la
pericolosità di quell'investimento. Va poi aggiunto che l'art. 23 u.c. del d.
lgs. 58/98 pone a carico dei soggetti abilitati all'esercizio dei servizi di
investimento l'onere di provare di avere agito con la specifica diligenza
richiesta e tale onere probatorio, per quanto sopra osservato, non è stato
assolto dalla banca.
Appare inoltre fondato il rilievo secondo cui l'istituto avrebbe comunque
dovuto segnalare l'inadeguatezza dell'operazione ai sensi dell'art. 29 del
regolamento sopra menzionato (c.d. suitability rule) in considerazione della
sua dimensione (sia in termini assoluti sia perché si trattava della metà del
patrimonio mobiliare dei clienti), della natura altamente rischiosa dei titoli
prescelti e della circostanza che i clienti fossero investitori non
professionali (funzionario di amministrazione statale il Gambuti e casalinga la
moglie).
A tale riguardo va rilevato che la banca ha sostenuto di non aver violato la
c.d. suitability rule in considerazione della propensione al rischio manifestata
dai clienti anche in relazione alla pregressa operatività posto che in
precedenza il Gambuti aveva investito i propri risparmi in una gestione
patrimoniale B.A.M. del tipo C3 (ossia la più rischiosa dopo quella puramente
azionaria secondo la classificazione interna dell'istituto) e che al
funzionario l'attore avrebbe riferito di avere investito i propri risparmi in
una Sicav ed in una polizza Index tramite la Cassa di Risparmio di Parma e
Piacenza (circostanza questa non negata dal Gambuti e riferita sin dall'atto
introduttivo dalla difesa della B.A.M. che pertanto, ex art. 118 c.p.c., può
ritenersi provata).
Dal documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari
risulta che i clienti avevano indicato quale proprio obiettivo di investimento
(in una graduatoria da uno a cinque in cui al numero più basso corrisponde il
rischio minimo) il punto 4 (prevalenza della rivalutabilità rapportata al
rischio di oscillazione dei corsi) mentre, in ordine alla propensione al
rischio, nell'ambito delle opzioni alta, media e bassa, essi avevano indicato
quella media.
Orbene alla stregua di siffatte evidenze deve ritenersi non provato che il
profilo di rischio dei clienti potesse individuarsi in quello puramente
speculativo posto che la gestione patrimoniale in precedenza accesa presso la
B.A.M. riguardava comunque una gestione (sia pure la più aggressiva) di tipo
bilanciato (caratterizzata quindi anche dalla presenza di titoli obbligazionari
emessi dallo stato) e che si trattava comunque di uno strumento finanziario
affidato alla gestione di un operatore professionale (analoghe considerazioni
valgono anche per quanto concerne l'investimento in una Sicav e nella polizza
Index).
Per la prima operazione di acquisto la domanda attorea risulta quindi fondata
essendo stati dimostrati la violazione, da parte della banca, delle
prescrizioni contenute negli artt. 21 t.u.l.f., 28 e 29 reg. Consob da
considerarsi come norme imperative ex art. 1418 c.c. in considerazione degli
interessi tutelati (diligenza degli intermediari nonché tutela del risparmio) e
della natura generale di siffatti interessi (per l'affermazione di tale
principio in termini generali vedasi Cass. 7-3-2001 n. 3272) nonché il danno
subito dai clienti concretatosi nella perdita dell'intero investimento posto
che, nel dicembre del 2001, è stato sospeso il rimborso delle obbligazioni
(c.d. default) e che, ad oltre due anni di distanza da tale fatto, nessuna
concreta assicurazione è stata fornita circa un rimborso anche solo parziale dell'investimento.
A diversa conclusione deve invece pervenirsi con riguardo alla seconda delle
operazioni di acquisto dei c.d. tango bonds atteso che, in tal caso, la banca
aveva segnalato l'inadeguatezza dell'operazione e che, nonostante ciò, il
Gambuti aveva confermato per iscritto l'ordine di acquisto.
Al riguardo va osservato che, a fronte della segnalazione dell'inadeguatezza
dell'operazione, la normativa non prevede un divieto di dare esecuzione
all'operazione ma si limita ad imporre una più rigorosa formalità e cioè la
conferma scritta dell'ordine che, nel caso di specie, è stata data. Il
funzionario di banca ha chiarito, nel corso dell'escussione, che
l'inadeguatezza era stata segnalata all'investitore in relazione al fatto che,
con tale seconda operazione, costui avrebbe investito l'intero patrimonio
(secondo quanto era a conoscenza della banca alla stregua delle dichiarazioni
rese dal Gambuti in occasione dei vari incontri, atteso che lo stesso aveva
rifiutato di dare informazioni sulla propria situazione finanziaria ex art. 28
reg. Consob) e che il titolo, già rischioso ed in forte perdita anche in
considerazione degli eventi del 11-9-2001, era inoltre denominato in dollari e
quindi in valuta suscettibile di oscillazioni.
In proposito va osservato che siffatte dichiarazioni appaiono pienamente
attendibili trovando riscontro nella documentazione in atti mentre non può
accedersi alla tesi difensiva secondo la quale la norma di cui all'art. 29 reg.
Consob sarebbe comunque stata violata non avendo la banca predisposto
documentazione scritta delle avvertenze date e figurando sulla conferma
d'ordine unicamente la dicitura "operazione non adeguata" atteso che
l'art. 29 co. III reg. Consob prescrive agli intermediari l'obbligo di
informare l'investitore dell'inadeguatezza dell'operazione e delle ragioni per
cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione, senza peraltro imporre una
specifica forma dovendosi notare che, secondo un consolidato orientamento
giurisprudenziale, dall'art. 1350 c.c. si desume sussistere il principio
generale della libertà delle forme di manifestazione della volontà negoziale in
mancanza di fonti legali o contrattuali che prevedano la forma scritta (cfr.
Cass. 17-1-2001 n. 577; Cass. 3-3-1994 n. 2088).
Pur apparendo assorbenti le considerazioni sopra formulate va aggiunto che deve
escludersi che tale secondo acquisto sia stato effettuato in violazione del
disposto di cui all'art. 27 reg. Consob atteso che la B.A.M. aveva comperato i
titoli dalla società (di diritto svizzero) Arcadia Securities in relazione alla
quale non è emersa l'esistenza di rapporti rilevanti ai fini dell'applicazione
della norma sopra richiamata.
Parimenti infondata risulta la deduzione difensiva attorea (peraltro svolta
solamente in comparsa conclusionale) circa la pretesa nullità dell'acquisto in
relazione al disposto di cui all'art. 30 del regolamento Consob atteso che il
documento contrattuale contiene tutti gli elementi essenziali per lo
svolgimento dell'attività di raccolta ordini e negoziazione (durata, modifiche
del contratto, modalità di conferimento degli ordini, misura di commissioni e
spese sia pure indicata con rinvio ai fogli informativi analitici).
Né, con riguardo all'acquisto dei titoli effettuato il 19-9-2001, può trovare
accoglimento la domanda, proposta in via subordinata, diretta ad ottenere la
restituzione della metà del capitale investito sul presupposto che la
sottoscrizione di Menani Luciana sui vari documenti contrattuali sarebbe stata
apposta dal marito: premesso che la banca si è limitata a prendere atto delle
affermazioni di controparte senza riconoscere alcunché, occorre infatti
rilevare che incombeva sugli attori ex art. 2697 c.c. l'onere, dai medesimi non
assolto, di provare il proprio assunto laddove l'acquisto deve ritenersi
formalmente regolare posto che il contratto prevedeva un'operatività con firma
disgiunta e che l'ordine è stato impartito dal Gambuti.
In ordine alla quantificazione del danno va rilevato che, in difetto di
puntuali indicazioni daparte degli attori, della nota volatilità dei mercati e
del fatto che risulta provato come essi prediligessero scelte di investimento
non limitate alla mera redditività, manca del tutto la prova che gli stessi,
impiegando il capitale in titoli comunque diversi da quelli a più basso
rischio, avrebbero senz'altro ottenuto un guadagno.
Poiché l'obbligazione di restituzione dell'importo versato in conseguenza della
dichiarazione di nullità dell'ordine di acquisto costituisce debito di valuta,
avendo ad oggetto, sin dal suo sorgere, il pagamento di una somma di denaro e
non essendo stato provato che gli attori abbiano subito un danno ex art. 1224
II co. c.c., ad essi va restituito l'importo di euro 258.729,90 cui debbono
aggiungersi, ex art. 2033 c.c., gli interessi al tasso legale dal 5-9- 2001
sino al saldo definitivo non potendosi ritenere che la B.A.M., in relazione ai
comportamenti sopra censurati, fosse in buona fede.
La parziale reciproca soccombenza giustifica la compensazione, nella misura
della metà, delle spese di lite liquidate come da dispositivo, riducendosi ad 750,00 quelle di c.t.p..
P.Q.M.
Il Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, definitivamente
pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione reietta, così provvede: dichiara la nullità dell'ordine d'acquisto di 315.000
obbligazioni Argentina 00/07 10% identificate dal codice 11674445 impartito il
5-9-2001; condanna la B.A.M. s.p.a. a corrispondere agli attori la somma di
euro 258.729,90 cui debbono aggiungersi gli interessi al tasso legale dal
5-9-2001 sino al saldo definitivo; condanna la convenuta a rifondere agli
attori le spese di lite compensandole nella misura della metà e, per l'effetto,
liquidandole in complessivi euro 11.363,35 di cui 1.809,00 per spese (comprese quelle di c.t.u.), 2.054,35 per diritti ed 7.500,00 per onorari, oltre al
rimborso forfetario delle spese ex art. 15 T.P., ed oltre ad I.V.A. e C.P.A.
come per legge.
[1] Per una trattazione generale del tema mi sia consentito rimandare a F.
SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari. Disciplina e
forme di tutela, Milano, 2004.
[2] Sulle problematiche relative alla classificazione del contratto di
negoziazione di strumenti finanziari cfr. M. LOBUONO, La responsabilità degli
intermediari finanziari, Napoli, 1999, pagg. 120 e ss.
[3] Il documento è scaricabile all'indirizzo web del CESR: http://www.europefesco.org;
cfr. anche il documento integrativo "A European Regime of Investor
Protection. The Professional and the Counterparty Regimes", luglio 2002,
(Ref. CESR/02-098b).
[4] Per un commento analitico alle regole elaborate dal CESR cfr. AA.VV.,
Capital Market in the Age of the Euro - Cross Border Transactions, Listed
Companies and Regulation, Ferrarini, Hopt, Wymeersch (Editors), Dordrecht,
2002.
[5] Cfr. in particolare, l'art. 18. Come si legge nella relazione
accompagnatoria alla direttiva: "Qualora l'impresa abbia tentato di
gestire i conflitti di interesse predisponendo meccanismi organizzativi senza
però riuscire ad acquisire la ragionevole certeza che questi conflitti non
presentino più alcun pregiudizio potenziale per gli interessi dei clienti,
l'impresa è tenuta ad informare il cliente dell'esistenza di conflitti di
interesse residui. Se opportuno o necessario, la comunicazione al cliente può
avere cartattere generale".
[6] In materia, cfr. F. ANNUNZIATA, Regole di comportamento degli intermediari
e riforme dei mercati mobiliari, Milano, 1993, pagg. 127 e ss.; M. GRAZIADEI,
Diritti nell'interesse altrui Undisclosed agency e trust nell'esperienza
giuridica inglese, Quaderni del Dipartimento di scienze giuridiche, Trento,
1995, pagg. 352 e ss.; AA.VV., Encyclopedia of Financial Services Law,
Lomnicka, Powell (a cura di), I-IV, London, 1987.
[7] Sul punto, i principi IOSCO stabiliscono che "Un intermediario deve
cercare di evitare l'insorgere di qualsiasi conflitto di interessi, ma qualora
ciò non sia possibile deve assicurare a tutti i clienti un trattamento equo,
mediante una adeguata informazione, attraverso regole organizzative interne e,
financo, evitando di operare qualora il conflitto non possa essere
neutralizzato. In ogni caso l'intermediario non deve mai anteporre il proprio
interesse a quello dei clienti".
[8] Ci si riferisce alla disciplina normativa vigente la legge 2 gennaio 1991,
n. 1 (c.d. legge sim). Come noto, tale modello vietava alle società di
intermediazione mobiliare di effettuare operazioni con o per conto della
clientela in presenza di un interesse conflittuale nell'operazione (diretto o
indiretto), fatta salva l'ipotesi di una comunicazione per iscritto del cliente
sulla natura e l'estensione del loro interesse nell'operazione correlata ad una
preventiva ed espressa autorizzazione per iscritto. L'art. 6, lett. g) della
legge sim disponeva infatti che: "Nello svolgimento delle loro attività le
società di intermediazione mobiliare (...) non posso effettuare operazioni con
o per conto della propria clientela se hanno direttamente o indirettamente un
interesse conflittuale nella operazione, a meno che non abbiano comunicato per
iscritto al cliente la natura e l'estensione del loro interesse
nell'operazione, e il cliente non abbia preventivamente ed espressamente
acconsentito per iscritto all'effettuazione dell'operazione".
[9] In materia, cfr. F. SARTORI, Il conflitto di interessi tra intermediari e
clienti nello svolgimento dei servizi di investimento e accessori: un problema
risolto?, in Riv. dir. civ., 2001, pagg. 191 e ss.
[10] Cfr. F. SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari.
Disciplina e forme di tutela, cit.,pag. 281.
[11] Così si legge nel commento alla bozza di modifica dell'art. 27 del
Regolmanto Consob. Il documento si può scaricare sul sito della Consob (http://www.consob.it)
o sul sito diritto bancario, nella sezione "archivio news" (http://www.dirittobancario.it).
Si tratta di un modello di gestione del conflitto non dissimile, come si vedrà
nel prosieguo del commento, a quello utilizzato dal Tribunale di Mantova nella
sentenza in epigrafe.
[12] Come ho avuto modo di puntualizzare nel mio Le regole di condotta degli
intermediari finanziari. Disciplina e forme di tutela, pag. 281. "»Equo
trattamento» significa (...) che l'intermediario non abusi della fiducia
ripostagli dal cliente; ovvero, che il primo ponga in essere un'operazione
finalizzata a privilegiare il proprio interesse o quello di un altro cliente a
discapito del secondo. Cfr. anche G. ALPA, Commento all'art. 21, in Alpa,
Capriglione (a cura di), Commentario al testo unico delle disposizioni in
materia di intermediazione finanziaria, Padova, 1998 pag. 221; nonché le pagine
critiche di G. DE NOVA Conflict of Interest and the Fair Dealing Duty, in Riv
dir. priv., 2002, pagg. 479 e ss.
[13] La correttezza, infatti, intesa come buona fede o dovere di lealtà,
rappresenta un criterio oggettivo e flessibile di comportamento che deve
informare la condotta delle parti e in particolare dell'intermediario
finanziario, il cui contenuto può essere verificato solo ex post, sulla base di
un'indagine degli interessi di riferimento e delle caratteristiche della
fattispecie. Se così è, la correttezza (buona fede) può essere utilizzata quale
raffinato strumento per calibrare gli interessi delle parti e, in ultima
analisi, per garantire l'effettività della tutela civilistica del risparmiatore
e l'integrità del mercato. Più in generale, cfr. F. SARTORI, Il conflitto di
interessi nel diritto dei contratti, in Riv. dir. priv., 2002, n. 2, pagg. 283
e ss.
[14] Per giungere a tali conclusioni il Tribunale ha fatto riferimento
all'interpretazione dell'art. 1394 cod. civ. che si è consolidata in sede
giudiziale. Il richiamo a tale disposizione non sembra convincente. Pagine
critiche si leggono in D. MAFFEIS, Conflitto di interessi nel contratto e
rimedi, Milano, 2003, pagg. 72 e ss.; nonché ID, Il conflitto di interessi
nella prestazione di servizi di investimento e la prima sentenza sulla vendita
a risparmiatori di obbligazioni argentine, in BBTC, in corso di pubblicazione.
[15] La consegna del documento deve precedere l'avvio della prestazione dei
servizi e non, di contro, la stipulazione di ogni singolo contratto; in altri
termini, se un medesimo cliente stipula, nel corso del tempo, con lo stesso
intermediario diversi contratti, la consegna del c.d. risk disclosure statement
deve avvenire prima dell'inizio della prestazione relativa al primo contratto e
non deve - necessariamente - essere reiterata. In questi termini, cfr. F.
ANNUNZIATA, Regole comportamentali degli intermediari, in Ferrarini e Marchetti
(a cura di), La riforma dei mercati finanziari, Milano, 1998, pagg. 117 e 118.
[16] Si deve almeno ricordare che la Consob da qualche anno ha attivato una
sezione del proprio sito web (http://www.consob.it) rubricata
"investor education" dove si possono trovare preziose informazioni
per i risparmiatori.
[17] In questi termini, cfr. ancora F. SARTORI, Le regole di condotta degli
intermediari finanziari. Disciplina e forme di tutela, cit.,pagg. 181 e ss.
[18] In questi termini, cfr. F. ANNUNZIATA La disciplina del mercato mobiliare,
Torino, I ed., 2001, pag. 107.
[19] Il corsivo è nostro.
[20] Il riferimento è al concetto analogo di material fact che si ritrova nel
sistema statunitense. Tale aspetto viene approfondito in chiave comparativa nel
mio, Le regole di condotta degli intermediari finanziari. Disciplina e forme di
tutela, cit., pagg. 192 e ss.
[21] In questi termini, cfr. F. ANNUNZIATA, Regole di comportamento degli
intermediari e riforme dei mercati mobiliari, cit., pag. 321.
[22] Sul punto è interessante richiamare un passo particolarmente significativo
delle Istruzioni di Vigilanza della Banca d'Italia (tit. X, cap. I, sez. I).
Sebbene, infatti, il documento si riferisca alla normativa in tema di
trasparenza bancaria, le stesse conclusioni possono essere ripetute mutatis
mutandis in subjecta materia. "La disciplina sulla trasparenza delle
operazioni e dei servizi bancari persegue l'obiettivo di rendere noti ai
clienti gli elementi essenziali del rapporto contrattuale e le loro variazioni,
quale mezzo di promozione e salvaguardia del regolare esplicarsi della
concorrenza nei mercati bancari e finanziari nonché di tutela dei
"contraenti deboli", senza limitare sostanzialmente l'autonomia
negoziale delle parti del rapporto. (...) La disciplina sulla trasparenza
stabilisce principi e regole minimali. Essa diviene strumento efficace di
concorrenza e di tutela della clientela col concorso di un comportamento degli
operatori informato al corretto svolgimento dei rapporti con la clientela. A
tal fine non è sufficiente, soprattutto nei confronti della clientela meno
consapevole, la formale adesione alle prescrizioni normative, ma occorre il
rispetto di regole deontologiche fondate su criteri di buona fede e correttezza
nelle relazioni di affari. Questo comportamento, connaturato al carattere
fiduciario del rapporto banca-cliente, consente nel lungo termine alla banca di
fronteggiare le sollecitazioni provenienti dalla concorrenza e di rafforzare il
grado di fidelizzazione della clientela, con benefici per la banca in termini
di reputazione sul mercato". Il corsivo è nostro.
[23] Cfr. G. ALPA, commento art. 21, in Alpa, Capriglione (a cura di),
Commentario al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione
finanziaria, cit., pag. 225.
[24] Sulle external critique (e i loro limiti) operate dalla law and al dovere
di informazione cfr. A. MUSY, Il dovere di informazione, Saggio di diritto
comparato, Quaderni del Dipartimento di scienze giuridiche, Trento, 1999.
[25] Sul punto cfr. F. ANNUNZIATA, Regole di comportamento degli intermediari e
riforme dei mercati mobiliari, cit. nonché M. BLAIR, Financial Services. The
New Core Rules, London, 1991.
[26] La NASD rule 2310 dispone, alla lettera a), che in recommending to a
customer the purchase, sale, or exchange of any security, a member shall have
reasonable grounds for beliving that the reccomandation is suitable for such
customer upon the basis of the facts, if any, disclosed by such customer as to
his other security holdings and has to his financial situation and needs. Cfr.
M. R. COHEN, The Suitability Rule and Economic Theory, 80 Yale. L. J., 1608
(1971); J. T. ROACH, E. ARVID, The Suitability Obligations of Brokers; Present
Law and the Proposed Federal Securities Code, 29 Hastings L. J., 1161, (1978).
T. A. MINER, Measuring Damages in Suitability and Churning Actions Under Rule
10b-5, 25 Boston Coll. L. Rev., 847 (1984).
[27] Per la giurisprudenza italiana formatasi sulla regola in esame cfr. App.
Milano 19 giugno 1999, n. 1735; App. Milano 13 aprile 1999, n. 855; App. Milano
26 gennaio 1999, n. 204; Trib. Milano 20 febbraio 1997, n. 1888. Cfr. anche
Cass. 14 novembre 1997, n. 11279, in Foro it., 1998, I, 3292 con nota
redazionale e di G. CATALANO, L'utilità di una sentenza
"anacronistica": gli "swap" in Corte di Cassazione.
[28] Tale disposizione stabilisce, per l'appunto, che: "Prima (...)
dell'inizio della prestazione dei servizi di investimento gli intermediari
autorizzati devono chiedere all'investitore notizie circa la sua esperienza in
materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria,
i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio
(...)".
[29] In merito, la Consob ha stabilito all'art. 26, comma 1, lett. e) del
regolamento Consob n. 11522/98 che "gli intermediari autorizzati,
nell'interesse degli investitori e dell'integrità del mercato mobiliare (...)
acquisiscono una conoscenza degli strumenti finanziari, dei servizi nonché dei
prodotti diversi dai servizi di investimento, propri o di terzi, da essi stessi
offerti, adeguata al tipo di operazione da fornire".
[30] Così F. ANNUNZIATA, Regole di comportamento degli intermediari e riforme
dei mercati mobiliari, cit., pag. 341; nonché ancora F. SARTORI, Le regole di
condotta degli intermediari finanziari. Disciplina e forme di tutela, cit.,
pag. 207.
[31] Cfr. R. A. BOOTH, The Suitability Rule, Investor Diversification, and
Using Spread to Measure Risk, 54 Buss. L., 1614 (1999).
[32] Per un'analisi economica della suitability rule cfr. F. PACCES, Financial
Intermediation in the Securities Markets, Law and Economics of Conduct of
Business Regulation, 20 12 Int. Rev. Law. Ec., 479 (2000); nonché F. SARTORI,
Le regole di condotta degli intermediari finanziari. Disciplina e forme di
tutela, cit., pagg. 209 e ss.
[33] Così R. SACCO, G. DE NOVA, Il contratto, in Sacco (diretto da), Trattato
di diritto civile, II, 3 ed, 2004, pag. 78.
[34] Ibidem, pag. 79.
[35] cfr., ex plurimis, Cass. Civ. sez. I, 7 marzo 2000 n. 3272.
[36] Non sfugge certo al lettore il richiamo in sentenza all'art. 47 della
Costituzione.
[37] La contrarietà ad un norma posta a presidio di un interesse pubblico
comporta quindi la "illiceità" del negozio. "[L]'illiceità si apparenta
al rischio, o alla certezza, che il contratto leda l'interesse di una delle
parti, non abbastanza provveduta per autodifendersi (...). Altre volte il
contratto è disapprovato perché crea esternalità negative, sotto forma (...) di
danno arrecato alla comunità in genere". Così R. SACCO, G. DE NOVA, Il
contratto, cit., pag. 62 e ss.
[38] Come correttamente puntualizzato da R. COSTI, L. ENRIQUES, Il mercato
mobiliare, in Cottino (diretto da), Trattato di diritto commerciale, Padova,
2004, pagg. 332 e 333 (nt. 27), la nullità virtuale concerne l'ordine di borsa
e "non certo l'operazione di borsa compiuta dall'intermediario in nome
proprio sul mercato; è pacifico infatti che l'invalidità di un contratto di
commissione non si estende al contratto di vendita concluso in nome proprio dal
commissionario, bensì semmai, al negozio traslativo di esecuzione di cui
all'art. 1706, secondo comma, c.c.".
[39] L'ipotesi di nullità del contratto per contrasto con norme imperative è
configurabile indipendentemente da una espressa previsione di
"legge", ovvero dall'esistenza di una norma proibitiva perfetta che
contenga, oltre ad uno specifico divieto, anche la sanzione civilistica di
nullità del negozio. In merito, non rileva la natura primaria o secondaria (regolamentare)
della disposizione. È infatti pacifico in dottrina e giurisprudenza che
l'ipotesi di nullità del contratto è configurabile nel caso in cui la norma sia
imperativa, e ciò a prescindere dalla collocazione gerarchica della stessa.
Cfr. i dati raccolti da R. SACCO, G. DE NOVA, Il contratto, cit., pagg. 79 e
ss.
[40] Dal giorno del pagamento sino al saldo definitivo e non dal giorno della
proposizione della domanda "non potendosi ritenere che la B.A.M., in
relazione ai comportamenti sopra censurati, fosse in buona fede".
[41] Per un'analisi approfondita sul tema cfr. R. SACCO, G. DE NOVA, Il
contratto, cit., pagg. 595 e ss.
[42] Cfr. ancora R. SACCO, G. DE NOVA, Il contratto, cit., pag. 605. Cfr. anche
F. SARTORI, Le regole di condotta degli intermediari finanziari. Disciplina e
forme di tutela, cit., pag. 400. "Per quantificare il mancato guadagno
(...) non si devono considerare i vantaggi che l'investitore avrebbe realizzato
da un andamento positivo del contratto effettivamente concluso, ma si deve
guardare al vantaggio (o allo svantaggio) potenziale che l'investitore avrebbe
conseguito se l'intermediario si fosse comportato professionalmente".
[43] Il corsivo è nostro.
[44] Sul punto cfr. R. COSTI, L. ENRIQUES, Il mercato mobiliare, cit., pag.
336, i quali richiamano (nt. 40) M. DE MARI e L. SPADA, Orientamenti in tema di
intermediari e promotori finanziari. Parte terza, in Foro it., 2002, I, c. 859
ss., a c. 871, ove riferiscono di una sentenza inedita della Corte d'Appello di
Genova, la quale ha stabilito che "la conferma di un'operazione
inadeguata, per essere valida e sollevare l'intermediario da responsabilità,
deve essere specifica e non già generica, potendo solo in tal modo la
disposizione raggiungere la propria finalità".
[45] Più in generale, cfr. P. PERLINGIERI, Note critiche sul rapporto tra forma
negoziale e autonomia, in La forma degli atti nel diritto privato, Studi in
onore di Michele Giorgianni, Napoli, 1988, pagg. 569 e ss.
[46] Per tutti cfr. R. COSTI, Informazione e mercato finanziario, in Banca,
impr. soc., 1989, spec., pagg. 210 e ss.
[47] In questi termini cfr. C. D'ADDA, Il governo dei mercati finanziari, in
Economia e diritto del terziario, 1991, pag. 601; cfr. anche G. ROSSI,
L'informazione societaria al bivio, in Riv. soc., 1986, pagg. 963 e ss.
[48] Cfr. R. SACCO, G. DE NOVA, Il contratto, I, cit., pag. 467-472; 617 e ss.;
nonché A. MUSY, Il dovere di informzione, cit., pagg. 6 e ss.
[49] Cfr. Ibidem. Per settore dell'intermediazione cfr. R. LENER, Forma
contrattuale e tutela del contraente "non qualificato" nel mercato
finanziario, Milano, 1996; nonché F. SARTORI, Le regole di condotta degli
intermediari finanziari. Disciplina e forme di tutela, cit., pagg. 192 e ss.
[50] Si pensi, ad esempio, al riferimento all'interpretazione giudiziale
formatasi intorno all'art. 1394 cod. civ.
[51] Cfr., sul punto, F. CARBONETTI, I contratti di intermediazione mobiliare,
Milano, 1992, pag. 17. Come è stato osservato infatti, tali regole
costituiscono le modalità di svolgimento del rapporto, a prescindere dalle
specifiche disposizioni di settore, così che, diligenza e correttezza
assumeranno il significato di obblighi di protezione degli investitori, ed in
ultima analisi del mercato. In termini simili, cfr. A. DI MAJO, La Correttezza
nell'intermediazione mobiliare, cit., pag. 290; C. CASTRONOVO, Il diritto
civile della legislazione nuova. La legge sulla intermediazione mobiliare, in
Banca, borsa, tit. cred., 1993, pagg. 300 e ss; ID, La nuova responsabilità
civile. Regola e metafora, Milano, 1991; M. LOBUONO, La responsabilità degli
intermediari finanziari, cit., pag. 134.
[52] Nel caso che ci occupa, infatti, la seconda operazione non ha per oggetto
i medesimi titoli, sebbene si tratti di bonds emessi dallo stesso Paese e con
un profilo di rischio analogo in considerazione del c.d. down grading.
[53] Discorso diverso si potrebbe fare con riguardo ai c.d. piani di
accumulazione di capitale (PAC), i quali prevedono acquisti di strumenti
finanziari della stessa categoria ad intervalli di tempo e per importi
predeterminati. Il PAC è prevalentemente utilizzato come destinazione del
risparmio in formazione, ma può essere utilizzato anche come strategia
d'investimento di un capitale già esistente. In questo ultimo caso,
contrariamente alla "tecnica" della "media al ribasso", si
riduce il rischio poichè si diluisce nel tempo il momento d'ingresso di un
investimento già predeterminato (e quindi compatibile con la strategia di
portafoglio complessiva). La c.d. average down si pone, irrazionalmente,
l'obiettivo di avere un prezzo medio di carico più basso rispetto al primo
acquisto, questo comporta un incremento del rischio complessivo. La strategia
che impiega il PAC si pone invece l'obiettivo di diminuire il rischio legato al
timing dell'investimento. Due concetti, quindi, totalmente diversi e, per certi
versi, opposti: speculativo il primo, difensivo il secondo.
[54] Così B. SCIENZA, Il risparmio tradito, Torino, 2001, pagg. 135 e ss.
[55] Il Consiglio europeo di Lisbona ha infatti sottolineato l'esigenza di
realizzare entro il 2005 mercati finanziari efficienti e integrati.
[56] Ai sensi dell'art. 59, comma 1 della della direttiva in esame la
Commissione è affiancata dal Committee of European Securities Regulators. La
nuova struttura istituzionale prevede infatti che i principi di livello
superiore vengano armonizzati mediante lo strumento della direttiva; mentre, le
misure di esecuzione uniformi devone essere introdotte dal CESR.
[57] Si tratta ad esempio degli enti creditizi; delle imprese di investimento;
delle imprese di assicurazioni; degli OICR; delle grandi società di capitali
etc.
[58] Tuttavia, anche in tale evenienza, gli intermediari non devono mai
presumere che tali clienti possiedano conoscenze ed esperienze di mercato,
comparabili a quelle dei clienti professionali individuati dallo stesso
legislatore. Infine, sempre nella prospettiva di garantire elasticità senza
tuttavia sacrificare le esigenze di tutela degli investitori, è previsto che
qualunque riduzione della protezione assicurata dalle norme di comportamento
standard debba considerarsi valida solo se, dopo aver effettuato una
valutazione adeguata della competenza, delle conoscenze e delle esperienze del
cliente, l'impresa di investimento ritenga, con ragionevole certezza, (tenuto conto
anche della natura delle operazioni o dei servizi previsti) che il cliente sia
in grado di adottare le proprie decisioni di investimento e di comprendere i
rischi esistenti. È chiaro che per tale via si introduce un criterio di
verifica ex post del comportamento dell'operatore finanziario sulla base di una
analisi finalizzata a verificare l'effettivo livello di asimmetria informativa
tra le parti. Per agevolare tale delicato compito, sono previsti alcuni criteri
che l'intermediario è tenuto comunque a rispettare. In particolare, si
stabilisce che l'operatore, nel corso della predetta valutazione, debba tener
conto di taluni profili. Ad esempio, che il cliente abbia effettuato operazioni
di dimensioni significative sul mercato rilevante con una frequenza media di 10
operazioni al trimestre nei quattro trimestri precedenti; ovvero che il valore
del portafoglio di strumenti finanziari del cliente, inclusi i depositi in
contante e gli strumenti finanziari, superari 0,5 milioni di Euro, etc.
Affinché la disapplicazione delle regole di condotta non dia comunque adito ad
abusi da parte di intermediari infedeli, è introdotta una procedura in base
alla quale i) i clienti devono comunicare per iscritto all'impresa di
investimento che desiderano essere trattati come clienti professionali (a
titolo generale o rispetto ad un particolare servizio di investimento o
operazione o tipo di prodotto o di operazione); ii) l'impresa di investimento
deve avvertire i clienti, in una comunicazione chiara e per iscritto, di quali sono
le protezioni e i diritti di indennizzo che potrebbero perdere; iii) i clienti
devono dichiarare per iscritto, in un documento separato dal contratto, di
essere a conoscenza delle conseguenze derivanti dalla perdita di tali
protezioni. Peraltro, tale articolata procedura non esonera l'intermediario
dall'adottare altre misure per accertarsi che il cliente che chiede di essere
considerato cliente professionale soddisfi i requisiti rilevanti, così coma
sopra indicati.
[59] Cfr. l'art. 31 del Regolamento Consob n. 11522/98.
[60] In materia cfr. le riflessioni di G. CARRIERO, Statuto dell'impresa di
investimento e disciplina del contratto nella riforma del mercato finanziario,
Milano, 1997, pagg. 46 e ss. Cfr. anche F. SARTORI, Le regole di condotta degli
intermediari finanziari. Disciplina e forme di tutela, cit., pagg. 164 e ss.
[61] Cfr. L. D. LOWENFELS, A. R. BROMBERG, Suitability in Securities
Transactions, 54 Bus. L., 1594, 1557 (1999). Secondo gli autori se
l'investitore intraprende un'attività di investimento che ineluttabilmente lo
porta al "suicidio economico" è compito dell'intermediario
intervenire quasi in veste di tutore per prevenire tale situazione. "(...)
Does the bartender at some point have a duty to cut off the drinker's supply of
liquor? Similarly, by analogy, does a broker at some point have a duty to
intervene to prevent even a wealthy and sophisticated investor from engaging in
reckless, unsuitable trading which approaches financial suicide? (...)".
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