CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 10/04/2018 Scarica PDF
Regolazione della crisi e dell'insolvenza dei gruppi di imprese
Marco Arato, Professore ordinario di Diritto commerciale nell'Università di Genova1. Come è noto, nel nostro ordinamento da sempre manca una nozione e una disciplina unitaria del gruppo. Sono state contate fino a 36 diverse nozioni legislative di controllo (e quindi di gruppo) ognuna regolante problemi settoriali([1]) e, correttamente, la dottrina ha ritenuto inopportuna una legislazione generale sui gruppi, ritenendosi preferibile il ricorso a discipline di settore e, per i problemi di carattere generale, il rinvio alla disciplina generale sui contratti e sulla responsabilità extracontrattuale([2]). E la stessa riforma societaria del 2003 ha avuto un approccio molto “snello” al gruppo rifuggendo giustamente da ogni tentativo definitorio ma legittimando l’attività di direzione e coordinamento purchè nel complesso sia svolta secondo “i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime” (art. 2497 c. 1 c.c.) e sanzionando invece l’abuso dell’attività di direzione e coordinamento a danno dei creditori e dei soci di minoranza.
2. Con riferimento alla crisi e all’insolvenza del gruppo, la prima e fino ad ora unica disciplina di legge è quella relativa all’amministrazione straordinaria che precedentemente, nell’abrogata legge Prodi (art. 3 l. 3.4.1979 n. 95 di conversione del D.L. 30.1.1979 n. 26), e ora nella Prodi bis (art. 80 ss. D. Lgs. 8.7.1999 n. 270) sottopone ad un’unica procedura il gruppo insolvente quando “le imprese del gruppo presentino concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali … ovvero quando risulti comunque opportuna la gestione unitaria dell’insolvenza nell’ambito del gruppo, in quanto idonea ad agevolare, per i collegamenti di natura economica o produttiva esistenti tra le singole imprese, il raggiungimento degli obiettivi della procedura” (art. 81 Prodi bis). E le norme (ora l’art. 80 Prodi bis e prima l’art. 3 Prodi in termini non perfettamente coincidenti con gli attuali) indicano i requisiti fattuali di individuazione del gruppo.
Nessuna altra procedura concorsuale disciplina la crisi o l’insolvenza del gruppo in quanto le singole società in crisi o insolventi sono trattate singolarmente come se fossero società indipendenti (l’ordinamento fallimentare disciplina il gruppo solo ai fini del voto in occasione del concordato preventivo – art. 177 u.c. l.f. – e fallimentare – art. 127 c. 7 l.f.).
Sono stati fatti vari tentativi di forzare il regime vigente per consentire una disciplina coordinata del gruppo insolvente([3]) ma, in assenza di una disciplina specifica, tutti i tentativi si sono scontrati con problemi di competenza per territorio (quando le imprese del gruppo hanno sedi in luoghi diversi), di tutela dei creditori delle singole società e di rigida suddivisione delle masse attive e passive.
La giurisprudenza della Cassazione in materia di concordato è stata molto rigida([4]) e ha sanzionato con estrema decisione tentativi tanto fantasiosi quanto arditi di aggirare la disciplina vigente attraverso operazioni societarie. Capostipite di questi tentativi è stato il concordato preventivo del gruppo Baglietto di La Spezia, composto da varie società aventi sede in diverse circoscrizioni di tribunali.
L’ingegnosa costruzione giuridica prevedeva la costituzione di una newco in forma di s.n.c. alla quale quattro società di capitali appartenenti al gruppo stesso avevano conferito il proprio patrimonio (attivo e passivo) e ne erano diventate proprietarie sostanzialmente integrali. La s.n.c. e le quattro società di capitali socie della s.n.c. e in quanto tali illimitatamente responsabili dei debiti della s.n.c. avevano presentato una unica proposta di concordato. Le società socie della s.n.c. avevano principalmente l’obiettivo di conseguire l’effetto esdebitatorio previsto dall’art. 184 c. 2 l.f. per il caso di concordato di una società con soci illimitatamente responsabili. Nonostante il Tribunale di La Spezia prima([5]) e la Corte d’Appello di Genova poi([6]) avessero rispettivamente omologato il concordato e respinto le opposizioni all’omologa, la Corte di Cassazione ha decisamente contrastato tale impostazione cassando senza rinvio i decreti opposti non solo per problemi di competenza territoriale (in quanto le società socie conferenti avevano sede in diverse circoscrizioni di tribunale) ma soprattutto per due insormontabili ragioni: (i) il conferimento di attivi e passivi di quattro società in crisi (se non insolventi) in un’unica s.n.c. ha operato una illegittima commistione di masse e (ii) l’effetto esdebitatorio previsto dall’art. 184 c. 2 l.f. per i soci illimitatamente responsabili della s.n.c. riguarda unicamente i debiti sociali e non quelli personali di ciascuno di essi (che sono residuati dopo il conferimento delle aziende ai sensi dell’art. 2560 c.c.).
Il successivo fallimento della s.n.c. non ha potuto ovviamente “smontare” l’atto gestorio compiuto dai soci delle s.n.c. attraverso il conferimento delle aziende, con la conseguente commistione di masse attive e passive, e anche la responsabilità per debiti propri delle società socie non ha prodotto un reale beneficio per i creditori di tali società in quanto ormai private di attivo a meno che non fossero ancora esperibili le azioni revocatorie dei vari conferimenti.
A diverse conclusioni sarebbe pervenuta la Cassazione se fosse stata realizzata la fusione delle quattro società partecipanti al gruppo Baglietto perché in tal caso la massa attiva e passiva sarebbe stata unica e, soprattutto, sarebbero stati esperiti i rimedi societari a tutela dei creditori attraverso l’eventuale opposizione ex art. 2503 c.c.
Anche Cass., 31.7.2017 n. 19014 si è trovata di fronte ad una sostanziale replica dell’”operazione Baglietto” ma questa volta sia il Tribunale di Rimini, sia la Corte d’Appello di Bologna([7]) avevano rispettivamente respinto la proposta di concordato e la successiva opposizione al fallimento. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello di Bologna con motivazioni analoghe a quelle di Cass., 20559/2015. Nel caso romagnolo addirittura le società conferenti attivi e passivi nella s.n.c. non appartenevano ad un gruppo preesistente e non erano neppure sottoposte a un comune controllo. In altre parole, il gruppo è stato creato per accedere al concordato con una sorte di abuso dello strumento concordatario. Cass. 19014/2017 ha esaminato anche l’allora d.d.l. di delega al Governo per la riforma organica delle procedure concorsuali e ha rilevato che l’articolato normativo disciplina il concordato di gruppo partendo proprio dalla nozione di direzione e coordinamento, che era comunque estranea alla fattispecie esaminata dal Tribunale di Rimini in cui il gruppo era stato artificiosamente creato attraverso costruzioni societarie proprio per accedere alla procedura.
3. Alle problematiche appena viste, che in definitiva hanno negato la possibilità di disciplinare fattualmente sia il concordato di gruppo sia il fallimento (per usare l’attuale terminologia) di gruppo, ha posto rimedio il nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza che ha dedicato dieci articoli (dal 288 al 293 quinquies) alla crisi e all’insolvenza di gruppo attraverso il ricorso al piano di risanamento, all’accordo di ristrutturazione, al concordato preventivo e alla liquidazione giudiziale di gruppo.
Anche la procedura di allerta (art. 15 ss. del Codice) si applica ai gruppi di imprese purchè non siano di rilevante dimensione (art. 15 c. 4). La definizione di gruppo di imprese di rilevante dimensione, ai sensi dell’art. 2.9 del Codice, è contenuta nell’art. 3 c. 6 e 7 della direttiva 2013/34/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26.6.2013. L’art. 3 c. 6 della direttiva riguarda i gruppi di medie dimensioni, mentre il c. 7 riguarda i gruppi di grandi dimensioni. Le soglie dimensionali consolidate affinchè il gruppo sia di rilevanti dimensioni ai fini dell’accesso all’allerta sono relativamente modeste in quanto è sufficiente il superamento di due dei tre seguenti parametri consolidati: attivo patrimoniale superiore a 20 m. di Euro; ricavi netti superiori a 40 m. di Euro e dipendenti superiori a 250.
La dimensione del gruppo rileva anche ai fini della competenza per materia per l’accesso al concordato o alla liquidazione giudiziale. L’art. 31 del Codice stabilisce infatti che per i gruppi di imprese di rilevanti dimensioni (ai sensi dell’art. 2.9 del Codice) la competenza sia del Tribunale Concorsuale della sede della Sezione Specializzata in materia di Imprese; per gli altri gruppi di imprese sarà invece competente il Tribunale Concorsuale individuato in un apposito decreto.
L’art. 31 va però letto insieme all’art. 290 del Codice ai fini di un difficile coordinamento. L’art. 290 si riferisce infatti al caso di gruppo con imprese che hanno sede in circoscrizioni giudiziarie diverse. In questo caso, secondo l’art. 290, è competente il Tribunale Concorsuale della sede della Sezione Specializzata in materia di Imprese nella cui circoscrizione si trova il soggetto che, in base alla pubblicità presso il Registro delle Imprese ai sensi dell’art. 2497 bis, esercita attività di direzione e coordinamento. In mancanza di tale pubblicità sarà competente il Tribunale Concorsuale sempre della sede della Sezione Specializzata in materia di Imprese ove ha sede l’impresa con maggior esposizione debitoria.
Purtroppo l’art. 290 del Codice non menziona l’art. 31 ma credo che il combinato disposto delle norme debba portare alla conclusione che quando tutte le imprese del gruppo hanno sede presso la stessa circoscrizione si applichi l’art. 31; se hanno sede presso circoscrizioni diverse si applica l’art. 290. In sede di redazione dei testi finali sarebbe bene chiarire il coordinamento tra l’art. 31 e l’art. 290 del Codice. Il difficile coordinamento tra le attuali norme porta infatti a risultati poco soddisfacenti in quanto non si comprende la ragione per cui un gruppo di modeste dimensioni ma con sede nella stessa circoscrizione acceda al concordato presso il Tribunale Concorsuale Circoscrizionale competente. Viceversa, se il gruppo, pur di modeste dimensioni, è composto da imprese con sedi in diverse circoscrizioni, la competenza territoriale passa al Tribunale Concorsuale presso la sede della Sezione Specializzata in materia di Imprese. Non è chiara la ratio dello spostamento di competenza territoriale. Per fare un esempio concreto: se la capogruppo (di un gruppo di modeste dimensioni) le cui controllate hanno tutte sede a Parma presenta domanda di concordato, competente sarà la Sezione Concorsuale presso il Tribunale di Parma. Viceversa, se lo stesso gruppo avesse controllate con sede in altri luoghi d’Italia, la domanda di concordato dovrebbe essere depositata presso il Tribunale Concorsuale di Bologna.
L’art. 2.8. del Codice indica i parametri per l’esistenza di un gruppo di imprese tale da giustificare una procedura di gruppo. La norma fa espresso rinvio all’art. 2497 c.c. e definisce come gruppo l’insieme di società sottoposte a direzione e coordinamento di una società, di un ente o di una persona fisica, sulla base di un vincolo partecipativo o di un contratto.
Anche ai fini fallimentari si presume fino a prova contraria che (i) l’attività di direzione e coordinamento sia esercitata dalla società che consolida i bilanci delle controllate e che (ii) siano sottoposte a direzione e coordinamento le controllate dirette o indirette o sottoposte a controllo congiunto rispetto alla società che esercita la direzione e il coordinamento.
Degno di nota è il riferimento alla persona fisica come soggetto capogruppo che esercita attività di direzione e coordinamento, Si tratta di una novità rispetto all’art. 2497 c.c. che si limita a menzionare “le società e gli enti” ma non le persone fisiche, novità tra l’altro neanche prevista nell’art. 3.1. lett. (a) della legge delega. Occorre chiedersi se il riferimento fatto dall’art. 2.8. alla persona fisica vada inteso solo come “ultimate owner” o evochi anche la figura del socio tiranno o del socio di fatto magari di una supersocietà. La relazione illustrativa non chiarisce il dubbio, ma la genericità del dato testuale non esclude il riferimento al socio tiranno o al socio di fatto. In altre parole, sulla base di questa interpretazione, l’art. 2.8. potrebbe consentire l’accesso al concordato di gruppo anche al cd. “gruppo di fatto”. Sicuramente, il riferimento alla “persona fisica” consente di ampliare notevolmente la nozione di gruppo.
L’art. 288 del Codice prevede che la domanda di accesso al concordato preventivo o ad un accordo di ristrutturazione possa essere unica per tutte le imprese e che si possa predisporre un unico piano o piani distinti ma tra loro collegati; in ogni caso la proposta deve illustrare le ragioni della scelta di presentare un concordato di gruppo che deve essere finalizzato alla migliore soddisfazione dei creditori delle singole imprese. Ugualmente, in caso di piano di risanamento di gruppo può essere predisposto un piano unitario.
L’unicità del ricorso e del piano non deve essere intesa come confusione di masse: l’art. 288 c. 3 del Codice afferma infatti che le masse attive e passive di tutte le società del gruppo restano distinte. Tale affermazione deve essere però letta insieme al c. 1 dell’art. 289 del Codice che ne mitiga la portata in quanto afferma che i piani concordatari di gruppo possono prevedere “operazioni contrattuali e organizzative, ivi inclusi trasferimenti di risorse infragruppo, purchè un professionista indipendente affermi che dette operazioni sono determinanti per la continuità aziendale … e coerenti con l’obiettivo della miglior soddisfazione dei creditori”. Si tratta dell’applicazione in sede concorsuale della teoria dei “vantaggi compensativi” di cui all’art. 2497 c.c.
I creditori concordatari dissenzienti (e solo questi, non quindi i creditori di società del gruppo che fossero in bonis) rispetto ad eventuali trasferimenti di attivi da una società all’altra potranno opporsi all’omologa del concordato di gruppo, ma solo se si tratta di creditori dissenzienti di una classe dissenziente o, in caso di mancata formazione di classi, solo se rappresentano almeno il 20% dei creditori ammessi al voto nella società di cui sono creditori. La norma ricalca correttamente l’attuale disposto dell’art. 180 c. 3 l.f. per il caso di contestazione sulla convenienza del concordato (lo stesso principio è espresso dall’art. 117 c. 4 del Codice).
In tal caso, il tribunale entra nel merito della convenienza della proposta e omologa il concordato se ritiene che la proposta di concordato che prevede trasferimenti di attivi consenta di soddisfare i creditori di ciascuna società in concordato in misura non inferiore a quanto ricaverebbero dalla liquidazione giudiziale della singola società.
Viene inoltre data, ed è un unicum in tutte le procedure concorsuali, legittimazione all’opposizione all’omologa anche ai soci di minoranza delle società del gruppo qualora ritengano che i trasferimenti di attivi li abbiano danneggiati. Il tribunale, in sede di omologa, entra nel merito della proposta e deve applicare la teoria dei vantaggi compensativi prevista dall’art. 2497 c.c. esaminando i benefici che fossero stati riconosciuti alle società apparentemente danneggiate (art. 289 c. 4).
In altre parole, se il concordato di gruppo è un concordato con continuità diretta dell’intero gruppo, e se per la sua omologa sono necessari trasferimenti di fondi da una società all’altra, il tribunale dovrà valutare (i) con riferimento ai creditori se tali trasferimenti non li hanno danneggiati, rispetto alla loro prevedibile soddisfazione in sede di liquidazione giudiziale; (ii) con riferimento ai soci se il sacrificio imposto alle “proprie” società sia compensato dalla prosecuzione dell’attività di tale società.
4. La procedura di concordato si svolge davanti ad un unico giudice delegato ed un unico commissario giudiziale. I costi della procedura sono ripartiti tra le varie società in proporzione agli attivi (art. 29 c. 2 e 3). Pur nel silenzio del Codice, si ritiene che il commissario debba fare una unica relazione seppur con esame specifico delle situazioni di ciascuna società ma con un giudizio di sintesi sull’omologa (o meno) del concordato di gruppo. I creditori votano contestualmente e separatamente per ciascuna società e il concordato è approvato solo se riporta la maggioranza dei voti favorevoli in ciascuna società del gruppo. Sono escluse dal voto le imprese del gruppo.
Come già detto, l’omologa è unica e la risoluzione o annullamento del concordato sono ammessi solo se i relativi presupposti si verificano per tutte le imprese del gruppo, a meno che, qualora i presupposti per risoluzione o annullamento riguardassero qualche singola impresa del gruppo, “non risulti significativamente compromessa l’attuazione del piano anche nei confronti delle altre imprese”.
5. Il Codice prevede la possibilità di accedere ad una procedura unitaria di gruppo anche in caso di liquidazione giudiziale (l’attuale fallimento). Allorchè vi sia un gruppo insolvente può essere presentata una unica domanda di liquidazione giudiziale per tutte le imprese insolventi “in funzione del miglior soddisfacimento dei creditori delle diverse imprese del gruppo, ferma restando la reciproca autonomia delle loro rispettive masse attive e passive” (art. 291 c. 19 del Codice). In tal caso il tribunale designa un unico giudice delegato e un unico curatore, ferma restando la nomina di un comitato dei creditori per ciascuna società
L’individuazione del tribunale competente è analoga a quella già vista per il concordato preventivo. Potrebbe però accadere che il gruppo insolvente, anziché presentare autonomamente un’unica domanda di accesso alla procedura, sia soggetto a istanze dei creditori che magari abbiano ottenuto una o più sentenze di liquidazione giudiziale nei confronti di singole società del gruppo. In questo caso, l’art. 291 c. 4 del Codice afferma che “il tribunale competente è quello dinnanzi al quale è iniziata la prima procedura di liquidazione giudiziale”.
Tale previsione consente, purtroppo, il forum shopping da parte del debitore, per cui dovrebbe essere ripensata proprio allo scopo di evitare tale rischio.
In analogia con il concordato preventivo di gruppo, l’art. 292 del Codice ammette una unica proposta di concordato liquidatorio giudiziale (l’attuale concordato fallimentare) di gruppo basato su un unico piano anche se si tratta di procedure autonome tra loro. La norma fa rinvio alle disposizioni relative al concordato preventivo di gruppo in quanto applicabili. Inoltre, occorrerebbe valutare se introdurre un termine finale alla presentazione della liquidazione giudiziale di gruppo allorchè alcune società siano state poste in procedura su iniziativa di creditori. Inoltre, ci si deve chiedere se l’iniziativa per la liquidazione giudiziale di gruppo possa spettare anche ai creditori o al solo debitore. Sono tutte lacune dell’attuale testo alle quali sarebbe opportuno porre rimedio.
All’interno del gruppo insolvente in liquidazione giudiziale, analogamente a quanto avviene nell’amministrazione straordinaria, si applica la revocatoria fallimentare per gli atti infragruppo tra imprese in liquidazione giudiziale con un raddoppio del periodo sospetto (art. 293 ter c. 3 del Codice) e una sorta di revocatoria ordinaria (anche se la norma non la definisce così) per atti e contratti infragruppo posti in essere nei cinque anni antecedenti il deposito della domanda di liquidazione giudiziale con la presunzione della consapevolezza del consilium fraudis a carico della società del gruppo beneficiaria dell’atto.
Viene attribuita al curatore la legittimazione all’esercizio dell’azione ex art. 2497 c.c. nei confronti di tutte le società del gruppo e all’esercizio dell’azione ex art. 2409 nei confronti degli amministratori e sindaci delle società del gruppo non insolventi (art. 293 quater del Codice). Il Curatore ha anche l’esclusiva legittimazione alle azioni di responsabilità nei confronti di amministratori e sindaci delle società fallite.
Analogamente a quanto previsto nella disciplina sull’amministrazione straordinaria, il curatore ha anche il potere di attrarre nella procedura di liquidazione giudiziale altre imprese del gruppo che fossero insolventi (art. 291 c. 5 del Codice).
La norma è molto generica e non limita il potere di attrazione alla procedura di gruppo nel solo caso di una migliore gestione dell’insolvenza a tutela dell’interesse dei creditori (nell’amministrazione straordinaria si parla anche di migliore prosecuzione dell’attività di impresa). In sede di revisione dell’articolato sarebbe bene porre rimedio a tale lacuna che teoricamente potrebbe provocare fallimenti in estensione nei confronti di soggetti per i quali la disciplina di gruppo è irrilevante.
Infine, l’art. 293 quinquies, ispirandosi al disposto dell’art. 2467 c.c., prevede la postergazione dei finanziamenti infragruppo erogati dopo il deposito della domanda di liquidazione giudiziale o nell’anno precedente, e dispone l’inefficacia dei rimborsi se compiuti nell’anno precedente alla liquidazione giudiziale.
* Redazione tenuta a Parma il 6.4.2018 in occasione della Conferenza Nazionale “Quale futuro per il diritto fallimentare?”
([1]) ROVELLI, La responsabilità della capogruppo, in Fall., 2001, 1099 citato da BOTTAI, I gruppi di imprese nella riforma concorsuale, in Il Fallimentarista, 23.3.2018
([2]) Così G. ROSSI, in AAVV, I Gruppi di società, Milano, 1996, vol. I, 36.
([3]) Si pensi all’accordo di ristrutturazione del gruppo Risanamento Spa, Trib. Milano, 10.11.2009, in Fall., 2010, 195 con nota di Fabiani o al concordato del gruppo Baglietto su cui Cass. 13.10.2015, n. 20559, in Fall., 2016, 142 con nota di Poli; in Giur. Comm., 2016, II, 114 con nota di Fauceglia, Uno, nessuno, centomila: il concordato preventivo di gruppo; Foro Italiano, 2016/I, 1367 con note di Fabiani, Concordato preventivo e gruppo di società: colpito ma non affondato e di Costantino, L'irresistibile fascino del concordato preventivo e in IlFallimentarista con nota di Ravina; v. anche le considerazioni su tale sentenza di Di Majo, Il fenomeno del cd. concordato di gruppo e il diniego espresso dalla Corte di Cassazione, in Giur. It., 2016, 2, 395 ove ulteriori riferimenti alla giurisprudenza di merito, di Panzani, La disciplina della crisi di gruppo tra proposte di riforma e modelli internazionali, in Fall., 2016, 1153 e di Rovelli, Gruppi e insolvenza: alcune riflessioni sul disegno di legge delega per la riforma organica della crisi di impresa e dell’insolvenza, in AA. VV., Le proposte per una riforma organica della legge fallimentare. Un dibattito dedicato a Franco Bonelli, Milano, 2017, 9.
([4]) Oltre a Cass., 13.10.2015, n. 20559, cit, v. Cass., 31.7.2017, n. 19014, in Le Società, 2017, 1386 con nota di Fauceglia, La Cassazione separa il “grano” dal “loglio”: i confini del concordato preventivo di gruppo (Concordato preventivo di gruppo) e in Fall., 2018, 179 con nota di Abete, Concordato preventivo di "gruppo": presupposti ed opzioni alternative.
([5]) Trib. La Spezia, 2.5.2011, in www.ilcaso.it
([6]) App. Genova, 23.12.2011, in Fall., 2012, 437 con nota di Salvato e in www.ilcaso.it).
([7]) App. Bologna, 23.5.2011, in DeJure.
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