CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 04/04/2019 Scarica PDF
Brevi note sui nuovi accordi di ristrutturazione
Marco Arato, Professore ordinario di Diritto commerciale nell'Università di Genova1. L’art. 5 della legge delega prevede che il governo, nel rivedere la disciplina degli accordi di ristrutturazione, si debba attenere ai seguenti principi:
(a) Ampliare la categoria dei soggetti a cui l’accordo non liquidatorio possa essere coattivamente esteso in modo da non comprendere solo le banche ma qualunque creditore;
(b) eliminare o ridurre il limite del 60% dei creditori aderenti per l’omologa dell’accordo se non viene richiesta la moratoria nel pagamento o misure protettive;
(c) assimilare le misure protettive previste per gli accordi a quelle previste per il concordato preventivo;
(d) estendere gli effetti dell’accordo ai soci illimitatamente responsabili;
(e) imporre la rinnovazione delle attestazioni per modifiche non marginali dell’accordo o del piano.
La legge delega non prende espressamente posizione sulla natura dell’accordo e cioè sulla sua riconduzione o meno alla categoria delle procedure concorsuali. Si tratta di un argomento importante alla luce di tre recenti sentenze della Suprema Corte (Cass., 18.1.2018, n. 1182; Cass., 12.4.2018, n. 9087 e Cass., 21.6.2018, n. 16347) che, a legislazione vigente, e cioè interpretando l’articolo 182 bis l.f., hanno fatto rientrare gli accordi di ristrutturazione nelle procedure concorsuali. L’orientamento della Suprema Corte (e in particolare Cass., 21.6.2018, n. 16347) è stato criticato in dottrina (Arato, Gli accordi di ristrutturazione dei debititra la giurisprudenza della Cassazione e il Codice della crisi e dell’insolvenza, in www.ilcaso.it in data 9.10.2018 e Fabiani, Dal Codice della Crisi di Impresa agli accordi di ristrutturazione senza passare da Saturno, in www.ilCaso.it, in data 14.10.2018, ma ha anche avuto commenti favorevoli, Trentini, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono una “procedura concorsuale”: la Cassazione completa il percorso, in Fallimento, 2018, 984); all’epoca tale orientamento sembrava quasi anticipare il nuovo Codice che, nella versione in bozza all’epoca disponibile, sembrava propendere proprio per la concorsualizzazione dell’accordo.
Viceversa, nel testo definitivo recentemente emanato sembra che tale eventualità debba essere scartata. I piani di risanamento e gli accordi di ristrutturazione sono compresi nel Titolo IV intitolato “Strumenti di regolazione della crisi” che a sua volta si compone di “Strumenti negoziali stragiudiziali” (art. 56) relativo ai piani di risanamento e di “Strumenti negoziali stragiudiziali soggetti ad omologazione”(art. 57-64)relativi agli accordi di ristrutturazione dei debiti.
Ed è significativo che queste norme non siano comprese nel Titolo III relativo alle “procedure di regolazione della crisi dell’insovlenza” che comprende invece il concordato preventivo e la liquidazione giudiziale (attuale fallimento).
La ben nota distinzione tra strumenti di regolazione (che non sono procedure concorsuali) e procedure di regolazione (che invece sono procedure concorsuali) direi che pone finalmente fine a pericolosi tentativi di concorsualizzazione dell’accordo di ristrutturazione, basati su labili indizi normativi.
2. Il decreto delegato ha dato puntuale e completa applicazione all’art. 5 della legge delega, circostanza da salutarsi con favore e non scontata perché alcuni principi espressi dalla legge delega in altri settori diversi da quello oggi esaminato, non sono stati attuati dal legislatore delegato ponendo delicati profili di legittimità. Si pensi al mancato recepimento dell’art. 2.1. lett. (e) della legge delega relativo alla “fallibilità” dell’imprenditore agricolo o al recepimento gravemente lacunoso dell’art. 2.1. lett. (n) relativo alla specializzazione del giudice con accorpamento della competenza territoriale e per materia nelle procedure concorsuali presso alcuni tribunali soltanto, e non presso tutti i tribunali come avviene attualmente e come, a causa del mancato esercizio della delega, continuerà ad avvenire.
Ai sensi dell’art. 57 c. 1 l’accordo di ristrutturazione è ora previsto per l’imprenditore anche non commerciale (purchè diverso dall’imprenditore minore, e cioè quello sotto soglia) in stato di crisi o di insolvenza. Rispetto al passato, lo strumento dell’accordo è offerto anche agli imprenditori agricoli sopra soglia (sempre sottratti alla liquidazione giudiziale), in alternativa all’utilizzo della procedura di sovraindebitamento che secondo il codice sarà applicabile solo alla ristrutturazione dei debiti del consumatore (art. 67 ss.), al concordato minore dell’imprenditore sotto soglia o agricolo (art. 74 ss.), o alla liquidazione controllata del sovraindebitato (art. 268 ss.). L’imprenditore agricolo sotto soglia (a differenza dell’imprenditore agricolo sopra soglia) non potrà quindi accedere all’accordo di ristrutturazione, ma solo al sovraindebitamento. La differenza dimensionale tra imprenditori agricoli ha avuto certamente un peso nelle scelte del legislatore.
Inoltre, è ammesso all’accordo non solo l’imprenditore in crisi ma anche quello insolvente. Siccome l’accordo può anche avere un contenuto liquidatorio, in caso di insolvenza irreversibile si potrà fare ricorso a questo strumento, sicuramente meno invasivo rispetto al concordato preventivo liquidatorio o alla liquidazione giudiziale.
3. Nel sistema attuale dell’art. 161 c. 6 l.f., attraverso il concordato con riserva, si può accedere alternativamente al concordato pieno o all’accordo di ristrutturazione. E’ ragionevole ritenere che anche l’art. 44 del Codice continui a consentire tale alternativa.
La rubrica della norma depone in tal senso (“accesso al concordato preventivo e al giudizio di omologazione degli accordi di ristrutturazione”), anche se i commi 1, 2 e 3 sono dedicati all’accesso a una “procedura di regolazione concordata”, laddove l’accordo è definito come “strumento negoziale stragiudiziale soggetto ad omologazione”. Solo il c. 4 è esplicitamente dedicato all’accordo di ristrutturazione.
L’art. 39 c. 3 consente di presentare una domanda “in bianco” con i soli ultimi tre bilanci e l’elenco nominativo dei creditori (cui ora si aggiungono le ultime tre dichiarazioni dei redditi), rispetto alla quale il tribunale può concedere un termine fino a sessanta giorni, prorogabile di ulteriori sessanta giorni (in assenza di domande di liquidazione giudiziale) per depositare la proposta di concordato piena “oppure gli accordi di ristrutturazione” (art. 44 c. 1 lett. a).
Rispetto all’attuale regime nel quale l’alternativa tra concordato pieno o accordo di ristrutturazione è esplicitamente lasciata alla discrezionalità del richiedente, l’art. 44 a una prima rapida lettura sembrerebbe prevedere che nella domanda di accesso a una “procedura di regolazione concordata” il debitore debba esplicitare se chiede il termine per accedere al concordato o all’accordo di ristrutturazione (che non è una procedura di regolazione concordata). Nel primo caso, la nomina del commissario giudiziale è obbligatoria (art. 44 c. 1 lett. f), mentre nel secondo caso di richiesta del termine per pervenire all’accordo, la nomina del commissario è obbligatoria solo in presenza di istanza di liquidazione giudiziale.
L’alternativa concordato/accordo è prevista anche dall’art. 54 c. 6 secondo il quale le misure protettive concesse in vista del deposito dell’accordo, “conservano efficacia anche se il debitore … deposita domanda di apertura del concordato preventivo”.
Sarebbe irragionevole ritenere che se si passa da accordo a concordato le misure protettive restano, mentre se si passa da concordato ad accordo le misure protettive vengono meno, però la norma non è esplicita in tal senso (sembra ammettere l’ammissibilità di una domanda in bianco con esito alternativo concordato/accordo anche Montanari, Il procedimento unitario per l’accesso alle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza e i riflessi indiretti sulle banche, in www.ilcaso.itin data 22.2.2019). Certamente, se il debitore chiedesse il termine di 60 + 60 giorni per stipulare un accordo di ristrutturazione e poi virasse sul concordato, potrebbe evitare la nomina del commissario giudiziale (obbligatoria solo se è pendente istanza di liquidazione giudiziale) mentre nel caso di domanda di concordato “con riserva” la nomina del Commissario è sempre obbligatoria. Per evitare questo escamotage, se si concorda nel ritenere che l’art. 44 consenta alternativamente l’approdo al concordato o all’accordo, sarebbe bene che nei fatti la nomina del Commissario avvenisse sempre con il compito di vigilare su un utilizzo abusivo del termine concesso dal tribunale. D’altronde, l’ultimo comma dell’art. 44, pur limitandosi ad affermare che la nomina del Commissario è obbligatoria in caso di istanza di liquidazione giudiziale, non esclude che la nomina avvenga anche negli altri casi, e fino a quando non viene presentata la domanda piena non si ha la certezza che il percorso ipotizzato venga poi realizzato.
4. Altra modifica rispetto al regime attuale riguarda il tramonto dell’attuale 182 septies l.f., sostituito dall’accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa disciplinato dall’art. 61. La nuova norma, in sostanza, ha lo stesso impianto dell’attuale 182 septies, ma gli aderenti “coattivi” non sono più solo i creditori finanziari, ma qualunque creditore purchè (i) altri creditori aventi analoga posizione giuridica ed economica del creditore recalcitrante abbiano aderito all’accordo e rappresentino almeno il 75% dei creditori di tale categoria e (ii) i creditori aderenti in modo “coattivo” vengano soddisfatti attraverso l’accordo in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale. Inoltre, l’accordo non deve essere liquidatorio, ma deve prevedere la prosecuzione dell’attività di impresa in via diretta o indiretta (tramite la cessione a terzi dell’azienda) e i creditori devono essere soddisfatti in misura prevalente dal ricavato della continuità aziendale.
Resta sempre il problema se la percentuale della soglia minima del 60% degli aderenti all’accordo, prevista dall’art 57, comprenda o meno non solo i creditori genuinamente aderenti ma anche gli aderenti “coatti”. Nel passato avevo proposto questa interpretazione che però era risultata minoritaria. Continuo tuttavia a sostenerla anche nel nuovo Codice (che non dice nulla in contrario), posto che anche gli aderenti “coatti” sono pur sempre aderenti e, quindi, sottratti all’obbligo di pagamento entro 120 giorni dalla firma dell’accordo (Arato, Il nuovo accordo di ristrutturazione dei debiti bancari vs. concordato preventivo, in Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria, a cura di Ambrosini, Bologna, 2017, 732).
5. L’art. 60 prevede che la percentuale minima del 60% di creditori aderenti all’accordo possa ridursi al 30% di aderenti se il debitore non fa richiesta di misure protettive e non propone la convenzione di moratoria prevista dall’art. 62. Ritengo che a questi accordi di ristrutturazione agevolati (come definiti dall’art. 60) possa teoricamente applicarsi anche la disciplina degli accordi ad efficacia estesa disciplinati dall’art. 61 (esaminati al paragrafo precedente) per cui si potranno avere accordi di ristrutturazione agevolati e ad efficacia estesa.
6. In sede di omologa il tribunale verifica la regolarità della procedura, l’ammissibilità giuridica e la fattibilità economia del piano. Per quanto riguarda i debiti fiscali, in assenza di transazione fiscale ex art. 63, il tribunale omologa l’accordo anche in mancanza di adesione esplicita dell’amministrazione finanziaria quando, sulla base dell’attestazione, la proposta di soddisfacimento dell’amministrazione finanziaria è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria.
E’ una utile previsione che viene a colmare le vischiosità decisionali che spesso si manifestano nell’amministrazione finanziaria.
7. L’art. 58 riguarda le modifiche sostanziali al piano o agli accordi. Se le modifiche al piano o agli accordi avvengono prima dell’omologa, occorre rinnovare l’attestazione. Se la modifica del piano avviene dopo l’omologa, non solo occorre rinnovare l’attestazione, ma piano e attestazione vengono pubblicati nel registro delle imprese e devono essere comunicati ai creditori ai fini dell’eventuale opposizione avanti al tribunale. In sostanza, in caso di modifiche sostanziali, non vi è una nuova omologa, ma il tribunale interviene solo a seguito dell’eventuale opposizione. La norma non indica né a quali creditori debba essere notificato l’avviso del deposito del piano modificato e della nuova attestazione né i soggetti che possono presentare opposizione. Si ritiene che la notifica debba essere effettuata a coloro che sono creditori al momento del deposito presso il registro delle imprese di piano e attestazione, che siano anteriori rispetto all’accordo originario o che siano successivi, e ciò in quanto l’accordo di ristrutturazione, non essendo una procedura concorsuale non distingue tra creditori concorsuali o della massa e mette tutti i creditori sullo stesso piano.
Legittimati all’impugnativa saranno sicuramente i creditori (teoricamente anche se non avessero ricevuto la notifica dell’avviso di deposito) e qualunque altro soggetto interessato (argomentato ex art. 48 c. 4).
In sede di decisione sull’approvazione della modifica il tribunale dovrà verificare l’ammissibilità giuridica della modifica del piano e la sua fattibilità economica (v. art. 48 c. 3) replicando, in sostanza, il giudizio già effettuato in sede di omologa.
8. Per quanto riguarda le misure protettive, è noto che, a differenza dell’attuale regime, in occasione del concordato con riserva (art. 44) le misure protettive non saranno più automatiche, ma dovranno essere concesse di volta in volta dal giudice (artt. 54 e 55).
Il Codice della Crisi definisce all’art. 2(p) le misure protettive e all’art. 2(q) le misure cautelari. Le prime sono poste a tutela dell’impresa “per evitare che determinate azione dei creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza”. Le misure cautelari sono invece previste per la conservazione del patrimonio del debitore allo scopo di anticipare “gli effetti delle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza”, fondamentalmente allo scopo di anticipare lo spossessamento del debitore evitando il compimento di atti depauperativi.
Con il Codice della Crisi le misure protettive, a differenza del regime attuale, non saranno più automatiche ma di volta in volta dovranno essere concesse dal giudice e non potranno eccedere la durata massima anche non continuativa di dodici mesi “inclusi eventuali rinnovi o proroghe” (art. 8). Tale precisazione tiene conto di quanto disposto al punto B, numeri 10 e 13 della Raccomandazione 2014/135/UE ed anticipa il contenuto dell’art. 6 par. 5 della proposta di direttiva UE sull’insolvenza del novembre 2016. Il che significa che in tutte le procedure e strumenti diversi dalla liquidazione giudiziale, il debitore, scaduto il termine annuale nelle misure protettive, non dispone più di alcuna tutela rispetto alle azioni dei creditori. Nell’impianto della Commissione Rordorf tale temporaneità della protezione si accompagnava ad un imponente accorpamento delle competenze giudiziarie presso alcuni tribunali allo scopo di creare giudici specializzati e, quindi, di accelerare auspicabilmente la conduzione delle procedure. Questa parte della riforma è stata espunta dal Codice della crisi che ha mantenuto le attuali competenze dei tribunali fallimentari. E’ prevedibile che la durata delle procedure “minori”, e soprattutto del concordato preventivo, non si riduca rispetto all’attuale durata, ben superiore a dodici mesi, prima di pervenire al provvedimento di omologa. Il debitore corre quindi il rischio di arrivare all’omologa senza alcuna protezione rispetto ad iniziative individuali di creditori. Delle due l’una, o la durata massima delle misure protettive prevista dall’art. 8 del Codice non viene considerata perentoria (o si applica tale durata per ciascuna fase della procedura), oppure sarà necessaria una decisa accelerazione dei tempi delle procedure. In difetto, il debitore sarà in balia dei creditori.
Anche nel nuovo Codice assisteremo alla duplice modalità di ottenimento delle misure protettive: (a) a seguito del concordato con riserva (senza però alcun automatismo), oppure (b) in assenza di concordato con riserva, nel corso delle trattative per la stipula dell’accordo di ristrutturazione (art. 54 c. 3) con un meccanismo simile, ma non identico a quello dell’art. 182 bis c. 6 l.f., in quanto il procedimento di concessione delle misure protettive previsto dall’art. 55 non prevede necessariamente il coinvolgimento dei creditori, anche se non si può escludere che il giudice voglia sentire l’opinione dei maggiori creditori.
9. Infine, l’art. 59 non si limita ad estendere l’efficacia dell’accordo anche ai soci illimitatamente responsabili (art. 59 c. 3) ma prevede in forza del rinvio all’art. 1239 c.c. anche la liberazione dei garanti (art. 59 c. 2) salvo che per gli aderenti “coatti” negli accordi con efficacia estesa previsti dall’art. 61, che conservano i loro diritti nei confronti dei garanti del debitore.
La scelta del legislatore è stata diversa rispetto al concordato preventivo nel quale il concordato è obbligatorio per tutti i creditori che però conservano i loro diritti nei confronti dei garanti (art. 117). Si tratta di una scelta agevolativa per l’accordo di ristrutturazione che, a questo punto, ha un “atout” in più rispetto al concordato.
(*) Relazione tenuta a Bergamo il 19.3.2019 al Convegno “La nuova disciplina della crisi e dell’insolvenza”.
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