Diritto Civile


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19400 - pubb. 28/03/2018

Avvocato: richiesta di compenso maggiore di quello precedentemente richiesto ai minimi

Cassazione civile, sez. II, 02 Febbraio 2018, n. 2575. Est. Federico.


Tariffe professionali - Richiesta di compenso maggiore di quello precedentemente richiesto nel rispetto dei limiti tariffari - Accettazione della prima richiesta o preventivo accordo sul compenso - Mancanza - Conseguenze - Vincolatività della prima richiesta - Esclusione - Giustificabilità della seconda richiesta - Valutazione del giudice – Necessità



Qualora l'avvocato, dopo avere presentato al proprio cliente una parcella per il pagamento dei compensi ad esso spettanti, redatta in conformità ai minimi tabellari, successivamente richieda, per le stesse attività, un pagamento maggiore sulla base di una nuova parcella, il giudice di merito, richiesto della liquidazione, ben può valutare, salva l'ipotesi in cui la prima parcella abbia carattere vincolante in quanto conforme ad un pregresso accordo o espressamente accettata dal cliente, se esistono elementi - discrezionalmente apprezzabili - che facciano ritenere giustificata e legittima la maggiore richiesta, fermo restando il necessario apprezzamento di congruità degli onorari richiesti sulla base ed in funzione dei parametri previsti dalla tariffa professionale, il quale, se adeguatamente motivato, non è sindacabile in sede di legittimità. (massima ufficiale)


Il testo integrale


Cass. civ. Sez. II, Sent., 02-02-2018, n. 2575

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo - Presidente -

Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere -

Dott. CORRENTI Vincenzo - Consigliere -

Dott. FEDERICO Guido - rel. Consigliere -

Dott. CARRATO Aldo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

omissis

Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 15 gennaio 1999 lo Studio professionale associato F.D.N.- P.P. Dottori Commercialisti conveniva innanzi al Tribunale di Massa la G. Industrial spa, per sentirla condannare al pagamento del compenso dovuto per lo svolgimento di incarico professionale, avente ad oggetto la consulenza ed assistenza nel compimento di un'operazione societaria, avente ad oggetto il subentro di detta società nella quota di partecipazione al capitale sociale della E. di Parma, pari al 65%, utilizzando strumenti alternativi alla cessione delle quote.

La G., costituitasi, resisteva deducendo che l'incarico era stato affidato a professionisti appartenenti ad un diverso studio professionale (studio C.), che le prestazioni professionali del dott. D.N. avrebbero avuto come controparte contrattuale e destinataria la società E. e che, in ogni caso, il compenso pattuito doveva ritenersi eccessivo.

Successivamente interveniva volontariamente in giudizio il dott. D.N., chiedendo l'accoglimento delle domande proposte dalla studio associato ed, in ogni caso, la condanna della convenuta a corrispondergli in proprio le somme liquidate.

Il tribunale, espletate consulenze tecniche d'ufficio, dichiarava inammissibile la domanda dello studio associato D.N.- P. e respingeva la domanda dell'interveniente D.N. nei confronti di G. Industrial s.a. per intervenuta prescrizione della relativa azione. Avverso la sentenza di primo grado proponevano appello sia lo studio associato che il D.N. in proprio.

La Corte d'appello, in riforma della sentenza di primo grado, condannava l'appellata G. al pagamento di 233.570,00 Euro oltre ad interessi e dichiarava assorbite le domande proposte dal dott. D.N., in proprio e quale associato.

La Corte territoriale, in particolare, ritenuto che l'atto di appello dello studio associato era stato validamente notificato, affermava la legittimazione dell'associazione professionale ai sensi dell'art. 81 c.p.c., in ragione del fatto che la stessa aveva formulato la domanda di condanna nei confronti della G. in proprio per l'attività professionale fornita tramite uno dei suoi associati.

Il giudice di appello affermava, inoltre, la tardività della contestazione della G. in ordine alla titolarità del rapporto, in quanto sollevata per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni.

Avuto riguardo all'ammontare del credito, la Corte, condividendo le conclusioni del Ctu, riconosceva i massimi di tariffa, in considerazione della natura, degli elementi caratterizzanti e del valore della prestazione professionale, nonchè del risultato economico e dei vantaggi conseguiti dal cliente. Applicava inoltre la maggiorazione di cui all'art. 6, comma 1 della Tariffa professionale in misura del 50%, ed una riduzione del 20% ex art. 15 della Tariffa, per essere stata l'attività professionale svolta in concorso con altri professionisti.

L'appello del dott. D.N., in proprio, veniva dichiarato assorbito per effetto dell'accoglimento, nei limiti su indicati, dell'appello dell'associazione professionale.

Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso la G. Corporacion Financiera s.l. (già G. Industrial s.a.), con sei motivi.

Lo studio Associato D.N. e P. ed il dott. F.D.N. in proprio hanno resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Il primo motivo denuncia la violazione del R.D. n. 37 del 1934, art. 82 e dell'art. 330 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4, deducendo l'inesistenza o nullità dell'impugnazione, con conseguente inammissibilità dell'appello, per intervenuto passaggio in giudicato della sentenza impugnata.

La ricorrente deduce al riguardo che l'atto di appello proposto dallo studio associato D.N. e P., nonchè dal dott. D.N. in proprio, era stato notificato sia presso lo studio dell'avv. Girolamo F., che si era peraltro nel frattempo cancellato dall'albo, sia presso lo studio dell'avv. Giuseppe C. in Parma, cioè in un luogo extra-districtum.

Da ciò, ad avviso del ricorrente, l'inesistenza della notifica.

La successiva costituzione in giudizio della odierna ricorrente, dunque, era del tutto inidonea a sanare detta inesistenza, posto che la sentenza era nel frattempo passata in giudicato.

E ciò anche nell'ipotesi in cui si ritenesse configurabile non già l'inesistenza ma la nullità della notifica, attesa l'efficacia ex nunc della sanatoria per tardiva costituzione in giudizio dell'appellata, inidonea a far venir meno il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.

Il motivo è infondato.

Va anzitutto esclusa l'inesistenza della notificazione.

L'inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è infatti configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell'atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un'attività priva degli elementi costitutivi essenziali, idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell'attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall'ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, "ex lege", eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l'atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa.

Il luogo in cui la notificazione del ricorso per cassazione viene eseguita, in particolare, non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell'atto, sicchè i vizi relativi alla sua individuazione, anche quando esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell'ambito della nullità dell'atto, come tale sanabile, con efficacia "ex tunc", o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ex art. 291 c.p.c. (Cass. Ss.Uu. 14916/2016).

Nel caso di specie, dunque, la costituzione in giudizio dell'appellata ha sanato con efficacia ex tunc la nullità della notificazione.

Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 81 c.p.c., dell'art. 2229 c.c. e alla L. n. 1815 del 1939, artt. 1 e 2 per avere la Corte ritenuto la legittimazione attiva dello studio associato D.N.- P., a fronte di un'attività professionale svolta dal dott. D.N. in proprio. Da qui la mancanza di un diritto di credito dello studio professionale e la conseguente carenza di legittimazione attiva, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio. Secondo la prospettazione della ricorrente lo studio professionale associato non può sostituirsi ai singoli professionisti nei rapporti con la clientela, ove si tratti di prestazioni per le quali la legge richiede particolari titoli di abilitazione di cui soltanto il singolo può essere in possesso, ed inoltre esso può stare in giudizio in persona dei componenti o di chi abbia la rappresentanza legale, ma solo a condizione che la prestazione di cui si chiede la liquidazione non abbia natura personale.

Il motivo è destituito di fondamento.

Conviene premettere che, come questa Corte ha già affermato, l'art. 36 c.c. stabilisce che l'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, che ben possono attribuire all'associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti, poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati. Ne consegue che, ove il giudice del merito accerti tale circostanza, sussiste la legittimazione attiva dello studio professionale associato - cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomo centro d'imputazione di rapporti giuridici - rispetto ai crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente conferente l'incarico, in quanto il fenomeno associativo tra professionisti può non essere univocamente finalizzato alla divisione delle spese ed alla gestione congiunta dei proventi(Cass. 15694/2011; 15417/2016).

Rilevato dunque che l'associazione professionale costituisce autonomo centro di imputazione giuridica, e che l'odierna ricorrente ha contestato tardivamente l'esistenza di un accordo interno che attribuisse all'associazione la titolarità del diritto di credito a fronte di prestazione professionale posta in essere da uno degli associati, non può configurarsi la carenza di legittimazione attiva della associazione stessa, la quale ha chiesto, in proprio, il pagamento del compenso derivante dall'attività professionale dal D.N., quale credito dell'associazione.

Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè l'omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5), in relazione alla prova di incarichi professionali dai quali possa discendere un diritto di credito dello studio professionale nei confronti della ricorrente.

Il motivo è infondato.

La Corte territoriale ha infatti accertato, con valutazione di merito, logica ed adeguatamente motivata e dunque non sindacabile nel presente giudizio e fondata sull'esame delle complessive acquisizioni istruttorie, l'esistenza dell'obbligazione della ricorrente di pagare il compenso in favore dello studio professionale per l'opera prestata.

Il giudice di appello ha infatti fondato il proprio convincimento non solo sul conseguimento del risultato in capo alla ricorrente, ma pure sulla valutazione dell'ampia corrispondenza intercorsa tra le parti, nonchè sugli accertamenti del Ctu, desumendo la prova del rapporto tra le parti dalla complessiva valutazione degli elementi acquisiti in atti.

Il quarto motivo denuncia la violazione dell'art. 2399 c.c., nonchè degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè l'omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5), avuto riguardo all'omessa valutazione della valenza impeditiva della carica di sindaco o consulente di Emilsider spa, controllata dalla ricorrente, rispetto alle pretese economiche fatte valere nel presente giudizio contro G..

La ricorrente rileva al riguardo che nel periodo in cui furono svolte le prestazioni professionali per cui è causa il D.N. ricopriva la carica di sindaco della società Emilsider, controllata dalla G. al 99%.

Il motivo è inammissibile per difetto di rilevanza.

L'art. 2399 c.c. nella formulazione anteriore alla riforma delle società di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003, applicabile ratione temporis al caso di specie, disponeva infatti l'ineleggibilità, o se eletti, l'automatica decadenza dalla carica di sindaco di coloro che erano legati alla società o alle società da questa controllate da un rapporto continuativo di prestazione d'opera retribuita.

Tale disposizione prevedeva dunque quale conseguenza dell'incompatibilità tra la qualifica di sindaco e l'attività di consulenza la sanzione dell'ineleggibilità all'ufficio di sindaco o la decadenza, ma non l'inefficacia del contratto di consulenza, nè il venir meno del diritto ad ottenere il compenso per detta attività.

Il quinto motivo denuncia la violazione dell'artt. 2233 c.c., dell'art. 115 c.p.c., nonchè l'omessa valutazione di una prova documentale e l'omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, in relazione alla lettera, datata 12 luglio 1997, a firma del dott. D.N., contenente la determinazione del proprio compenso per l'attività professionale svolta, in misura di Lire 110.000.000.

Pure tale motivo va respinto, in quanto il documento in esame, prodotto peraltro oltre il termine di cui all'art. 184 c.p.c. e direttamente preso in esame dalla ctu, è carente di decisività.

Ed invero, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, la parcella per il pagamento dei compensi non ha carattere vincolante salvo che la stessa sia conforme ad un pregresso accordo o espressamente accettata dal cliente (Cass. 6454/2008).

Di conseguenza qualora il professionista, dopo aver presentato al proprio cliente una parcella per il pagamento dei compensi spettanti, redatta in conformità ai minimi tabellari, richieda, successivamente, per le stesse attività un pagamento maggiore sulla base di una nuova parcella, il giudice del merito, richiesto della liquidazione, salva l'ipotesi in cui la prima parcella abbia carattere vincolante in quanto conforme ad un pregresso accordo o espressamente accettata dal cliente, ben può valutare se esistono elementi - discrezionalmente apprezzabili - che facciano ritenere giustificata e legittima la maggiore richiesta, fermo restando il necessario apprezzamento di congruità degli onorari richiesti sulla base ed in funzione dei parametri previsti dalla tariffa professionale, il quale, se adeguatamente motivato, non è sindacabile in sede di legittimità. (Cass. 621/1997). Nella formulazione della prima richiesta - invero possono aver assunto un ruolo determinante o concorrente, assieme alla valutazione dell'adeguatezza del compenso all'opera volta (in relazione ed in funzione dei parametri contemplati dalla tariffa professionale) altre circostanze e considerazioni, oggettive o soggettive (ad es.: il rapporto amichevole col cliente; la situazione di difficoltà economica, nota al professionista, in cui quest'ultimo versi; l'attesa o l'aspettativa di un immediato o sollecito soddisfacimento della richiesta; ecc.), che abbiano determinato il professionista a contenere particolarmente la richiesta stessa e che più non sussistano all'atto di quella successiva, più elevata, sottoposta al vaglio dell'autorità giudiziaria.

La determinazione ovvero la valutazione della congruità del compenso del professionista, sulla base ed in funzione dei parametri previsti dalla tariffa professionale, costituisce infatti esercizio del potere discrezionale del giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato.

Al fine di confutare efficacemente la determinazione giudiziale del compenso non è dunque sufficiente far riferimento ad una precedente notula, a meno che la stessa, come sopra evidenziato, non abbia assunto, per essere stata pattuita con accordo negoziale o accettata dal cliente, carattere vincolante.

Il sesto, articolato, motivo denuncia la violazione del D.L. n. 1 del 2012, art. 9, comma 1, conv. nella L. 24 marzo 2012, n. 27) e D.M. n. 140 del 2012, art. 41, lamentando che la Corte d'Appello abbia erroneamente applicato le tariffe di cui al D.P.R. n. 645 del 1994, in luogo di quelle introdotte con il D.M. n. 169 del 2010, nonchè violazione degli artt. 113 e 114 c.p.c. e carenza motivazionale per avere la Corte territoriale ritenuto eccessiva, in modo illogico, incomprensibile ed arbitrario, la riduzione del compenso applicata dalla Ctu.

Le diverse censure sono infondate.

Pacifico che la prestazione professionale era stata interamente compiuta prima dell'entrata in vigore dei nuovi parametri, introdotti dalla L. n. 1 del 2012, da ciò consegue l'applicabilità della tariffa previgente.

Agli effetti del D.M. n. 140 del 2012, art. 41, infatti, i nuovi parametri, in base ai quali vanno commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, si applicano in tutti i casi in cui la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto purchè, a tale data, la prestazione professionale non sia ancora completata, sicchè non operano con riguardo ai casi, quale quello in esame, in cui la prestazione professionale debba ritenersi completata sotto il regime precedente (Cass. 2748/2016). Del pari infondata l'ulteriore censura avente ad oggetto l'entità della riduzione del compenso da parte del giudice di merito, per.

Va al riguardo evidenziata la inammissibilità della doglianza di omessa o illogica motivazione, non più censurabile sulla base della nuova formulazione dell'art. 360 c.p.c., n. 5), introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. nella L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis al caso di specie.

Del pari inammissibile, per carenza di decisività, la dedotta violazione degli artt. 113 e 114 c.p.c., atteso che essa non coglie la ratio della pronuncia impugnata.

La Corte territoriale, infatti, non ha proceduto ad una giudizio di equità, ma ha piuttosto proceduto a determinare la percentuale di riduzione della tariffa nella misura ritenuta congrua, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, facendo applicazione del potere discrezionale rimesso al giudice di merito e non sindacabile nel presente giudizio.

Il ricorso va dunque respinto e la ricorrente va condannata alla refusione delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto rispettivamente per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente alla refusione delle spese in favore dello Studio Associato A.D.N.- P.P. Dottori Commercialisti, che liquida in complessivi 8.200,00 Euro, di cui 200,00 per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfettario, in misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2018.


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