Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 811 - pubb. 01/07/2007

Socio di società di capitali – Rapporto di lavoro subordinato – Compatibilità

Tribunale Mantova, 20 Gennaio 2000. Est. Bernardi.


Socio di società di capitali – Rapporto di lavoro subordinato – Compatibilità.



 


 


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Svolgimento del processo

Con ricorso notificato in data 26-8-1996 Mario Rossi proponeva tempestiva opposizione ex art. 98 l.f. avverso il provvedimento con il quale gli organi del fallimento Alfa s.r.l. avevano escluso il suo credito dal passivo: l’opponente sosteneva che le ragioni addotte a fondamento del provvedimento di non ammissione (inidoneità della documentazione allegata e mancanza del vincolo di subordinazione) dovevano ritenersi ingiustificate alla luce della reale natura dei rapporti intercorsi con la società poi fallita.

In particolare il Rossi faceva rilevare di essere stato assunto come lavoratore subordinato sin dal 22-2-1984 ed inquadrato al 6° livello del c.c.n.l. vigente per il settore industria metalmeccanica e di avere sempre percepito una retribuzione mensile sostenendo che esistevano tutti i requisiti del rapporto di lavoro subordinato vale a dire orario di lavoro, rischio, nomen iuris, inserimento nell’organizzazione dell’impresa, soggezione al potere gerarchico.

Infine il medesimo adduceva che la fondatezza della propria tesi trovava ulteriore conforto nella circostanza che il Curatore gli aveva inviato lettera di licenziamento ovviamente non necessaria se egli non fosse stato un lavoratore ed insisteva quindi per l’ammissione del proprio credito per t.f.r. (£ 22.770.792), retribuzioni arretrate da dicembre 1995 a marzo 1996 ed indennità sostitutiva del preavviso per licenziamento senza giustificato motivo oggettivo (£ 18.124.582 corrispondenti a quattro mensilità secondo le previsioni contrattuali) quantificando le proprie pretese in complessive £ 47.387.197 oltre ad interessi e rivalutazione. 

Si costituiva la curatela contestando la fondatezza della domanda e ribadendo la correttezza della decisione adottata in sede di formazione dello stato passivo non potendosi riconoscere all’attività svolta dal Rossi nell’ambito della società natura di lavoro subordinato e ciò in virtù del fatto che egli era socio per una parte rilevante del capitale, che l’altro socio era la moglie e che, infine, dalla documentazione rinvenuta risultava anzi come egli fosse l’amministratore di fatto della Alfa..

Effettuate produzioni documentali ed assunte prove testimoniali la causa veniva rimessa al Collegio per la decisione sulle conclusioni delle parti in epigrafe trascritte.

Motivi della decisione

In ordine alla fattispecie in esame va rilevato che la qualità di socio di società di capitali non è di per sé di ostacolo alla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la società, quando sia ravvisabile in concreto, almeno in via potenziale, un rapporto di subordinazione fra tale socio e l’organo societario preposto all’amministrazione (in tal senso vedasi Cass. 19-5-1987 n. 4586; Cass. 28-10-1983 n. 6413; Cass. 8-6-1977 n. 2360).

A tal fine assume decisiva rilevanza l’accertamento circa la sussistenza di una dipendenza gerarchica dall’organo amministrativo atteso che se la funzione tipica del dirigente (figura in cui, secondo la difesa dell’opponente, sarebbe da inquadrare il Rossi) è quella di collaborazione diretta con l’imprenditore atta ad imprimere discrezionali facoltà di determinazione per l’intero organismo imprenditoriale, essa è nondimeno legata e delimitata dalle direttive generali del collegio amministrativo soprattutto in relazione alla misura e alle modalità delle scelte operative attinenti al rischio economico e all’indirizzo della produzione (così Cass. 21-1-1993 n. 706).

Orbene dagli atti prodotti e dalla documentazione dimessa non risulta provata la posizione di soggezione gerarchica del Rossi.

In primo luogo viene in considerazione la circostanza che egli deteneva il 37.50% delle quote sociali mentre le rimanenti erano intestate per il 37,50% alla moglie convivente Verdi Teresa (la quale rivestiva la carica di amministratore della Alfa) e per l’ulteriore 25%  alla sorella della moglie, Verdi Giordana.

Dall’istruttoria esperita è emerso che il Rossi è ingegnere civile con particolare esperienza acquisita in materia di funzionalità delle attrezzature di equipaggiamento di mietitrebbia (si tratta del tipo di macchinari prodotti e venduti dalla fallita) e che per un certo periodo egli stesso aveva dato indicazioni per la progettazione ad uno studio esterno e al tecnico interno  (v. dichiarazioni a verbale 12-6-1998).

Dalla copiosa documentazione prodotta dalla curatela risulta poi che il Rossi negoziava, a nome della società, titoli bancari su almeno due istituti bancari (Banca di Credito Cooperativo di Casalmoro e Bozzolo e Banca Popolare di Verona) come emerge dalla firma di girata sui cinque assegni di cui ai documenti 7 , 30 e 19  di importo pari complessivamente a £ 35.000.000, che egli rilasciava quietanze di pagamento (v. docc. 1,2,3,4,5,6 ed altri), riceveva gli ordini di acquisto contrattando le condizioni di pagamento e lo sconto, consentiva la  permuta di parte dei macchinari (v. doc. 3,6,9,11,12,17), determinava di volta in volta esistenza e durata della garanzia della macchina venduta (v. copie commissione),  riconosceva il risarcimento dei danni provocati da inadempienze della Alfa (v. docc. 17- proposta di commissione- e 29), transigeva vertenze per rilevanti importi (v. scrittura datata 12-8-1995 prodotta sub 31 nonché la convenzione datata 2-10-1993), determinava i lavori che dovevano essere fatti in garanzia in caso di sostituzione di pezzi per conto della società occupandosi in generale della parte commerciale, soprattutto quando la situazione finanziaria era divenuta più pesante, e dell’assistenza (v. dichiarazioni rese dal medesimo all’udienza del 12-6-1998).

La moglie inoltre ha  dichiarato che il marito predisponeva il budget di vendite sulla base dell’analisi di mercato dal medesimo effettuata e che la sera con lui discuteva su tutti gli aspetti inerenti la vendita dei beni informandolo delle eventuali difficoltà nell’attività di produzione e di consegna, che il coniuge si tratteneva oltre l’orario di lavoro e predisponeva quanto necessario per la partecipazione alle fiere (a cui egli personalmente partecipava).

Appare inoltre significativo che nei confronti dei terzi il Rossi apparisse come l’amministratore della società (v. docc. 5, 31-denuncia datata 7/12/1994-, convenzione 2/10/1993).

Infine degna di rilievo è la circostanza secondo cui il Rossi,  pur non percependo più negli ultimi mesi alcun compenso, abbia nondimeno continuato a lavorare per la società affrontando anche spese per le trasferte. 

Siffatte emergenze, soprattutto se  unitariamente considerate, dimostrano come il Rossi operasse sia all’interno che all’esterno della società senza essere soggetto ad alcuna direttiva della propria moglie (che peraltro non è stata in grado di riferire a quali indicazioni dalla stessa impartite il marito dovesse attenersi) né per quanto concerne l’attività di produzione né per quella di vendita: in conclusione nell’ambito della società a stretto ambito familiare e di cui il Rossi con la moglie aveva il pieno controllo proprietario, i compiti fra i coniugi erano divisi nel senso che la moglie si occupava dell'amministrazione mentre il marito degli indirizzi produttivi e commerciali  e pertanto risulta provato che l’opponente non era assoggettato ad un potere di supremazia gerarchica dell’organo amministrativo - che si estrinseca non nel semplice controllo ma in sistematiche direttive da parte dell’imprenditore (in tal senso vedasi Cass. 7-4-1987 n. 3402; Cass. 15-2-1985 n. 1316) - e che anzi egli cogestiva l’impresa.

In tale contesto è quindi irrilevante la veste formale attribuita dalle parti al rapporto effettuata per poter beneficiare dei vantaggi soprattutto previdenziali derivanti da tale configurazione e la circostanza che il Curatore abbia licenziato il Rossi, oltre ad essere  di per sé inidonea ad incidere sulla reale natura dei rapporti esistenti prima del fallimento, trova agevole spiegazione nel  fatto che il dott. Bianchi, nell’immediatezza della assunzione delle funzioni, aveva proceduto ai primi necessari adempimenti sulla base della situazione quale, formalmente e all’apparenza, gli si era presentata.

L’opposizione deve quindi essere respinta e le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

pqm

Il Tribunale di Mantova, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione reietta, così provvede:

respinge l’opposizione ex art. 98 l.f. promossa da Mario Rossi;

condanna l’opponente a rifondere al Fallimento Alfa s.r.l. in persona del Curatore le spese di lite liquidate in complessive £ 4.742.000 di cui £ 320.000 per spese, £ 1.715.000 per diritti, £ 2.305.000 per onorari, £ 402.000 per spese generali oltre ad IVA e CPA come per legge.