Diritto Fallimentare


Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 729 - pubb. 01/01/2007

Accertamento tecnico preventivo e fallimento - Rescissione di appalto ex. art. 340 L. 20 marzo 1865 N. 2248

Tribunale Mantova, 07 Marzo 2003. .


Accertamento tecnico preventivo in costanza di fallimento - Ammissibilità - Rescissione di appalto ex art. 340 L. 20 marzo 1865 n. 2248 - Insindacabilità da parte del giudice dell'opposizione allo stato passivo del provvedimento di rescissione - Potere di valutazione della gravità dell'inadempimento - Sussistenza - Risarcimento del danno subito dal committente per mancato completamento dei lavori e per vizi degli stessi - Sussistenza - Compensazione di crediti non omogenei ex art. 56 L.F. - Ammissibilità.



 


 


Svolgimento del processo
Con ricorso notificato in data 3-5-2000 l’Azienda Lombarda Edilizia Residenziale-A.L.E.R. di Mantova proponeva tempestiva opposizione ex art. 98 l.f. avverso il provvedimento con il quale gli organi del fallimento Strina s.r.l. avevano rigettato la sua domanda di ammissione al passivo, decisione adottata alla stregua della considerazione secondo cui non sarebbe stata provata l’entità del credito nonché per l’esistenza di polizza fideiussoria. L’opponente spiegava che la società fallita si era resa inadempiente al contratto di appalto stipulato il 16-9-1997 avente ad oggetto la costruzione di ventiquattro appartamenti tanto che, con provvedimento del presidente in data 18-8-1999 ratificato con delibera del 13-9-1999, l’ente aveva rescisso il contratto ex art. 340 l. 20-3-1865 n. 2248 all. F).L’A.L.E.R. sosteneva che, quanto all’an, il credito risarcitorio era in re ipsa mentre, in ordine al quantum, sosteneva che la pretesa trovava adeguato supporto nelle risultanze dell’accertamento tecnico preventivo, procedimento questo che era stato attivato poco dopo la dichiarazione di fallimento della Strina s.r.l. pronunciata in data 11-9-1999: ritenendo illegittimo il provvedimento di esclusione insisteva per l’ammissione al passivo del credito calcolato dal consulente tecnico oltre a quello ulteriore che si riservava di specificare in corso di giudizio all’esito del procedimento di collaudo. La curatela si costituiva chiedendo il rigetto della domanda assumendo che il credito azionato non era provato né nella sua sussistenza né nella sua entità e che, a tal fine, non poteva tenersi conto delle risultanze dell’accertamento tecnico posto che il consulente non avrebbe potuto quantificare i danni: il fallimento eccepiva inoltre la compensazione della pretesa avversaria con il proprio credito relativo alle opere eseguite e non pagate chiedendo in subordine la condanna dell’ALER a corrispondere l’eventuale differenza. Acquisiti gli atti del procedimento di accertamento tecnico preventivo ed espletata la prova orale la causa veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni delle parti in epigrafe riportate.

Motivi
In primo luogo va rigettata l’istanza di rimessione della causa in istruttoria per l’assunzione della prova orale richiesta dalla difesa dell’opponente per le medesime ragioni già poste a base dell’ordinanza emessa dal G.I. il 23-10-2001. Va poi rilevato che non può essere condivisa la tesi, sostenuta dalla difesa del fallimento, circa l’inutilizzabilità della relazione depositata dall’ing. Lanfranchi nell’ambito del procedimento di accertamento tecnico preventivo, affermata in considerazione del fatto che esso era stato promosso dopo la dichiarazione di fallimento della società Strina s.r.l.. Al riguardo occorre osservare che l’art. 52 l.f. prevede la regola dell’esclusività del procedimento fallimentare solo ai fini dell’accertamento dei crediti ma siffatta disposizione, per il suo marcato carattere di specialità, non può essere interpretata sino a comprendere un procedimento quale quello di a.t.p. avente diversa finalità e cioè di precostituzione per ragioni di urgenza di una prova.Inoltre va osservato che, nel momento in cui il procedimento previsto dall’art. 696 c.p.c. è stato promosso, non era in corso neppure la verifica dei crediti sicché, non potendosi ritenere che l’interessato durante tale fase venga privato della tutela giurisdizionale garantita da tale norma, non resta che concludere nel senso della utilizzabilità della prova raccolta nell’ambito del procedimento in questione. Da ultimo l’eccezione, sollevata solo nella memoria ex art. 190 c.p.c., deve ritenersi comunque tardiva in quanto il preteso vizio avrebbe dovuto essere fatto valere nei termini di cui all’art. 184 c.p.c.. Nel merito va evidenziato che se il giudice non può pronunciare l’annullamento dell’atto di rescissione dell’appalto (emanato a seguito di procedimento attivato ex art. 340 l. 20-3-1865 n. 2248 all. F prima della dichiarazione di fallimento della Strina s.r.l., come si evince dalla documentazione posta a corredo della domanda di insinuazione, da cui consegue l’ammissibilità della domanda di risarcimento danni: cfr. Cass. S.U. 5-11-1973 n. 2856; Cass. 6-2-1970 n. 251), nondimeno non sussiste alcuna preclusione circa il potere di verificare l’esistenza della gravità dell’inadempimento, non avendo l’atto di rescissione natura provvedimentale (cfr. Cass. 4-2-2000 n. 1217; Cass. 30-7-1996 n. 6908; Cass. S.U. 3-11-1986 n. 6419; Cass. S.U. 5-9-1986 n. 5432). In proposito si deve osservare che il termine per l’esecuzione dei lavori scadeva il 24-4-1999 e che la società poi fallita chiese il 4-8-1999 di abbandonare il cantiere mentre la rescissione venne pronunciata il successivo 18 agosto: orbene la durata dell’inadempimento, la circostanza che le opere non completate ammontassero al 18% dell’appalto (come accertato dal c.t.u.) ed il riscontro di vizi nella loro esecuzione, costituiscono elementi che, unitariamente valutati, fanno ritenere escluso che l’inadempimento della impresa appaltatrice fosse di scarsa importanza. Per quanto concerne poi l’entità del risarcimento, rilevato che la norma di cui all’art. 696 c.p.c. va interpretata nel senso che l’accertamento deve includere ogni acquisizione preordinata alla successiva valutazione che, nel giudizio di merito, si dovrà esprimere per determinare la causa del danno e l’entità di esso (cfr. Corte Cost. 20-2-1997 n. 46) e che pertanto le risultanze della relazione tecnica (peraltro largamente fondate su riscontri documentali) possono essere utilizzate, sia pure criticamente, nella presente fase, va riconosciuta, a titolo di penale la somma di euro 22.507,91 , corrispondente ai 116 giorni di ritardo relativi al periodo 29-4-1999/18-8-1999. Non può invece essere attribuita, al medesimo titolo, alcuna somma ulteriore, come preteso dalla difesa dell’opponente, atteso che, una volta intervenuta la rescissione dell’appalto, la società Strina non avrebbe più potuto adempiere sicché non era più configurabile a suo carico un ritardo nell’esecuzione delle prestazioni contrattuali. Quanto al maggior danno fatto salvo dall’art. 2.8 del capitolato speciale, va chiarito che lo stesso può trovare riconoscimento limitatamente al periodo intercorrente fra il 18-8-1999 e la data di dichiarazione del fallimento ma non oltre in quanto gli artt. 55 co. II e 59 l.f. pongono un principio generale alla stregua del quale i crediti non pecuniari concorrono secondo il loro valore alla data di dichiarazione del fallimento (cfr. Cass. 28-1-1997 n. 835; Cass. 6-9-1995 n. 9359; Cass. 29-7-1992 n. 9066). Può quindi essere riconosciuta, in via equitativa, la somma di euro 3.536,57 corrispondente ad una mensilità del valore dei canoni che si sarebbero potuti ricavare dalla locazione di tutti gli appartamenti atteso che la loro consegna, prevista per il luglio del 1999, fu posticipata a seguito del riappalto delle opere che vennero ultimate nel febbraio del 2000. In ordine ai difetti delle opere appaltate va osservato che la loro sussistenza non è stata contestata dalla Curatela e se è pur vero che è stato invece eccepito che il consulente non avrebbe potuto provvedere a quantificare il costo per la loro sistemazione, nondimeno, tenendo conto della loro natura e dei prezzi correnti di mercato, si ritiene di poter confermare la valutazione espressa dall’ing. Lanfranchi pari ad euro 2.308,56.In ordine ai maggiori oneri sostenuti dall’ALER valgono le medesime considerazioni sopra espresse per i vizi, reputandosi peraltro di contenere la misura del risarcimento ad euro 852,15 riducendosi in particolare ad un solo mese e mezzo quanto dovuto per la custodia del cantiere. Quanto poi alle opere non eseguite dalla Strina e completate dalle altre ditte, il danno va riconosciuto unicamente nella differenza fra l’importo contrattuale originariamente previsto ed il maggior costo derivato dal riappalto: posto che la differenza fra l’importo originario dell’appalto (£ 1.707.735.000) ed il valore delle opere eseguite dalla società Strina (pari a £ 1.477.190.775), come si desume dalla relazione sul conto finale, corrisponde a £ 230.544.225 e che le opere da ultimare sono state successivamente aggiudicate per la somma complessiva di £ 259.301.000 (sostanzialmente coincidente con la stima operata dal consulente), il maggior costo sopportato dall’ente appaltante risulta essere di £ 28.756.775 pari ad euro 14.851,63. Non può invece venire conteggiato come componente del danno il compenso corrisposto all’ing. Lanfranchi atteso che esso ha natura di spesa giudiziale da regolare secondo i criteri previsti dagli artt. 91 e segg. c.p.c. (cfr. Cass. 15-2-2000 n. 1690; Cass. 23-12-1993 n. 12759). Il complessivo credito dell’opponente ammonta così ad euro 44.056,82 mentre l’importo relativo ai lavori eseguiti e non pagati all’impresa Strina ed il cui ammontare non è stato contestato ed anzi risulta confermato dalle dichiarazioni rese dal teste Spazzini, ex direttore dei lavori dell’ALER, è pari ad euro 61.061,37. Rilevato che l’appaltatore ha diritto, ex art. 340 co. II l. 2248/1865, al pagamento dei lavori eseguiti regolarmente e che il credito della curatela dipende dal medesimo fatto dal quale trae origine la pretesa dell’ente appaltante, in ordine alla compensazione, invocata in via subordinata dalla curatela, va detto che essa, ex art. 56 l.f., trova applicazione al caso di specie potendo operare anche in relazione a crediti non omogenei poiché, per effetto della liquidazione effettuata nel corso della procedura concorsuale con riferimento alla data di dichiarazione di fallimento, anche il credito di prestazione di cose diverse dal denaro diventa credito pecuniario (in tal senso vedasi Cass. 16-8-1990 n. 8322) e, d’altro canto, è possibile la compensazione giudiziale se il credito verso il fallito (come nel caso di specie) è di facile e pronta liquidazione (v. art. 1243 II co. c.c.; in tal senso vedasi Cass. 16-11-1999 n. 775; Cass. 6-9-1996 n. 8132; Cass. 13-3-1982 n. 1634; Cass. 22-6-1972 n. 2039). Va infine aggiunto che, secondo il più recente orientamento giurisprudenziale, la compensazione trova applicazione, sussistendo la medesima ratio sottostante al disposto di cui all’art. 56 l.f., anche se non è scaduto il credito vantato dal fallito (in tal senso vedasi Cass. 5-11-1999 n. 12318; Cass. S.U. 20-3-1991 n. 3006). Ne deriva che l’ALER va condannato a corrispondere alla curatela fallimentare l’importo di euro 17.004,55. L’esito del giudizio giustifica la compensazione nella misura di due terzi delle spese di lite che, per il residuo, vengono poste a carico dell’ALER e liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
Il Tribunale di Mantova, in composizione collegiale, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione reietta, così provvede: respinge l’opposizione ex art. 98 l.f. promossa dall’Azienda Lombarda Edilizia Residenziale-ALER di Mantova; condanna l’opponente a rifondere al Fallimento Impresa Edile Strina Carlo s.r.l. in persona del Curatore la somma di euro 17.004,55; condanna l’opponente a rifondere al fallimento Impresa Edile Strina s.r.l. le spese di lite compensandole nella misura di due terzi e, per l’effetto, liquidandole in complessivi euro 2.343,26 di cui € 59,84 per spese, € 561,90 per diritti ed € 1.721,52 per onorari oltre al rimborso forfetario delle spese ex art. 15 T.P., IVA e CPA come per legge.