Societario


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 12/09/2024 Scarica PDF

La lista del CdA: una nuova norma nell’occhio del ciclone*

Maurizio Irrera, Professore Ordinario di diritto commerciale nell'Università degli Studi di Torino


1.- Da alcuni anni il tema della lista del CdA per la nomina degli amministratori nelle società quotate, che trova oggi nell’art.12 della legge 5 marzo 2024, n. 21[1] una sua compiuta (seppur – come si vedrà – complessa e articolata) disciplina, aveva attirato la crescente attenzione della dottrina, degli operatori e delle autorità indipendenti[2].

Il presupposto logico di una lista presentata dal CdA uscente era ed è la consistente frammentazione dell’azionariato che – da un lato – rende non così agevole o comunque poco rappresentativa la presentazione di liste da parte dei soci (alla luce dei quorum minimi previsti) e – dall’altro – la conseguente assenza di un socio di riferimento in grado di orientare le scelte dell’assemblea dei soci[3].

La lista del CdA può dunque fungere da aggregatore di consensi ed appare particolarmente coerente con i processi di autovalutazione del Consiglio imposti dal Codice di Corporate Governance[4]. Rappresenta comunque una commistione tra proprietà e gestione, attribuendo ai gestori il potere di incidere sulla più rilevante attribuzione dei soci ovvero la nomina degli amministratori; incide sulla carne viva di una delle prerogative più rilevanti dei soci.

E’ vero che la presentazione di una lista del CdA non inibisce la presentazione di liste da parte dei soci, ma il dato che emerge dai precedenti è che quella del CdA – nei casi in cui essa è stata sinora sottoposta al voto assembleare – è sempre stata maggioritaria o ha comunque consentito, confrontandosi con una lista “corta”[5], di nominare la maggioranza degli amministratori.

La presentazione di liste “corte”, il più delle volte riferibile ai cosiddetti investitori professionali, è frutto del combinato disposto di due circostanze. La prima è che di regola – come è noto – gli operatori del risparmio gestito sono vincolati a non concorrere a nominare la maggioranza degli amministratori[6]; la seconda è che l’art. 44 ter, 2^ comma, del Regolamento Emittenti prevede una presunzione assoluta di assenza di concerto (rilevante ai sensi dell’art. 101 bis, 4^ comma, TUF ai fini dell’Opa obbligatoria) nel caso sia di “accordi per la presentazione di liste per l’elezione degli organi sociali ai sensi degli articoli 147 ter e 148 del TUF, sempreché tali liste candidino un numero di soggetti inferiore alla metà dei componenti da eleggere ovvero siano programmaticamente preordinate all’elezione di rappresentanti di minoranza”[lett. b)], sia di “cooperazione tra azionisti per far confluire voti su una lista che candidi un numero di soggetti inferiore alla metà dei componenti da eleggere o sia programmaticamente preordinata all’elezione di rappresentanti della minoranza, anche tramite la sollecitazione di deleghe di voto finalizzata alla votazione di tale lista” [lett. d)].

Come è risaputo[7], può capitare che la lista “corta” degli investitori professionali raccolga la maggioranza dei voti, rendendo necessario individuare concrete modalità al fine di consentire che dalla lista “lunga” presentata dai soci e talora dallo stesso CdA, giunta seconda, vengano tratti la maggioranza degli amministratori, dando luogo  - come la dottrina ha sottolineato - alla curiosa situazione delle “maggioranze che diventano minoranze”[8].

 

2.- L’art. 12, 1^ comma, della legge n. 21/2024, come si è già sottolineato, disciplina la lista del consiglio di amministrazione introducendo nel TUF l’art. 147-ter.1[9]. La norma è suddivisa in quattro commi; il primo contiene alcuni presupposti: ovvero che lo statuto preveda la lista del CdA, che la stessa venga approvata col voto favorevole dei due terzi dei suoi componenti (rectius: del consiglio di amministrazione uscente) e che essa contenga un numero di candidati pari al numero dei componenti da eleggere, maggiorato di un terzo (una lista, per così dire, extra-large).

Il secondo comma stabilisce regole peculiari per il deposito preventivo della lista: la lista del CdA deve essere depositata e resa pubblica in anticipio rispetto alla o alle liste dei soci (40 giorni anziché 25). La ratio della norma è chiara: consentire ai soci di valutare le candidature contenute nella lista predisposta dal consiglio di amministrazione al fine di decidere se presentare una propria lista[10].

Il terzo – che è quello che sicuramente di più complessa interpretazione - statuisce, da un lato, come individuare gli amministratori all’interno della lista del CdA e gli amministratori di competenza delle minoranze dalle altre liste, qualora la lista del CdA abbia raccolto il maggior numero di voti; dall’altro, che nel caso in cui la lista del CdA sia l’unica presentata da essa siano tratti tutti gli amministratori.

Il quarto comma precisa, infine, che qualora la lista del CdA abbia concorso al riparto degli amministratori riportando il maggior numero di voti, lo statuto debba prevedere che l’eventuale comitato endo-consiliare in materia di controllo interno e gestione dei rischi (oltre che essere nominato dal consiglio di amministrazione) debba essere presieduto da un amministratore indipendente tratto dagli amministratori eletti da liste diverse da quella del CdA.

L’art. 12, 2^ comma, della legge n. 21/2024 stabilisce che la Consob detti un proprio regolamento in materia, di cui al momento non si hanno notizie (la legge prevedeva in proposito un termine ordinatorio di 30 giorni).

Il terzo ed ultimo comma dell’art. 12 sancisce l’obbligo per gli emittenti di conformare il proprio statuto alle nuove regole in moda da consentire l’applicazione della novella per le assemblee convocate per una data successiva al 1^ gennaio 2025.

 

3.- La nuova norma appare complessa e richiede un deciso sforzo interpretativo. In questa sede si esamineranno alcuni profili.

Di particolare rilievo nel primo comma del nuovo art. 147 ter.1 TUF, più precisamente nella lett. a), è la previsione che la deliberazione consiliare di presentazione della lista del CdA debba aver luogo con una maggioranza qualificata (supermajority) pari ai due terzi dei suoi componenti. È dunque una maggioranza da calcolarsi non sui presenti, ma sul numero totale dei componenti dell’organo amministrativo (gli assenti, in altri termini, equivalgono all’espressione di voto contrario). Si tratta di una prescrizione assolutamente condivisibile che era stata già auspicata[11], al fine di consentire che tutto il processo che sfocia nella presentazione della lista sia condiviso da un’ampia base di consiglieri e non solo magari da quelli uscenti, provenienti dalla lista maggioritaria presentata tre anni prima. Come correttamente osservato, la supermajority è necessaria in tutte le deliberazioni consiliari (perlomeno, in quella di avvio del processo e in quella di approvazione dei candidati da inserire nella lista) in cui si sviluppa il relativo complesso iter che si articola “nella formulazione degli orientamenti generali di composizione ottimale; nell’interlocuzione con i soci rilevanti; nella definizione dei criteri concreti di composizione e nel vaglio delle candidature presentate; nella votazione finale da parte del consiglio sui candidati che compongono la lista”[12]. Nel processo di formazione della lista del CdA un ruolo rilevante è ricoperto da uno specifico comitato endoconsiliare: quello nomine che generalmente governa sul piano istruttorio tutto il  processo; sul punto avevo suggerito[13] che il comitato nomine[14], già di regola formato da una maggioranza di amministratori indipendenti, fosse presieduto da un amministratore indipendente tratto dalla o dalle liste di minoranza (così come accade, ex art. 148, comma 2-bis, TUF, per il presidente del collegio sindacale), ma la proposta non è stata accolta dal legislatore[15]. Mi sembrava che essa potesse costituire un presidio efficace contro i rischi di autoreferenzialità e di autoperpetuazione, insita nella lista del CdA; la proposta può essere “recuperata” sul piano degli assetti interni attraverso uno specifico regolamento consiliare o, in alternativa, le singole società – sempre col medesimo fine – potrebbero stabilire che il presidente del comitato nomine non sia ricandidabile. Ovviamente nulla vieta ad uno o più amministratori uscenti di ricandidarsi[16]; sul punto la Consob era già intervenuta[17] prescrivendo un obbligo di motivazione rafforzata, ma non certo l’astensione che – soprattutto alla luce della supermajority oggi introdotta – renderebbe possibile la ricandidatura a non più di un terzo dei componenti il consiglio, ipotizzando che i restanti amministratori votino tutti favorevolmente alla presentazione della lista. Resta ancora da sottolineare che la previsione di una maggioranza qualificata rende la materia non delegabile[18].

 

4.- Il cuore della disciplina, ma anche i maggiori problemi di carattere interpretativo, risiede nel terzo comma della nuova norma[19], diretto a disciplinare le regole di “convivenza”, post (prima) votazione assembleare, della lista del CdA risultata maggioritaria con la o le altre liste presentate dai soci.

Il terzo comma è suddiviso con l’impiego di tre lettere che presuppongono – le prime due – che la lista del CdA sia risultata maggioritaria e la terza che la lista del CdA sia l’unica presentata. Nella lett. a) si prevede e si disciplina un’ulteriore votazione di carattere referendario (un secondo turno elettorale) che occorre effettuare su tutti i candidati della lista (extra -large) del CdA (che come si è visto sono in numero superiore ad un terzo rispetto al numero complessivo degli amministratori da eleggere) per individuare i nominativi degli amministratori di pertinenza della lista del CdA e che sono -  quanto al loro numero complessivo - determinati in rapporto ai voti ricevuti dalla o dalle liste dei soci.

La lett. b) disciplina i criteri secondo cui assegnare alla o alle liste (risultate di minoranza) dei soci i posti in consiglio e, per differenza, quelli attribuiti alla lista maggioritaria del CdA.

La lett. c), infine, disciplina il caso – come si è visto – in cui la lista del CdA risulti l’unica ritualmente presentata e si stabilisce che, in tal caso,  “i consiglieri da eleggere sono tratti per intero dalla stessa”.

Partendo, per così dire, dal fondo si può sin da subito osservare che la fattispecie disciplinata nella lett. c) del terzo comma è destinata a rimanere – con tutta probabilità - lettera morta. Le analisi quantitative ci dicono che non è mai capitato che la lista del CdA fosse l’unica in lizza, anche se – nel contempo – vi è da sottolineare che la lista del CdA è quasi sempre risultata maggioritaria e ciò comporterà, per il futuro, la necessità di applicare con continuità le lett. a) e b) del terzo comma. Se dovesse accadere che la lista del CdA sia l’unica, è da ritenersi che non sia necessaria alcuna seconda votazione sui singoli candidati, applicandosi de plano il sistema delle liste bloccate previsto per i soci nell’art. 147-ter TUF[20].

Non è disciplinata, invece, l’ipotesi che la lista del CdA non sia maggioritaria. I casi che occorre prendere in considerazione sono due; il primo ricorre quando alla lista “lunga” del CdA si contrappone una lista “corta” dei soci (normalmente presentata dagli investitori istituzionali  per le ragioni poco sopra esposte[21]) e quest’ultima raccoglie il maggior numero dei voti: in tali ipotesi credo non possano esistere dubbi sul fatto che la maggioranza degli amministartori venga tratta dalla lista del CdA, senza necessità di una seconda votazione, giacchè il presupposto del secondo turno elettorale è che la lista presentata dal consiglio risulti maggioritaria; il secondo caso è quello in cui si contrappongano due (o più) liste “lunghe” e quella del CdA non risulti maggioritaria: in queste ipotesi si tratta di stabilire se dalla lista del CdA debba essere tratti o no amministratori che saranno, in caso di risposta positiva, necessariamente di minoranza. In argomento il dibattito era già vivace prima dell’avvento dell’odierna riforma; a me pareva[22] e pare che la lista del CdA nasca con una vocazione maggioritaria: qualora intorno ad essa non si coaguli il voto della maggioranza dei soci, non mi parrebbe legittimo considerarla lista di minoranza, ma essa dovrebbe semplicemente cedere il passo alla lista terza classificata (normalmente quella “corta” degli investitori istituzionali), reale espressione di una minoranza di soci e non di un consiglio di amministrazione uscente “sbugiardato” dai soci[23].

Senza dubbio il legislatore mostra una consistente diffidenza verso la lista del CdA e nel contempo un netto favore per le liste presentate dai soci; in dottrina si è addiruttura ipotizzato una sorta di ossessione[24] del legislatore in proposito. Ora, che la lista del CdA possa presentare profili critici non può essere trascurato. Avevo a suo tempo osservato[25] come il profilo di maggiore delicatezza che la lista del consiglio presenta è il rischio di ineguale concorrenza fra la lista degli amministratori e l’eventuale lista “lunga” presentata dai soci[26]. Quest’ultima, infatti, non è immune dal rischio di incorrere nel concerto; pur non potendosi affrontare funditus l’argomento, si può qui osservare come il rapporto fra lista “lunga” e azione di concerto si ponga in una zona grigia in cui la qualificazione dei comportamenti dei soci e il fatto che essi costituiscano o no indizi rilevanti ai fini del concerto impedisce di giungere ad approdi sicuri, soprattutto in considerazione del fatto che l’eventuale riconduzione ad un’azione di concerto potrebbe portare, da un lato, alla sterilizzazione dei voti di chi abbia agito in concerto, in forza dell’eventuale violazione dell’art. 120 TUF e, dall’altro, al rischio di dover dar corso ad un’OPA obbligatoria qualora i soci “concertanti” diano corso all’acquisto di azioni sul mercato tali da superare la soglia di cui all’art. 106 TUF. Ebbene, a fronte di tale rischio, i soci “forti” presenti spesso anche nelle società ad azionariato diffuso potrebbero optare per scegliere di focalizzarsi sulla lista degli amministratori uscenti (eventualmente anche provando ad influenzarne la costituzione). All’organo di gestione, infatti, è consentito muoversi liberamente su più direzioni: l’attività di investor relation, l’engagement con gli operatori del risparmio gestito[27], i rapporti con i proxy advisor; di contro, i soci c.d. insurgents[28]- che corrono il rischio di un giudizio ex post in merito alla presenza di un’azione di concerto - hanno spazi di manovra molto più ridotti; il che evidentemente crea non pochi problemi di disparità fra la lista del CdA (soprattutto ove si tratti di un “camuffamento” della lista dei soci di riferimento) e l’eventuale lista “lunga” presentata dagli insurgents. In tale contesto il  legislatore – per riequilibrare la partita – ha scelto, giusto o sbagliato che sia, di introdurre il sistema del referendum sui singoli candidati.

È ora tempo di passare all’esame analitico di tale previsione; in proposito, la lett. a) del terzo comma prevede che (i) l’assemblea proceda ad un’ulteriore votazione individuale su ciascuno dei candidati della lista; (ii) i candidati vengano ordinati sulla base del numero dei voti da ciascuno di essi ottenuto in ordine decrescente; (iii) risultino eletti quelli che hanno ottenuto più voti, in rapporto ai posti da assegnare  [che – come si è già riferito – vengono conteggiati in base a quanto prtevisto nella successiva lett. b) del terzo comma]; (iv) in caso di parità di voti tra due o più candidati si proceda secondo l’ordine con cui i candidati sono elencati nella lista.

La votazione candidato per candidato è per il nostro ordinamento una novità assoluta[29]: in dottrina[30] si è ipotizzato che l’autonomia statutaria consenta di prevedere una seconda votazione sui singoli candidati, anche se il sistema – di derivazione anglosassone[31] -  non ha trovato sostanzialmente alcun seguito; la reale novità, non è rappresentata dalla doppia votazione in sé, ma dalla circostanza che la presentazione della lista del CdA è praticabile solo a costo (rectius: a rischio) di una seconda votazione individuale su ogni singolo aspirante amministratore. L’intento – almeno quello teorico del referendum sui singoli candidati -  è quello di superare le criticità che derivano dal sistema del voto di lista quando esso si combina con le liste bloccate[32]. I soci, infatti, votano la lista, ma non i singoli candidati per i quali non possono esprimere preferenze e dunque ciò che rileva è la collocazione del soggetto nella lista, nel senso che più si è in cima alla lista maggiore è la possibilita (o la certezza) di essere eletto. Ovviamente la presenza di un secondo turno elettorale crea certamente maggiore incertezza e pone in qualche modo i candidati della lista – tra l’altro - in aperta competizione l’uno contro l’altro.

Diffidenza del legislatore, come si diceva, verso l’istituto della lista del CdA confermata dal fatto che la seconda votazione individuale è prevista solamente per la lista risultata maggiorataria predisposta dal consiglio e non per quelle dei soci, rispetto alle quali – in astratto – valgono le stesse criticità ovvero l’impossibilità di esprimere una preferenza per uno o più candidati[33]; diffidenza, peraltro, bipartisan in quanto la previsione di una seconda votazione individuale era presente anche nel disegno di legge n. 2433 avanzato  in Senato nel corso della scorsa legislatura.

Venendo ai dubbi interpretativi che la previsione dell’ulteriore votazione pone, il primo è più rilevante concerne l’individuazione dei soggetti legittimati a parteciparvi: solo coloro che abbiano votato la lista del CdA o tutti i soci che hanno votato o addirittura anche coloro che non hanno partecipato alla prima votazione?

La soluzione che appare più logica e coerente è quella di attribuire il diritto di partecipare alla seconda votazione solo ai soci che hanno votato la lista del CdA[34]; la ragioni più convincente che milita a favore di tale scelta e che se si consentisse il voto anche ai soci che hanno votato altre liste si avrebbe una sostanziale duplicazione del voto, in palese contraddizione con la regola, sancita – tra l’altro – dall’art. 144-sexies del Regolamento Emittenti, per cui il socio può votare per una sola lista[35]. La circostanza[36] che la Camera dei Deputati nel febbraio del 2024 abbia invitato il Governo a chiarire nel senso indicato la norma non legittima un’interpretazione contraria rispetto a quello qui propugnata.

Ancora piu complesso è il tema di come conciliare l’esito incerto della seconda votazione con l’impianto della board evaluation[37]. Il sistema di self-assesment dell’organo amministrativo, già previsto dal Codice di Corporate Governance, dalle Disposizioni di Vigilanza di cui alla Circolare n. 285/13 di Banca d’Italia, dal D.M. 169/2020 (sia pur limitatamente alla valutazione dei requisiti di idoneità degli esponenti) e dal Regolamento IVASS n. 38/2018, ha – come è noto - fra i propri obiettivi l’individuazione, da parte degli amministratori uscenti, dell’ottimale composizione quali-quantitativa dell’organo amministrativo medesimo. È tuttavia evidente che il risultato concreto del voto su ciascun candidato della lista del CdA potrebbe condurre a risultati contraddittori proprio sul piano qualitativo nella composizione del consiglio d’amministrazione[38].

Un ultimo profilo riguarda la necessità di coordinare la nuova disciplina riguardante la (seconda) votazione sui singoli candidati con quella del rappresentante designato ovvero con l’ipotesi in cui l’assemblea si svolga solo con la presenza di quest’ultimo; in argomento, ritengo che le istruzioni di voto che il singolo socio conferisce al rappresentante designato dovranno riguardare sia la lista prescelta, sia – per il caso in cui esso ricada su quella del CdA (e la stessa all’esito del primo voto risulti maggioritaria) – il candidato prescelto. Se, viceversa, si dovesse ritenere che la seconda votazione debba svolgersi solo dopo lo scrutinio della prima[39] il meccanismo del rappresentante designato si “incebberebbe” irrimediabilmente.

Ancora è da ritenersi che nella seconda votazione il singolo socio possa distribuire in modo uniforme i suoi voti fra tutti i candidati oppure concentrarli sulle figure più rilevanti (Presidente e Amministratore Delegato).

 

5.- Come si sottolineava in apertura del precedente paragrafo, la lett. b) del terzo comma dell’art. 147-ter.1 TUF si occupa di determinare i criteri di ripartizione dei seggi in consiglio, individuando quelli di competenza delle altre liste e, quale diretta conseguenza, quelli attribuiti alla lista del CdA.

La lett. b) considera due ipotesi a seconda del caso in cui il totale dei voti raccolti dalle prime due liste dei soci: (i) non sia superiore al 20% del totale dei voti espressi, ovvero (ii) sia superiore al 20%.

Nel primo caso “le predette liste concorrono alla ripartizione dei posti in consiglio di amministrazione in proporzione ai voti da ciascuna riportati in assemblea e comunque per un ammontare complessivo non inferiore al 20% del totale dei componenti dello stesso organo”. Nel secondo, invece, “i componenti del nuovo consiglio di amministrazione di competenza delle minoranze sono assegnati proporzionalmente ai voti ottenuti dalle liste di minoranza che hanno conseguito una percentuale di voti non inferiore al 3%”; la norma, infine, precisa che “i voti delle liste che hanno conseguito una percentuale di voti inferiore al 3% sono assegnati proporzionalmente ai voti ottneuti dalle liste di minoranza che hanno superato detta soglia”.

Il sistema di attribuzione appare piuttosto complesso, destando numerosi interrogativi. La prima ipotesi (quella per intendersi in cui i voti raccolti dalle prime due liste dei soci siano inferiori al 20%) è di più immediata comprensione: essa prevede un premio di minoranza giacchè si attribuisce alle due liste il 20% dei seggi anche se il totale dei voti raccolti da esse è inferiore al 20%[40].

La seconda è un vero rompicapo perchè non è dato intendere se il riparto proporzionale dei seggi riguardi solo la quota spettante alla minoranza[41] oppure la composizione dell’intero organo amministrativo[42]. In ogni caso, qualora le prime due liste di minoranza abbiano superato il 20%, la ripartizione dei seggi riguarderà anche le eventuali liste successive a quella del CdA ed alle prime due di minoranza (ovvero la quarta, la quinta e così via) sempre che abbiano ottenuto almeno il 3% dei voti ciascuna[43]. Tornando al quesito iniziale, quello del riparto proporzionale dei seggi, ritengo preferibile la prima opzione in considerazione del tenore letterale della norma che fa espresso riferimento agli amministratori di “competenza delle minoranze”[44]; credo, in altri termini che il meccanismo, peraltro piuttosto articolato e scivoloso, riguardi soltanto il calcolo della “quota riservata”, quella assegnata agli amministratori di minoranza e che - per coerenza con quanto previsto dal terzo comma, lett. b), n. 1, TUF - non potrà essere inferiore al 20%[45]: tale sistema viene definito “proporzionale limitato”, mentre quello secondo cui il riparto riguarderebbe anche gli amministratori, per così dire, di maggioranza è definito “proporzionale puro”.

Le analisi quantitative sui risultati storici delle votazioni in cui era presenta una lista del consiglio uscente pongono in luce che con l’applicazione del sistema  proporzinale limitato gli effetti, sulla ripartizione del numero di amministratori tra lista del CdA e liste di minoranza, sono limitati; lo sono anche col proporzionale puro, ad eccezione del caso in cui la seconda lista raggiunga percentuali di voto prossime a quelle della lista del CdA: in tal caso gli effetti sono piuttosto significativi.

 

6.-L’art. 147-ter.1 TUF, come si è sin qui veduto, ha attirato molte critiche, in parte giustificate per i consistenti margini interpretativi che la norma pone. Vi è peraltro chi addirittura giunge a pronosticare una fuga degli emittenti dal mercato italiano a causa della medesima[46]; a me pare che questa posizione estrema non sia giustificata: in pochi anni – è opportuno segnalarlo - si è passati dal dibattito intorno alla legittimità o no di una lista del consiglio di amministrazione per il rinnovo dell’organo amministrativo a quella che ho definito una sorta di dittatura della lista del CdA[47], di cui il nostro sistema non potrebbe a questo punto fare a meno.

Mi pare che le migrazioni di società all’estero siano alimentate soprattutto dal desiderio di creare una netta separazione tra proprietà e controllo attraverso l’introduzione di azioni a voto multiplo, concentrando i diritti di voto in capo all’azionista di controllo[48]. Le società emittenti trasferite all’estero, soprattuto in Olanda, inoltre, hanno tutte o quasi un solido azionista di controllo o di riferimento; sono dunque in una situazione in cui la funzione della lista del CdA perde di significato, a meno di non immaginare utilizzi in qualche modo abusivi dello strumento oggi disciplinato dal legislatore.

Mi rendo ben conto che il sistema della seconda votazione individuale su ogni singolo candidato, quando la lista del CdA è maggioritaria, ha come effetto di “mischiare le carte” rendendo più incerto l’esito finale, ma credo che occorra prendere atto – come si è visto[49] - che la scelta della seconda votazione individuale è un sistema per superare, almeno con riguardo alla lista maggioritaria del CdA, la rigidità delle liste bloccate e che la scelta è in linea con molti altri ordinamenti europei[50]. Ovviamente l’opzione adottata è ben comprensibile quando lo strumento è impiegato da società a reale azionariato diffuso in cui non vi sono soci di riferimento che utilizzano la lista del CdA come scorciatoia per fornire un abito più acconcio alla proprie ambizioni; in una società ad azionariato polverizzato, ammesso che in Italia ve ne siano più di 4 o 5, il referendum sui singoli candidati appare ovviamente molto meno dirompente.

Ed allora, giungendo al termine di queste riflessioni, forse occorre accettare di buon grado che l’intento del legislatore sia stato quello di acconsentire alla lista del CdA (aldilà dei numerosi scogli interpretativi che occorre risolvere) in limiti circoscritti che appaiono peraltro coerenti con emittenti ad azionariato realmente diffuso; l’alternativa, molto secca, ma non per questo non dotata di una sua logica intrinseca (laddove si temano, ad esempio, gli effetti del secondo voto sui singoli candidati), sarà quella di non ricorrere alla lista del CdA, abrogando – se del caso – la previsione statutaria[51].

Non è del resto la prima volta che il legislatore, regolamentando in positivo un istituto nato dalla prassi, ne ridefinisce i confini (qualche volta alterandoli) sino a giungere ad una sorta di “abrogazione” implicita della prassi; il pensiero corre agli acconti sui dividendi che – disciplinati per la prima volta nel 1986 – sono stati trasformati in una distribuzione di riserve disponibili ad opera del consiglio di amministrazione.


(*) Il presente scritto rappresenta la sintesi di un più ampio contributo, sullo stesso tema, destinata a “La Legge Capitali e la riforma dei mercati”, a cura di M. Callegari e E.R. Desana, in Giur. it., 2024, di prossima pubblicazione.

[1] Che ha introdotto nel TUF l’art. 147-ter.1.

[2] Senza ambizione di completezza cfr., in primis, l’antesignano contributo di M. Stella Richter Jr., Voto di lista per la elezione delle cariche sociali e legittimazione dell’organo amministrativo alla presentazione di candidati, in Riv. dir. soc., 2007, p. 36 ss.; adde: N. Ciocca, Il voto di lista nelle società per azioni, Milano, 2018; E. Pucci, Regole di composizione e presentazione della lista del consiglio di amministrazione uscente nelle società quotate, in Riv. dir. comm., 2018, II, p. 63 ss.; più di recente: A. Sacco Ginevri, Nuovi equilibri fra soci e amministratori nelle banche italiane quotate, in Liber Amicorum Guido Alpa, a cura di F. Capriglione, Padova, 2020, 291 ss.; M. Ventoruzzo, Note sulla lista del consiglio uscente per l’elezione degli amministratori nelle società quotate, in Riv. Soc., 2020, p. 1298 ss.; S. Cacchi Pessani, Il voto di lista per la nomina degli amministratori nelle società controllo “fluido”: prassi, problemi e prospettive, in Riv. soc., 2021, p. 705 ss.; G. Mollo, La clausola statutaria che consente al c.d.a. di presentare una propria lista per il suo stesso rinnovo è legittima?, in Giur. comm., 2022, I, p. 520 ss.; M. Irrera, Luci e (molte) ombre sulla lista del CdA per le nomina degli amministratori nelle società quotate: brevi appunti, in www.ilcaso.it, 11 ottobre 2021; Id., La dittatura della lista del CdA: ovvero il nuovo che avanza?, in www.ilcaso.it,  4 aprile 2022; P. Montalenti, Il DDL Capitali. Spunti di riflessione, in NDS – Il Nuovo Diritto delle Società, 2023, p. 1397 ss.; cfr. altresì i resoconti di due seminari in materia: Il voto di lista. Un istituto ancora attuale?, a cura di A. Perrone e G. Strampelli, in Orizzonti del Diritto Commerciale, 2022, p. 643 con interventi di N. Ciocca, M. Irrera, P. M. Sanfilippo, M. Stella Richter jr e M. Ventoruzzo; La presentazione della lista del c.d.a. da parte del consiglio uscente, in Giur. comm., 2022, I, p.1091 ss. con interventi di R. Costi, G. Domenichini, S. Fortunato, P. Montalenti, F. Mucciarelli e F. Vella.

[3] Sui pro e i contro della lista del CdA v., efficacemente, di recente: M. Perrino, La lista del c.d.a., in Le Società, 2024, p. 857 ss.

[4] Sul punto sia consentito rinviare a M. Irrera, L’autovalutazione del consiglio di amministrazione tra soft law, prescrizioni regolamentari, aspirazioni e limiti intrinseci, in Riv. dir. soc., 2022, p. 303 ss.

[5] Una lista si definisce “corta” quando include un numero di candidati inferiore al 50% del numero complessivo di amministratori da eleggere; “lunga” quando, invece, mira alla nomina della maggioranza degli amministratori, come nel caso della lista del CdA.

[6] In tale contesto Assogestioni, associazioni di riferimento degli investitori istituzionali, si è auto vincolata a presentare solo liste “corte”. È interessante osservare che il 61% degli amministratori di minoranza sono tratti da liste Assogestioni (cfr. M. Belcredi e S. Bozzi, Lista del CdA, cit., p. 15, nota 16).

[7] Cfr. S. Cacchi Pessani, Il voto di lista, cit., pp. 736-737, nota 56.

[8] Così M. Stella Richter jr, Il quadro legislativo italiano in materia di nomina ed elezione del consiglio: un modello o un’anomalia?, in Note e studi Assonime, n. 11, 2016, p. 6.

[9] La norma ha subito attirato numerosi interventi critici: cfr., per tutti, G. Presti, Elezione degli amministratori e lista del Cda: peggio il rammendo del buco, in Riv. Soc., 2023, p. 1078 ss.; M. Stella Richter jr, Lista del consiglio di amministrazione e autonomia statutaria: prime riflessioni, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 43-2024/I, 27 marzo 2024; ora in Riv. soc., 2024, p. 113 ss.; M. Ventoruzzo, L’art 12 della Legge Capitali: lista del consiglio di amministrazione nelle società per azioni quotate, in Riv. soc., 2023, p. 1096 ss.; Id., Lista del consiglio di amministrazione nelle società per azioni quotate, in Commentario alla legge capitali (legge 5 marzo 2024, n. 21), a cura di P. Marchetti e M. Ventoruzzo, Pisa, p. 84 ss.; M. Perrino, La lista del c.d.a., cit., p. 857 ss.

Secondo alcuni interpreti, addirittura, la norma in esame rappresenta “una forma di disincentivo, quantomeno per certune tipologie di società per azioni, a restare quotate sul nostro mercato o comunque a non trasformarsi in una società di diritto straniero”: così M. Stella Richter jr, op. ult. cit., p. 115. In argomento si avrà modo di tornare: cfr., infra, par. 6.

[10] Conf. Così Assonime, Legge 5 marzo 2024, n. 21: interventi a sostegno della competitività del mercato dei capitali, p. 55; M. Stella Richter jr, op. loc. ult. cit.; M. Ventoruzzo, Lista, cit., p. 88.

[11] Sia consentito il rinvio a M. Irrera, Presentazione di liste di candidati da parte dei consigli di amministrazione uscenti delle società quotate (A.S.24333), in Riv. soc., 2022, p. 574 ss. ed ivi a p. 576.

[12] Così Assonime, circ. cit., p. 52; adde: M. Perrino, La lista del c.d.a., cit., p. 860.

[13] Cfr. M. Irrera, Presentazione, op. loc. ult. cit.

[14] Sul ruolo che il comitato nomine può giocare nell’ambito della formazione della lista del CdA cfr. A. Perrone e P.M. Sanfilippo, La lista presentata dal consiglio di amministrazione uscente nelle società quotate, in Riv. dir. banc., 2022, p. 1 ss. ed ivi a p. 16.

[15] Che peraltro, come si è visto (e sul punto si ritornerà), ha previsto - al quarto comma - che debba essere affidata ad un amministratore indipendente, tratto da lista diversa da quella del CdA risultata maggioritaria, la presidenza del comitato endoconsiliare in materia di controllo interno e gestione dei rischi.

[16] Conf. M. Ventoruzzo, Lista, cit., p. 92.

[17] Con il suo richiamo di attenzione n.1/2022 del 22 gennaio 2022.

[18] Conf. Assonime, circ. cit., p. 54.

[19] Più precisamente nelle lett. a) e b) del terzo comma.

[20] Conf. Assonime, circ. cit., p. 59; contra: M. Perrino, La lista del c.d.a., cit., p. 867.

[21] V., supra, par. 1.

[22] Cfr., se vuoi, M. Irrera, Luci, cit., pp. 3-4

[23] Conf. N. Ciocca, op. cit., p. 408; contra: S. Cacchi Pessani, Il voto di lista, cit., p. 726, nota 40; A. Perrone e P.M. Sanfilippo, La lista, p. 13.

[24] Così G. Presti, Elezione, cit., p. 1085.

[25] Cfr., se vuoi, M. Irrera, La dittatura, cit., pp. 3-4; ai miei rilievi aveva replicato M. Ventoruzzo, La libertà della lista dei soci: ovvero l’Opa che arretra? Brevissime note, in www.ilcaso.it, 6 aprile 2022.

[26] Se i soci (investitori istituzionali) presentano una lista “corta” che, dunque, non ha ambizione di governo dell’impresa, il problema che espongo non si pone.

[27] Su questo specifico argomento v. M. Maugeri, Azione di concerto ed engagement degli investitori istituzionali, in Riv. soc., 2023, p. 1128 ss.

[28] La brillante espressione è impiegata da G. Presti, Elezione, cit., p. 1092.

[29] Propugnata – con varietà di argomenti - da S. Cacchi Pessani, Il voto di lista, cit., p. 741 ss.

[30] Cfr. Id., op. cit., p. 751 ss.

[31] Ma diffuso anche in Francia e Germania: cfr. Id., op. cit., p. 742.

[32] Cfr. Assonime, circ. cit., p. 56.

[33] Conf. M. Ventoruzzo, Lista del consiglio, cit. p. 100.

[34] Conf. M. Ventoruzzo, Lista del consiglio, cit., p. 101 ss.; M. Stella Richter, Lista, cit., p. 122; Assonime, circ. cit., pp. 56-57; contra: G. Presti, Elezione, cit., p. 1087: sul punto è da osservare che molti dei risultati in qualche modo giudicati “aberranti” (Id., op. cit., p. 179) a cui tale ultima dottrina perviene in ordine alla ripartizione degli amministratori tra le varie liste dipende in modo rilevante dal ritenere che alla seconda votazione possano partecipare tutti i soci, anche coloro che hanno votato per altre liste. Così anche M. Perrino, La lista del c.d.a., cit., p. 865 secondo cui la previsione di un’ulteriore votazione è la prova che ad essa possano partecipare anche i soci che non hanno votato la lista del CdA; adde: S. Fortunato, La “legge capitali”, cit., p.518

[35] Sul punto v. diffusamente M. Ventoruzzo, Lista, cit., p. 101 ss.

[36] Ricordata da Assonime, circ. cit., p. 57.

[37] Sul tema cfr., se vuoi, M. Irrera, L’autovalutazione, cit., p. 303 ss.

[38] In argomento cfr. G. Galluccio, La verifica di idoneità degli amministratori delle banche quotate “alla prova” del nuovo voto di lista: prime riflessioni alla luce delle recenti novità della legge 2172024 (legge capitali), in Riv. dir. banc., 2024, p. 169 ss.

[39] Così M. Perrino, La lista del c.d.a., cit., p. 864 ss.

[40] In dottrina si è osservato (cfr. M. Ventoruzzo, Lista, cit., pp. 94-95) che si tratta di un premio di minoranza molto consistente soprattutto se le liste di minoranza raccolgono pochi voti; adde: P. Montalenti, La legge Capitali e la delega alla riforma del Testo Unico della Finanza: prime riflessioni, in Giur. comm., 2024, II, p. 497 ss. ed ivi a p. 501; M. Perrino, La lista del c.d.a., cit., p. 863.

[41] Anche su questo specifico punto è da segnalare che la Camera dei deputati, nel corso dei lavori preparatori della legge n. 21/2024, ha approvato un ordine del giorno che impegna il Governo a chiarire come determinare il numero di amministratori di competenza delle minoranze, auspicando che possa essere l’autonomia statutaria a farlo: cfr. Ordine del giorno 6 febbraio 2024, Cattaneo, Serracchiani.

[42] Così G. Presti, Elezione, cit., p. 1088 ss. che mette in luce gli effetti distorsivi che si possono determinare; adde: M. Perrino, La lista del c.d.a., cit., p. 864; S. Fortunato, La “legge capitali”, cit., p. 518.

[43] Conf. G. Presti, Elezione, cit., p. 1088.

[44] Sul tema cfr., ampiamente, M. Ventoruzzo, Lista, cit., p. 95 ss.

[45] Conf. M. Ventoruzzo, Lista, cit., p. 97.

[46] Cfr., ad esempio, M. Stella Richter jr, Lista del consiglio, cit., pp. 2-3.

[47] V., se vuoi, M. Irrera, La dittatura, cit., p 1 ss.

[48] Cfr. l’interessante ricerca di M. Belcredi, L. Faverzani e A. Signori, Così fan tutte. An analysis of Italian companies moving abroad, giugno 2023, in https://centridiricerca.unicatt.it/fin-gov.

[49] V., supra, par. 4.

[50] Conf., per tutti, S. Cacchi Pessani, Il voto di lista, cit., p. 741 ss. Peraltro, la soluzione adottata dal nostro legislatore appare molto più prudente, se si ritiene – come si è fatto (v., supra, par. 4) – che alla seconda votazione, in base all’art. 147-ter.1, 3^ comma, lett. a), TUF, possano partecipare solo i soci che hanno votato la lista del CdA.

[51] Sul punto cfr. F. Vella, Ancora, cit., pp. 548-549 che concorda sul fatto che i possibili rischi ed incertezze che derivano dalla disciplina in esame possa portare “ad una rarefazione se non proprio una definitiva archiviazione delle liste del Consiglio di amministrazione”.


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