Civile
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 11/10/2021 Scarica PDF
Luci e (molte) ombre sulla lista del CDA per la nomina degli amministratori nelle società quotate: brevi appunti
Maurizio Irrera, Professore Ordinario di diritto commerciale nell'Università degli Studi di TorinoAbstract: Il lavoro si concentra sulla prassi, non regolata dal legislatore né dalle autorità di vigilanza competenti, della facoltà concessa al consiglio di amministrazione uscente a presentare una propria lista per l’elezione degli amministratori di società quotate. Nell’indubbia legittimità di clausole siffatte, si sollevano alcuni dubbi e criticità che potrebbero discendere dal loro utilizzo nella pratica.
This paper is focused on the practice – not governed by the legislator nor by the competent supervisory authorities – of the presentation of lists by the outgoing board members for the election of the board of directors in listed companies. Undoubted the legitimacy of such clauses, the article cast some doubts on the current use of practice.
1.- Il dibattito scientifico concernente le condizioni di legittimità della previsione statutaria che facoltizza il consiglio di amministrazione uscente a presentare una propria lista per l’elezione degli amministratori di società quotate è piuttosto vivace ed interessante[1]. L’argomento è divenuto effervescente a seguito dalle recenti vicende finanziarie concernenti le Assicurazioni Generali ed ha attirato commenti e riflessioni anche sui quotidiani finanziari[2]. Ancora più recente è la notizia che la Consob abbia aperto un’istruttoria, al momento informativa, sulla vicenda[3].
Il tema si interseca con il voto di lista, obbligatorio ai sensi del Testo Unico della Finanza, per le società quotate: circostanza che pone – di conseguenza – una serie di questioni spinose e di non facile soluzione.
Il fenomeno appare in crescita[4]: sarebbero 36 (su circa 220) le società che contemplano statutariamente tale facoltà e 10 i casi di concreto impiego della clausola con risultati sempre positivi, nel senso che la lista del CdA uscente ha ottenuto in tutti i casi la palma di lista di maggioranza, a seguito del voto assembleare. La clausola, infine, è particolarmente diffusa (57%) in quegli emittenti ad azionariato diffuso, dove cioè nessun socio ha più del 20% delle azioni.
La gimkana interpretativa che pone in concreto la previsione statutaria della lista del CdA merita di essere brevemente ripercorsa per verificarne la tenuta “di strada” e soprattutto per ragionare intorno alla sua funzione finale.
2.- Il presupposto logico di una lista presentata dal CdA uscente è la consistente frammentazione dell’azionariato che – da un lato – rende non così agevole o comunque poco rappresentativa la presentazione di liste da parte dei soci (alla luce dei quorum minimi previsti) e – dall’altro – la conseguente assenza di un socio di riferimento in grado di orientare le scelta dell’assemblea dei soci.
La lista del CdA può dunque fungere da aggregatore di consensi ed appare particolarmente coerente con i processi di autovalutazione del Consiglio imposti dal Codice di Corporate Governance[5]. Rappresenta una commistione tra proprietà e gestione, attribuendo ai gestori il potere di incidere sulla più rilevante attribuzione dei soci ovvero la nomina degli amministratori; incide sulla carne viva di una delle prerogative più rilevanti dei soci[6].
Nel nostro sistema sono pochissime le realtà societarie in cui è presente una reale polverizzazione dell’azionariato; il rischio più rilevante è che dietro la lista del CdA si celino uno o più soci forti che tendono ad occultare collegamenti di fatto oppure un socio forte, regista della lista del Cda, che agisce con l’intento di dotarla di un’aurea di indipendenza e di maggiore forza persuasiva. Ma veniamo ad alcune riflessioni più strettamente giuridiche.
3.- La facoltà per il CdA uscente di presentare una lista per il rinnovo del Consiglio non è disciplinata dal Testo Unico della Finanza, né da normativa secondaria di Consob o Banca d’Italia. L’unico antecedente normativo è rappresentato dalla disciplina delle privatizzazioni emanata negli anni novanta del secolo scorso[7] che espressamente prevedeva tale clausola, mentre l’ultima versione del Codice di Corporate Governance, all’art. 4, sancisce che “l’organo di amministrazione affida al comitato nomine il compito di coadiuvarlo nelle attività di (…) d) eventuale presentazione di una lista da parte dell’organo amministrativo uscente da attuarsi secondo modalità che ne assicurino una formazione e una presentazione trasparente; (…)”. Mi pare che il Codice Corporate Governance se, da un lato, riconosce (implicitamente) la legittimità della clausola; dall’altro, pone in risalto altrettanto chiaramente l’esigenza che di essa non si abusi: circostanza tutt’altro che remota.
Ora, seppur non vada sottovalutato il fatto che tutto il sistema del voto di lista disciplinato dal Testo Unico della Finanza presuppone liste presentate dai soci, non credo si possa dubitare in via generale della legittimità della clausola. Più utile mi pare sia valutare alcuni profili che emergono dalla lettura in concreto delle singole clausole.
Come è noto, il Tuf riserva alla lista di minoranza il potere di esprimere la nomina di almeno un amministratore. In tale quadro, quale ruolo gioca la lista del CdA? Se questa raccoglie il maggior numero di voti nulla quaestio: dalla stessa verranno tratti la maggioranza degli amministratori e dalla lista seconda classificata verranno pescati gli amministratori di minoranza. Ma qualora la lista del CdA giunga seconda che succede? In base a molti statuti la lista del CdA fungerebbe comunque da lista della minoranza con i conseguenti effetti[8]; a me pare, viceversa, che la lista del CdA nasce con una vocazione maggioritaria[9]: qualora intorno ad essa non si coaguli il voto della maggioranza dei soci, non mi parrebbe legittimo considerarla lista di minoranza, ma essa dovrebbe semplicemente cedere il passo alla lista terza classificata, reale espressione di una minoranza di soci e non di un consiglio di amministrazione uscente “sbugiardato” dai soci.
Altro consistente profilo è quello di stabilire se accordi o anche più semplicemente scambi di informazioni tra soci e consiglieri uscenti, funzionali alla presentazione di una lista da parte del CdA, possano rappresentare in sé un patto parasociale e dunque costituire un’azione di concerto, rilevante – almeno in via potenziale – ai fini del sorgere di un obbligo di OPA. Una risposta univoca non mi pare possa esserci[10], occorre indagare caso per caso; mi pare eccessivamente formale, per giustificare una risposta negativa, il fatto che il concerto riguarda la presentazione della lista e non il voto in assemblea[11]; mi parrebbe viceversa significativo in senso opposto – per esempio - che il concerto intervenga a livello superiore ovvero tra i soci del socio forte.
E’ difficile, in ogni caso, sottrarre la clausola in esame da un persistente rischio di autoreferenzialità che mi pare non possa ritenersi sterilizzato dal fatto che alla sua formulazione partecipi in modo attivo, come suggerito dal Codice di Corporate Governance, il Comitato nomine in quanto costituito in maggioranza da amministratori indipendenti; è frequente, infatti, che il detto Comitato sia costituito in maggioranza da amministratori indipendenti nominati dai soci o dal socio di controllo e non dagli amministratori (indipendenti) nominati con la lista di minoranza e se a ciò si aggiunge che la nozione di indipendenza, almeno quella del Tuf, appare piuttosto light, mi pare che, per evitare la citata autoreferenzialità, il passaggio dal Comitato nomine sia assolutamente poco significativo.
C’è un profilo che – viceversa – non mi pare sia stato sin qui adeguatamente posto in luce sul piano interpretativo; intendo riferirmi al quorum deliberativo necessario per l’approvazione della lista del CdA da parte dello stesso Consiglio. Dalla lettura degli Statuti delle società quotate che hanno adottato la clausola emergono scelte diverse. In alcuni casi nulla è sancito ed è pertanto da ritenersi operi il secondo comma dell’art. 2388 c.c. ovvero la maggioranza assoluta dei presenti; in altri si stabilisce espressamente un quorum pari alla maggioranza assoluta dei componenti del consiglio; infine, in almeno uno dei casi esaminati[12] si prevede un quorum molto rafforzato pari ad 11 consiglieri su 15 e dunque percentuale superiore ai 2/3 dei consiglieri. Ritengo che questa scelta non solo sia la preferibile, ma che essa rappresenti in qualche modo una condizione di legittimità della clausola.
Si è sin qui sottolineato la parziale “anomalia” della clausola in esame e la sua interferenza con la prerogativa principale dei soci ovvero la nomina degli amministratori; si è rilevato come la clausola abbia una sua ragione d’essere soprattutto nei casi di reale e sensibile polverizzazione dell’azionariato e non quando – pur non essendo presenti soci con percentuali di proprietà azionaria maggiore del 20% - vi siano azionisti per così dire di riferimento. In tali contesti una lista del Cda uscente per la nomina del nuovo consiglio pare legittima a condizione che essa rappresenti la volontà, se non del CdA unanime, perlomeno di una sua larga e nutrita maggioranza.
Mi pare necessario rilevare in sintesi e per concludere come la clausola, seppur legittima in astratto, debba poi essere attentamente scrutinata in concreto per evitare che le buoni intenzioni di partenza non vengano poi tradite in passaggi che appaiono meno eclatanti, ma che in realtà si possono prestare ad abusi come la disciplina da applicare al caso in cui la lista del CdA non sia la più votata e, ancora di più, il quorum deliberativo – a mio avviso – necessariamente molto elevato che deve accompagnare la decisione del CdA di presentare una propria lista. A tale proposito non mi pare sia del tutto marginale il fatto che le nostre Autorità di Vigilanza (Consob e Banca d’Italia) non abbiano sin qui preso espressamente posizione sul tema in esame[13].
[1] Si veda per tutti il recente pregevole contributo di. M. Ventoruzzo, Note sulla lista del consiglio uscente per l’elezione degli amministratori nelle società quotate, in Riv. Soc., 2020, p. 1298 ss.; adde: A. Sacco Ginevri, Nuovi equilibri fra soci e amministratori nelle banche italiane quotate, in Liber Amicorum Guido Alpa, a cura di F. Capriglione, Padova, 2020, 291 ss.; M. Stella Richter Jr., Voto di lista per la elezione delle cariche sociali e legittimazione dell’organo amministrativo alla presentazione di candidati, ivi, 2007, p. 36 ss.; N. Ciocca, Il voto di lista nelle società per azioni, Milano, 2018.
[2] Cfr., ad esempio, M. Belcredi, I rivolgimenti triestini e il rischio della lista del CdA, in Il Sole- 24 Ore, 30 settembre 2021.
[3] Cfr. L. Serafini, Consob apre il dossier Generali. L’Authority avvia un’istruttoria, in Il Sole – 24 Ore, 7 ottobre 2021, p. 1 e 29.
[4] M. Belcredi, op.loc.ult cit.
[5] Così M. Ventoruzzo, op. cit., p. 1403
[6] Conf. Id., op. cit. , p. 1408.
[7] Art. 4 del d.l. 31 maggio 1994, n. 332, convertito in l. 30 luglio 1994, n. 474.
[8] Così M. Ventoruzzo, op. cit., p. 1409 ss.
[9] V, supra, par. 1.
[10] Conf. M. Ventoruzzo, op. cit. , p. 1417.
[11] Cfr. Id., op. loc. ult. cit.
[12] Il riferimento è all’art. 20.4.2. lett. (i) dello Statuto di Banco Bpm.
[13] A tale proposito M. Ventoruzzo, op. cit., p. 1404, nota 15 osserva come “anche in ambienti di vigilanza, pur in mancanza di posizioni ufficiali talune opinioni tendono a ritenere non desiderabile la lista del consiglio uscente”.
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