Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 24/07/2009 Scarica PDF
Autodeterminazione e formazione eteronoma del regolamento negoziale. Il problema dell'effettività delle regole di condotta
Filippo Sartori, ProfessoreRelazione al convegno in data 22 maggio 2009 ««La disciplina civilistica dei contratti di investimento»» tenutosi presso l'Università degli Studi di Milano. Il saggio è redatto per la Rivista di Diritto Privato edita da Cacucci Editore ed è ivi in corso di pubblicazione sul fascicolo n. 3/2009.
SOMMARIO: 1. Premessa: le regole di comportamento e i doveri informativi; 2.
L'economia dell'informazione finanziaria; 3. Il criterio della
"(a)simmetria informativa" e il ruolo della buona fede
nell'evoluzione del sistema; 4. Dall'autodeterminazione alla autonomia
funzionale: il conflitto tra libertà e autorità e il superamento dell'ideologia
del dibattito; 5. Dall'autonomia funzionale all'eterodeterminazione: il
problema dell'effettività delle regole e la tensione tra autodeterminazione ed
eterodeterminazione; 5.1. Segue. Il caso dell'operatore qualificato; 5.2.
Segue. Il dovere di informarsi e l'effettiva realtà sociale e conoscitiva della
fattispecie; 5.3. Segue. Il dovere di informare. L'intensità e la durata degli
obblighi informativi; 5.4. Segue. La forma informativa: tra neo-formalismo
negoziale e adeguatezza dell'informazione; 5.5. Segue. Le regole di adeguatezza
dell'operazione finanziaria; 6. Osservazioni conclusive.
1. Premessa: le regole di comportamento e i doveri informativi
L'affermarsi di un corpo organico di norme a presidio della correttezza e della
trasparenza dei comportamenti delle imprese di investimento nei riguardi della
clientela risale a una stagione di riforme che ha investito i principali paesi
europei a cavallo tra gli anni ottanta e novanta dello scorso secolo. In
Francia ad esempio il sistema dell'intermediazione finanziaria viene riformato
rispettivamente dalla legge 22 febbraio 1988, n. 88-70 e dalla legge 2 agosto
1989, n. 89-5311. Il sistema inglese conosce la prima riforma sistemica nel
1986 con l'emanazione del Financial Services Act2. In Italia si dovrà aspettare
l' 1 gennaio 1991 con la promulgazione della c.d. legge SIM3.
Nel corso degli anni a seguire le esigenze d'integrazione dei mercati
finanziari europei hanno indotto il legislatore comunitario a intervenire a più
riprese per dare un assetto normativo uniforme alla materia. Prima con la
direttiva n. 93/22 e quindi con la più recente direttiva n. 39/04 (c.d.
direttiva MiFID) e le direttive esecutive4, in vigore in Italia dal novembre
20075.
In questo contesto, e avendo specifico riguardo alle regole di comportamento
che gli intermediari mobiliari devono rispettare nei rapporti con la clientela
(si vuole cioè escludere dall'analisi quelle regole attinenti
all'organizzazione interna), è possibile individuare due sistemi di norme
finalizzati rispettivamente a: i) disciplinare i flussi informativi tra le
parti del rapporto contrattuale sorto a seguito della stipulazione del
"contratto di investimento"; ii) amministrare il fenomeno del
conflitto di interessi.
Va peraltro evidenziato fin d'ora che i due corpi di regole sono intimamente
connessi tra loro in quanto lo stesso conflitto di interessi tende ad essere
amministrato fra l'altro attraverso regole informative: Disclosure or abstain6!
In questo senso allora, con un eccesso di semplificazione, possiamo ricondurre
almeno in generale le regole di condotta alla categoria delle "regole
informative" che segnano l'agire degli attori nel mercato7. Si tratta in
altri termini di un sottosistema normativo che costituisce il common core delle
regole di comportamento che gravano gli operatori finanziari nei loro rapporti
con la clientela8.
Regole che, nella prospettiva dello studio del diritto privato, appaiono
fondamentali in quanto i) costituiscono la struttura fondante l'architrave su
cui si basa il modello relazionale tra cliente e intermediario; ii) si
inseriscono nell'ambito di quel dibattito che ha portato, negli ultimi anni, la
tematica dei doveri informativi (precontrattuali) sul palcoscenico della
riflessione in guisa dell'affermazione nei sistemi giuridici occidentali del
principio della buona fede e della correttezza ai danni di quello della
autonomia e della volontà9.
2. L'economia dell'informazione finanziaria
Anche nella prospettiva economica, per usare le parole di un noto studioso,
"l'informazione è una risorsa preziosa: la conoscenza è potere"10.
L'importanza strategica del "bene informazione" (secondo la
tassonomia economica dei beni) affiora con decisione nell'ambito dei mercati,
almeno quelli finanziari, poiché le stesse scelte dipendono dalla quantità e
dalla qualità delle informazioni disponibili, da come queste sono distribuite
tra i soggetti che operano nel mercato11.
In questa prospettiva è giocoforza evidenziare che il mercato finanziario è un
mercato asimmetrico per definizione. E difatti: a) l'informazione in quanto
molto costosa non è distribuita in modo uniforme tra i soggetti interessati.
Gli intermediari polifunzionali, in particolare, hanno accesso diretto a molte
informazioni non disponibili da parte degli investitori comuni. Ciò vale sia
per quegli elementi conoscitivi riferibili alla singola attività finanziaria e
al suo emittente (informazione specifica), sia in relazione all'economia nel
suo complesso (informazione generale); b) ancora più di quanto accade per i
beni reali, i prodotti finanziari devono essere definiti, compresi nella loro
componente strutturale per poter essere scambiati12. Ma, come noto, i prodotti
finanziari collocati e/o negoziati sui mercati sono sovente prodotti
strutturati, complessi, di difficile comprensione.
Tralasciando le azioni ordinarie o le obbligazioni più semplici, le diverse
tipologie di strumenti finanziari13 "disponibili" sul mercato dànno
il senso dell'affermazione: obbligazioni convertibili o con warrant (che
prevedono l'opzione di convertire, ad una scadenza prefissata, il prestito
obbligazionario in azioni secondo un determinato rapporto di cambio);
obbligazioni strutturate (il cui rimborso e/o remunerazione dipendono
dall'andamento di un'attività sottostante); derivati OTC, crediti
cartolarizzati, polizze united linked (che hanno prestazioni collegate al
valore di un fondo di investimento); polizze index linked (caratterizzate da
prestazioni la cui entità è in funzione del valore di un indice azionario o di
un altro valore di riferimento) sono solo alcuni esempi di prodotti opachi, la
cui comprensione è difficilmente accessibile agli investitori non qualificati.
Il problema dell'asimmetria delle informazioni si accentua in relazione a quei
mercati c.d. OTC (over the counter) ovvero non regolamentati, ove sovente sono
negoziati molti dei prodotti richiamati. Si tratta di mercati non
caratterizzati da significativi volumi di scambi e non immuni pertanto ai
fenomeni di frammentazione di liquidità e dispersione informativa14. La legge
economica dell'efficienza informativa (Efficient Capital Market Hypothesis15),
in base alla quale tutte le informazioni rese pubbliche si riflettono
automaticamente nel prezzo degli strumenti finanziari (minimizzando almeno in
parte il problema dell'asimmetria a favore di tutti gli investitori), non
produce alcun effetto, amplificando le problematiche della conoscenza.
Nella prospettiva economica, l'asimmetria informativa dà adito a fenomeni di
moral hazard e di selezione avversa, causa di comportamenti opportunistici.
Fenomeni che se non controllati possono pregiudicare sia l'investitore, in
qualità di controparte debole dell'intermediario, sia più in generale la
corretta allocazione del risparmio, innescando quel fenomeno a spirale di
degenerazione informativa - il "fenomeno dei bidoni"16 - preludio del
fallimento del paradigma convenzionale dell'efficienza dei mercati17.
La crisi finanziaria che stiamo attraversando è un triste banco di prova delle
teorizzazioni richiamate: il fallimento dei mercati è infatti prima di tutto il
fallimento dell' (affidabilità dell') informazione18.
3. Il criterio della "(a)simmetria informativa" e il ruolo della
buona fede nell'evoluzione del sistema
Nel contesto delineato si coglie allora la rilevanza delle regole di condotta
(di matrice informativa, per l'appunto) che gravano gli intermediari nei loro
rapporti con la clientela; il cui obiettivo è a questo punto oltre modo chiaro:
nella prospettiva economica rimuovere l'asimmetria informativa evitando
inefficienze di mercato; nella prospettiva giuridica eliminare una
disuguaglianza sociale all'interno del contratto, ripristinando la libertà
contrattuale effettiva di entrambi i paciscenti19. L'idea, utilizzando gli
schemi tradizionali, è quella di creare i presupposti per una relazione
contrattuale giusta ove una parte, quella informata, non può approfittare del
vantaggio conoscitivo a danno dell'altra.
Efficienza ed equità non confliggono, ma diventano precondizioni necessarie nel
fine di soddisfare un'utilità sociale, ovvero lo sviluppo virtuoso del mercato
e financo la tutela del risparmio in tutte le sue forme (art. 47 Cost.) 20.
La stessa nozione di simmetria informativa appare allora un nuovo modello
normativo, un criterio di selezione degli interessi utile all'interprete del
diritto che studia l'ordinamento giuridico dei mercati mobiliari.
Non si tratta naturalmente di una grande categoria logica, di una categoria
ordinante, ma di un criterio di sintesi, un criterio ermeneutico, non
ideologico, che ci viene consegnato dalla scienza economica, e che si dimostra
capace di cogliere i tratti salienti della realtà socio-economica del
mercato21.
Uno strumento selettivo, ritengo, in grado di arricchire il discorso giuridico.
Prima ancora di entrare nel merito dell'analisi delle regole, conviene muovere
dai principi generali richiamati dall'art. 21 del Testo Unico della Finanza, e
in particolare dal principio della correttezza che sembra (apparentemente)
rappresentare il consolidamento della buona fede oggettiva di diritto comune.
Il richiamo costituisce il momento di convergenza tra il settore
dell'intermediazione finanziaria e lo jus commune e appare fondamentale nello
sviluppo del ragionamento, in quanto è proprio dalla buona fede oggettiva che
la giurisprudenza pratica e teorica ha consentito l'allargamento dei doveri di
informazione (precontrattuale) al fine di imporre una maggiore giustizia
contrattuale22.
Tralasciando il problema dell'interferenza tra le sfere contrattuali,
precontrattuali ed extracontrattuali, la giurisprudenza, sin da quando ha
affrontato il tema della culpa in contrahendo, ha individuato, secondo gli
insegnamenti della miglior dottrina, numerosissimi doveri di informazione.
Inizialmente la casistica ha preso le mosse dal campo medico, ma si è poi
progressivamente estesa a tutte le professioni intellettuali, e quindi al settore
bancario, a quello finanziario. Si pensi al tema della reticenza del revisore e
della responsabilità ex art. 1337 della società di intermediazione mobiliare
per la messa in circolazione di prospetti informativi falsi23.
4. Dall'autodeterminazione alla autonomia funzionale: il conflitto tra libertà
e autorità e il superamento dell'ideologia del dibattito
L'attività ermeneutica finalizzata a rimuovere gli ostacoli della conoscenza
tramite l'enucleazione di specifici doveri informativi dal criterio della buona
fede oggettiva, pur dimostrandosi tosto inadeguata al settore altamente
ingegnerizzato dell'intermediazione finanziaria, contiene in sé il germe delle
evoluzioni successive. Evoluzioni che si muovono sul terreno legislativo, nella
direzione di creare un vero e proprio corpo di norme specifiche finalizzate a
riequilibrare il rapporto tra i contraenti e gettare un fascio di luce su
quell'oscurità stigmatizzata.
Il legislatore inizia così a partire dal 1991 un percorso chiaramente orientato
a funzionalizzare l'assetto dinamico del regolamento contrattuale per la
contemporanea realizzazione di interessi di natura sociale, economica,
pubblica.
Si attiva cioè nella prima fase, apparentemente senza equivoci, un processo di
sostituzione della tradizionale libertà di autoderminazione caratteristica
dell'autonomia privata con un'autonomia funzionale (in funzione appunto
dell'integrità del mercato)24.
In chiave ideologica (ri)affiora il conflitto dal sapore politico tra libertà e
autorità25. E sègue il bisogno, invero anacronistico, di giustificare le
limitazioni legali al paradigma liberale dell'autonomia con i sempre più
frequenti richiami alla Costituzione, e in particolare alla tutela del
risparmio: secondo quanto già era stato avvertito in epoche ben diverse da
quegli insigni studiosi che avevano alimentato a partire dagli anni '60 e '70
dello scorso secolo il dibattito sul superamento dell'autonomia negoziale, che
veniva consegnata dalla storia della dottrina sul negozio giuridico di
derivazione savignana (e che prendeva le mosse dalla dottrina della pluralità
degli ordinamenti giuridici)26.
Il tema si inserisce quindi in quel filone di ricerca che ha tentato di
tracciare le linee intorno alle modalità e alla misura in cui il potere
statuale concorre con il potere regolamentare dei privati alla formazione e
alla realizzazione dell'assetto di interessi negoziali.
In questa direzione il criterio della "simmetria informativa" può
arricchire, come ricordato, il discorso giuridico. Esso criterio ci consente infatti
di sgomberare il campo da un possibile equivoco, frutto di un retaggio
ideologico del dibattito: l'intervento del legislatore che muove nella
direzione di ridurre l'asimmetria informativa tra intermediario e investitore e
che si traduce in un diretto intervento sul contenuto del contratto atto (lo
stesso contratto è veicolo di informazioni) e del contratto rapporto non
compromette la volontà della parti e non contrasta con l'interesse delle
stesse. Non solo.
Tale criterio da una parte dimostra l'insufficienza della posizione di chi
configura i limiti dell'autonomia negoziale (in senso formale) come semplici
strumenti di compressione esterna dei poteri delle parti e dall'altra
attribuisce un valore positivo ai nuovi modelli di formazione e realizzazione
degli interessi contrattuali.
Il mantenimento dello squilibrio conoscitivo in virtù di una formale libertà di
autodeterminazione contrasta con la necessità di assicurare un'effettiva e
sostanziale libertà di autodeterminazione. L'intervento legislativo
(tralasciando le tecniche utilizzate) può quindi valutarsi come funzionale alla
realizzazione della libertà di entrambe le parti.
5. Dall'autonomia funzionale all'eterodeterminazione: il problema
dell'effettività delle regole e la tensione tra autodeterminazione ed
eterodeterminazione
Il percorso tratteggiato dal legislatore a partire dal 1991 si è nel corso
degli interventi successivi delineato con maggior chiarezza.
Si è cioè cercato di condizionare o integrare in via eteronoma il regolamento
negoziale, utilizzando fra l'altro i rimedi come tecniche di governo del
mercato27.
La punta più avanzata di questa linea di sviluppo, che esce dallo stesso mondo
dell'informazione, si coglie nella nuova disciplina dell'
"adeguatezza" delle operazioni finanziarie che, nell'interesse più
generale dell'integrità del mercato, priva l'investitore del diritto alla
prestazione del consenso e alla disponibilità pregiudizievole del patrimonio.
Se volessimo definire i tratti essenziali di questa evoluzione potremmo concludere
che il rapporto negoziale tende ad oggettivizzarsi, attraverso l'accentuazione
del momento esterno della previsione di un dato assetto di interessi
predefinito dal legislatore e ispirato al principio della simmetria
informativa: dall'autonomia funzionale, in altri termini, si passa
all'eterodeterminazione28.
Beninteso: non si tratta semplicemente di una deriva paternalistica29 (o
dirigistica, come direbbero alcuni) di un legislatore (comunitario) illuminato,
bensì dell'estremo tentativo di difendere il mercato (scusando
l'antropomorfizzazione) da quelle forze oscure che ne hanno compromesso
l'integrità.
Il problema della tecnica di intervento investe allora il problema stesso
dell'efficienza del mercato, ossia l'individuazione dell'equilibrio tra
autorità e libertà in una economia globalizzata. E si tratta di un problema di
scelte che appaiono ormai tecnicamente semplici innanzi allo scenario che si è
presentato nel nuovo millennio.
La limitazione dell'autonomia negoziale, se di limitazione si può parlare,
rappresenta un'occasione per il progresso economico-sociale del mercato e si
pone come necessaria per la realizzazione dei fini del programma30.
Il percorso legislativo a cui si è fatto riferimento non è invero stato sempre
coerente. Non mancano talune contraddizioni (si pensi alla policy del
neoformalismo negoziale portata alle estreme conseguenze), che hanno alimentato
una tensione tra il binomio autodeterminazione-applicazione formale delle
regole, nonché eterodeterminazione-applicazione effettiva delle stesse.
La ricerca da parte del fattore giurisprudenziale del significato più coerente
con l'assetto di interessi rappresentato dal singolo rapporto negoziale ha
alimentato questa tensione nel corso del recente passato.
Per tale via, da una parte vi è chi ha interpretato le regole di condotta nel
caso di specie secondo i principi liberali dell'autodeterminazione e
dell'autoresponsabilità formalmente intesi, coerentemente agli insegnamenti
della tradizione31. In definitiva, secondo il nostro diritto privato chi
immette (anche non volendo) una dichiarazione negoziale nel traffico giuridico
è assoggettato alle conseguenze di esse secondo il loro obiettivo significato.
Tale principio (dell'autoresponsabilità), che trova la giustificazione e il
limite nell'esigenza della tutela dell'affidamento, assegna a carico del
dichiarante il rischio di una dichiarazione non conforme alla volontà
effettiva32.
Dall'altra, invece, vi è chi ha attribuito alle regole di condotta il
significato che meglio si adegua alla situazione di interessi che esse regole
sono destinate a regolare. E, dunque, l'analisi progressista, socialmente
orientata ed ispirata al principio dell'effettività è stata condotta facendo
assurgere alla "categoria" della "simmetria informativa" il
valore di criterio-guida da preferire ai diversi possibili significati della
dichiarazione negoziale.
Un criterio che consente di ricostruire il regolamento negoziale divisato dalle
parti in aderenza ai valori di efficienza, solidarietà, equità che esso esprime,
coerentemente con la direzione indicata dal fattore legislativo. Detto
altrimenti: uno strumento di selezione degli interessi perseguiti attraverso i
contratti di investimento.
E tale contrapposizione ha segnato sovente anche l'agire dell'Autorità di
vigilanza e ha diviso la stessa dottrina che si è occupata del tema.
Nel seguire dell'intervento cercherò di fare alcuni esempi concreti di tale
diversa prospettiva culturale che inevitabilmente investe il tema che mi è
stato assegnato e dunque l'effettività della normativa in esame.
5.1. Segue. Il caso dell'operatore qualificato
Un primo banco di prova per testare la fondatezza delle argomentazioni addotte
concerne l'ambito applicativo - soggettivo delle stesse regole di
comportamento.
L'esigenza di una disciplina di "diritto privato speciale" si
giustifica proprio alla luce dell'asimmetria informativa che caratterizza il
rapporto tra gli attori di mercato.
Sulla base di tale presupposto, in subjecta materia, sussiste una chiara
tendenza normativa a differenziare il contenuto e l'applicabilità stessa delle
regole di condotta nei riguardi dei clienti "esperti" o
"professionali"33.
In tale prospettiva muoveva già l'art. 11 della previgente Direttiva Europea n.
93/22/CEE il quale prevedeva, in merito, un vero e proprio obbligo in capo agli
Stati membri di tener conto, nell'applicazione delle regole di comportamento,
della natura professionale dei clienti34.
Nel dare attuazione alla direttiva comunitaria, il legislatore delegato aveva
demandato alla Consob l'individuazione delle diverse categorie di investitori e
delle regole di comportamento che gli intermediari dovevano adottare in
relazione alla differente qualità professionale del cliente35.
L'Autorità di Vigilanza, come noto, si era occupata del tema all'art. 31 del
Regolamento Consob n. 11522/98 e succ. modd. disapplicando la disciplina di
settore qualora controparte di un intermediario fosse un "operatore
qualificato"36. E a tal fine la disposizione stabiliva che per
"operatori qualificati si intendono gli intermediari autorizzati, le
società di gestione del risparmio, le SICAV, i fondi pensione, le compagnie di
assicurazione, i soggetti esteri che svolgono in forza della normativa in
vigore nel proprio Stato d'origine le attività svolte dai soggetti di cui
sopra, le società e gli enti emittenti strumenti finanziari negoziati in
mercati regolamentati, le società iscritte negli elenchi di cui agli articoli
106, 107 e 113 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, i promotori
finanziari, le persone fisiche che documentino il possesso dei requisiti di
professionalità stabiliti dal Testo Unico per i soggetti che svolgono funzioni
di amministrazione, direzione e controllo presso società di intermediazione
mobiliare, le fondazioni bancarie, nonché ogni società o persona giuridica in
possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in
strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale
rappresentante" (nostro il corsivetto).
L'approccio seguito dalla Commissione è chiaro. Da una parte, si individuano,
ex ante e con precisione, determinate categorie di soggetti che si presumono
(si tratta di presunzione juris et de jure) investitori professionali, ergo non
bisognosi di protezione. Dall'altra, tralasciando le persone fisiche, per le
società o persone giuridiche che non rientrano nella prima categoria di
soggetti, si utilizza un parametro di riferimento che sposta ex post la
valutazione della professionalità.
Spetta, infatti, all'autorità giudiziaria il compito di selezionare il tipo di
need of protection, avendo riguardo agli interessi sottesi alla fattispecie di
riferimento.
Prima ancora di intervenire nel merito del dibattito giova scandire alcuni
concetti della definizione rilevanti sul piano positivo. Quello di competenza,
dal latino cum-petere, cioè far convergere, funzionalizzare le conoscenze e le
abilità possedute ai fini dello svolgimento di una determinata attività (di
investimento, nel caso specifico). E quelle di esperienza, ovvero di una
conoscenza empirica, maturata nel corso del tempo.
La ratio normativa è evidente: una società o una persona giuridica "in
possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in
strumenti finanziari" non abbisogna di una tutela normativa eteronoma, in
quanto capace effettivamente di autodeterminarsi nel mercato.
Lo scenario è però complessificato dal mezzo attraverso il quale siffatti
elementi vengono accertati dall'intermediario prima e dall'autorità giudiziaria
dopo.
Ed è proprio in relazione al profilo dell'accertamento della professionalità
(recte, specifica competenza ed esperienza) dell'operatore che, nel recente
passato, si sono delineati (almeno) due orientamenti giurisprudenziali che
costituiscono la cartina tornasole del fenomeno a cui si è fatto riferimento; e
che si ispirano rispettivamente al paradigma liberale, formale e a quello
socialmente orientato, attento all'effettività della normativa.
Secondo un primo indirizzo esegetico, l'accertamento di tale requisito è
rimesso al legale rappresentante della società, che si autodetermina sul
mercato (conformando la propria condotta a quella dello stereotipo del buon
imprenditore); esso accertamento è affidato all'autoresponsabilità di chi rende
la dichiarazione. Con la conseguenza che l'intermediario che fa affidamento (in
buona fede) su siffatta dichiarazione è sollevato da qualsiasi verifica al
riguardo.
La Società che ha dato causa, per mezzo del legale rappresentante,
all'immissione nel mondo del diritto di tali dichiarazioni (di essere appunto
dotato di una specifica competenza ed esperienza) è assoggettato alle
conseguenze di esse secondo il loro obiettivo significato. E, coerentemente al
principio dell'autoresponsabilità, grava a carico del dichiarante il rischio di
una dichiarazione non conforme alla volontà reale o di una dichiarazione non
voluta. Questo in sintesi l'orientamento accolto da una parte rilevante della
giurisprudenza di merito37 e, con entusiasmo, dai pochi lodi arbitrali a noi
noti pronunciati da qualificati collegi di professori commercialisti e di
diritto dell'economia.
Un secondo orientamento, solo inizialmente minoritario, si è presto affacciato
sulla scena38. Non è sufficiente una mera dichiarazione (sovente
autoreferenziale) del legale rappresentante per considerare una società come
operatore qualificato. L'intermediario deve invece predisporre accorgimenti
procedurali per verificare l'effettivo possesso in capo alla clientela dei
requisiti richiesti dall'art. 31 del Regolamento Consob. In guisa che un'eventuale
discrasia tra il dato reale e quello formale comporterà l'inefficacia della
dichiarazione stessa.
L'interprete deve utilizzare quale guida interpretativa la stella polare della
"simmetria informativa" e ricostruire il singolo regolamento
contrattuale conformemente al significato che meglio si adegua alla situazione
conoscitiva reale. Eventuali nodi interpretativi devono cioè essere sciolti
mediante l'analisi dell'ambiente socio-economico in cui l'assetto di interessi
si è realizzato.
Le tesi ricordate, talvolta mediate da soluzioni di compromesso39, non sono
allora il risultato di una schizofrenia giudiziale, bensì un particolare luogo
della tensione tra autonomia ed eteronomia nel settore dell'intermediazione
finanziaria.
Ai nostri fini, è interessante evidenziare gli sviluppi normativi successivi a
sèguito dell'applicazione in Italia della Direttiva MiFID. Sviluppi che danno
il senso del percorso seguito dal legislatore.
Diversamente da quanto avveniva sotto la vigenza della precedente disciplina, la
disapplicazione delle disposizioni a tutela del cliente al dettaglio non
richiede più il mero rilascio di una dichiarazione attestante il possesso di
determinati requisiti, ma è espressamente sottoposta al positivo esperimento da
parte dell'intermediario della valutazione della competenza, dell'esperienza e
delle conoscenze del cliente, all'esito della quale l'intermediario possa
ragionevolmente ritenere, considerata anche la natura delle operazioni e dei
servizi previsti, che il cliente sia in grado di adottare consapevolmente le
proprie decisioni in materia di investimenti comprendendo i rischi che con le
stesse assume. Si lascia, in altri termini, all'intermediario il compito di
adottare tutte le misure ragionevoli per accertarsi che il cliente che chiede
di essere considerato professionale sia realmente tale. E l'interprete dunque
sarà tenuto a svolgere ex post esattamente lo stesso compito che viene affidato
ex ante all'impresa di investimento.
In sintesi, si è scelto apertamente la strada eterodeterminata dell'effettività
della conoscenza, soppiantando definitivamente il principio
dell'autoresponsabilità che giustificava la rilevanza giuridico-sociale della
dichiarazione.
5.2. Segue. Il dovere di informarsi e l'effettiva realtà sociale e conoscitiva
della fattispecie
Come ricordato, la disciplina di settore introduce un corpo di norme a presidio
della trasparenza e della correttezza dei comportamenti degli intermediari che
incide sia sul contratto-atto sia sul contratto-rapporto.
La ricca costellazione di regole di dettaglio ruota principalmente intorno alla
disciplina dell'art. 21, comma 1, lett. b) del Testo Unico della Finanza, che
tratteggia le due tipologie principali di flussi informativi, attivi e passivi,
che segnano i rapporti negoziali tra le parti. La disposizione, come noto,
stabilisce che nella prestazione dei servizi di investimento e accessori gli
intermediari devono "acquisire le informazioni necessarie dai clienti e
operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati".
Si tratta di una disposizione, come correttamente osservato dalla Prima Sezione
della Cassazione nella sentenza 25 giugno 2008, n. 17340, che assoggetta
"la prestazione dei servizi di investimento ad una disciplina diversa e
più intensa rispetto a quella discendente dall'applicazione delle regole di
correttezza previste dal codice civile" (nostro il corsivo)40.
La prima norma della disposizione inverte, rispetto alla tradizionale visione
della disclosure, la direzione del flusso informativo tra le parti di una
relazione negoziale.
L'intermediario non può limitarsi a informare il cliente, ma deve informarsi
sul profilo finanziario (si tratta della c.d. know your customer rule, anche
conosciuta come "l'undicesimo comandamento di Wall Street").
Solo per tale via gli intermediari possono rispettare effettivamente la c.d.
suitability rule41, che impone a loro carico e a favore della clientela un
dovere di assistenza che si traduce, in sintesi, in una preventiva valutazione
dell'adeguatezza delle operazioni in relazione alla situazione e alla
caratteristiche della clientela stessa, con l'obbligo di astenersi (regola di
adeguatezza) o di sconsigliarne l'effettuazione (regola di appropriatezza) nel
caso in cui tale valutazione evidenzi profili di criticità.
L'essenza stessa della norma costituisce una vera e propria rivoluzione
epistemologica, trattandosi di un dovere sconosciuto al diritto comune; e dà
ulteriore significato alle riflessioni teoriche svolte in merito alle scelte
positive che si muovono nella direzione di plasmare la relazione negoziale alla
luce dell'effettiva realtà sociale e conoscitiva della fattispecie.
L'esigenza fortemente avvertita nella prassi finanziaria di garantire maggior
snellezza al rapporto tra le parti e consentire all'intermediario di adempiere
a siffatto dovere senza sopportare eccessivi costi ha indotto la Consob a
intervenire in sede di interpretazione autentica42, invero non senza forti
ambiguità.
La Commissione ha per tale via legittimato l'utilizzo di moduli prestampati per
reperire le informazioni in esame (la c.d. "scheda cliente" o
"scheda informativa"); e ciò pur tuttavia sul presupposto che vi sia
stata comunque una preventiva interazione tra le parti e che le informazioni
siano state raccolte prima dell'inizio della prestazione del servizio.
Nella ricostruzione della normativa la giurisprudenza di merito, conformemente
a quanto detto nella prima parte del lavoro, ha dimostrato diverse sensibilità
- rilevanti sul piano della valutazione dell'adeguatezza -, a seconda degli occhiali
utilizzati nella analisi del caso di specie.
E così da una parte si è consolidato un orientamento attento a riconoscere
validità ed efficacia alle dichiarazioni (pre)compilate e sottoscritte dal
cliente, conformemente al tipo normale di comportamento e standard valutativo
socialmente accettato nella prassi bancaria e finanziaria; pur lasciando
margini di azione tra le strettoie rimediali di diritto comune.
Spetta cioè al dichiarante il rischio di una dichiarazione non conforme alla
reale volontà o di una dichiarazione non voluta (cfr. supra).
Dall'altra, si è contrapposto un filone giurisprudenziale attento a considerare
le reali caratteristiche del cliente desumibili dalle circostanze della
fattispecie, secondo il modello ormai noto della simmetria informativa, e a
sanzionare, se necessario, con l'inefficacia ex officio le mere clausole di
stile43.
La nuova disciplina normativa in materia di raccolta di informazioni dei
clienti ai fini del rispetto delle nuove regole di adeguatezza e appropriatezza,
pur muovendosi nell'ambito della procedimentalizzazione del rapporto, è più
attenta ad assicurare che ogni elemento relativo alla conoscenza ed esperienza
della clientela sia coerente con il reale bagaglio conoscitivo
dell'investitore.
Ogni dato è richiesto con precisione e si basa su una indagine analitica della
posizione del cliente in relazione alla natura e all'importanza del servizio,
del prodotto e dell'operazione. Il criterio della diligenza viene elevato
notevolmente rispetto al regime previgente riducendosi, per tale via, il
margine di rischio di una raccolta incompleta o non coerente. L'intermediario
viene inoltre gravato dell'obbligo di non fare affidamento sulle informazioni
fornite che siano manifestamente superate, inesatte o incomplete.
Viene, in altri termini, ammesso un controllo sostanziale della fattispecie
negoziale in funzione della tutela del contraente istituzionalmente debole.
5.3. Segue. Il dovere di informare. L'intensità e la durata degli obblighi
informativi
Contraddizioni non dissimili a quelle già evidenziate si colgono, mutatis
mutandis, in relazione all'interpretazione della seconda norma contenuta nella
disposizione in esame.
Un primo elemento viene subito in considerazione e riguarda l'intensità e la
durata degli obblighi informativi nell'ambito della dinamica della relazione
negoziale alla luce dell'obbligo degli intermediari di operare in modo che i
clienti siano sempre adeguatamente informati.
L'inciso è stato utilizzato dalla giurisprudenza più sensibile ai problemi di
asimmetria informativa per estendere i doveri di "assistenza"
(informativa) a carico dell'intermediario e a favore della clientela al corso
della vita di tutto il rapporto contrattuale.
È stato sostenuto, ad esempio, che l'intermediario deve informare il cliente
sull'andamento del titolo anche successivamente all'acquisto44. E così, nel
caso di un pesante ribasso registrato sui mercati del valore degli strumenti
finanziari acquistati nell'ambito di un contratto quadro di negoziazione,
spetta all'impresa di investimento informare tempestivamente gli investitori
per metterli nelle condizioni di prendere le misure più opportune45. Solo per
tale via i clienti sono effettivamente in grado di operare "consapevoli
scelte di investimento o di disinvestimento"46.
Non è difficile scorgere in tali argomentazioni la teorica della
"autonomia assistita" (o dell'eteronomia) orientata ad assicurare una
tutela informativa effettiva al cliente, anche a costo di contrastare con gli
schemi negoziali che sembrerebbero di converso escludere un regime informativo
così invasivo in relazione ai servizi relativi ai contratti di negoziazione,
ricezione e trasmissione ordini, nonché mediazione.
Proprio prendendo spunto da quest'ultimo argomento, si è escluso che gravi
sull'intermediario un obbligo specifico di monitorare l'andamento dei titoli al
fine di informare l'investitore non qualificato sulle eventuali conseguenze nel
caso di mantenimento della posizione47. Tale obbligo infatti graverebbe
l'intermediario esclusivamente nelle ipotesi di gestione di portafogli o di
erogazione di un servizio di consulenza, mentre nelle altre ipotesi siffatti
doveri informativi si esauriscono nella fase che precede l'acquisto48.
A prescindere dai riferimenti alle fattispecie negoziali, tale interpretazione
si muove nella diversa logica dell'autonomia che deve essere salvaguardata a
qualunque costo, anche se il regolamento pattizio assume un contenuto non del
tutto aderente all'interesse di una parte (e del mercato). E comunque il
criterio della simmmetria informativa non può essere così invasivo da
legittimare un'ermeneutica della giustizia contrattuale potenzialmente lesiva
delle formali regole del gioco.
Seguendo questa impostazione, traslando il problema sul piano della
fattispecie, l'obbligo di informare sempre e adeguatamente il cliente si
esaurisce nell'obbligo di rispettare i doveri informativi scanditi dalla
normativa regolamentare nelle diverse fasi contrattuali. E dunque nell'obbligo
(precontrattuale) di consegnare il documento sui rischi generali degli
investimenti in strumenti finanziari, di acquisire adeguate informazioni sui
prodotti negoziati (know your merchandise rule) e sui clienti (know your
customer rule); nell'obbligo di redigere un contratto quadro conforme alla
disciplina di settore; nell'obbligo (attinente alla fase esecutiva) di inviare
le rendicontazioni delle operazioni, etc.
Giova peraltro ricordare che le due diverse interpretazioni sono il frutto
dell'equivoco in ordine alla nozione di consulenza incidentale o frizionale non
idonea, nel previgente regime, ad essere ricondotta al servizio (accessorio) di
consulenza in materia di investimenti.
La disciplina della riforma ha innovato anche sotto questo aspetto, ipotecando
così la prima delle due tesi richiamate. E difatti la nozione di consulenza -
che ritorna (nuovamente) ad essere un servizio di investimento - appare
certamente idonea, anche grazie all'interpretazione della Commissione, a
ricomprendere quelle fattispecie che nel regime previgente venivano declassate
ad ipotesi non rilevanti sul piano della disciplina di settore. Come
correttamente puntualizzato dalla Consob, solo in via astratta non è escluso
"che i servizi di collocamento o di ricezione e trasmissione ordini (o di
esecuzione di ordini o negoziazione per conto proprio) siano posti in essere
senza essere accompagnati da consulenza"49. Il che significa a contrario
che in concreto tutti i servizi di negoziazione ed esecuzione si accompagnano
ad una consulenza in materia di investimenti, con l'attivazione di quei doveri
di assistenza continua in cui si traduce la disciplina della adeguatezza
applicabile al servizio in questione (ma cfr. infra).
5.4. Segue. La forma informativa: tra neo-formalismo negoziale e adeguatezza
dell'informazione
Come noto, l'intera disciplina delle regole di condotta è immersa nella
filosofia del c.d. neo-formalismo negoziale50. L'idea di fondo è quella di
assicurare al cliente, tramite il contratto e le prescrizioni informative che
si applicano in tutte le fasi negoziali, una maggior consapevolezza circa il
servizio di investimento erogato dall'intermediario51.
L'idea di una "forma informativa"52 ha presto dimostrato forti limiti
oggettivi quando si è misurata con il dato reale; e in particolare si è
prestata ad utilizzi strumentali.
Una parte degli interpreti ha comunque escluso, in linea generale, la
possibilità di individuare spazi sanzionatori nell'ambito dell'atto e degli
altri requisisti formali previsti dalla normativa. Non vi sarebbero margini
ulteriori per l'accertamento di un comportamento negligente (o doloso). Viene
cioè completamente estromesso il criterio della simmetria informativa, anche a
discapito dell'interesse posto a presidio dello stesso formalismo, ovvero la
tutela del cliente non sofisticato e, più in generale, l'integrità del mercato.
È infatti noto che la forma è un mezzo (sovente inadeguato) per raggiungere
l'obiettivo del riequilibrio conoscitivo del rapporto.
Usando il diverso prisma della simmetria informativa e dell'effettività delle
regole, va invece scongiurato il rischio che l'assolvimento degli
standardizzati obblighi informativi venga assunto come prova della
consapevolezza del cliente, così da non giustificarsi un'ulteriore tutela
eteronoma a fronte di un presunto riequilibrio del rapporto.
Come è stato correttamente osservato da un giudice di merito "gli obblighi
informativi dell'intermediario possono dirsi concretamente adempiuti solo
quando l'investitore abbia pienamente compreso le caratteristiche
dell'operazione atteso che la conoscenza deve essere una conoscenza
effettiva" (nostro il corsivetto)53.
In tale ottica, viene in rilievo il concetto di "adeguatezza" che
riecheggia all'art. 21, comma 1 lett. b) del TUF, che riprende, sulla base di
un fenomeno di circolazione di modelli l'analogo concetto d'oltre oceano di
material fact elaborato dalle corti e dalla SEC nell'esercizio della funzione
disciplinare54.
Tale criterio consente, infatti, a prescindere dalle aprioristiche
specificazioni della Consob, valutazioni discrezionali circa la definizione
degli obblighi informativi, rimesse in prima battuta all'intermediario e in
secondo luogo all'interprete. Vi è spazio anche in Italia per
un'interpretazione elastica della disciplina dell'informazione che vada nella
direzione sia di rafforzare le regole informative previste a livello
regolamentare sia di attenuarne la rigidità.
Il riferimento all'adeguatezza presuppone in sintesi che le informazioni
debbano essere modellate dall'intermediario alla luce delle peculiarità del
rapporto con il cliente, di guisa che, a seconda della controparte, l'operatore
finanziario dovrà calibrare diversamente gli obblighi informativi, soddisfando
le specifiche esigenze informative proprie del singolo rapporto55.
Si tratta di una impostazione ribadita con fermezza dal legislatore comunitario
con la direttiva n. 39/04, laddove impone alle imprese di investimento di
fornire "ai clienti o potenziali clienti informazioni appropriate e in una
forma comprensibile" su tutti gli elementi rilevanti, in modo da metterli
nelle condizioni di "prendere le decisioni in materia di investimenti con
cognizione di causa".
5.5. Segue. Le regole di adeguatezza dell'operazione finanziaria
Un'ultima regola merita di essere ricordata nello studio della tensione tra
autonomia privata e formazione eteronoma del regolamento contrattuale. Si
tratta in particolare della regola dell'adeguatezza delle operazioni.
L'art. 29, comma 1 del previgente Regolamento Consob n. 11522/98 disponeva che
le imprese di investimento "si astengono dall'effettuare con o per conto
degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o
dimensione ". E ciò, stabiliva il comma 2 dello stesso articolo, sulla
base delle "informazioni di cui all'art. 28 e di ogni altra informazione
disponibile in relazione ai servizi prestati".
In prima battuta, l'ordinamento giuridico gravava gli intermediari di un vero e
proprio obbligo di astensione; apparentemente l'intermediario si sostituiva
all'investitore, impedendo a quest'ultimo di porre in essere operazioni
inadeguate. Invero, l'art. 29, comma 3 riportava la regola in esame sui binari
della disciplina informativa: gli intermediari, quando ricevevano da un
investitore disposizioni relative ad una operazione non adeguata, lo
informavano di tale circostanza e delle ragioni per cui non era opportuno
procedere all'esecuzione dell'ordine. Qualora l'investitore intendesse comunque
dar corso all'operazione, le imprese di investimento potevano eseguirla a
condizione che venisse impartito un ordine per iscritto, ovvero, nel caso di
ordini telefonici, che l'ordine venisse registrato su nastro magnetico o su
altro supporto equivalente, in cui fosse fatto esplicito riferimento alle
avvertenze ricevute.
Se si vuole scandire il previgente disposto regolamentare, si possono
individuare tre norme, intimamente connesse l'una all'altra, che operano in
progressione: a) regola di astensione. Se l'operazione è considerata inadeguata
l'intermediario si astiene dall'effettuarla; b) regola informativa. Gli
intermediari procedono contestualmente all'applicazione della regola di cui
alla lettera a) ad informare l'investitore dell'anomalia riscontrata e delle
specifiche ragioni dell'astensione; c) regola di garanzia. Se l'investitore,
nonostante l'informativa di cui alla lettera b) vuole procedere
nell'investimento, potrà farlo a condizione che impartisca (nuovamente)
l'ordine per iscritto (o se l'ordine è dato telefonicamente previa
registrazione) ove si faccia esplicitamente riferimento alle avvertenze
ricevute56.
Anche tale disposizione è stata oggetto di numerose interpretazioni tributarie
dei paradigmi utilizzati nell'analisi, e quindi più o meno sensibili alla
valutazione concreta della consapevolezza dell'investitore.
Così, a titolo meramente esemplificativo, vi è chi ha sostenuto che
l'avvertimento all'investitore in merito all'inadeguatezza deve essere
specifico, analitico, in modo da porre il cliente nelle condizioni di
comprendere l'effettiva portata dell'operazione posta in essere e la sua
inadeguatezza rispetto al proprio profilo di rischio. Dall'altra, invece, non
sono mancate sentenze che hanno ritenuto sufficiente, ai fini del rispetto
dell'art. 29 del Regolamento Intermediari, un generico avviso di inadeguatezza
stampato sul modulo dell'ordine; ovvero, vi è chi ha ritenuto di dover
escludere un obbligo di valutazione dell'adeguatezza nel caso in cui il
servizio prestato si limitasse alla mera esecuzione o trasmissione degli ordini
dell'investitore; e così via.
Particolarmente interessante nella prospettiva dell'indagine si appalesa
l'evoluzione legislativa in materia di adeguatezza.
Il legislatore comunitario ha seguito con la Direttiva MiFID la strada del
"doppio binario": da una parte, viene ribadita, anzi rinforzata, la
previgente disciplina dell'adeguatezza delle operazioni finanziarie nell'ambito
del servizio di gestione di portafogli e del nuovo servizio di (investimento
di) consulenza. La suitability rule viene estromessa dal mondo
dell'informazione; dall'altra, viene per contro ammorbidita/annacquata la
disciplina di riferimento per gli altri servizi di investimento (negoziazione
per conto proprio, esecuzioni di ordini per conto dei clienti, ricezione e
trasmissione di ordini, assunzione a fermo di strumenti finanziari e/o
collocamento di strumenti finanziari sulla base di un impegno irrevocabile,
collocamento di strumenti finanziari senza impegno irrevocabile) diventando
regola di appropriatezza, fino a scomparire, in presenza di determinati
presupposti, nell'ambito dei c.d. servizi di execution only (ricezione e
trasmissione di ordini - che ricomprende anche la mediazione - esecuzione di
ordine per conto terzi).
Invero, come si è avuto modo di anticipare, nel nuovo regime si è accolta una
nozione di consulenza così ampia da indurre l'Autorità di Vigilanza ad
escludere, in concreto, la possibilità di configurare servizi di negoziazione,
esecuzione e collocamento, etc. privi della componente consulenziale. Con
l'ovvia conseguenza, peraltro confermata dalla più recente prassi bancaria, che
ogni servizio di investimento è oggi assistito dalla nuova regola
dell'adeguatezza.
Assunte (necessariamente) tutte le informazioni indicate, gli intermediari,
tenuto conto della natura e del servizio fornito, "valutano che la
specifica operazione consigliata o realizzata (...) soddisfi i seguenti
criteri: a) corrisponda agli obiettivi di investimento del cliente; b) sia di
natura tale che il cliente sia finanziariamente in grado di sopportare
qualsiasi rischio connesso all'investimento compatibilmente con i suoi
obiettivi di investimento; c) sia di natura tale per cui il cliente possieda la
necessaria esperienza e conoscenza per comprendere i rischi inerenti
all'operazione o alla gestione del suo portafoglio" (nostro il corsivetto)
Qualora il cliente non rilasci le informazioni per procedere alle necessarie
valutazioni o comunque l'operazione non risulti adeguata, l'intermediario non
potrà dar sèguito all'operazione. Come dire, il nuovo regime dell'adeguatezza è
governato da un'unica regola, quella dell'astensione. Se l'operazione è
considerata inadeguata, l'intermediario si astiene infatti dall'effettuarla.
Punto.
In termini di politica del diritto, la scelta è chiara. La regola
dell'adeguatezza assume un diverso significato giuridico. Da regola informativa
espressione del riconoscimento della libertà dell'investitore di
autodeterminarsi, con le cautele richiamate, nel mercato finanziario diviene
regola di solidarietà57. La disparità informativa tra le parti incide
direttamente sull'autonomia privata in guisa che l'intangibilità della volontà
individuale cede definitivamente il passo all'esigenza di tutela del risparmio.
Detto altrimenti, esigenze efficientistiche e di utilità sociale giustificano
l'incursione nel dogma dell'intangibilità della volontà contrattuale58.
6. Osservazioni conclusive
Gli esempi riportati dimostrano l'attualità del problema della tensione tra
libertà formale e controllo sostanziale nel contratto, tra attività privata e
ordine giuridico, tra contratto e legge.
Si è già sottolineata la necessità di un intervento regolamentare sulla
presunta insufficienza del mercato a garantire un adeguato livello di tutela
del risparmio e di efficienza.
L'assunto è che solo assicurando normativamente un livello di tutela superiore
a quello connesso alle libere forze del mercato - che nel contratto trovano il
loro epicentro - si raggiungono gli obiettivi indicati, canalizzando le risorse
finanziarie dalle unità in avanzo a quelle in disavanzo, ovvero verso gli
impieghi più produttivi.
Gli obiettivi della regolamentazione in materia di regole di condotta
rappresentano infatti la traslazione degli obiettivi più generali che
giustificano l'intervento pubblico in economia e che riguardano il
conseguimento di una "equa" distribuzione delle risorse e
dell'efficienza del sistema.
In questo senso, si giustifica la sostituzione del principio formale di libertà
contrattuale con il principio della formazione eteronoma del regolamento
negoziale.
Questo processo, apparentemente legato a un percorso Politico (sic), trova
invero un preciso riscontro nella scienza economica e, in particolare, nel
criterio della (a)simmetria informativa: la distribuzione asimmetrica delle
informazioni finanziarie è causa di azioni opportuniste a loro volta causa dei
c.d. market failures.
Tale criterio ci consente allora di preferire in chiave gius-economica alle
regole dispositive quelle regole imperative, distributive, che limitano
l'attuazione di impegni negoziali che non scaturiscono dalla reale volontà
delle parti e che non rappresentano quindi scambi efficienti, idonei a produrre
quel surplus cooperativo motore dei contratti finanziari.
Sulla base di tale presupposto, la disciplina degli obblighi di informazione
nell'ambito del rapporto (pre)-negoziale è stata investita dall'incessante
opera del legislatore, che con la Direttiva MiFID ha portato a termine un
percorso finalizzato ad archiviare i principi dell'autonomia privata e
dell'autoresponsabilità dell'investitore nella determinazione dei propri
rapporti.
L'obiettivo è semplicemente quello di creare un contratto giusto, efficiente,
ove una parte non può approfittare della propria posizione di vantaggio
conoscitivo. L'efficienza ci suggerisce infatti di rimuovere lo squilibrio
conoscitivo e sostituire alla formale libertà contrattuale la libertà contrattuale
sostanziale, a vantaggio di entrambe le parti.
Al fattore legislativo ha fatto seguito, come si è avuto modo di dimostrare,
una giurisprudenza (di merito) sovente coraggiosa, che ha saputo proporre un
controllo della meritevolezza del regolamento negoziale alla luce del principio
della "simmetria informativa" nell'ambito del singolo rapporto.
Non sono tuttavia mancati indirizzi contrastanti, che hanno invece preferito
risolvere il problema della meritevolezza a un livello diverso, ricercando nei
principi tradizionali dell'autonomia e dell'autoresponsabilità le risposte del
controllo; e che hanno conseguentemente frammentato il sistema.
In questo scenario, le istanze che affiorano nella realtà sociale, economica e
di mercato non sono pienamente soddisfatte dall'intervento del legislatore e
della giurisprudenza.
Spetta allora alla scienza giuridica il compito di esprimere e tradurre in
principi le ideologie e i valori che si celano dietro le scelte istituzionali.
Tutto ciò comporta ovviamente il ricorso a nuovi modelli ermeneutici59.
Quello della "simmetria informativa", a nostro giudizio, consente di
soddisfare l'esigenza di reductio ad unitatem del sistema: la dottrina può
recuperare un senso delle formule della giurisprudenza e, seguendo il percorso
tracciato dal legislatore, riconciliare quelle discordanti.
1) Cfr. AA.VV., Le nouveau droit des marchés financiers en France, Bull. Joly,
n. 11-bis, 1990; F. Annunziata, Regole di comportamento degli intermediari e
riforme dei mercati mobiliari, Milano, 1993, pagg. 39 e ss.
2) Cfr. M. Blair, Financial Services: The New Core Rules, London, 1991.
3) Per un primo commento cfr. C. Coltro Campi, La nuova disciplina
dell'intermediazione e dei mercati mobiliari, Torino, 1991. Con specifico riguardo
ai contratti di investimento G. De Nova, Il contratto di investimento in valori
mobiliari dopo la legge SIM e i regolamenti CONSOB «di esecuzione», in Bessone
e Busnelli (a cura di), La vendita «porta a porta» dei valori mobiliari,
Milano, 1992.
4) Una chiara evoluzione della normativa europea in N. Moloney, EC Securities
Regulation, Oxford, 2002. M. G. Warren, European Securities Regulation, Kluwer
Law International, 2003.
5) Cfr. AA. VV., L'attuazione della direttiva MiFID in Italia, Bologna, in corso
di pubblicazione.
6) Cfr. D. Maffeis, Contro l'interpretazione abrogante della disciplina
preventiva del conflitto di interessi (e di altri pericoli) nella prestazione
del servizio di investimento, in Riv. dir. civ., 2007, pagg. 71 e ss.
7) Per uno studio sistematico sul tema dell'asimmetria informativa in diritto
privato cfr. M. De Poli, Asimmetrie informative e rapporti contrattuali,
Padova, 2002; A. C. Nazzaro, Obblighi di informare e precedimenti contrattuali,
Napoli, 2000; D. Valentino, Obblighi di informazione, contenuto e forma
negoziale, Napoli, 1999; A. M. Musy, Il dovere di informazione. Saggio di
diritto comparato, Trento, 1999; G. Grisi, L'obbligo precontrattuale di
informazione, Napoli, 1990.
8) Sull'argomento sia consentito rimandare a F. Sartori, Le regole di condotta
degli intermediari finanziari. Disciplina e forme di tutela, Milano, 2004.
9) Il tema come noto è stato studiato dai comparatisti italiani. Cfr. ad
esempio G. Gorla, Il contratto, Milano, 1954, vol. I; C. A. Cannata, A. Gambaro,
Lineamenti di storia della giurisprudenza europea, Torino, 1976; P.G. Monateri,
La Sineddoche. Formule e regole nel diritto delle obbligazioni e dei contratti,
Milano, 1984; R. Sacco, G. De Nova, Il Contratto, in Trattato Sacco, Torino,
1993, vol. I; da ultimo A. M. Musy, Il dovere di informazione. Saggio di
diritto comparato, cit.. Ma cfr. anche J.P. Dawson, The Oracles of the Law, Ann
Arbor, 1968; P. H. Atiyah, The Rise and the Fall of Freedom of Contract,
Oxford, 1979.
10) Cfr. G. Stigler, L'economia dell'informazione, in Mercato, informazione,
regolamentazione, Bologna, 1994, pag. 217.
11) Cfr. M. Onado, Mercati e intermediari finanziari. Economia e
regolamentazione, Bologna, 2000.
12) Ibidem.
13) Sulla nozione civilistica di strumento finanziario cfr. G. La Rocca,
Autonomia privata e mercato dei capitali. La nozione civilistica di
"strumento finanziario", Torino, ed. 2009.
14) Cfr. la recente Comunicazione Consob n. 9019104 del 2 marzo 2009 reperibile
nella sezione "archivio news" di www.dirittobancario.it/.
15) cfr. E. Fama, Efficient Capital Markets: A Review of the Theory and
Empirical Work, 25 J. Fin., 833 (1970); in chiave critica cfr., ad esempio, R.
Gilson, R. Kraakman, The Mechanisms of Market Efficiency, 70 Va. L. Rev., 549
(1984); A. Shleifer, L. Summers, New Critiques of the Efficient Market
Hypothesis, 4 J. Econ. Perspective, 19 (1990); L. Cunningham, From Random Walks
to Chaotic Crashes: The Linear Genealogy of the Efficient Capital Market
Hypothesis, Cardozo Law School, Public Law and Legal Theory Research Paper
Series, 2000, disponibile on line all'indirizzo www.ssrn.com.
16) Cfr. G. Akerlof, The Market for "Lemons": Quality Uncertainity
and the Market Mechanism l, in 84 Q. J. Econ., 488 (1970), che ha fruttato
all'autore il premio Nobel per l'economia.
17) Cfr. J. Stiglitz, Information and Economic Analysis: a Perspective,
Conference Papers. Supplement to the 95 "Economic Journal", (21)
1985. Come è stato dimostrato, applicando il modello di Akerlof al settore
finanziario, nel caso di incertezza sulla qualità e la veridicità
dell'informazione, l'investitore (razionale e neutrale al rischio) tende a
confondere la qualità degli strumenti finanziari negoziati (sulle diverse
piattaforme), riducendone indifferentemente il prezzo di acquisto. Come è
agevole comprendere, l' "equilibrio unico" del prezzo innesca un circolo
vizioso che tende ad escludere dal mercato gli emittenti professionali non
adeguatamente compensati dal mercato stesso. È un tipico caso di selezione
avversa. Siffatto fenomeno, almeno nella ricostruzione teorica ricordata, porta
ad una progressiva e indifferente riduzione del prezzo degli strumenti
finanziari negoziati sulla base della conseguente revisione da parte
dell'investitore del valore atteso dei titoli e l'ineluttabile collasso finale:
"«Lemons» will dominate the market [...] Investors and society both
lose". Cfr. F. H. Easterbrook, D. R. Fishel, The Economic Structure of
Corporate Law, Harvard University Press, Cambridge MA, 1991, nonché per la
letteratura italiana A. Perrone, Informazione al mercato e tutele
dell'investitore, Milano, 2003, pag. 3, ove una esauriente bibliografia (nt.
4).
18) Per usare le parole di un economista: "tutti i produttori di
informazioni coinvolti nelle vicende citate hanno con efficacia contribuito a
rendere i mercati per nulla trasparenti: è stato il trionfo delle asimmetria
informative (...) a danno dei mercati", testualmente F. Cavazutti, La
trasparenza dei mercati finanziari, in Banca, impr. soc., 2004, pag. 426.
19) L'informazione, ci ricorda una dottrina che si è occupata del tema,
"appare (...) come un bene sempre più prezioso che necessita di crescente
attenzione anche da parte dei giuristi". Cfr. P. Gallo, Asimmetrie
informative e dovere di informazione, in Riv. dir. civ., 2007, pag. 644.
20) Per la mutazione della realtà economica e sociale e le conseguenti
influenze sul sistema normativo cfr. P. Perlingieri, Nuovi profili del
contratto, in Rass. dir. civ., 2000, pagg. 545 e ss.
21) Nella prospettiva del metodo, giova riportare un passo di un autorevole
civilista ove si evidenzia che"[s]e la categoria è il risultato di una
generalizzazione ricavata dalla lettura della norma, essa può essere utile per
interpretare la norma. In un momento storico come quello attuale, nel quale la
normativa non è stabile, non è consolidata, non è sicura, è quantomeno
problematico utilizzare le categorie tradizionali per leggere le norme. Esse,
piuttosto, vanno abbandonate in quando rappresentano un ostacolo alla
ragionevole decisione del problema concreto, tentando di fondare nuove
categorie che siano più adeguate alle esigenze normative". Così P.
Perlingieri, Metodo, categorie, sistema nel diritto del commercio elettronico,
in ID., Il diritto dei contratti fra persona e mercato. Problemi del diritto
civile, Napoli, 2003, pagg. 363 e 364, già pubblicato in Commercio elettronico
e categorie civilistiche, S. Sica e P. Stanzione (a cura di), Milano, 2002,
pagg. 9 e ss.
22) Cfr. A. Musy, Il dovere di informazione, cit.
23) Ibidem, pagg. 157 e ss.
24) La letteratura sul punto è ampia quanto autorevole: essenziale, P.
Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 1984.
25) Il tema è approfondito in chiave storica da R. Di Raimo, Autonomia privata
e dinamiche del consenso, Napoli, 2003.
26) Cfr. F. Messineo, voce Contratto, Enc. dir., Milano, 1961; V. Spagnuolo
Vigorita, Figure di programmazione economica imperativa e costituzione, in Il
diritto dell'economia, 1961, pagg. 1032 e ss.; L. Mengoni, Programmazione e
diritto, in Justitia, 1966, pagg. 92 e ss.; P. Rescigno, L'autonomia dei
privati, in Justitia, 1967, pagg. 3 e ss; S. Rodotà, Le fonti di integrazione
del contratto, Milano, 1963, pagg. 31 e ss.; G. B. Ferri, L'ordine pubblico
economico, in Riv. dir. comm., 1963, pagg. 464 e ss.
27) Cfr. A. Gentili, Disinformazione e invalidità: I contratti di
intermediazione dopo le Sezioni Unite, Nota a Cass. sez. un. civ. 19 dicembre
2007, n. 26724; Cass. sez. un. civ. 19 dicembre 2007, n. 26725, in Contratti,
2008, pagg. 393 e ss.; A. Perrone, Gli obblighi di informazione nella
prestazione dei servizi di investimento, in BBTC, 2006, pagg. 372 e ss.; F.
Sartori, La (ri)vincita dei rimedi risarcitori nell'intermediazione
finanziaria: note critiche, Note a Cas. sez. un. Civ. 19 dicembre 2007, n.
26725, in Dir. fall. soc. comm., 2008, pagg. 1 e ss..
28) Il passaggio si coglie bene, in termini generali, in R. Di Raimo, Autonomia
privata e dinamiche del consenso, pagg. 140 e ss.
29) Il tema del paternalismo nel diritto privato è affrontato recentemente da
R. Caterina, Paternalismo e antipaternalismo nel diritto privato, in Riv. dir.
civ., 2005, pagg. 771 e ss.
30) Cfr. P. Perlingieri, Il diritto privato europeo, in ID., Il diritto dei
contratti fra persona e mercato. Problemi del diritto civile, cit., pag. 493,
che utilizza a tal fine il principio di sussidiarietà come sancito dall'art.
118 della Costituzione.
31) Cfr. E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1960.
32) M. C. Bianca, Diritto Civile, Il Contratto, Trattato di diritto civile,
III, 2000.
33) In tale circostanza, infatti, una protezione paternalistica sarebbe
pregiudizievole per il mercato: l'investitore diverrebbe una sorta di free
rider, ovvero un catalizzatore di esternalità positive, immune dalle
conseguenze negative (dai costi) connesse(i) alle scelte strategiche
effettuate. Si aggiunga, inoltre, che l'applicazione delle regole di condotta
ad investitori esperti potrebbe ritorcersi, da un lato, contro gli stessi
risparmiatori, assoggettati contro volontà ad una disciplina ingessante e
dispendiosa e, dall'altro, contro gli intermediari, costretti a sopportare i
maggiori costi derivanti dall'adeguamento della loro condotta a regole
puntigliose e stringenti. Cfr. U. Mattei, Il nuovo diritto europeo, tra
efficienza ed eguaglianza. Regole dispositive, inderogabili e coercitive, in
Riv. crit. dir. priv., 1999, pagg. 61 e ss.
34) In questo senso il legislatore comunitario aveva accolto le valutazioni già
effettuate in giurisprudenza dalla Corte di Giustizia, che nella causa
C-205/84, Commissione/Germania, aveva avuto modo di evidenziare come le misure
tese a proteggere la parte debole di un contratto non erano idonee a soddisfare
il criterio dell'interesse generale, qualora la controparte fosse un operatore
professionale.
35) Fra l'altro, già prima dell'emanazione della Direttiva n. 93/22/CEE, con il
Regolamento del 2 luglio 1991, n. 5387 la Commissione aveva introdotto
semplificazioni e snellimenti delle regole procedurali applicabili nei rapporti
con gli operatori professionali.
36) Il tema è stato da ultimo affrontato con diverse prospettive di indagine,
tra gli altri, da C. Motti, L'attestazione della qualità di operatore
qualificato nelle operazioni in strumenti derivati fra banche e società non
quotate, nota a App. Milano 12 ottobre 2007 e Trib. Torino 12 ottobre 2007, in
Giur. it., 2008, 5, 1167; B. Inzitari, Strumentalità e malizia nella
predisposizione e raccolta della dichiarazione di operatore qualificato,
Relazione al Convegno «I contratti di negoziazione di strumenti finanziari»,
organizzato dal Consiglio Superiore della magistratura - Formazione Decentrata
dei Magistrati del Distretto di Brescia in collaborazione con l'Ordine degli
avvocati di Mantova, tenutosi in Mantova, 30 novembre 2007, edita in IL
CASO.it, II, 87, http://www.ilcaso.it/; E. Rimini, Contratti di swap e
"operatori qualificati", nota a ord. Trib Milano 3 aprile 2004, in
Giur. comm., 2004, pagg. 532 e ss..
37) Inizialmente, fra l'altro, il Tribunale e la Corte d'Appello di Milano,
quindi, in via del tutto casuale, il Tribunale di Cuneo, Tribunale di Forlì,
Tribunale di Trento, Tribunale di Verona, Tribunale di Mantova, Tribunale di
Isernia, Tribunale di Rimini. Dati aggiornati sono raccolti in IL CASO.it,
http://www.ilcaso.it/.
38) Recentemente va segnalata la sentenza della Corte d'Appello di Milano del
13 novembre 2008, che ha ipotecato un cambiamento (non soltanto) all'interno
del Foro ambrosiano. Accolgono questa impostazione, fra l'altro, il Tribunale e
la Corte d'Appello di Torino, il Tribunale di Novara, la Corte d'Appello di
Trento, il Tribunale di Vicenza, il Tribunale di Rovigo.
39) Cfr. Tribunale di Milano 15 ottobre 2008, ove si è ad esempio ritenuta
sufficiente la dichiarazione del legale rappresentante in merito ai requisiti
richiesti purché "il cliente corporate sia stato adeguatamente informato
delle conseguenze contrattuali che discendono dalla dichiarazione resa ai sensi
dell'art. 31".
40) In Foro it., 2009, I, 189.
41) Per una introduzione al tema nella letteratura statunitense cfr. R. A.
Booth, The Suitability Rule, Investor Diversification, and Using Spread to
Measure Risk, 54 Buss. L., 1614 (1999).
42) Comunicazione n. DI/98087230 del 6 novembre 1998.
43) Utilizzando le parole di una autorevole dottrina: "Il vizio viene in
considerazione sotto il profilo dell'idoneità della dichiarazione ad esprimere
una specifica volontà delle parti. In questo modo, ovviamente, non si può
ammettere la prova che una di esse in effetti volle gli effetti della clausola.
Non viene emessa specifica pronunzia di nullità, perché non si dichiara nullo
ciò che è intrinsecamente privo di un significato giuridico". Testualmente
R. Sacco, G. De Nova, Il Contratto, in Trattato Sacco, cit., Vol. II, pag. 633.
44) In questi termini, ad esempio, il Tribunale di Forlì 18 novembre 2008, in
IL CASO.it, I, 1632/2009, cit.
45) Cfr. Corte d'Appello di Brescia 20 giugno 2007, in IL CASO.it, I,
1074/2007, cit.
46) Cfr. Tribunale di Roma 25 maggio 2005, IL CASO.it, I, 82, cit. e Tribunale
di Cosenza 1 marzo 2006, ivi, I, 361/2006. Anche il Tribunale di Trento in più
occasioni ha avuto modo di conformarsi a questo orientamento.
47) Tribunale Parma 9 gennaio 2008, in IL CASO.it, I, 1132/2008, cit.
48) Fra i tanti hanno accolto questa impostazione il Tribunale Milano, il
Tribunale Brescia, il Tribunale di Modena, il Tribunale di Catania, il
Tribunale di Savona, il Tribunale di Lucera, il Tribunale di Venezia.
49) Prime linee di indirizzo in tema di consulenza in materia di investimenti -
Esito delle consultazioni - 30 ottobre 2007
50) Sull'argomento, nel settore in esame, cfr. R. Lener, Forma contrattuale e
tutela del contraente "non qualificato" nel mercato mobiliare,
Milano, 1996.
51) Rimane inteso che ogni forma ha una diversa funzione a seconda della ratio
della norma che la statuisce. Cfr. M. Giorgianni, Forma degli atti (dir.
priv.), in Enc. dir., XVII, Milano, 1968; nonché in termini non dissimili P.
Perlingieri, Note crtiche sul rapporto tra forma negoziale e autonomia, in La
forma degli atti nel diritto privato, Studi in onore di Michele Giorgianni,
Napoli, 1988, pagg. 569 e ss. Recentemenete il tema del formalismo è stato
ripreso da N. Irti, Il salvagente della forma, Bari, 2007.
52) Per usare le parole di De Nova, Tipico e atipico nei contratti della
negoziazione, dei trasporti e del turismo, in Dir. dei Trasp., 1995, pag. 720.
53) Così Tribunale di Firenze 6 luglio 2007, in IL CASO.it, I, 1102/2008, cit.
54) Cfr. F. Sartori, Le Regole di condotta. Disciplina e forme di tutela, cit.
55) Testualmente, Cassazione 25 giugno 2008, n. 17340, in Foro it., cit.:
"Il duplice riferimento alle informazioni adeguate e necessarie e la
direzione dell'obbligo nei confronti del cliente inducono a ritenere che le
informazioni debbano essere modellate alla luce della particolarità del
rapporto con l'investitore, in modo da soddisfare le specifiche esigenze
proprie di quel singolo rapporto".
56) Cfr. F. Sartori, Le regole di adeguatezza e i contratti di borsa: tecniche
normative, tutela e prospettive MiFID, in questa rivista, 2008, pagg. 25 e ss.
57) L'obiettivo è di evitare il c.d. "suicidio economico"
dell'investitore. Si tratta di una tesi elaborata dagli arbitri statunitensi.
Cfr. B. S. Black, Securities Regulation in the Electronic Age: Online Trading,
Discount Broker's Responsabilities and Old Wine in New Bottles, 28 Sec. Reg. L.
J., 15 (2000), in particolare pagg. 31 e 32. Cfr. anche L. D. Lowenfels, A. L.
Bromberg, Suitability in Securities Transactions, 54 Buss. L., 1594, 1557
(1999), nonché B. Black, J. I. Gross, Economic Suicide: The Collision of Ethics
and Risck in Securities Law, 64 University of Pittsburgh Law Review, (483)
2003.
58) Va peraltro evidenziato che il passaggio logico, tutt'altro che scontato, è
dovuto a una coraggiosa interpretazione del concetto di consulenza da parte
dell'Autorità di Vigilanza. Sul punto infatti la direttiva MiFID non appare
coerente con le linee di sviluppo tratteggiate in testo.
59) Del resto, la stessa dottrina che si è occupata recentemente della tematica
delle vicende dell'autonomia privata, ha stigmatizzato la necessità di
"prendere atto della profonda mutazione che la realtà economico-sociale e
il sistema normativo hanno subito in un breve volgere di tempo", ovvero
"che sono mutate le premesse e la logica interna del sistema" e
quindi "che ci troviamo di fronte ad un nuovo sistema" la cui
"interpretazione" la cui "ricostruzione impongono cautela
nell'utilizzazione di categorie proprie di un sistema diverso e, per larga parte,
non più attuale". In questi termini, R. Di Raimo, Autonomia privata e
dinamiche del consenso, cit. pag. 37.
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