Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 12/06/2005 Scarica PDF
Gli swap, i clienti corporate e la nozione di operatore qualificato
Filippo Sartori, Professore** Relazione al Convegno Synergia Formazione Strumenti finanziari derivati e prodotti strutturati: tecniche negoziali, rischi, tutele e contenzioso, Milano, 19 - 20 maggio 2005; Già in www.dirittobancario.it/.
SOMMARIO
1) Gli Interest rate swap, i domestic currency swap: finalità speculative e di
copertura; 2) L'eccesso di copertura e la rinegoziazione del derivato: la
risoluzione per inadempimento; 3) Gli swap e le obbligazioni naturali; 4) I
clienti corporate e la nozione di operatore qualificato; 5) L'ambito di
operatività della nozione di operatore qualificato: luci ed ombre di una
dichiarazione referenziale; 6) Verso una nuova disciplina: le regole elaborate
dal CESR e dalla direttiva 2004/39/CE, 7) La disapplicazione delle regole di
condotta; 8) Swap e regole di comportamento: cenni.
1. Gli Interest rate swap, i domestic currency swap: finalità speculative e di
copertura
L'intervento che mi occupa è finalizzato ad individuare taluni profili della disciplina normativa che gli operatori finanziari devono rispettare nella negoziazione degli strumenti finanziari derivati - in particolare degli swap - con i clienti corporate.
L'indagine non può che muovere, in primo luogo, dalla nozione di swap, ovvero,
in estrema sintesi, di quella operazione tramite la quale le parti si scambiano
a scadenze prestabilite delle somme di danaro calcolate applicando ad un
identico ammontare di riferimento (il c.d. nozionale) due diversi parametri
(tassi di interesse, di cambio, indici di mercati regolamentati etc.).
Tra questi, come noto, rilevano per importanza gli Interest rate swap (d'ora in
avanti IRS), cioè quei contratti derivati mediante i quali le parti si
impegnano a versare e a riscuotere a date prestabilite importi determinati in
base al differenziale di tassi di interesse diversi, nonché il domestic
currency swap, ovvero quel contratto derivato con il quale le parti si
impegnano a versare o riscuotere a una data prestabilita un importo determinato
in base al differenziale del tasso di cambio contrattuale e di quello corrente
alla data di scadenza dell'operazione.
Come è agevole comprendere, siffatti strumenti finanziari, negoziati sia in
borsa sia over the counter (OTC), ed il cui valore, si è detto, dipende da
variabili sottostanti, posso essere utilizzati per effettuare operazioni
finanziarie di copertura dei rischi legati alle variazioni dei tassi di
interesse e di cambio (in altri termini con finalità di controllo e di gestione
del rischio - c.d. hedging), nonché con finalità meramente speculative (c.d.
trading).
In quest'ultima circostanza, tali prodotti consistono in vere e proprie
scommesse sulla variazione dei prezzi delle valute o dei tassi di interesse.
Ciò ha portato il Prof. Guido Rossi, nel suo Conflitto epidemico, a parlare di
"strumenti finanziari di distruzione di massa" e di "bombe ad
orologeria".
Invero, la distinzione testé richiamata - sul terreno prasseologico - non è
sempre di immediata percezione.
In una prospettiva di chiarimento, tenuto conto che i soggetti abilitati sono
sottoposti a una diversa regolamentazione a seconda della finalità del prodotto
(cfr. infra), la Consob ha chiarito che possono essere considerate di copertura
le operazioni su strumenti finanziari derivati effettuate quando:
i) siano esplicitamente poste in essere per ridurre la rischiosità delle altre
posizioni detenute dal cliente (c.d. posizioni base);
ii) sia elevata la correlazione tra le caratteristiche tecnico-finanziarie
(scadenza, tasso di interesse, tipologia etc.) dell'oggetto della copertura e
dello strumento finanziario utilizzato a tal fine;
iii) le condizioni di cui ai punti precedenti risultino documentate da evidenze
interne degli intermediari e siano approvate, anche in via generale con
riguardo ad operazioni aventi caratteristiche ricorrenti, dalla funzione di
controllo interno[1].
Ciò posto, e come è stato di recente evidenziato in dottrina, il contratto
derivato di copertura deve essere caratterizzato da una connessione con le voci
dell'attivo o del passivo del bilancio di una impresa, sicché si può
individuare facilmente il fenomeno contabile che si intende proteggere,
riducendo i possibili rischi di riferimento.
Per tale via, meglio si comprende, ad esempio, perché non debbano considerarsi
contratti improntati a finalità meramente speculative i contratti di swap
conclusi da un intermediario e un cliente corporate particolarmente esposto nei
confronti del sistema creditizio ovvero operante sui mercati internazionali e
dunque sensibile alle possibili variazioni dei tassi di interesse e alle
fluttuazioni dei cambi delle valute (in questi termini, cfr. Tribunale Milano,
3 aprile 2004 - ord.).
2. L'eccesso di copertura e la rinegoziazione del derivato: la risoluzione per
inadempimento
Naturalmente è sempre necessaria una correlazione funzionale tra il rischio e
il prodotto acquistato. Altrimenti detto: non si deve verificare un
"eccesso di copertura" tale da esporre il cliente ad un rischio
(talvolta esponenzialmente) superiore a quello originario che, per contro, si
voleva neutralizzare. Se così accadesse infatti il prodotto negoziato
dall'intermediario realizzerebbe una finalità speculativa, esponendo il cliente
a perdite e guadagni financo illimitati.
A titolo esemplificativo, una società italiana che paga - poniamo a scadenze
trimestrali - la maggior parte delle proprie importazioni in yen cinesi è
esposta sistematicamente a un rischio di cambio euro/yen. L'eventuale aumento
del valore della moneta cinese su quella europea si tradurrebbe in un
incremento del costo del prodotto importato e ancora da pagare al fornitore.
Per coprirsi da tale rischio la società potrebbe, tra l'altro, acquistare yen a
termine facendo coincidere la data di scadenza con quella del pagamento
effettivo al fornitore. Se, per converso, il periodo di liquidazione fosse di
sei mesi e la somma di danaro sottostante fosse superiore alle necessità
connesse al fabbisogno di valuta, l'operazione finanziaria non si
giustificherebbe nei termini suddetti, ma avrebbe esclusivamente finalità
speculative.
Beninteso: ciò non significa che il prodotto negoziato sia di per sé illecito.
Ciò che cambia è la disciplina normativa che gli intermediari finanziari devono
rispettare in sede di negoziazione dello stesso; fermo restando, si intende,
che l'accordo quadro (il c.d. master) non puntualizzi nelle premesse (o
comunque non presupponga) che l'obiettivo della società sia esclusivamente
quello di coprirsi da possibili variazioni dei tassi di interesse o dalle
fluttuazioni dei cambi delle valute. In tale evenienza infatti l'inadempimento
contrattuale rilevante ai sensi dell'art. 1455 cod. civ. sarebbe in re ipsa e
la società potrebbe chiedere la risoluzione del contratto ex art. 1453 cod.
civ., fatto salvo il risarcimento del danno.
Siffatto "rischio giuridico" - cui sono soggetti soprattutto gli
intermediari finanziari che operano come controparte del cliente - è altresì
presente, in linea generale, nel caso di quel fenomeno finanziario noto come
rinegoziazione del derivato, assunto che, come di recente è stato correttamente
fatto notare in letteratura, tale operazione ha necessariamente finalità
speculativa, in quanto posticipa la sopportazione di una perdita, confidando in
eventi futuri che in qualche modo possano neutralizzarla o ridurla.
La struttura finanziaria di una rinegoziazione si articola generalmente nei
seguenti segmenti:
- posticipazione della scadenza dell'operazione iniziale
- incremento del nozionale
- aumento della leva finanziaria
- variazione del sottostante
Si tratta, in sintesi, di una operazione che aumenta l'esposizione al rischio
del cliente (corporate) e che presenta altresì indubbi profili di criticità in
termini di adeguatezza per tipologia, se lo scopo che muove le parti del
contratto non è quello di trarre profitto ma di ridurre le perdite eventuali
derivanti dal modus operandi della società.
3. Gli swap e le obbligazioni naturali
La intuitiva riconduzione dei contratti (speculativi) di swap alla figura del
giuoco e della scommessa ha portato, in un primo momento, la dottrina a
domandarsi se tali prodotti fossero assoggettabili alla disciplina normativa
delle obbligazioni naturali, ai sensi e per gli effetti del combinato disposto
degli artt. 1933 e 2034 cod. civ. Per tale via, l'unico rimedio passivo a
disposizione del creditore sarebbe stato la soluti retentio, intesa come causa
di giustificazione di attribuzioni patrimoniali giuridicamente non dovute,
mentre si sarebbe esclusa in capo allo stesso la possibilità di agire per il
pagamento e si sarebbe riconosciuta, di contro, in capo al debitore la
possibilità di non adempiere.
Tale eventualità, peraltro accolta in un primo momento dalla giurisprudenza
pratica e teorica, contrastava con l'esigenza di costruire un sistema
finanziario stabile ed efficiente. In questa prospettiva, il legislatore del
'91 timidamente e i legislatori delegati del '96 e del '98 con più vigore hanno
esentato dall'applicazione dell'art. 1933 cod. civ. l'intera categoria dei
prodotti derivati.
Per vero, ancora oggi si discute se tale esenzione sia di natura eccezionale e,
conseguentemente, non applicabile in via analogica a fattispecie non
espressamente indicate dalla norma come previsto dall'art. 14 delle
disposizioni sulla legge in generale, il quale stabilisce, come noto, che
"le leggi (...) che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non
si applicano oltre icasi e i tempi in esse considerati".
Se così fosse, l'esenzione di cui all'art. 23, comma 5 del TUF rimarrebbe
confinata, per utilizzare le parole del legislatore, "nell'ambito della
prestazione di un servizio di investimento".
L'intervento del legislatore è stato salutato positivamente sia dagli
economisti sia dai giuristi. Per costoro, in particolare, la mancata
sussunzione della fattispecie degli swap nell'ambito dell'art. 1933 cod. civ.
si giustificava in considerazione della diversa funzione economico sociale
realizzata dalla scommessa rispetto a quella realizzata da siffatti derivati:
nella prima ipotesi la funzione è meramente ludica, nella seconda è invece
quella di creare nuova ricchezza mediante lo scambio su tassi di interesse o su
valute, a prescindere dai motivi (soggettivi) che giustificano la stipulazione
di tale contratto da parte dei clienti.
4. I clienti corporate e la nozione di operatore qualificato
Data la giusta collocazione giuridica ai contratti di swap, e prima di
anticipare la disciplina di talune regole di azione (recte di validità) che gli
intermediari autorizzati devono rispettare nei loro rapporti con la clientela
corporate (il tema è affrontato specificamente dal collega Valentino), è
giocoforza soffermarsi sul concetto di operatore qualificato. Si tratta infatti
di un profilo che si ricollega alla funzione e conseguentemente all'ambito di
operatività delle stesse regole di comportamento.
È pleonastico ricordare che, nel settore finanziario, la previsione di una
disciplina speciale rispetto alle norme di diritto comune di matrice
codicistica si giustifica alla luce dell'asimmetria informativa che
caratterizza il rapporto tra gli attori di mercato. Da qui la necessità di
intervenire con norme "paternalistiche" in modo da assicurare
all'investitore un grado di informazione sui prodotti finanziari più intenso
rispetto a quello assicurato dalle norme di diritto comune.
Sulla base di tale presupposto, in subjecta materia, sussiste una chiara
tendenza a differenziare il contenuto, e l'applicabilità stessa, delle regole
di condotta nei riguardi dei clienti "esperti" o
"professionali".
In siffatta circostanza, una protezione paternalistica sarebbe pregiudizievole
per il mercato: l'investitore diverrebbe una sorta di free rider, ovvero un
catalizzatore di esternalità positive, immune dalle conseguenze negative (dai
costi) connesse(i) alle scelte strategiche effettuate.
Si aggiunga, inoltre, che l'applicazione delle regole di condotta ad
investitori esperti potrebbe ritorcersi, da un lato, contro gli stessi
risparmiatori, assoggettati contro volontà ad una disciplina ingessante e
dispendiosa e, dall'altro, contro gli intermediari, costretti a sopportare i
maggiori costi derivanti dall'adeguamento della loro condotta a regole
puntigliose e stringenti.
In tale prospettiva muove già l'art. 11 della direttiva europea n. 93/22/CEE,
(nonché la più recente direttiva europea n. 04/39/CEE, in corso di attuazione
in Italia), il quale prevede, in merito, un vero e proprio obbligo in capo agli
Stati membri, richiedendo a questi ultimi di tener conto, nell'applicare le
regole di comportamento, della natura professionale dei clienti.
Nel dare attuazione alla direttiva comunitaria, il legislatore delegato,
all'art. 6, comma 2 del TUF ha dunque selezionato l'applicazione della
disciplina di protezione in relazione alle caratteristiche degli investitori,
distinti in funzione del differente grado di professionalità.
La qualificazione dell'investitore quale soggetto "professionale"
giustifica quindi la disapplicazione di numerose regole di comportamento,
altrimenti concepite, essenzialmente, per la tutela del cliente
"disinformato".
Altrimenti detto: la portata applicativa delle regole di condotta è
circoscritta alle fattispecie in cui controparte contrattuale
dell'intermediario non sia un investitore professionale.
Né la direttiva n. 93/22/CEE, né l'art. 6 del TUF forniscono una definizione di
investitore professionale. L'individuazione delle diverse categorie di
investitori e delle regole di comportamento che gli intermediari devono
adottare in relazione alla differente qualità professionale del cliente è stata
quindi demandata alla Consob.
Allo stato dell'arte, come noto, la disciplina dei c.d. "operatori
qualificati" è contenuta nell'art. 31 del Regolamento Consob n. 11522/98 e
succ. mod. (d'ora in avanti anche Regolamento Consob). Tale disposizione
stabilisce al comma 2 che:
"Per operatori qualificati si intendono gli intermediari autorizzati, le
società di gestione del risparmio, le SICAV, i fondi pensione, le compagnie di
assicurazione, i soggetti esteri che svolgono in forza della normativa in
vigore nel proprio Stato d'origine le attività svolte dai soggetti di cui
sopra, le società e gli enti emittenti strumenti finanziari negoziati in
mercati regolamentati, le società iscritte negli elenchi di cui agli articoli
106, 107 e 113 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, i promotori
finanziari[2], le persone fisiche che documentino il possesso dei requisiti di
professionalità stabiliti dal Testo Unico per i soggetti che svolgono funzioni
di amministrazione, direzione e controllo presso società di intermediazione
mobiliare, le fondazioni bancarie, nonché ogni società o persona giuridica in
possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in
strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale
rappresentante".
L'approccio seguito dalla Commissione è chiaro. Da una parte, si individuano,
ex ante e con precisione, determinate categorie di soggetti che si presumono
(si tratta di presunzione juris et de jure) investitori professionali, ergo non
bisognosi di protezione. Dall'altra, per le società o persone giuridiche che
non rientrano nella prima categoria di soggetti, si utilizza un parametro di
riferimento che sposta ex post la valutazione della professionalità. Spetta,
infatti, all'autorità giudiziaria il compito di selezionare il tipo di need of
protection, utilizzando, in particolare, la clausola della buona fede, ed
avendo riguardo agli interessi sottesi alla fattispecie di riferimento.
5. L'ambito di operatività della nozione di operatore qualificato: luci ed
ombre di una dichiarazione autoreferenziale
In primo luogo, giova puntualizzare a scanso di inutili equivoci, che il
concetto di competenza ed esperienza, che riecheggia nella disposizione
richiamata, è intimamente connesso a quello di professionalità: è quindi
necessario che la società e/o la persona giuridica da una parte siano dotate di
risorse umane ed organizzative a ciò preposte e dall'altra che abbiano maturato
nel tempo (e non solo occasionalmente) una competenza ed esperienza in materia
finanziaria. Solo in presenza di tali requisiti l' "ente" può, nel
rispetto della norma richiamata, essere considerato operatore qualificato ai
sensi di legge.
Ci si è chiesti se la mera dichiarazione per iscritto da parte del legale
rappresentante, circa la specifica competenza ed esperienza in materia di
operazioni in strumenti finanziari, sia di per sé sufficiente a
deresponsabilizzare l'intermediario che, ricevuta la dichiarazione, decida di
disapplicare le regole di condotta.
Orbene, sul punto la giurisprudenza pratica e teorica ha ritenuto, a ragione,
irrilevanti le mere clausole di stile con cui l'investitore dichiari - pur non
essendolo - di essere in una condizione di oggettiva preparazione ed esperienza
in materia; e ciò, ad esempio, a causa di una cattiva informazione dovuta da un
comportamento negligente (o chissà doloso) dell'operatore finanziario.
Nell'accertamento dell'esperienza del proprio cliente, infatti, l'intermediario
dovrà osservare i criteri generali di buona fede e correttezza, così che
"la clausola del contratto predisposto dall'intermediario e sottoscritto
dal cliente che contenga la dichiarazione di quest'ultimo di essere operatore
qualificato che si riveli puramente una clausola di stile, in quanto
sottoscritta da un soggetto che non può rientrare nel novero di tale categoria,
è priva di efficacia giuridica" (Tribunale di Milano, 21 febbraio 1995, in
BBTC, 1996, II, pag 442; nonché in termini simili Tribunale di Torino 27
gennaio 2000, in GI, 2001, pagg. 442 e ss.).
Invero, quanto puntualizzato non sembra assorbente del problema che ci occupa.
In particolare, ci si è chiesti quale sia il ruolo, e dunque la responsabilità,
del legale rappresentante nel rilasciare una siffatta dichiarazione, tenuto
peraltro conto che quest'ultimo, in caso di dichiarazione mendace, potrebbe
essere chiamato a rispondere nei confronti della stessa società.
Sul punto, la giurisprudenza ambrosiana più recente ha preso una posizione
severa, affermando che l'accertamento in concreto del requisito in esame
(quello della professionalità, per l'appunto) non debba essere rimesso alla
valutazione della banca, bensì al "prudente apprezzamento del legale
rappresentante della società (soggetto che, in quanto investito dal potere di
rappresentanza della persona giuridica è, per legge, idoneo ad impegnarne la
volontà).
Tale orientamento sembra (apparentemente) porsi in contrasto con l'impostazione
precedente, più rigorosa nel riconoscere un ruolo attivo in capo
all'intermediario nella valutazione di siffatto parametro.
Per vero, un lettura neutrale e sistematica della fattispecie normativa che ci
occupa porta l'interprete a bilanciare gli interessi delle parti utilizzando le
regole e i principi generali. In questa prospettiva, ad esempio, è indubbio che
l'intermediario finanziario, in base al dovere di diligenza professionale di
cui all'art. 21, comma 1, lett. a) del TUF, sia gravato dall'onere di
verificare nel merito la rispondenza tra il dato reale e quanto dichiarato dal
legale rappresentante della società. Parimenti, quest'ultimo, ai sensi
dell'art. 1176, comma 2 cod. civ., è tenuto a non rilasciare (negligentemente)
dichiarazioni mendaci che possano pregiudicare l'interesse sociale; anche un
comportamento reticente di quest'ultimo, che ingeneri in capo all'intermediario
una falsa impressione sulla competenza ed esperienza maturata in materia
finanziaria, che costui non sia in grado di verificare in altro modo, finirà
per ritorcersi sulla stessa società, fermo restando l'azione di regresso nei
confronti dell'amministratore cialtrone.
Altrettanto vero è che la banca e la società si devono comportare ex art. 1175
cod. civ. secondo le regole della correttezza, ovvero secondo buona fede
(oggettiva). Si tratta di un metro di comportamento che necessita un'opera di
concretizzazione valutativa da parte dell'interprete in riferimento agli
interessi in gioco e alle caratteristiche del caso di specie.
Il mancato rispetto delle regole testé richiamate e i rimedi correlati
costituiscono la strada principale per inficiare una dichiarazione
autoreferenziale mendace ed estranea al dato reale. La violazione delle regole
della buona fede e/o della diligenza consentono, tra l'altro, l'attivazione
dell'istituto della risoluzione per inadempimento.
Se l'autorità giudiziaria dovesse ravvedere ed enucleare da siffatto principio
(quello della buona fede, si intende) doveri di rilevanza costituzionale si
potrebbe invocare l'istituto della nullità virtuale ai sensi dell'art. 1418,
comma 1 cod. civ.
Parimenti non è da escludere l'applicazione dell'istituto dell'annullamento per
errore (vizio) o per dolo. Nella prima ipotesi, come noto, l'errore - che deve
incidere sul processo formativo della volontà - deve essere essenziale ex art.
1429, nonché riconoscibile ex art. 1431; e l'errore è riconoscibile quando in
relazione al contenuto, alle circostanze o alla qualità dei contraenti una
persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo. Naturalmente il criterio
della riconoscibilità vale solo nelle ipotesi di errore unilaterale e non nel
caso di errore comune: in tale circostanza controparte non è in grado di
riconoscere l'errore perché essa stessa ne è vittima. Nella seconda il dolo,
ovvero ogni artifizio o raggiro con cui un soggetto induce un altro soggetto in
errore, per portare all'eventuale annullamento deve essere determinante ex 1439
cod. civ.
6. Verso una nuova disciplina: le regole elaborate dal CESR e dalla direttiva
2004/39/CE
Quanto suesposto non elimina i dubbi, evidenziati nella pronuncia milanese
richiamata, relativi alla inadeguatezza di una "dichiarazione
autoreferenziale". Inadeguatezza che, a parere di chi scrive, non sembra
eliminata dalle regole elaborate dal CESR e riprese all'art. 31 della bozza di
riforma del Regolamento Consob, così come sinanche (e forse non del tutto
opportunamente) riportate nella pronuncia allegata.
Ai sensi della disciplina richiamata sono infatti considerati, tra l'altro,
operatori qualificati società e enti che soddisfano almeno due dei seguenti
requisiti
- totale di bilancio non inferiore a venti milioni di euro;
- fatturato netto non inferiore a quaranta milioni di euro;
- patrimonio netto non inferiore a due milioni di euro,
Il criterio dimensionale (anche se in aggiunta è previsto un criterio misto)
non sembra coerente con la normativa di riferimento. Se è vero infatti che una
società particolarmente "solida" può assorbire con più facilità
perdite derivanti da operazioni finanziarie, magari in derivati, è altresì vero
che non sussiste alcuna correlazione logica o funzionale tra siffatto parametro
e le caratteristiche economico-patrimoniali della stessa società.
In una logica apparentemente simile, il legislatore di Bruxelles con la
direttiva del 21 aprile 2004 n. 39 stabilisce all'allegato II che
"dovrebbero essere considerati clienti professionali per tutti i servizi e
gli strumenti di investimento ai fini della presente direttiva: (...)
(...) le imprese di grandi dimensioni che ottemperano a livello di singola
società, ad almeno due dei seguenti criteri dimensionali:
- totale di bilancio: 20 000 000 EUR,
- fatturato netto: 40 000 000 EUR,
- fondi propri: 2 000 000 EUR."
Si tratta come è agevole comprendere degli stessi parametri (o meglio di
parametri simili) a quelli individuati dalla CESR e ripresi in bozza dalla
Consob.
Fin qui nulla di diverso!
Invero, quando il cliente è, tra l'altro, una società, prima dell'inizio della
prestazione dei servizi di investimento, l'operatore finanziario deve
informarlo che, sulla base delle informazioni di cui dispone, esso viene
considerato cliente professionale e verrà dunque trattato come tale, salvo una
diversa pattuizione a riguardo.
L'impresa deve inoltre informare il cliente corporate del fatto che può
richiedere una modifica dei termini dell'accordo per ottenere un maggior
livello di protezione. Spetta, a questo punto, alla società considerata cliente
professionale chiedere un livello più elevato di protezione se ritiene di non
essere in grado di valutare o gestire correttamente i rischi assunti.
Si aggiunga che anche le società che non rispondono ai requisiti indicati
possono, come del resto le persone fisiche, essere autorizzate a rinunciare ad
alcune delle protezioni previste dalle norme di comportamento, pur non dovendo
mai gli intermediari autorizzati presumere che tali clienti possiedano
conoscenze ed esperienze di mercato comparabili a quelle delle società testé
indicate. In tal caso, tuttavia, qualunque riduzione della protezione prevista
dalle norme standard di comportamento è considerata valida solo se
l'intermediario ha effettuato una valutazione adeguata della competenza,
dell'esperienza e delle conoscenze del cliente (anche corporate), e possa
dunque ragionevolmente ritenere, tenuto conto della natura delle operazioni o
dei servizi previsti, che il cliente sia in grado di adottare le proprie
decisioni in materia di investimenti e di comprendere i rischi che assume.
Tale giudizio potrebbe essere effettuato, tra l'altro, utilizzando i c.d. test
di competenza applicati ai dirigenti e agli amministratori dei soggetti
autorizzati a norma delle direttive nel settore finanziario. In tal caso, la
direttiva puntualizza che per le società di piccole dimensioni, la persona
oggetto della valutazione dovrebbe essere la persona autorizzata ad effettuare
operazioni per loro conto.
E comunque nel corso della predetta valutazione, dovrebbero essere soddisfatti
almeno due dei seguenti criteri:
- il cliente deve aver effettuato operazioni di dimensioni significative sul
mercato in questione con una frequenza media di 10 operazioni al trimestre nei
quattro trimestri precedenti;
- il valore del portafoglio di strumenti finanziari del cliente, inclusi i
depositi in contante e gli strumenti finanziari, deve superare i 500.000 EUR;
- il cliente deve lavorare o aver lavorato nel settore finanziario per almeno
un anno in una posizione professionale che presupponga la conoscenza delle
operazioni o dei servizi previsti.
Ma non è tutto. Siffatte società possono rinunciare alle protezioni previste
dalle norme di comportamento solo una volta espletata la procedura seguente:
- i clienti devono comunicare per iscritto all'impresa di investimento che
desiderano essere trattati come clienti professionali, a titolo generale o
rispetto ad un particolare servizio o operazione di investimento o tipo di
operazione o di prodotto;
- l'impresa di investimento deve avvertire i clienti, in una comunicazione
scritta e chiara, di quali sono le protezioni e i diritti di indennizzo che
potrebbero perdere;
- i clienti devono dichiarare per iscritto, in un documento separato dal
contratto, di essere a conoscenza delle conseguenze derivanti dalla perdita di
tali protezioni.
Prima di decidere di accettare richieste di rinuncia a protezione, le imprese
di investimento devono essere tenute a prendere tutte le misure ragionevoli possibili
per accertarsi che il cliente che chiede di essere considerato cliente
professionale soddisfi i requisiti previsti.
Le imprese devono infine applicare policy e procedure interne appropriate e
scritte per classificare i clienti.
Spetta comunque ai clienti professionali informare l'impresa di investimento di
eventuali cambiamenti che potrebbero influenzare la loro attuale
classificazione. Se tuttavia l'impresa di investimento constata che il cliente
non soddisfa più le condizioni necessarie per ottenere il trattamento riservato
ai clienti professionali deve adottare provvedimenti appropriati.
7. La disapplicazione delle regole di condotta
Ciò posto, e ritornando al diritto positivo vigente, giova ricordare che l'art.
31, comma 1 del Regolamento Consob dispone che:
"A eccezione di quanto previsto da specifiche disposizioni di legge e
salvo diverso accordo tra le parti, nei rapporti tra intermediari autorizzati e
operatori qualificati non si applicano le disposizioni di cui agli articoli 27,
28, 29, 30, comma 1, fatta eccezione per il servizio di gestione, e commi 2 e
3, 32, commi 3, 4 e 5, 37, fatta eccezione per il comma 1, lettera d), 38, 39,
40, 41, 42, 43, comma 5, lettera b), comma 6, primo periodo, e comma 7, lettere
b) e c), 44, 45, 47, comma 1, 60, 61 e 62".
Tale articolo di regolamento individua dettagliatamente le disposizioni che non
si applicano ai rapporti tra intermediari autorizzati e operatori qualificati.
In particolare:
- le norme relative al conflitto di interessi;
- la disciplina delle informazioni tra intermediari e investitori e viceversa;
- la normativa sull'adeguatezza delle operazioni;
- la disciplina del contratto con gli investitori, fatta eccezione per il
servizio di gestione;
- la normativa sulla best execution;
- la disciplina del contratto di gestione di portafogli su base individuale,
salvo l'indicazione dell'autorizzazione alla delega gestionale, nonché delle
caratteristiche della gestione, della categoria degli strumenti finanziari,
della tipologia delle operazioni, della leva finanziaria, del benchmark;
- la regola che vieta agli intermediari autorizzati, nell'ambito di una
gestione individuale, di effettuare operazioni aventi ad oggetto vendite allo
scoperto, contratti a premio e strumenti finanziari derivati se non a
condizione che i contratti a premio, gli strumenti finanziari derivati e quelli
oggetto delle vendite allo scoperto siano negoziati in mercati regolamentati,
salvo che i medesimi contratti non siano stipulati con finalità di copertura
dei rischi connessi alle posizioni detenute in gestione;
- la normativa che impone agli intermediari di concludere, nell'ambito delle
gestioni, per finalità di impiego del patrimonio gestito operazioni di riporto
e di prestito titoli aventi a oggetto esclusivamente strumenti finanziari
negoziati in mercati regolamentati;
- la normativa che autorizza gli intermediari ad effettuare, nell'ambito delle
gestioni, operazioni di pronti contro termine per finalità di impiego del
patrimonio gestito esclusivamente a condizione che: i) dette operazioni abbiano
a oggetto titoli emessi o garantiti da Stati appartenenti all'OCSE o da enti
internazionali di carattere pubblico, ovvero titoli emessi nell'attività di
raccolta del risparmio per l'esercizio del credito da banche di Stati
appartenenti all'OCSE; ii) l'operazione a pronti sia effettuata al prezzo di
mercato ovvero, ove trattasi di titoli non ammessi alle negoziazioni in mercati
regolamentati, a un prezzo pari a quello risultante dal prudente apprezzamento
dell'intermediario;
- la disciplina dei limiti quantitativi, nell'ambito di un rapporto di gestione
individuale, degli strumenti finanziari non negoziati in mercati regolamentati;
- la disciplina del conflitto di interesse nelle gestioni;
- la normativa in materia di concessione di finanziamenti;
- la disciplina dell'attestazione degli ordini, delle informazioni sulle
operazioni eseguite, nonché sulle rendicontazioni periodiche.
La portata applicativa delle regole di comportamento testé richiamate è quindi
circoscritta alle fattispecie in cui controparte contrattuale
dell'intermediario non sia un operatore qualificato. Per contro, tra questi
ultimi soggetti e gli intermediari continuano ad applicarsi i principi e le
regole relative alla libertà di mercato e alla responsabile autodeterminazione
di chi nel mercato opera. Altrimenti detto: le regole del codice civile e più
in generale del nostro diritto privato. Vero è che da un'interpretazione a
contrario della disposizione richiamata emerge come le regole generali celebrate
all'art. 21, comma 1, lett. a) del TUF continuino ad applicarsi al rapporto tra
intermediari e investitori professionali.
L'intermediario rimane, dunque, gravato da un obbligo di professionalità,
correttezza e buona fede variabile a seconda del livello di professionalità
dell'investitore.
Le parti, inoltre, potranno scegliere consensualmente di continuare ad
assoggettare il rapporto alle regole di condotta elencate all'art. 31, comma 1,
in quanto alla disapplicazione di tali regole fa eccezione un "(...)
diverso accordo tra le parti". In questa circostanza sarà onere
dell'investitore professionale informare l'intermediario, ex contractu, della
volontà di avvalersi della disciplina prevista per gli operatori non
qualificati.
8. Swap e regole di comportamento: cenni
Ciò posto, e ritornando all'analisi delle regole da rispettare in tema di
negoziazione degli swap è agevole comprendere come la disciplina normativa di
riferimento vari a secondo che controparte dell'intermediario sia operatore qualificato
o meno.
In questa prospettiva, dunque, gli swap con finalità speculativa non sono, in
linea generale, adatti ad un cliente corporate non professionale. In altri
termini, fatta salva la propensione al rischio della società, uno swap che
realizza finalità speculative (o che integra quel fenomeno già descritto come
"eccesso di copertura", ovvero di rinegoziazione - cfr. supra) non
dovrebbe essere negoziato per conto (o financo in contropartita diretta) di un
cliente corporate privo dei requisiti menzionati.
In ogni caso, l'intermediario negoziatore deve rispettare la disciplina in
materia di adeguatezza di cui all'art. 29 del Regolamento Consob, assunta la
"inadeguatezza per tipologia" che caratterizza il prodotto in esame.
L'intermediario, che deve peraltro astenersi da proporre anche mediante
consulenza incidentale siffatti prodotti, deve assicurare trasparenza
sull'operazione e sui rischi connessi ai sensi e per gli effetti dell'art. 28
del Regolamento Consob.
In caso di negoziazione in contropartita diretta di un prodotto
"emesso" dallo stesso intermediario deve essere, a pena di nullità,
preventivamente rivelato il conflitto di interessi, ai sensi dell'art. 27 del
Regolamento richiamato, ferma restando la disciplina della best execution per
tutti quei prodotti (domestici) non negoziati nei mercati regolamentati.
Le medesime problematiche di criticità non sembrano sussistere nel caso di swap
negoziati con finalità effettive di copertura. In tale circostanza (ferma
restando la disciplina del conflitto di interessi, in tema di trasparenza e
flussi informativi, nonché di best execution) non sembra si pongano problemi in
tema di adeguatezza dell'operazione.
Giova infine ricordare che l'art. 28, comma 3 del Regolamento Consob grava gli
intermediari finanziari dell'obbligo di informare prontamente e per iscritto
l'investitore appena le operazioni in strumenti derivati e in warrant da lui
disposte per finalità diverse da quelle di copertura abbiano generato una
perdita, effettiva o potenziale, pari o superiore al 50% del valore dei mezzi
costituiti a titolo di provvista e garanzia per l'esecuzione delle operazioni.
Il valore di riferimento di tali mezzi si ridetermina in occasione della
comunicazione all'investitore della perdita, nonché in caso di versamenti o
prelievi. Il nuovo valore di riferimento è prontamente comunicato
all'investitore. In caso di versamenti o prelievi è comunque comunicato
all'investitore il risultato fino ad allora conseguito.
La finalità della norma è quella di fornire un'informativa tempestiva
sull'andamento sfavorevole degli investimenti su prodotti particolarmente
rischiosi e "volatili", quali gli strumenti finanziari derivati e i
warrant, così da metter in guardia lo stesso cliente, e consentirgli di assumere
le iniziative più opportune[3]. Operazioni di questo tipo con finalità
speculative, infatti, dovrebbero essere compiute esclusivamente da investitori
professionali; cosicché, nel caso in cui il maggior rischio dell'operazione si
traduca in una perdita rilevante, lo stesso cliente, prontamente informato[4],
potrà intervenire immediatamente per arginare, nei limiti del possibile[5], le
perdite subite.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Caputo Nassetti, Profili civilistici dei contratti «derivati» finanziari,
Giuffrè, 1997;
Perrone, Gli accordi di «close-out netting». in Banca Borsa e tit. cred., 1998,
pagg. 51 e ss. Girino, I contratti derivati, Giuffrè, 2001;
Sartori, Le regole di condotta degli intermediari finanziari. Disciplina e
forme di tutela. Disciplina e forme di tutela Giuffrè, 2004;
Costi, Enriques, Il mercato mobiliare, Trattato di diritto commerciale, vol.8,
Cedam, 2004;
Pagnoni, Contratti di swap, in AA. VV., I contratti nel mercato finanziario,
Gabrielli e Lener (a cura di), Utet, 2004;
Rimini, Contratti di swap e «operatori qualificati», commento a Trib. Milano 3
aprile 2004 (ord.), in Giur. Comm., II, 2004, pagg. 532 e ss.;
Chionna, L'accertamento della natura di «operatore qualificato» del mercato
finanziario rispetto ad una società, commento a Trib. Milano 3 aprile 2004
(ord.), in Banca Borsa e tit. cred., 2005, pagg. 38 e ss.;
Lembo, La rinegoziazione dei contratti derivati: brevi note sulle problematiche
civilistiche e fallimentari, in Dir. fall. e delle soc. comm., 2005, pagg. 354
e ss.
[1] Comunicazione n. DI/99013791 del 26-2-1999.
[2] L'aggiunta tra gli operatori qualificati della figura del promotore
finanziario è avvento con la delibera n. 13710 del 6 agosto 2002. Si tratta,
naturalmente, di una scelta opportuna e condivisibile.
[3] Cfr. la comunicazione Consob n. DIN/1054664 del 12 luglio 2001;
Comunicazioni n. DI/98080595 del 14 ottobre 1998, n. DI/99013791 del 26
febbraio 1999, n. DEM/69397 del 19 settembre 2000, n. DIN/80382 del 27 ottobre
2000 e n. DI/98088209 del 11 novembre 1998.
[4] Come è agevole comprendere in tali ipotesi la comunicazione
dell'intermediario al cliente deve avvenire (quasi) in tempo reale.
Diversamente, si neutralizzerebbe la stessa finalità del dovere informativo de
quo. Ragionevolmente la Consob, interrogata sul punto, ha fatto notare che
"non risulterebbe in linea con quanto prescritto dall'art. 28, comma 3,
del regolamento n. 11522/1998 una comunicazione inoltrata al cliente ad oltre
venti giorni di distanza rispetto al verificarsi del presupposto" (cfr. la
comunicazione Consob n. DIN/1054664 del 12 luglio 2001).
[5] Nei limiti del possibile in quanto "qualora il cliente intenda
effettuare operazioni eccedenti l'ammontare delle proprie rimanenti
disponibilità, o, ancor più, quando le perdite abbiano già interessato l'intero
patrimonio del cliente, dovrebbe proporsi la necessità di predisporre il blocco
dell'operatività dell'investitore, stante il dovere per l'intermediario di
garantire la propria sana e prudente gestione (art. 21, comma 1, lett. e), del
d. lgs. n. 58/I998). Resta naturalmente salva la possibilità di concedere
finanziamenti alla clientela, in presenza di un accordo in tal senso
debitamente formalizzato (art. 30 del regolamento n. 11522/1998) e sempreché,
l'intermediario "acquisisca dall'investitore... adeguate garanzie"
(art. 47 del regolamento n. 11522/1998)" (in questi termini cfr. la
comunicazione Consob n. DIN/1054664 del 12 luglio 2001).
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