CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 03/06/2020 Scarica PDF
Le novità in tema di procedure concorsuali nella conversione in legge del decreto liquidità (ovvero di quando i rimedi sono peggiori del male o inefficaci)
Maurizio Irrera, Professore Ordinario di diritto commerciale nell'Università degli Studi di Torino1.- Il 28 maggio 2020 la Camera dei Deputati ha approvato il disegno di legge di conversione (con modifiche) del DL Liquidità (decreto legge 8 aprile 2020, n. 23) che ora è all’esame del Senato; se accadrà come per il DL Cura Italia (decreto legge 17 marzo 2020, convertito in legge 24 aprile 2020), seppure a Camere invertite, il Senato non apporterà modifiche ulteriori, in quanto un nuovo passaggio alla Camera rischierebbe di impedire nei tempi di legge la conversione del DL Liquidità. Se così è, le modifiche introdotte dalla Camera si tradurranno nel giro di qualche giorno in norme di legge.
Con riguardo al tema, scottante, delle procedure concorsuali, occorre segnalare due importanti novità che mi paiono inopportune e non risolutive.
2.- La prima incide sul tema dell’improcedibilità delle istanze di fallimento che in base all’art. 10 del DL Liquidità – come è noto - sono state congelate sino al prossimo 30 giugno. Nel commentare la norma[1]avevo sottolineato come – nonostante il tenore della Relazione illustrativa – fosse possibile e razionale consentire la richiesta di fallimento in proprio, disciplinata dall’art. 14 legge fall. (e non dall’art. 15): una lettura contraria avrebbe assunto il significato di un obbligo di prosecuzione dell’attività d’impresa “no matter what”. La giurisprudenza ha prontamente aderito a tale ricostruzione interpretativa[2]. In tale quadro, il secondo comma dell’art. 10 del DL Liquidità, secondo il testo varato dalla Camera, introduce altre due deroghe, oltre a quella – già presente - relativa all’istanza presentata dal PM; in base ad una di queste[3] saranno consentite, dall’entrata in vigore della legge di conversione al 30 giugno 2020, i ricorsi di fallimento presentati in proprio dall’imprenditore a condizione – e qui non veramente si fa fatica a comprendere la ratio – che “l’insolvenza non [sia] conseguenza dell’epidemia [ma non eravamo in pandemia?] di COVID-19”. Dunque, se l’insolvenza è causata dal COVID-19 l’imprenditore deve starsene buono ed attendere il 30 giugno; se, invece, è di origine anteriore – non valendo l’improcedibilità – deve affrettarsi…
Sempre con riguardo all’art. 10, avevo segnalato – nel medesimo contributo[4] – che la sterilizzazione dell’improcedibilità prevista dal terzo comma, relativamente ai termini previsti dagli artt. 10 e 69 bis legge fall., non chiariva in quale modo fosse possibile dimostrare la consecutio tra l’improcedibilità e la successiva dichiarazione di fallimento; sul tema è intervenuta la Camera, da un lato, opportunamente, inserendo nel novero delle norme a cui applicare la consecutio, oltre agli artt. 10 e 69 bis legge fall., anche gli artt. 64, 65, 67, 1^ e 2^ comma, e 147 legge fall.; dall’altro, precisando come la detta consecutio operi: essa “funziona” a condizione che alla dichiarazione di improcedibilità consegua la sentenza di fallimento entro il 30 settembre 2020. Si tratta di una soluzione nuovamente irragionevole: qualora i creditori non intendano pregiudicare le azioni previste dalle norme suindicate, a causa dell’improcedibilità temporale, dovranno agire in giudizio perché la stessa venga dichiarata, intasando i tribunali fallimentari, e poi tornare alla carica per ottenere la dichiarazione di fallimento entro il prossimo 30 settembre. Una norma, quella del terzo comma dell’art. 10, che così come modificata sarà – in concreto – inapplicabile, con buona pace di tutti.
3.- Ciò che, peraltro, desta ancora maggiori perplessità sono i nuovi commi 5 bis e 5 ter dell’art. 9 varati dalla Camera in sede di conversione del DL Liquidità. Negli ultimi mesi, da più tardi, si è invocata l’introduzione di una disciplina speciale che possa meglio far fronte all’imminente sopraggiungere, soprattutto dopo il 30 giugno 2020 (ovvero allo scadere del termine di improcedibilità delle istanze di fallimento), di un’ondata di imprese in crisi, nella consapevolezza che gli ordinari strumenti previsti dalla legge fallimentare non siano sufficienti a far fronte all’emergenza. In questo quadro, per esempio, il Centro Crisi - Università di Torino, in collaborazione con alcuni ordini professionali, ha proposto l’introduzione di un OCRI semplificato[5]che possa consentire di utilizzare come canovaccio la procedura prevista dal Codice della Crisi su attivazione del solo debitore, con la possibilità per lo stesso debitore di individuare i componenti dell’OCRI, il tutto sotto la vigilanza della Camera di Commercio e con la previsione, insieme, di meccanismi automatici di operatività delle misure protettive, senza necessità dell’intervento dell’Autorità Giudiziaria, se non in via di reclamo.
Il legislatore, invece, ha intrapreso una diversa strada che passa obbligatoriamente dal Tribunale fallimentare e che assegna al concordato con riserva (o in bianco) un compito ancora più rilevante; un ruolo che stravolge la funzione di tale strumento, senza – peraltro – aver considerato appieno, a mio parere, nel progettare l’intervento legislativo, le conseguenze derivanti dal deposito della domanda di concordato, seppure con riserva.
Il nuovo comma 5 bis dell’art. 9 prevede che il debitore che - alla data del 31 dicembre 2021 – abbia ottenuto la concessione dei termini previsti per il concordato con riserva (ex art. 161, 6^ comma, legge fall.) o per il cosiddetto pre-accordo di ristrutturazione (ex art. 182 bis, 7^ comma, legge fall.) possa – nei termini assegnati (o – ritengo - in quelli eventualmente prorogati ex art. 161, 6^ oppure 10^ comma, legge fall.) – depositare una domanda di rinuncia alla procedura, dichiarando di aver predisposto un piano di risanamento ai sensi dell’art. 67, 3^ comma, lett. d), legge fall., pubblicato nel registro delle imprese e depositando la documentazione relativa alla pubblicazione medesima. Il Tribunale – prosegue il nuovo comma 5 bis – verificate la completezza e la regolarità delle documentazione, dichiara l’improcedibilità del ricorso di concordato con riserva[6] (o del pre-accodo di ristrutturazione).
Il nuovo comma 5 ter completa la nuova disciplina prevendendo che il decimo comma dell’art. 160 legge fall. – secondo cui laddove penda il procedimento per la dichiarazione di fallimento il termine per il deposito del concordato non può essere superiore a sessanta giorni, prorogabili di altri sessanta – non si applichi fino al 31 dicembre 2020, potendo dunque ottenere il debitore – nonostante la pendenza di un’istanza di fallimento – un termine fino a centoventi giorni, prorogabile di ulteriori sessanta per il deposito del concordato.
Dunque, in via di estrema sintesi, la risposta che il legislatore sembra aver individuato per “gestire” un numero verosimilmente molto elevato di situazioni di crisi aziendale (e ciò fino al 31 dicembre 2021) è quello di utilizzare uno strumento che è, da sempre, tacciato di essere impiegato spesso con finalità abusive e che, invece, viene riabilitato ed è destinato ad accompagnare, ancora in modo più invasivo di oggi, la crisi d’impresa, con risultati che temo poco incoraggianti.
4.- Per intanto occorre sgombrare il campo da un aspetto; il comma 5 bis affianca – nelle finalità illustrate – al ricorso per concordato con riserva la domanda di pre-accordo di ristrutturazione: si tratta, peraltro, come è ben noto, di due istituti molto diversi. Il ricorso al primo è molto semplice, i documenti da produrre sono pochi e facilmente reperibili ed i termini sono più generosi (potendo giungere sino a centottanta giorni); il secondo è molto più complesso: presuppone il deposito – in buona sostanza – degli stessi documenti indicati nel secondo comma dell’art. 161 legge fall. richiesti per il concordato preventivo, è necessaria una pre-attestazione del professionista designato, occorre fornire la prova delle trattative in corso, depositare il testo del pre-accordo, l’automatic stay, infine, viene concesso all’esito di un’apposita udienza alla quale convocare i creditori ed il termine concesso non può essere superiore a sessanta giorni, non prorogabili.
Non è necessario essere forniti di doti divinatorie per pronosticare che mai, o quasi mai, il debitore – per avvalersi di quanto dispone il comma 5 bis - utilizzerà lo strumento previsto dall’art. 182 bis, 7^ comma, legge fall., preferendo abbandonarsi nelle braccia più accoglienti e suadenti del concordato con riserva.
5.- Quello che più impensierisce, peraltro, è che il concordato con riserva, nato per consentire al debitore di poter predisporre la domanda di concordato senza subire gli attacchi di creditori sociali particolarmente attivi che avrebbero potuto pregiudicare il buon esito della procedura, diviene uno strumento ibrido, utilizzabile anche dal debitore che, sin dall’inizio, preferisca perseguire un’altra strada certamente meno invadente, ma non agevole da perseguire ovvero quella del piano di risanamento. E’ pur vero che anche oggi il debitore che abbia fatto accesso al concordato in bianco, può – nei termini – depositare un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis legge fall. (anziché una domanda “piena” di concordato), ma il caso è piuttosto raro in quanto la domanda di concordato in bianco pone, comunque, il debitore all’interno di una procedura concorsuale, con quanto ne consegue[7]; ciò è così vero che il comma 5 bis in esame prevede, all’esito del deposito del piano di risanamento, la dichiarazione di improcedibilità del concordato in bianco, col conseguente venir meno degli effetti.
In altre parole, perché mai se il debitore, che sta trattando con i suoi creditori un accordo di ristrutturazione dei debiti, si astiene nella pratica dal depositare un domanda di concordato con riserva, per le ragioni anzidette, dovrebbe farlo, invece, qualora stia negoziando accordi col ceto creditorio funzionali ad un piano di risanamento?
La risposta – di primo acchito - potrebbe essere banale: perché in questo modo il debitore gode delle misure protettive assicurate dal concordato in bianco. La risposta, in realtà, è più complessa perché se è vero che su un piatto della bilancia ci sono le misure protettive, sull’altro c’è il settimo comma dell’art. 161 legge fall., con – tra l’altro - le restrizioni connesse all’impossibilità di assumere decisioni di straordinaria amministrazione se non urgenti e previa autorizzazione del tribunale e, soprattutto, il divieto di pagare creditori anteriori per non violare la par condicio, oltre agli obblighi informativi periodici ed alla presenza dell’attività di vigilanza del pre-commissario. Ciò che intendo sottolineare è che non riesco ad intravedere quali vantaggi possano in concreto derivare al debitore dalla norma in esame, giacché – in realtà – nulla vieta anche oggi al medesimo di pervenire ad un accordo di risanamento, qualora lo ritenga preferibile rispetto al concordato ed abbia il consenso dei creditori necessari a fondare un pino di risanamento in concreto attestabile.
6.- Se l’obiettivo del legislatore era quello di mettere a disposizione delle imprese un nuovo temporaneo strumento idoneo a rendere più agevole la soluzione della crisi temo che lo scopo non possa considerarsi realizzato, anzi, si tratta di una misura – come si è cercato di dimostrare – poco utile, per non dire inutile.
E’ certo che la pandemia da COVID-19 e il prolungato conseguente lockdown di gran parte delle attività economiche ci consegnerà un numero crescente di situazioni di crisi, con la correlata necessità di misure protettive, ma sino ad oggi – ed anche nell’ambito del nuovo comma 5 bis - alle misure protettive (previste in sede di concordato in bianco) si affiancano gravi restrizioni nello svolgimento dell’attività d’impresa e il divieto di pagare debiti anteriori.
La soluzione non è quella di prolungare il termine concesso nell’ambito del concordato in bianco, né quello di garantire soltanto misure protettive, bensì quella di affiancare ad un automatic stay la libertà d’impresa e la possibilità di pagare anche debiti anteriori, perlomeno quelli funzionali alla continuità d’impresa[8]. Obiettivi che non sono troppo ambiziosi o pretenziosi, tanto è vero che già oggi sono la conseguenza del pre-accordo di ristrutturazione che – nei sessanta giorni di efficacia – consente al debitore di continuare a gestire l’impresa in piena autonomia e senza vincoli rispetto ai debiti anteriori, ma che – nella pratica – è un istituto poco impiegato per la complessità dei documenti da predisporre e sottoporre al tribunale.
Restando ferma la vigilanza del pre-commissario sugli atti dell’impresa ed immutato il divieto di pagare debiti anteriori temo che la novità legislativa non porterà in concreto alcun beneficio ed anzi acuirà il rischio di fenomeni ancora più ampi del passato di abuso del concordato con riserva[9].
Si è persa, a mio avviso, un’ottima e forse irripetibile occasione per introdurre, da un lato, l’opportunità di ottenere misure protettive in modo più agevole e meno invasivo del concordato con riserva e, dall’altro, per consentire al debitore di gestire con libertà l’attività della propria impresa e di pagare i debiti anteriori, almeno quelli connessi alla continuità. Si è voluta rimanere all’ombra rassicurante dei tribunali fallimentari quando si sarebbe potuto e, forse, si sarebbe dovuto avere maggiore coraggio: se non ora, quando?
[1] Cfr. M.IRRERA-E.FREGONARA, La crisi d’impresa e la continuità aziendale ai tempi del Coronavirus, in www.ilcaso.it, 15 aprile 2020, p. 11 ss. e in Il diritto dell’emergenza: profili societari, concorsuali, bancari e contrattuali, I Quaderni di Res, Torino, 2020, p. 27 ss.
[2] Cfr. Trib. Piacenza, 8 maggio 2020, in www.ilcaso.it, Sez. Giurisprudenza, 23626, 23 maggio 2020; contra: S.AMBROSINI, L’improcedibilità delle istanze di fallimento: ratio legis, tassatività della deroga e corollari applicativi, in www.ilcaso.it, 29 maggio 2020.
[3] L’altra riguarda la dichiarazione di fallimento all’esito di un concordato preventivo in corso, nelle varie fattispecie.
[4] V., supra, nota 1.
[5] Cfr. Procedura semplificata di composizione assistita della crisi - Proposta legislativa, in www.ilcaso.it, articolo 950, 14 maggio 2020; vedila anche in www.centrocrisi.it.
[6] Ovviamente laddove penda un’istanza di fallimento alla dichiarazione di improcedibilità fa seguito la dichiarazione di fallimento.
[7] Secondo la Suprema Corte “il debitore, per quanto non ancora ammesso al concordato preventivo con il decreto di cui all'art. 163 I. fall., già acquisisce lo statuto di debitore concordatario per il solo deposito della domanda ai sensi dell'art.161 l. fall., costituendosi il rapporto processuale con il giudice, chiamato ad una pronuncia su di essa e prima ancora instaurandosi un regime di controllo giudiziale sull'amministrazione (com'è evidente ad es. nel concordato con riserva, nonché quanto ai contratti pendenti ex art. 169 bis I. fall.), oltre che uno statuto di relativa insensibilità del patrimonio alle iniziative di terzi (ex art. 168 I. fall.)” (così sentenza, 14 marzo 2016, n. 4977).
[8] Come nella proposta formulata dal Centro Crisi – Università di Torino (v., supra, nota 4).
[9] La giurisprudenza, come è noto, è piuttosto severa nel reprimere i possibili abusi del concordato con riserva (cfr. da ultimo, Cass., 12 marzo 2020, n. 7117, Sez. Giurisprudenza, 23664, in www.ilcaso.it, 2 giugno 2020) e, da domani, questa severità dovrà fare i conti con un istituto modificato nelle sue finalità; il debitore, ad esempio, non sarà tenuto più a dar conto nelle relazioni periodiche dell’attività compiuta ai fini della predisposizione della domanda di concordato, potendo ben sostenere, ma dovendolo auspicabilmente documentare, la mera pendenza di trattative con il ceto creditorio funzionali ad un accordo di risanamento.
Scarica Articolo PDF