Diritto Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 379 - pubb. 01/07/2007

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Tribunale Santa Maria Capua Vetere, 18 Agosto 2006. Pres., est. Impresa.


Concorrenza sleale – Sviamento e accaparramento di clientela – Divulgazione di nominativi di clienti e dei prezzi praticati – Insussistenza.



Non può considerarsi riservato un tabulato che contenga i nominativi dei clienti di una società, l’elenco dei prodotti a questi forniti e dei prezzi praticati. Ne consegue che la divulgazione di tale documento da parte di un ex dipendente non può essere considerato comportamento professionalmente scorretto. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)


 


Il Tribunale di S. Maria Capua Vetere, così composto

Dott. Mauro Impresa - Presidente relatore

Dott. Vito Cervelli - Giudice

Dott.ssa Maria Pasqualina Gaudiano - Giudice

sciogliendo la riserva assunta all’udienza del 16/8/2006,

esaminati gli atti di causa,

considerato che la XX s.r.l. ha proposto reclamo avverso l’ordinanza resa dal Giudice Unico in data 23.6.2006;

rilevato che la reclamante lamenta che il Giudice di prime cure avrebbe fondato il suo convincimento su errati presupposti di fatto e di diritto in particolare non avendo incentrato l’indagine, tesa all’accertamento della denunciata concorrenza sleale da parte della YY s.p.a., sull’utilizzo da parte di quest’ultima di dati riservati (tabulato dei clienti con i prezzi praticati), illecitamente sottrattigli da un proprio ex dipendente,attuale dipendente della resistente, al fine di proporre ai suoi clienti prodotti con un prezzo ribassato del 10/20%;

Osserva

L’odierna reclamante ha azionato l’art. 700 c.p.c. per ottenere l’ordine a carico della resistente di cessare dalle attività di concorrenza sleale posta in essere nei propri confronti. Ad avviso della XX l’attività illecita della YY sarebbe consistita nell’avvalersi delle informazioni in possesso di un suo ex dipendente, Tizio, il quale, prima di dimettersi, si sarebbe appropriato dei tabulati contenenti l’elenco dei suoi clienti con i prodotti acquistati  ed i prezzi praticati. Assunto il Tizio alle proprie dipendenze, la YY, sulla scorta dei dati contenuti nei tabulati sottratti al XX, avrebbe contattato i soggetti indicati negli stessi e gli avrebbe offerto i medesimi prodotti praticando un ribasso dei prezzi in misura variabile dal 10 al 20%.

Sentite le parti e gli informatori indotti dalle stesse, il Giudice Unico ha respinto la domanda cautelare sostenendo che non poteva ritenersi integrata la fattispecie illecita dedotta dalla XX né sotto il profilo dello storno dei suoi dipendenti, né sotto il profilo dell’uso di suoi dati riservati né,infine,sub specie di vendita di prodotti sotto costo.

Ciò posto con il presente reclamo la XX denuncia che con l’azione cautelare promossa intendeva censurare il comportamento della YY, la quale, acquisiti il tabulato dei clienti ed i prezzi praticati, aveva contattato i medesimi clienti offrendogli le stesse proposte contenute chiedendo loro prezzi inferiori dal 10 al 20 %, mentre non aveva inteso fare riferimento alle ipotesi dello storno dei dipendenti e della vendita sottocosto.

Preso atto delle precisazioni fatte dalla reclamante, può, pertanto, procedersi all’indagine in ordine alla fondatezza del gravame con il fine di verificare se nei comportamenti denunciati siano rinvenibili gli estremi della fattispecie della concorrenza sleale sanzionata di cui al n. 3 dell’art. 2598 c.c..

Come prima chiarito, ad avviso della XX la condotta illecita andrebbe individuata nella circostanza che Tizio prima di dimettersi si sarebbe appropriato del tabulato contenente l’elenco dei suoi clienti, dei prodotti acquistati e dei corrispettivi versati per gli stessi, informazioni che la YY, una volta assunto il Tizio, avrebbe utilizzato, in ciò ponendo in essere atti di concorrenza sleale, per contattare questi ultimi offrendogli i medesimi prodotti  a prezzi ribassati dal 10 al 20%.

Ciò premesso è necessario, in punto di fatto, verificare innanzitutto se i dati asseritamene sottratti  fossero, se non segreti, quantomeno riservati, giacché solo ove gli stessi avessero tali caratteristiche si potrebbe affrontare il successivo aspetto della loro illecita sottrazione e divulgazione. Orbene da tal punto di vista la reclamante si è limitata  a sostenere che si trattava di dati riservati ma non si è peritata di fornire alcun elemento di prova a sostegno del proprio assunto. A tale constatazione fa seguito la considerazione che, considerata la loro natura, appare difficilmente ipotizzabile che i dati relativi ai clienti della reclamante, ai prodotti da loro acquistati ed ai corrispettivi pagati si possano qualificare come riservati. In proposito è sufficiente rilevare che si tratta di dati, quantomeno se considerati unitariamente, che non sono nell’esclusiva disponibilità della XX ma anche in quella dei suoi clienti. Ciò detto non si vede, infatti, come possa considerarsi riservato un dato che inevitabilmente deve essere conosciuto anche da un soggetto estraneo all’organizzazione imprenditoriale della reclamante, cioè il cliente, a meno che non possa ravvisarsi in capo a quest’ultimo un obbligo di non divulgarlo o di non renderlo noto a terzi. Pertanto, rilevato che un obbligo di tal fatta non sussiste giacché non esiste una norma, né tantomeno una regola comportamentale ispirata dal principio di correttezza e buona fede nei rapporti commerciali che lo prescrive, consegue che un tabulato che contenga i nominativi dei clienti di una società, l’elenco dei prodotti a questi forniti e dei prezzi praticati non può ritenersi, in assenza di circostanze particolari (nel caso in esame non dedotte), in ragione del suo solo contenuto, riservato. Quanto poi alla considerazione dei medesimi dati, considerati questa volta nella loro configurazione aggregata, nemmeno sussistono i presupposti per considerarli, per ciò solo, riservati, poiché il loro reperimento potrebbe discendere agevolmente da una accurata indagine condotta presso i soggetti potenzialmente fruitori di cartoni per l’imballaggio delle merci.

Tornando, poi, al tabulato ed alla sua paventata sottrazione, va detto che la stessa non può ritenersi provata. Da tale punto di vista deve, preliminarmente, osservarsi che la ricorrente non ha precisato, per supportare le sue deduzioni, che il documento rientrasse nell’esclusiva disponibilità del suo ex dipendente e non fosse, invece, nella disponibilità di altri soggetti. Ciò sottolineato, deve affermarsi che gli elementi acquisiti al procedimento non consentono di ritenere provato che il Tizio si sia impossessato di una copia del documento in questione giacché l’informatrice indotta dalla XX ha dichiarato di “ritenere” che il Tizio si sia appropriato del tabulato “in quanto offre ai miei clienti la stessa tipologia di prodotto”, limitandosi ad esprimere un proprio convincimento e non riferendo una circostanza oggetto di una sua diretta o indiretta conoscenza.

Naturalmente le conclusioni cui si è pervenuti non escludono di per sé che di dati non riservati, e prescindendo dalle modalità della loro acquisizione, possa essere fatto un uso illecito ed in particolare, stando al caso in esame, che gli stessi possano essere utilizzati per porre in essere atti di concorrenza sleale. Da tale punto di vista viene in rilievo la deduzione della reclamante secondo cui la YY, entrata in possesso dei suoi clienti, dei prodotti da questi acquistati e dei corrispettivi per gli stessi versati, si sarebbe proposta quale fornitrice delle stesse merci praticando un ribasso sistematico dei prezzi in misura variabile dal 10 al 20%. Ad avviso della reclamante l’illiceità della condotta della resistente si evincerebbe dalla circostanza che le proposte inviate dalla YY ai clienti riprodurrebbero le proprie fatta eccezione per il logo sociale ed i prezzi.

Ciò posto ritiene il Collegio che tali circostanze non siano idonee ad evidenziare l’attività di concorrenza sleale dovendo, da questo punto di vista, rilevarsi che, coerentemente alla tipologia di prodotto commercializzato dalle società XX e YY, le offerte ai potenziali clienti sono strutturate, sia contenutisticamente che graficamente, in modo semplice cosicché appare naturale che le stesse, sotto gli aspetti citati, contenuto delle offerte e loro veste grafica, si presentino sostanzialmente equivalenti e persino sovrapponibili. In sostanza è opinione del Tribunale che un’offerta, a potenziali acquirenti, avente ad oggetto la fornitura di scatole di cartone è ragionevole e giustificabile che si limiti ad indicare le dimensioni del prodotto  ed il suo prezzo unitario e che pertanto il confronto tra due offerte non faccia emergere tra le stesse significative differenze.

Ciò chiarito rimane da verificare se la condotta illecita possa essere ravvisata nella circostanza che la YY ha proposto i medesimi articoli commercializzati dalla XX a  prezzi più bassi  rispetto a quelli praticati da quest’ultima.

Ora, è necessario osservare, in ordine ai limiti entro i quali le società commerciali possono tentare la propria penetrazione nel mercato dei beni in cui operano attraverso la politica dei prezzi, che l’offerta di beni e servizi per corrispettivi inferiori rispetto a quelli praticati dalle imprese concorrenti, con conseguente sviamento ed accaparramento della clientela, rientra nella lecita competizione di mercato allorché si mantenga nei limiti di una normale competizione, con l’applicazione di ribassi effettivi, conseguenti ad una diminuzione del profitto d’impresa ovvero ad una reale diminuzione dei costi e diviene illecita , integrando attività di concorrenza sleale, giacché non conforme ai principi della correttezza professionale, quando si concreta nella pratica del cosiddetto “dumping interno” mediante il sistematico svolgimento antieconomico dell’attività d’impresa e l’artificioso abbattimento sotto costo dei prezzi, non giustificato dalle obiettive condizioni della produzione. Solo in quest’ultimo caso, infatti, da una parte subdolamente ed illusoriamente si iniqua il giudizio dell’acquirente, e dall’altra si violano le regole  sulle quali gli operatori economici confidano confrontandosi con il mercato nella misura consentita dalla produttività del sistema e dalle generali condizioni obiettive della produzione (in tal senso Cass. Civ.  n. 2743 del 21.4.1983 ). In sostanza il fornire gli stessi prodotti commercializzati da imprese concorrenti a prezzi inferiori rispetto a quelli applicati da queste ultime può integrare un’ attività di concorrenza sleale solo nel caso in cui il ribasso sia praticato in spregio al rispetto dei principi di economicità e redditività dell’attività d’impresa, in quanto in tali casi l’operatore economico, probabilmente abusando della sua posizione di dominio del mercato e per consolidare la stessa, persegue unicamente lo scopo di eliminare i propri concorrenti (Cass. Civ.  n. 1636 del 26.1.2006 ove si afferma che la “vendita sottocosto o a prezzi non immediatamente remunerativi si pone in contrasto con i doveri di correttezza di cui all’art 2598 n. 3 c.c. in quanto sia posta in essere da un’impresa che muove da una posizione di dominio e che, in tal modo, frapponga barriere all’ingresso di altri concorrenti sul mercato o comunque indebitamente abusi di quella sua posizione non avendo alcun interesse a praticare simili prezzi se non quello di eliminare i propri concorrenti per poi rialzare i prezzi approfittando della situazione di monopolio venutasi a creare”). Ove, al contrario, l’impresa decida di affrontare il mercato con una politica, dei prezzi proposti alla clientela, aggressiva, ma tale da non pregiudicare l’economicità e la redditività dell’attività imprenditoriale(ad esempio riducendo il margine di profitto o abbattendo i costi con una razionalizzazione della produzione), la sua azione non potrà considerarsi di concorrenza sleale nei confronti delle altre imprese operanti nel medesimo settore e costituirà legittimo esercizio della libertà d’iniziativa economica.

Da tale punto di vista è facile infatti rilevare che il regime dei prezzi praticati alla clientela costituisce uno dei terreni privilegiati in cui esplica la libera concorrenza tra le aziende.

Ciò evidenziato, nel caso in esame, la reclamante non ha minimamente dedotto (né tanto meno provato) che la YY abbia adottato una politica dei prezzi non rispettosa degli effettivi costi di produzione e della sufficiente remunerazione dell’attività d’impresa cosicché, tenuto conto che tale onere probatorio ricadeva su di lei costituendo tali circostanze elementi costituitivi dell’illecito denunziato, il comportamento della resistente deve essere considerato legittimo esercizio di una politica commerciale tesa ad incrementare ed affermare la propria presenza nel mercato dei produttori di scatole di cartone.

Le osservazioni che precedono inducono il Collegio a ritenere l’insussistenza del fumus boni iuris del diritto azionato in via cautelare dalla XX.

Il reclamo va quindi respinto e le statuizioni dell’ordinanza impugnata vanno integralmente confermate.

Le spese della presente fase, in applicazione del principio della soccombenza, vanno poste a carico della XX nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale rigetta  il reclamo proposto dalla XX s.r.l. avverso l’ordinanza resa dal Giudice Unico il 23.6.2006, conferma in toto le statuizioni nella stessa contenute, condanna la reclamante alla rifusione delle spese della presente fase della procedura che liquida in euro 1.200 di cui euro 700,00 per  diritti ed euro 500,00 per onorari oltre iva e cpa da distrarsi in favore dell’Avv.

Santa Maria Capua Vetere,18 agosto 2006