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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 19/01/2008 Scarica PDF
La (ri)vincita dei rimedi risarcitori: note critiche a Cassazione, (S.u.) 19 dicembre 2007, n. 26725
Filippo Sartori, ProfessoreMassima
La violazione dei doveri d'informazione del cliente e di corretta esecuzione
delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla
prestazione dei servizi d'investimento finanziario può dar luogo a
responsabilità precontrattuale, con conseguente obbligo di risarcimento dei
danni, ove tali violazioni avvengano nella fase precedente o coincidente con la
stipulazione del contratto d'intermediazione destinato a regolare i successivi
rapporti tra le parti; può invece dar luogo a responsabilità contrattuale, ed
eventualmente condurre alla risoluzione del predetto contratto, ove si tratti
di violazioni riguardanti le operazioni d'investimento o disinvestimento
compiute in esecuzione del contratto d'intermediazione finanziaria in questione.
In nessun caso, in difetto di previsione normativa in tal senso, la violazione
dei suaccennati doveri di comportamento può però determinare la nullità del
contratto d'intermediazione, o dei singoli atti negoziali conseguenti, a norma
dell'art. 1418, comma 1, c.c.**
Obiter dictum
Il divieto di compiere operazioni inadeguate o in conflitto d'interessi attiene
anch'esso alla fase esecutiva di detto contratto, costituendo, al pari del
dovere d'informazione, una specificazione del primario dovere di diligenza,
correttezza e professionalità nella cura degli interessi del cliente.
Sommario: 1. Premessa: inadempimento (pre)contrattuale e profili di
responsabilità; 2. La nullità virtuale: una teorica sovversiva? 3. Regole di
condotta vs Regole di validità: la ratio decidendi; 4. Un obiter dictum: la
mancata autorizzazione scritta come inadempimento "strutturale"; 5.
Sul significato economico dei rimedi.
1. Premessa: inadempimento (pre)contrattuale e profili di responsabilità
Che la violazione dei doveri informativi gravanti l'intermediario nella fase
prenegoziale o in quella esecutiva del rapporto con l'investitore faccia
discendere un obbligo risarcitorio è massima coerente con il nostro sistema di
diritto positivo[1].
Criterio fondamentale che determina la condotta dell'impresa di investimento
nell'adempimento dell'obbligazione con il cliente è infatti la diligenza
professionale, ossia l'impiego adeguato delle energie e dei mezzi necessari
alla soddisfazione dell'interesse dell'investitore ad assumere consapevoli
decisioni di investimento. In questa prospettiva, si coglie il concetto di
adeguatezza dell'informazione, che fa da sfondo all'evoluzione normativa in
materia, e costituisce il momento di congiunzione con i principi generali del
nostro diritto privato[2].
Il "dovere di informare" (e di informarsi sull') l'investitore è
diventato, per tale via, elemento caratterizzante l'intera disciplina delle
regole di comportamento degli intermediari finanziari poste a presidio della
tutela del risparmiatore e dell'integrità del mercato[3]: dovere che si è
tradotto in una pluralità di dettagliati obblighi informativi inerenti allo
svolgimento dei servizi di investimento, ed aventi come destinatari diretti i
clienti degli intermediari.
L'obbligo di consegnare il documento sui rischi generali degli investimenti in
strumenti finanziari, l'obbligo di informarsi sulla situazione finanziaria del
cliente (meglio conosciuta con l'anglismo know your customer rule), l'obbligo
di fornire all'investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e
sulle implicazioni delle operazioni finanziarie e dei servizi, gli obblighi
informativi in caso di perdite, la regola sulla adeguatezza delle operazioni
(la c.d. suitability rule[4]), la disclosure dei conflitti di interesse, le
rendicontazioni etc. gravano gli operatori in tutte le fasi del rapporto con
l'investitore: dalla fase precontrattuale a quella di attuazione del
rapporto[5].
L'infedeltà ai doveri suddetti consiste allora nella imperizia, quale
deficienza dell'inosservanza delle specifiche regole tecniche applicabili al
settore dell'intermediazione finanziaria: si tratta di colpa specifica. E il
mancato rispetto di siffatte regole va qualificato in termini di inesatto
adempimento, costituendo una deviazione rispetto al comportamento dovuto dal
debitore.
Contro l'inadempimento il creditore ha a disposizione tra l'altro il rimedio
risarcitorio (per equivalente[6]), quale mezzo di tutela generale del credito:
rimedio finalizzato a compensare il danno effettivamente subito, rimuovendo gli
effetti economici negativi connessi all'agere deviato dell'impresa di
investimento.
Come è ben noto, in materia contrattuale oltre ai rimedi generali a tutela del
credito, si aggiungono quegli specifici rimedi che tutelano la parte
contrattuale nei contratti sinallagmatici, ovvero per usare l'espressione del
legislatore all'art. 1453 c.c., "nei contratti con prestazioni
corrispettive". Contro l'inadempimento grave[7] allora il cliente
insoddisfatto potrà altresì chiedere lo scioglimento del rapporto contrattuale
inadempiuto, esercitando l'azione di risoluzione[8].
Quanto detto è intimamente correlato alla violazione dei doveri (informativi)
imposti all'intermediario nella fase esecutiva del contratto. I rimedi indicati
difatti tutelano l'interesse del creditore alla corretta esecuzione delle
prestazioni connesse ad un vincolo obbligatorio già sorto. Ma taluni degli
obblighi scanditi dalla disciplina di settore segnano il comportamento dei
soggetti abilitati prima dell'instaurazione del vincolo contrattuale: siamo
nella fase delle trattative e della formazione del contratto. Fase già
moralizzata dal legislatore del 1942 con la disciplina dell'art. 1337 c.c.[9],
e amministrata, nel settore che ci occupa, da puntuali regole ispirate al
principio della buona fede. In questo frangente si avverte, forse con maggior
vigore, quell'esigenza menzionata di consapevolizzazione del cliente:
"(...) le analisi della fase precontrattuale saranno le aree di elezione
dove si svilupperà più puntigliosa la dottrina concernente questi obblighi
[informativi]. Obblighi la cui origine "si ricollega alla disuguaglianza
di fatto dei contraenti di fronte all'informazione (...)" e che
inseguiranno "le parti durante tutto il rapporto contrattuale"[10].
Ciò che si vuole tutelare in questa fase è allora la libertà di autodeterminazione
dell'investitore e il suo interesse negativo a non stipulare un contratto dal
contenuto alterato o financo invalido. Nel caso di accertata violazione di tali
obblighi, sorgerà a carico dell'intermediario l'obbligo del risarcimento del
danno nei limiti dell'interesse negativo, ovvero dell'interesse
dell'investitore a non essere leso nell'esercizio della sua libertà
negoziale[11].
A tali conclusioni, in estrema sintesi, sono pervenute le Sezioni Unite della
Cassazione con la sentenza 19 dicembre 2007, n. 26725, risolvendo un contrasto
(apparente[12]) che nell'ultimo lustro ha diviso la giurisprudenza pratica[13]
e teorica[14] che si è occupata del tema.
2. La nullità virtuale: una teorica sovversiva?
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Cassazione ha inteso negare validità a
quell'orientamento, in un primo momento prevalente, che ha elevato le regole
informative che gravano gli intermediari nei loro rapporti con la clientela a
regole di validità del contratto. Regole che - se violate - incidono sulla
struttura e sul contenuto dell'atto travolgendolo con la sanzione della nullità
(virtuale), coerentemente al disposto dell'art. 1418, comma 1 c.c. In altri
termini, seguendo tale impostazione, la violazione delle regole che impongono
all'intermediario di informarsi sulla situazione finanziaria del cliente e di
operare in modo che il cliente sia sempre adeguatamente informato (anche
dell'inadeguatezza dell'operazione o di eventuali situazioni di conflitto) si
traduce in un vizio genetico del contratto di borsa.
Anche l'idea della "fattispecie nulla" appare invero familiare al
giurista italiano. Assunta la natura imperativa delle norme ricordate e
individuati gli interessi che le stesse intendono presidiare (il risparmio come
valore costituzionale) la condanna alla nullità dell'atto non è operazione
sovversiva[15]. Anzi. Sembra coerente con il compito sociale pubblicistico che
alla nullità viene sovente attribuito. Un rimedio residuale ma
"sanzionatorio"[16], capace sovente di dare adeguata tutela a
interessi generali[17], o meglio indisponibili dai privati[18].
La correlazione tra violazione della norma imperativa e nullità del contratto
non è tuttavia sempre scontata, e ciò a prescindere dall'espressione incerta
utilizzata dal legislatore con l'inciso "salvo che la legge disponga
diversamente"[19].
Le ambiguità applicative dell'istituto, nonostante il punto fermo dell'interesse
pubblico o generale perseguito dalla norma violata, non consentono di enucleare
una massima coerente. L'istituto della nullità virtuale viene infatti applicato
con gradazioni e intensità diverse senza un preciso riscontro normativo.
È così nullo, per contrarietà a norma imperativa, il patto di non concorrenza
finalizzato a limitare l'iniziativa economica privata altrui, e ciò in quanto
contrario all'ordine pubblico costituzionale[20]. Parimenti nullo, per
contrarietà ad un interesse economico generale, è il contratto di agenzia
concluso tra un agente "abusivo" e un cliente[21]. Lo stesso regime
non sembra invece applicarsi, inspiegabilmente, al contratto di mediazione, nel
caso di mediatore "abusivo", non iscritto nell'apposito albo[22]. Per
poi riattivarsi, nel caso di contratti di attività giornalistica da parte di
soggetti non iscritti all'albo[23], ovvero da Società di intermediazione
abusive[24]. E così via[25].
In questo contesto, va letta la pronuncia in epigrafe che sul punto non sembra
lasciare invero spazio per interpretazioni alternative: "In nessun caso,
in difetto di previsione normativa in tal senso, la violazione dei suaccennati
doveri di comportamento può (...) determinare la nullità del contratto di
intermediazione, o dei singoli atti negoziali conseguenti, a norma dell'art.
1418, comma 1, c.c."[26]. E ciò in quanto la tesi della nullità sarebbe
plausibile "solo ove risultasse l'unica in grado di rispondere
all'esigenza - sicuramente presente nella normativa in questione e coerente con
la previsione dell'art. 47, comma 1, Cost. - di incoraggiare il risparmio e
garantirne la tutela"[27].
Il ragionamento della Corte è allora chiaro. Le norme in discussione hanno
carattere imperativo e sono poste a presidio di un interesse generale
rilevante. Tuttavia, l'effettività della norma è comunque assicurata - almeno
in parte[28] - dalla previsione di rimedi alternativi: il rimedio risarcitorio
e, in presenza dei presupposti di legge, financo quello risolutorio.
3. Regole di condotta vs Regole di validità: la ratio decidendi
Sullo sfondo della decisione affiora la distinzione tra regole di condotta e
regole di validità: le regole informative, in quanto espressione della
professionalità e della correttezza vengono più agevolmente ricondotte nella
prima categoria anche a dispetto di quella "tendenza evolutiva" in
atto - ben stigmatizzata dal Supremo Collegio - che mette in discussione tali
categorie in guisa di "un fenomeno di trascinamento del principio di buona
fede sul terreno del giudizio di validità dell'atto"[29].
Sulla base dei presupposti teorici delineati, il Giudice di legittimità enuncia
la ratio della decisione "per cui la violazione dei doveri di informazione
del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a
carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento
finanziario può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguente
obbligo di risarcimento dei danni, ove tali violazioni avvengano nella fase
precedente o coincidente con la stipulazione del contratto d'intermediazione
destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti; può invece dar luogo a
responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del
predetto contratto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni
d'investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto
d'intermediazione in questione"[30].
Il doppio regime di responsabilità - precontrattuale e contrattuale - è
intimamente connesso con la teorica del c.d. "contratto
normativo"[31], cui è riconducibile la fattispecie negoziale del contratto
per la negoziazione (sottoscrizione, collocamento, ricezione, trasmissione e
mediazione) degli ordini concernenti strumenti finanziari. Accordo quest'ultimo
mediante il quale le parti prestabiliscono, conformemente alla disciplina di
settore, le modalità e taluni aspetti del contenuto dei futuri negozi: gli
ordini di borsa, per l'appunto. Ordini che, pur avendo natura negoziale,
"costituiscono pur sempre il momento attuativo del precedente contratto di
intermediazione"[32].
Da questo angolo di visuale - il riferimento al mandato sembra cogliere nel
segno - ne deriva che solo la violazione delle regole informative antecedenti
alla stipulazione del contratto normativo si traduce in una responsabilità di
tipo precontrattuale. Si tratta delle regole che impongono agli intermediari di
consegnare alla controparte il documento sui rischi generali degli investimenti
in strumenti finanziari, nonché di acquisire le "informazioni sull'esperienza
in materia di investimenti in strumenti finanziari, situazione finanziaria,
obiettivi di investimento e propensione al rischio" del cliente[33].
In questo frangente, le Sezioni Unite sembrano condividere allora la sentenza
della Cassazione 29 settembre 2005, n. 19024 secondo cui la violazione delle
norme richiamate ha natura prettamente risarcitoria, in dipendenza della
eventuale violazione del principio di buona fede nello svolgimento delle
trattative e nella formazione del contratto. E ciò in quanto, il mancato
rispetto della disciplina in tema di flussi informativi - antecedenti alla
stipulazione del contratto normativo (e soltanto del contratto normativo) - è
riconducibile ad una violazione dell'art. 1337 c.c.; norma quest'ultima il cui
raggio di azione non si estende esclusivamente alle ipotesi di rottura
ingiustificata delle trattativa ma ricomprende altresì il dovere di comportarsi
in modo leale, "astenendosi da comportamenti maliziosi o anche solo
reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o anche
solo conoscibile con l'ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del
contratto".
La violazione, per contro, di tutte le altre regole comportamentali che devono
essere rispettate successivamente alla stipulazione del contratto normativo è
destinata ad integrare un inadempimento e dunque una responsabilità di tipo
contrattuale, ferma restando la possibilità da parte del cliente di invocare il
rimedio risolutorio qualora alla luce dell'economia del contratto
l'inadempienza dell'intermediario non abbia scarsa importanza ai sensi
dell'art. 1455 c.c.[34].
4. Un obiter dictum: la mancata autorizzazione scritta come inadempimento
"strutturale"
Il ragionamento seguito dal Supremo Collegio, almeno da un punto di vista
dogmatico, sembra, fino a questo punto, lineare. Come si è avuto modo di
precisare, non sorprende che la violazione degli obblighi informativi,
espressione della professionalità e della solidarietà cui l'intermediario deve
conformare il proprio agere, sia accompagnata da un rimedio risarcitorio.
Più difficile appare invero aderire al passaggio successivo scandito dalla
Cassazione - e presentato come obiter - là dove, forse frettolosamente, ai
doveri informativi accomuna, in punto di conseguenze di violazione, gli
obblighi che impongono alle imprese di investimento di astenersi
rispettivamente dall'effettuare operazioni inadeguate[35] ovvero in conflitto
di interessi[36], senza una specifica autorizzazione scritta da parte del
cliente.
Se da una parte tali regole "integrano veri e propri doveri di non fare,
la cui violazione si traduce nella stipulazione di altrettanti contratti
vietati da norma imperativa: [e] il che per quanto sopra detto, dovrebbe
colpire alla radice gli atti vietati, rendendoli illeciti e per ciò
nulli", dall'altra "il compimento delle operazioni di cui si tratta
(...) si pone pur sempre come momento attuativo di obblighi che l'intermediario
ha assunto all'atto della stipulazione col cliente del «contratto
quadro»". In altri termini, "[i]l divieto di compiere operazioni
inadeguate o in conflitto di interessi attiene (...) anch'esso (...) alla fase
esecutiva di detto contratto, costituendo, al pari del dovere di informazione,
una specificazione del primario dovere di diligenza, correttezza e professionalità
nella cura degli interessi del clienti"[37]. E ciò sembrerebbe dedursi dal
"modo stesso in cui la norma è formulata" sintomo della volontà del
legislatore di contemplare anche in tale circostanza "obblighi di
comportamento precontrattuali e contrattuali, non già regole di validità del
contratto"[38].
La prospettata configurazione non appare pienamente condivisibile. Oltre che
essere in contraddizione, per stessa ammissione della Corte, con quella
giurisprudenza (di legittimità, richiamata nel testo della pronuncia[39]) che
commina la sanzione della nullità ai contratti stipulati senza una prescritta
autorizzazione a contrarre.
Il difetto dell'autorizzazione scritta (o della diversa procedura di garanzia
prevista dalla disciplina di settore) in entrambe le ipotesi menzionate sembra
difatti incidere sulla struttura dell'atto negoziale. A prescindere dalla
funzione rimediale, in tal caso il contratto di borsa risulta giuridicamente
mancante o comunque minorato. E non convincente appare il tentativo di
ricondurre tale deficienza ad un vizio funzionale in guisa della natura
"assorbente" del contratto quadro.
La mancanza dell'autorizzazione redatta per iscritto, inderogabilmente prevista
per dar sèguito ad una operazione inadeguata o in conflitto di interessi,
incide sul nascere del negozio. Si tratta di un vizio genetico. Di una
irregolarità giuridica che trae titolo da un fatto contestuale al
perfezionamento e all'efficacia del contratto. E non di una sopravvenuta
inadempienza atta (eventualmente) a tradursi in una anomalia funzionale del
contratto.
Il giudizio di (in)validità può essere effettuato alla luce della mancanza di
un elemento inderogabile (la forma) che compone la struttura del contratto.
Anche non volendo aderire alla tesi della forma necessaria alla validità del
negozio, nel caso di specie la forma non è certamente imposta per la prova
dell'atto. Vi è infatti un diverso caso che si verifica quando il legislatore
chiede "che una dichiarazione «risulti» da una scrittura privata o da una
annotazione fatta in un registro (...). La «risultanza» fa pensare, a prima
vista, alla prova. Ma, quando il legislatore esige la «risultanza», il
documento è necessario anche se è pacifico che la dichiarazione (informe) ebbe
esistenza (...). Quando è richiesta la risultanza dell'atto dallo scritto, il
negozio informe è inoperante (...)"[40].
Se si abbandona la strada della nullità strutturale ex art. 1418, comma 2 c.c.,
sostenendo ad esempio che la forma non è accompagnata da una nullità testuale,
il contratto di borsa posto in essere in mancanza della specifica
autorizzazione prescritta potrebbe comunque essere considerato nullo dacché
l'atto in quanto tale (e non le modalità che ne caratterizzano l'esecuzione) è
contrario a una norma imperativa che esprime un principio di ordine pubblico
(per usare le parole del Supremo Collegio, posta in essere "nell'interesse
generale all'integrità dei mercati finanziari")[41].
In sintesi, il mancato rispetto dell'autorizzazione scritta a contrarre esprime
in ogni caso "una valutazione negativa del contratto: 1) per la sua
definitiva deficienza strutturale, ossia mancanza o impossibilità originaria di
un elemento costitutivo, ovvero 2) per la sua dannosità sociale, e quindi per
la sua illiceità"[42].
Chi non ha scomodato la più grave forma d'invalidità negoziale, in materia di
conflitto di interessi, ha comunque assoggettato il contratto alla sanzione
dell'inefficacia di applicazione giudiziale. Sia la dottrina che la
giurisprudenza hanno infatti da tempo avanzato, argomentando ex art. 1394 c.c.,
la tesi dell'annullamento[43]. Tesi da ultimo ripresa dalla sentenza richiamata
della Corte di Cassazione del 29 settembre 2005 là dove essa Corte ha
specificato che l'inosservanza delle norme in questione sembrano "assumere
rilievo, sotto altro profilo, alla stregua dei principi stabiliti dagli arti.
1394 e 1395 c.c.".
Si tratta, come è agevole comprendere, di configurazioni profondamente diverse
l'una con l'altra, ma che hanno entrambe il merito di condividere un assunto
fondamentale: l'inosservanza della norma che impone agli intermediari di
eseguire un ordine di borsa inadeguato o in conflitto di interessi previa
autorizzazione scritta da parte del cliente si sostanzia in una qualifica
negativa del contratto, fin dal momento del perfezionamento e dell'efficacia
dello stesso[44].
2. 5. Sul significato economico dei rimedi
La dottrina e la giurisprudenza maggioritaria conducono la responsabilità
precontrattuale nel più generale istituto della responsabilità
extracontrattuale[45].
Come immediata conseguenza, il termine prescrizionale relativo alle eventuali
violazioni dei doveri informativi antecedenti alla stipulazione del contratto
quadro (ie consegna del documento sui rischi generali degli investimenti in
strumenti finanziari, nonché know your customer rule) è tosto ridotto a cinque
anni "dal giorno in cui il fatto si è verificato". Anche volendo
aderire alla tesi che fa decorrere il momento iniziale del termine di
prescrizione in quello in cui - a seguito dell'inadempienza altrui - si
verifica la lesione concreta della sfera giuridica del cliente (ovvero il
default della società emittente) ogni doglianza relativa al mancato rispetto di
siffatti obblighi si deve ritenere prescritta, avendo riguardo, si intende,
agli scandali finanziari dell'inizio del nuovo millennio.
Cambiando angolo di visuale, è altresì agevole comprendere come la scelta del
criterio di attribuzione di responsabilità giochi un ruolo strategico
nell'indurre le parti del contratto di investimento (entrambe) a tenere un
determinato comportamento nell'ambito di una relazione naturalmente destinata a
durare nel tempo. La scelta tra il rimedio della invalidità (che si accompagna
all'azione di ripetizione dell'indebito) e quello risarcitorio può essere infatti
analizzata dal punto di vista degli effetti sulle parti del contratto,
creditore e debitore, oltre che della loro efficienza (di sistema) nella
distribuzione dei costi correlati al danno e della loro conseguente rilevanza
come deterrente al compimento di future infedeltà.
Come si è avuto modo di accennare, i flussi informativi tra intermediario e
cliente (e viceversa) rimangono apparentemente confinati nell'ambito di un
rapporto bilaterale[46]. Mutuando la tassonomia dei beni, l'informazione in questione
sembra assurgere al rango di bene privato, in guisa della naturale esclusività
del godimento che la caratterizza. L'informazione al cliente non è liberamente
fruibile da chiunque, bensì in via esclusiva dal singolo
investitore-controparte negoziale, che per goderne i benefici deve tra l'altro
sopportarne i costi (di produzione). Siffatta dinamica di equilibrio tende ad
assicurare una adeguata produzione dell'informazione privata e a scongiurare,
di conseguenza, i rischi di free riding, preludio dei fenomeni di instabilità
finanziaria.
In questa prospettiva, nel caso di accertato inadempimento dell'intermediario
dei doveri informativi, appare, almeno in prima battuta, efficiente un rimedio
capace di assicurare una perfetta compensazione del creditore, riportando
quindi il cliente al livello di benessere di cui avrebbe beneficiato se non ci
fosse stato l'inadempimento. Solo un risarcimento "perfetto" è idoneo
infatti ad assicurare l'internalizzazione dei costi prodotti dalla condotta
illecita, evitando fenomeno distorsivi e quindi inefficienze di mercato[47].
Seguendo tale prospettiva, sembra allora che il rimedio "adeguato"
sia quello risarcitorio a seguito di un giudizio di responsabilità
contrattuale. La costellazione di regole previste nel nostro ordinamento di
diritto privato in materia di determinazione del danno risarcibile è permeata
dal principio del danno effettivo: "l'obbligo del risarcimento deve
adeguarsi al danno effettivamente subito dal creditore, il quale non deve
ricevere né più né meno di quanto necessario a rimuovere gli effetti economici
negativi dell'inadempimento o dell'illecito"[48].
Per tale via, si coglie la rilevanza attribuita dall'art. 1223 c.c. al nesso
causale tra inadempimento e danno: sono risarcibili i danni conseguenza
immediata e diretta dell'inadempimento. Ovvero di tutte le altre regole che
concorrono a delimitare l'ambito del danno risarcibile: la regola c.d. della
causa successiva ipotetica, ricavabile ex art. 1221 c.c., in base alla quale il
danno risarcibile è ridotto nella misura in cui altre cause non imputabili
avrebbero ugualmente arrecato al creditore il danno prodotto
dall'inadempimento; la regola del concorso di colpa del creditore, che prevede
una riduzione del risarcimento in guisa della gravità della colpa e dell'entità
delle conseguenze che sono derivate dal fatto colposo del danneggiato; la
regola, prevista dall'art. 1227, comma 2 c.c., che esclude il risarcimento per
i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza; la
regola non codificata, ma riconosciuta coma massima di diritto positivo dalla
giurisprudenza, della compensatio lucri cum damno, in base alla quale la
determinazione del danno risarcibile deve scontare gli (eventuali) effetti
vantaggiosi che hanno causa diretta nell'inadempimento; infine la regola della
prevedibilità del danno ex art. 1225 c.c. che limita, nel caso di inadempimento
colposo, il risarcimento ai soli danni che potevano prevedersi.
Seguendo tale impostazione, i sostenitori del rimedio risarcitorio hanno tra
l'altro osservato che il rimedio restitutorio (la ripetizione dell'indebito che
si correla al vizio genetico) "immunizza" il risparmiatore dagli
eventuali danni conseguenti all'andamento del mercato; escludendo, siffatto
rimedio, l'eventuale incidenza del fatto colposo del danneggiato e il rapporto
di causalità tra il pregiudizio lamentato e la condotta dell'impresa
d'investimento[49]. E che tale maggior costo verrebbe comunque traslato sul
mercato (rectius sugli investitori) attraverso l'aumento delle commissioni
d'intermediazione, creando inoltre fenomeni di overdeterrence a svantaggio
degli intermediari finanziari meno dotati patrimonialmente[50].
Le riflessioni esposte non tengono peraltro conto della dimensione pubblica
dell' "informazione privata". L'investitore determina - almeno in
linea di principio[51] - le proprie scelte di investimento anche alla luce
della valutazione relazionale dello strumento finanziario, effettuata sulla
base delle informazioni rese disponibili (oltre che dal mercato anche)
dall'intermediario. Tale processo selettivo si basa, in particolare, sulla
fiducia informativa che a sua volta, in una logica cerchio-bottista, si basa
sulla qualità e la veridicità dell'informazione prodotta.
Il tema conduce a sua volta al ruolo degli intermediari finanziari nelle
dinamiche di mercato, nonché all'economia dell'informazione[52] (finanziaria)
come antidoto al moral hazard e alla selezione avversa. Fenomeni che se non
opportunamente controllati possono compromettere non soltanto l'investitore in
qualità di controparte debole dell'intermediario, bensì più in generale la
corretta allocazione del risparmio, innescando quel fenomeno a spirale di
degenerazione informativa - il "fenomeno dei bidoni"[53] -, preludio
del fallimento del paradigma convenzionale dell'efficienza dei mercati[54].
Come è stato dimostrato, applicando il modello di Akerlof al settore
finanziario[55], nel caso di incertezza sulla qualità e la veridicità
dell'informazione (che per legge viene fornita dagli intermediari alle
controparti negoziali), l'investitore (razionale e neutrale al rischio) tende a
confondere la qualità degli strumenti finanziari negoziati riducendone
indifferentemente il prezzo di acquisto. Come è agevole comprendere,
l'"equilibrio unico" del prezzo innesca un circolo vizioso che tende
ad escludere dal mercato gli emittenti strumenti finanziari di buona qualità
non adeguatamente compensati dal mercato stesso. È un tipico caso si selezione
avversa. Siffatto fenomeno, almeno nella ricostruzione teorica ricordata, porta
ad una progressiva riduzione del prezzo sulla base della conseguente revisione
da parte dell'investitore del valore atteso degli strumenti finanziari
negoziati e l'ineluttabile collasso finale: "«Lemons» will dominate the
market [...] Investors and society both lose"[56].
L'anello di congiuntura tra interesse privato e interesse pubblico
all'informazione si coglie, allora, nell'asimmetria informativa e, in
particolare, negli effetti di sistema che essa produce in assenza di incentivi
adeguati o in presenza di incentivi distorti.
Seguendo questa prospettiva, non è dubbio che il rimedio restitutorio assolve
in modo più incisivo alle finalità di prevenzione intimamente connesse alle
esigenze pubbliche delineate. Da un punto di vista economico, la ripetizione
dell'indebito che si accompagna all'invalidità del contratto di borsa, sembra
comportare una completa internalizzazione dei costi in capo all'impresa di
investimento che ha causato il pregiudizio (al mercato) costituendo un robusto
deterrente contro future azioni infedeli. In altri termini, la responsabilità
attesa di siffatto rimedio sembra più idonea a indurre l'intermediario a
rispettare il modello di diligenza previsto dalla normativa di settore,
rispetto al rimedio risarcitorio connesso a una responsabilità per colpa.
Il rischio (tipicamente punitivo ed effettivamente presente) che la ripetizione
si traduca in una compensazione eccedente rispetto al reale valore pecuniario
del danno a favore del singolo investitore sembra "compensare" - in
una logica preventiva - le alte probabilità che la condotta illecita
dell'intermediario non venga accertata. Specularmente, la responsabilità
risarcitoria potrebbe non scontare a sufficienza gli alti costi probabilistici
connessi all'accertamento dell'illecito in un settore, come quello finanziario,
altamente sofisticato, e ciò a prescindere dall'inversione dell'onere della
prova (che inversione tecnicamente non è). Il rimedio risarcitorio potrebbe
apparire, dunque, soffice e poco costoso per intermediari infedeli o
negligenti. Le difficoltà legate alla prova (questa a carico dell'investitore)
della causalità giuridicamente rilevante, del dolo dell'intermediario ai fini
del superamento del limite della prevedibilità del danno, nonché i limiti
connessi alla quantificazione del danno in materia (pre)contrattuale sembrano
impedire un adeguato risarcimento a favore dell'investitore danneggiato,
agevolando fenomeni distorsivi di underdeterrence che, come noto, si
accompagnano a fenomeni di undercompensation.
Come è agevole comprendere, queste pagine non si prestano ad esaurire un tema
di così vasta portata e precipitare quindi frettolose conclusioni. Va peraltro
evidenziato che a sèguito della recente applicazione nei Paesi membri della
direttiva n. 2004/39/CE (c.d "Direttiva MiFID") e degli atti
esecutivi (direttiva n. 2006/73/CE e Regolamento n. 1287/2006) il quadro
normativo europeo in materia di intermediazione finanziaria e, in particolare
ai fini che ci occupano, di regole di comportamento che le imprese di
investimento devono rispettare nei loro rapporti con la clientela non lascerà
più margine per l'affermarsi di fenomeni di arbitraggio normativo.
Il legislatore comunitario ha trascurato (intenzionalmente) la materia
rimediale, limitandosi a stabilire, in modo stereotipato, che le sanzioni siano
efficaci, proporzionali e dissuasive. Le differenze ordinamentali si
coglieranno allora proprio nel settore dei rimedi, del private enforcement[57].
Ordinamenti dotati di strumenti rimediali efficaci tenderanno ad escludere
intermediari opportunisti e infedeli e, di converso, ad attrarre investitori e
capitali. Correlativamente, ordinamenti non adeguatamente attrezzati
attireranno intermediari dal basso valore reputazionale, che pregiudicheranno
la credibilità del mercato con l'inevitabile dispersione di capitale. Si
verificherà un fenomeno di "arbitraggio rimediale".
In conclusione è possibile affermare che il dictum della Suprema Corte abbia
investito un tema strategico, idoneo a segnare nell'imminente futuro - in
chiave di concorrenza tra ordinamenti - l'efficienza del mercato e la tutela
dei risparmiatori. Di tale problematiche il Giudice di legittimità, in armonia
a una spiccata sensibilità all'approccio tradizionale, non si è formalmente fatto
carico. L'iter argomentativo seguito, attento a risolvere una querelle di
stampo marcatamente dogmatica, è allora (almeno da questo punto di vista)
deludente e inidoneo a dare adeguate risposte a chi ha, legittimamente,
"opinioni diverse sul grado di efficacia della tutela in tal modo
assicurata dal legislatore al risparmio dei cittadini, che negli ultimi anni
sempre più ampiamente viene affidato alle cure degli intermediari
finanziari"[58].
FILIPPO SARTORI
Università degli Studi di Trento, Facoltà di Giurisprudenza
** Massima non ufficiale.
[1] La Corte sente l'esigenza di rimarcare che la disciplina applicata al caso
di specie è quella della legge 2 gennaio 1991, n. 1. Disciplina come noto,
modificata prima dal d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415 e quindi dal d.lgs 24
febbraio 1998, n. 58, come da ultimo novellato dal d.lgs 17 settembre 2007, n.
164 attuativo della direttiva n. 2004/39/CE e degli atti esecutivi (direttiva
n. 2006/73/CE e Regolamento n. 1287/2006).
[2] Cfr. F. Annunziata, Regole di comportamento degli intermediari e riforme
dei mercati mobiliari, Milano, pag. 321.; G. Alpa, commento art. 21, in Alpa e
Capriglione (a cura di), Commentario al testo unico delle disposizioni in
materia di intermediazione finanziaria, Padova, 1998, pag. 225; A. Dolmetta, U.
Minneci, voce Borsa (contratti di), in Enc. dir. Aggiornamento, V, Milano,
2001, pag. 173, nonché da ultimo F. Sartori, Le regole di condotta degli
intermediari finanziari. Disciplina e forme di tutela, Milano, 2004. Concetto
ripreso dal legislatore comunitario con la direttiva n. 2006/73/CE recante
modalità di esecuzione della direttiva n. 2004/39/CE ove, ad esempio, al
considerando 45 stabilisce che il livello di precisione delle informazioni che
devono esser fornite ai clienti dall'impresa di investimento "può variare
in funzione della classificazione del cliente (...) e della natura e del
profilo di rischio degli strumenti finanziari che vengono offerti".
[3] Cfr. N. Moloney, EC Securities Regulation, Oxford, 2002, pag. 514.
[4] È in parte condivisibile l'opinione di chi individua "il vero asse
portante" di siffatta disposizione "al novero degli obblighi di
informazione nella fase delle trattative", cfr. A. Perrone, Servizi di
investimento e violazione delle regole di condotta, in Riv. delle Soc., 2005,
pag. 1023. Sia consentito rimandare altresì alle riflessioni svolte nel mio Le
regole di adeguatezza e i contratti di borsa: tecniche normative, tutele e
prospettive MiFID, in Riv. dir. priv., 2008, in corso si stampa.
[5] Seguendo la strada delineata, è agevole cogliere la stretta interdipendenza
dei diversi obblighi in esame, funzionalmente preordinati a porre il
risparmiatore "nella condizione ideale di effettuare consapevoli e
ragionate scelte di investimento o disinvestimento, sul presupposto di una
postulata correlazione funzionale della conoscenza quale guida alla volontà
dell'agire intenzionale e cosciente e momento costitutivo essenziale della
intera esperienza pratica dell'uomo". Testualmente V. Scalisi, Dovere di informazione
e attività di intermediazione mobiliare, in Mazzamuto-Terranova (a cura di),
L'intermediazione mobiliare. Studi in onore di Aldo Maisano, Napoli, 1993, pag.
72. Come è stato acutamente osservato, si tratta di un "rapporto di mezzo
a scopo", di "un modello che privilegia regole di risultato a regole
di procedura" attraverso l'utilizzo di "una clausola generale come
regola di chiusura del sistema (...)". Così A. Perrone, Gli obblighi di
informazione nella prestazione dei servizi di investimento, in Banca borsa tit.
cred., 2006. Sui profili strutturali del dovere di informazione cfr., in
generale, S. Pugliatti, I fatti giuridici, revisione e aggiornamento di A.
Falzea, Ferrara, Messina, 1945.
[6] A cui si aggiunge - se ne ricorrono le condizioni ex art. 2058, comma 1
c.c.. - il risarcimento in forma specifica, finalizzato non già a compensare
pecuniariamente il danno (inteso come effetto economico negativo), bensì a
rimuoverlo direttamente.
[7] La gravità dell'inadempimento si coglie in considerazione della natura
estrema del rimedio, atto a caducare il contratto e le obbligazioni
conseguenti. Sul punto, cfr. C. M. Bianca, Diritto civile, La responsabilità,
Trattato di diritto civile, V, 1994, pag. 270.
[8] In generale, sul tema cfr. G. Collura, Importanza dell'inadempimento e
teoria del contratto, Milano, 1992; M.G. Cubeddu, L'importanza
dell'inadempimento, Torino, 1995.
[9] In questi termini, cfr. R. Sacco, G. De Nova, Il Contratto, Trattato di
Diritto Civile, diretto da Sacco, II, Torino, ed. 2004, pag. 233.
[10] Ibidem, pag. 258.
[11] Come è agevole comprendere, il tema della responsabilità precontrattuale
connessa alla violazione dei doveri informativi, conduce al fenomeno dei vizi
del consenso (per colposa o dolosa induzione in errore) che a sua volta riporta
l'attenzione dell'interprete al tema della tutela del creditore mediante
l'azione di ripetizione dell'indebito connessa alle invalidità negoziali.
[12] Come correttamente osservato dal Giudice di legittimità (1.3.) "(...)
nel caso in esame non si ravvisa la necessità di comporre un contrasto
giurisprudenziale derivante dalla presenza di precedenti difformi decisioni
delle sezioni semplici sulla questione di diritto" oggetto
dell'intervento. Il riferimento sembra concernere il contrasto "virtuale"
tra Cass. 7 marzo 2001, n. 3272, in Giust. civ., 2001, 2109 e Cassazione 29
settembre 2005, n. 19024, in La nuova giur. civ. comm., 2006, I, pagg. 897 e
ss., con nota di Passaro. Pronunce radicalmente diverse nei presupposti
decisionali giacché la prima sentenza si basava sull'assunto (assorbente) del
mancato rispetto da parte dell'intermediario del requisito dell'iscrizione
nell'albo delle Sim. Profilo colto lucidamente da A. Dolmetta, Strutture
rimediali per la violazione di «obblighi di fattispecie» da parte di
intermediari finanziari (con peculiare riferimento a quelli di informazione e
di adeguatezza operativa), Relazione al Convegno «I contratti di negoziazione
di strumenti finanziari», organizzato dal Consiglio Superiore della
magistratura - Formazione Decentrata dei Magistrati del Distretto di Brescia in
collaborazione con l'Ordine degli avvocati di Mantova, tenutosi in Mantova, 30
novembre 2007, edita in IL CASO - Foglio di giurisprudenza mantovana, http://www.ilcaso.it,
pag. 6.
[13] Accolgono, tra gli altri, la tesi del vizio funzionale rispettivamente i
Tribunali e le Corti d'Appello di Roma e Milano (non senza invero qualche voce
contraria); nonché tra i tanti il Tribunale di Rimini, il Tribunale di Brescia,
il Tribunale di Oristano, il Tribunale di Savona, il Tribunale di Udine, il
Tribunale di Modena, il Tribunale di Bologna, il Tribunale di Padova, il
Tribunale di Foggia, il Tribunale di Rovereto; rispettivamente le Corti
d'Appello di Torino e Brescia. Di converso, sembrano più orientati a traslare
la violazione dei doveri comportamentali degli intermediari sul piano della
fattispecie fra gli altri il Tribunale di Mantova, il Tribunale di Trento, il
Tribunale di Firenze, il Tribunale di Palermo, il Tribunale di Venezia, il
Tribunale di Brindisi, il Tribunale di Ferrara, il Tribunale di Santa Maria
Capua Vetere, il Tribunale di Parma, il Tribunale di Marsala, il Tribunale di
Treviso, il Tribunale di Cagliari, il Tribunale di Trani, il Tribunale di
Foggia.
[14] In dottrina, tra i tanti che si sono occupati del tema cfr. di recente G.
Cottino, La responsabilità degli intermediari finanziari. Ancora qualche
divulgazione sul tema, in Giur. it., 2006, 1633 e ss.; ID, Una giurisprudenza
in bilico: i casi Cirio, Parmalat, bonds argentini, in Giur. it., 2006, 537 e
ss.; F. Mazzini, La giurisprudenza sulla adeguatezza dell'operazione del
cliente, Relazione al convegno organizzato dall'Università degli Studi di Siena
sul tema: "La stagione dei corporate bond tra giurisprudenza e riforma del
risparmio", Siena, 24 marzo 2006, in Dir. banc. merc. fin., 2006, pagg.
605 e ss.; A. Perrone, Gli obblighi di informazione nella prestazione dei
servizi di investimento, in Banca borsa tit. cred., 2006, I, pagg. 373 e ss.;
F. Galgano, I contratti di investimento e gli ordini dell'investitore
all'intermediario, in Contratto e impresa, 2005, pagg. 889 e ss.; D. Maffeis,
Forme informative, cura dell'interesse ed organizzazione dell'attività nella
prestazione dei servizi di investimento, in Riv. dir. priv., 2005, pagg. 575 e
ss.; V. Roppo, La tutela del risparmiatore fra nullità, risoluzione e
risarcimento (ovvero, l'ambaradam dei rimedi), in Contratto e impresa, 2005,
pagg. 896 e ss. Da ultimo con particolare riguardo ai prodotti finanziari derivati,
B. Inzitari, Strumentalità e malizia nella predisposizione e raccolta della
dichiarazione di operatore qualificato, Relazione al Convegno «I contratti di
negoziazione di strumenti finanziari», organizzato dal Consiglio Superiore
della magistratura - Formazione Decentrata dei Magistrati del Distretto di
Brescia in collaborazione con l'Ordine degli avvocati di Mantova, tenutosi in
Mantova, 30 novembre 2007, edita in IL CASO - Foglio di giurisprudenza
mantovana, http://www.ilcaso.it/. A livello monografico, affrontano
il tema, tra gli altri, F. Annunziata, Regole di comportamento degli
intermediari e riforme dei mercati mobiliari, Milano, 1993; M. Lobuono, La
responsabilità degli intermediari finanziari, Napoli, 1999; E.M. Mastropaolo, I
servizi di investimento e gli intermediari professionali, Milano, 2003; F.
Sartori, Le regole di condotta degli intermediari finanziari. Disciplina e
forme di tutela, Milano. 2004. Per una ricognizione della letteratura
statunitense cfr. A. M. Pacces, Financial Intermediation in the Securities
Markets, Law and Economics of Conduct of Business Regulation, 20 12 Int. Rev.
Law. Ec., 490, 479 (2000).
[15] Come di contro appare alla Suprema Corte di Cassazione là dove afferma,
nella sentenza in commento, che "gli strumenti di tutela esistono anche
sul piano del diritto civile, essendo poi la loro specifica conformazione
giuridica compito del medesimo legislatore le cui scelte l'interprete non è
autorizzato a sovvertire, sicché il ricorso allo strumento di tutela della
nullità radicale del contratto per violazione di norme di comportamento
gravanti sull'intermediario nella fase prenegoziale ed in quella esecutiva, in
assenza di disposizioni specifiche, di principi generali o di regole
sistematiche che lo prevedano, non è giustificato" (1.9.).
[16] Sul punto cfr. le note critiche cfr. R. Sacco, G. De Nova, Il Contratto,
II, cit., pag. 525.
[17] La letteratura è vastissima. Cfr. tra tanti, F. Ferrara sen., Teoria del
negozio illecito nel diritto civile italiano, Milano, 1914; V. Roppo, Il
contratto, in Trattato Iudica-Zatti, Milano, 2001; G.B. Ferri, Introduzione al
sistema dell'invalidità del contratto, in Trattato Bessone, Il contratto in
generale, VIII, Torino, 2002; G. De Nova, Il contratto contrario a norme
imperative, in Riv. crit. dir. priv., 1985, pagg. 436 e ss; A. Di Majo, La
nullità, in Trattato Bessone, cit.
[18] Il riferimento scontato è alle nuove nullità di protezione.
[19] Su cui cfr. G. De Nova, Il contratto contrario a norme imperative, cit., nonché
G. Villa, Contratto e violazione di norme imperative, Milano, 1993.
[20] Cfr., ad esempio, Cassazione 19 dicembre 2001, n. 16026, in Mass. Foro
it., 2001.
21 Cfr., tra le altre, Cassazione, Sezioni Unite, 3 aprile 1989, n. 1613, in
Foro it., 1989, I, 1420 e ss.
[22] Cfr. Cassazione, 27 giugno 2002, n. 9380, in Mass. Foro it., 2002. Anche
se la giurisprudenza sul punto non è unanime.
[23] Così Cassazione 4 febbraio 1998, n. 1157, in Mass. Foro it., 1998.
[24] Cfr. Cass. 7 marzo 2001, n. 3272, cit.
[25] Dati aggiornati in M. Mantovani, La nullità e il contratto nullo, in
Trattato del Contratto, Roppo (a cura di), Milano, 2006, pagg. 50 e ss.
[26] Cfr. 1.11.
[27] Cfr. 1.9.
[28] Trapela una certa consapevolezza della minor incisività del rimedio
risarcitorio (rispetto a quello di ripetizione) in un passo ove la Corte
afferma, per l'appunto, che "[s]i possono ovviamente avere opinioni
diverse sul grado di efficacia della tutela in tal modo assicurata dal
legislatore al risparmio dei cittadini, che negli ultimi anni sempre più
ampiamente viene affidato alle cure degli intermediari finanziari. Ma non si
può negare che gli strumenti di tutela esistono (...)" (1.9.).
[29] Cfr. 1.6.
[30] Cfr. 1.11.
[31] Su cui in generale cfr. G. Guglielmetti, I contratti normativi, Padova,
1969; A. Orestano, Accordo normativo e autonomia negoziale, Quaderni romani di
diritto privato, Padova, 2000. Per una bibliografia analitica dell'istituto
cfr. V. Roppo, Il Contratto, cit., pagg. 528 e ss.
[32] Cfr. 1.2.
[33] Regola questa invero che si riattiva nel corso del rapporto negoziale e
può rilevare quindi anche ai fini dell'accertamento della responsabilità
contrattuale. Come correttamente osservato dalla dottrina più qualificata
"talora l'interprete stenterà a distinguere il dovere precontrattuale
d'informazione e l'obbligazione di informare, vista come prestazione
contrattuale". Così R. Sacco, G. De Nova, Il Contratto, II, cit., pag. 258
che richiamano l'esempio del medico chirurgo. Il medico "informa la
paziente sui rischii e le speranze che si collegano ad un intervento. In casi
come questo l'interprete ama menzionare l'art. 1337; ma non è facile sottrarre
un'informazione di questo genere al regime delle consulenze prestate in virtù
di un rapporto contrattuale ormai instaurato".
[34] La Cassazione non sviluppa tale profilo, giacché come ben noto la
"[g]ravità dell'inadempimento è res facti". Così R. Sacco, G. De
Nova, Il Contratto, II, cit., pag. 633.
[35] Sul punto sia consentito rimandare al mio, Le regole di adeguatezza e i
contratti di borsa: tecniche normative, tutele e prospettive MiFID, cit.
[36] Sul tema del conflitto di interessi in materia di servizi di investimento
cfr. ex plurimis F. Annunziata, "Governance" delle banche e conflitti
di interessi. Il difficile equilibrio tra disciplina bancaria e dei servizi di
investimento, in Analisi giuridica dell'economia, 2004, pagg 178 e ss.; R.
Razzante, Il conflitto di interessi tra lex specialis e normativa civilistica:
un tentativo di ricostruzione della disciplina applicabile, in Riv. dir. Comm.,
2004, pagg. 51 e ss.; F. Sartori, Il conflitto di interesse tra intermediari e
investitori, in Riv. dir. civ., 2001, pagg. 191 e ss. In generale, cfr. il D.
Maffeis, Conflitto di interessi nel contratto e rimedi, Milano, 2002.
[37] Cfr. 1.10.
[38] Ibidem.
[39] Cfr. 1.7.
[40] R. Sacco, G. De Nova, Il Contratto, I, cit., pag. 714.
[41] Cfr. 1.4. In giurisprudenza sul punto si era già espresso il Tribunale
Milano, 11 maggio 1995, in Banca, borsa, tit. cred., 1996, II, pagg. 442 e ss.
La Corte afferma che (anche) le norme relative al conflitto di interessi
"sono da considerarsi imperative - in quanto, oltre a tutelare l'interesse
dei singoli contraenti e ricevere una corretta e completa informazione e quindi
alla produzione di un corretto processo formativo della volontà, presiedono
allo svolgimento di attività economiche rilevanti secondo regole tali da
salvaguardarne e consentirne la corretta e regolare esecuzione - per cui devono
considerarsi nulli gli atti che violano le stesse norme". Va peraltro dato
atto che il foro ambrosiano negli anni successivi ha accolto con maggior
frequenza la tesi dell'annullamento, su cui cfr. infra.
[42] Testualmente M. C. Bianca, Diritto Civile, Il Contratto, Trattato di
diritto civile, III, 2000, pag. 612.
[43] Cfr. F. Annunziata, Regole di comportamento degli intermediari e riforme
dei mercati mobiliari, cit., pagg. 327 e ss.; V. Santoro, Gli obblighi di
comportamento degli intermediari mobiliari, in Riv. soc., pagg. 798 e 799.
[44] In tema di inadeguatezza dell'operazione finanziaria, argomentando ex art.
1711 c.c., è stata altresì avanzata la possibilità di applicare il rimedio
previsto nel caso di eccesso di mandato. La tesi è stata sostenuta da D.
Maffeis nella relazione, ad oggi inedita, presentata al Convegno «I contratti
di negoziazione di strumenti finanziari», cit. Ma cfr. anche le riflessioni
svolte dall'a. in Forme informative, cura dell'interesse ed organizzazione
dell'attività nella prestazione dei servizi di investimento, cit., pagg. 593 e
ss.
[45] Cfr. R. Sacco, G. De Nova, Il Contratto, II, cit., pagg. 260 e ss., ove
una attenta ricostruzione della giurisprudenza pratica e teorica
sull'argomento. In particolare nt. 2 e 3.
[46] In termini generali, l'informazione "non si configura come un bene
unitario e monovalente; essa, fuori dal contesto peculiare - meglio di un
rapporto giuridico concreto - stenta ad assumere valore autonomo",
testualmente P. Perlingieri, L'informazione come bene giuridico, in Il diritto
dei contratti fra persona e mercato, cit. pag. 351, il quale sostiene che
"L'informazione come bene è frutto infatti della vita di relazione tra
soggetti, essa assume un senso ed un ruolo nella dinamica delle attività
umane", richiamando (nt. 72) A. Sandulli, La libertà d'informazione, in
Problemi giuridici dell'informazione, Roma, 1977, pag. 2. Ciò che rileva è
allora il contenuto dell'informazione "che però è variabile in relazione a
quelle che possono essere le aspettative, gli interessi o i diritti dell'altra
parte. Essa va fornita perché la formazione della volontà non sia inficiata da
ignoranza". Così V. Zeno-Zencovich, voce Informazione (profili
civilistici), in Dig. disc. priv., sez. civ., Torino, IX, 1993, pag. 423.
[47] Cfr. R. Cooter, U. Mattei, P.G. Monateri, R. Pardolesi, T. Ulen, Il
mercato delle regole. Analisi economica del diritto civile, I, Bologna, ed.
2006.
[48] M. C. Bianca, Diritto Civile, La Responsabilità, cit., pag. 127.
[49] Cfr. A. Perrone, Servizi di investimento e violazione delle regole di condotta,
cit., pagg. 1015 e ss.
[50] Ibidem.
[51] L'assunto, invero non sempre condivisibile, è quello della razionalità
dell'investitore. Cfr. D.C. Langevoort, Selling Hope, Selling Risk: Some
Lessons for Law from Behavioral Economics About Stockbrokers and Sophisticated
Customers, in 84 Cal. L. Rev., 627 (1996). Una accessibile ricostruzione del
tema in M. Egidi, Dalla razionalità limitata all'economia comportamentale, in
Le nuove economie (R. Viale, a cura di), Milano, 2005, pagg.173 e ss.
[52] Su cui in generale, cfr. V. Zeno-Zencovich, G.B. Sandicchi, L'economia
della conoscenza e i suoi riflessi giuridici, in Dir. inf., 2002, pagg. 971 e
ss.
[53] Cfr. G. Akerlof, The Market for "Lemons": Quality Uncertainity
and the Market Mechanism, in 84 Q. J. Econ., 488 (1970), ben illustrato da M.
Onado, Mercati e intermediari finanziari. Economia e regolamentazione, Bologna,
2000, pagg. 209 e ss. Si parla di "bidoni" in quanto l'a. prende in
considerazione il mercato delle auto usate, tra cui i c.d. lemons (i bidoni
appunto).
[54] Cfr. J. Stiglitz, Information and Economic Analysis: a Perspective,
Conference Papers. Supplement to the 95 "Economic Journal", (21)
1985.
[55] La letteratura è vastissima. Per chiarezza si distinguono F.H.
Easterbrook, D. R. Fishel, The Economic Structure of Corporate Law, Harvard
University Press, Cambridge MA, 1991, pag. 280; nonché A. Perrone, Informazione
al mercato e tutele dell'investitore, Milano, 2003, pag. 3, ove una esauriente
bibliografia (nt. 4).
[56] Così F.H. Easterbrook, D. R. Fishel, The Economic Structure of Corporate
Law, cit., pag. 280.
[57] Cfr. più in generale sul ruolo dei controlli, L. Enriques, Dum Romae
Consulitur...Verso una nuova disciplina comunitaria del conflitto di interessi
nei servizi di investimento, in Banca impresa e società, 2004, pag. 452.
[58] Cfr. 1.9. Enfasi aggiunta.
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