Civile
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 10/09/2016 Scarica PDF
La buona fede applicata alla fideiussione: esiste un onere di preventiva escussione del garante?
Mauro Zollo, Avvocato in Napoli(nota all’ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria n. 2766/2016 del Consiglio di Stato )
Con ordinanza n. 2766 del 2016 la quarta sezione del Consiglio di Stato ha rimesso all’Adunanza Plenaria la questione inerente ai limiti di potestà dell’amministrazione pubblica, in ordine alla scelta, in materia di oneri di urbanizzazione, di escutere previamente il garante, ovverosia di riscuotere le sanzioni direttamente dal privato-debitore principale[1].
In proposito, si sono sviluppati tre orientamenti in seno alla giurisprudenza amministrativa.
In sintesi, per un primo orientamento (maggioritario) sussiste un potere autoritativo di scelta, in capo all’amministrazione, tra l’escussione preventiva del fideiussore e la riscossione delle sanzioni[2].
Un secondo orientamento, di marcata matrice privatistica, interpreta il generale obbligo di buona fede fra i contraenti quale regola che imporrebbe alla pubblica amministrazione la preventiva escussione del garante[3].
Un terzo orientamento[4], per così dire mediano, riconosce che la scelta sul debitore cui rivolgersi spetti discrezionalmente all’amministrazione; tuttavia tempera tale potere di scelta in nome del principio di leale collaborazione tra amministrazione e amministrati, imponendo alla prima di ridurre la pretesa delle sanzioni maggiorate per il pagamento tardivo degli oneri di urbanizzazione, qualora la pretesa stessa giunga oltre i termini di cui all’art. 42 del d.p.r. n. 380 del 2001.
La decisione che l’Adunanza Plenaria assumerà in materia è suscettibile di generare un significativo impatto anche in diritto civile, circa l’interpretazione degli oneri in capo al creditore garantito nel rapporto di fideiussione[5].
In maniera solo apparentemente secondaria rispetto alla problematica di diritto amministrativo, infatti, l’orientamento privatistico indicato dalla sezione rimettente enuncia un vero e proprio onere, per l’amministrazione garantita, di preventiva escussione del garante, in virtù del principio generale della buona fede[6].
Si tratta di una posizione svantaggiosa che non trova fondamento nella disciplina della fideiussione[7] (artt. 1936 ss. c.c.).
Vi è anche da rilevare come non vi siano, però, norme in aperto contrasto rispetto a un onere di preventiva escussione del garante.
In dettaglio, l’art. 1944, secondo comma, del codice civile si limita a disciplinare la fattispecie opposta dell’onere di preventiva escussione del debitore principale: tale onere sussiste solo se pattiziamente previsto dal creditore e dal fideiussore[8].
Si pone, allora, un problema inerente ai limiti che il principio negoziale di buona fede deve incontrare nel sistema giuridico.
Ciò in quanto da tempo è in atto una tendenza giurisprudenziale che enuclea nuove regole di condotta ricavate appunto dal principio di buona fede.
Tale tendenza influenza istituti fondamentali del diritto civile[9] ed amministrativo.
In materia di responsabilità precontrattuale il canone di buona fede descrive precipui obblighi informativi rispetto a contraenti in genere deboli[10] ed arriva a motivare l’applicazione dei principi fondanti (in punto di prescrizione e onere della prova) della responsabilità contrattuale[11].
La buona fede costituisce, poi, una delle più solide fondamenta su cui poggiano le discusse teorie dell’obbligazione senza prestazione, e del contatto sociale[12].
Ancora, sono i canoni di buona fede e di tutela del legittimo affidamento a delineare i contorni della figura, relativamente recente, del diritto al risarcimento per lesione dell’affidamento incolpevole rispetto al provvedimento amministrativo favorevole ma illegittimo[13].
Anche la materia processuale conosce le potenzialità normative del principio di buona fede. Di recente, infatti, il Consiglio di Stato[14] ha enucleato notevoli limiti alla proposizione dell’eccezione del difetto di giurisdizione ad opera dell’appellante che aveva instaurato il giudizio di primo grado proprio servendosi del medesimo plesso giurisdizionale.
In tutti gli esempi sopra riportati, come si vede, il principio di buona fede tende ad aggravare la posizione giuridica di una parte, in favore della controparte strutturalmente o congiunturalmente più debole.
Tuttavia, la frequenza con cui la giurisprudenza conferisce alla buona fede la veste di fonte del diritto collide con il disposto del capoverso dell’art. 12 delle preleggi.
Esso impone che i principi generali siano sussidiari rispetto a eventuali vuoti di disciplina: nel caso del contratto di fideiussione il Legislatore ha dedicato un articolo del codice civile (l’art. 1944) alla disciplina degli obblighi del fideiussore.
La mancanza, in esso, della previsione di un onere di escussione preventiva del garante non appare come una svista, soprattutto tenuto conto che nel medesimo articolo si dispone espressamente di un onere di tal genere, seppure relativo all’escussione del debitore principale, e non del fideiussore.
E’, dunque, in discussione il perimetro del principio di libertà fra i paciscenti (art. 1322 c.c.), nel senso che la giurisprudenza crea limiti ulteriori, sempre più marcati e specifici, in assenza di dettagliate previsioni di legge.
Il tradizionale rapporto bilaterale fra le parti d’un lato e la legge dall’altro pare arricchirsi di un “terzo incomodo”, vale a dire un interprete sempre più esigente, il quale estrapola contenuti viepiù vasti da principi invero piuttosto laconici, come la buona fede.
Sullo sfondo si intravede la necessità che il giudizio sul contratto non venga confuso con un generico giudizio di equità[15] (dovendo permanere quest’ultimo, invece, nell’angusto novero delle cause di minor valore ovvero della richiesta concorde delle parti, ex artt. 113 e 114 c.p.c.).
Le considerazioni sopra svolte inducono a moderare la portata dei temi addotti alla decisione dell’Adunanza Plenaria.
Infatti, se anche la giurisprudenza amministrativa aderisse alla tesi sinora minoritaria dell’onere di preventiva escussione del garante, tali conclusioni dovrebbero ritenersi limitate alla materia dell’escussione degli oneri di urbanizzazione.
Di conseguenza, sarebbero da sconfessare interpretazioni tese a riconnettere un generale onere di preventiva escussione del fideiussore, siccome promanante dalla buona fede.
E ciò, per due motivi.
In primo luogo, si tratterebbe di un’interpretazione creativa, che impone un onere in capo al creditore, inesistente a livello positivo: questa opzione deve ritenersi eccezionale rispetto alla disciplina generale del contratto di fideiussione, e quindi inestensibile (applicando il principio di cui all’art. 14 delle preleggi).
In secondo luogo, la considerazione di un onere non scritto di preventiva escussione può, al limite, giustificarsi solo laddove esiste il pericolo di un’escussione del debitore principale, la quale sia deteriore rispetto alla prestazione originariamente dovuta.
Proprio la fattispecie degli oneri di urbanizzazione è esemplare in tal senso: il debitore principale rischia di dover pagare al Comune degli oneri maggiorati dalle sanzioni di cui all’art. 42 del d.p.r. n. 380/01 se non venisse escusso preventivamente il garante.
In conclusione, la buona fede può generare un onere, in capo al creditore garantito, di preventiva escussione del garante solo in fattispecie peculiari, quale garanzia che il debitore principale, magari per intempestività del creditore stesso, sia sanzionato rispetto all’obbligazione originaria.
Al di fuori di tali casi, pare eccessivo conferire al canone di buona fede una funzione integratrice della disciplina del contratto di fideiussione, peraltro tale da aggravare la posizione del creditore, il soggetto che dovrebbe maggiormente beneficiare del contratto in questione.
Consiglio di Stato, sez. IV, ordinanza 2766 del 21 aprile 2016. Pres. ed estensore Anastasi
Massima: Va rimessa alla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato la questione se una volta costituita, ai sensi dell’art. 16, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (t.u. edilizia), una garanzia per il pagamento del contributo per il rilascio del permesso di costruire, il comune, avendo omesso di escutere la garanzia, possa, oltre che chiedere il pagamento del dovuto al debitore principale, infliggere comunque la sanzione pecuniaria (nella misura massima) prevista dalla disciplina regionale e comunale per i casi di mancato versamento del contributo. (1)
1. Il comune di Ayas (AO) in data 27.9.1996 rilasciò alla dante causa dell’attuale appellante la concessione edilizia nn. 2242/2231 per la realizzazione nella frazione Champoluc di un fabbricato a civile abitazione e di un fabbricato ad uso commerciale.
Contestualmente il comune determinò gli oneri concessori da versare in parte al rilascio del titolo edilizio (come di fatto avvenuto) e per il residuo in 4 rate rispettivamente collegate all’inizio dei lavori, alla ultimazione della copertura, alla fine dei lavori e al rilascio del certificato di agibilità.
L’odierna appellante, subentrata nel 1998 nella titolarità della concessione edilizia, ha stipulato con una compagnia assicuratrice una polizza fideiussoria a beneficio del comune, quale garanzia per il caso di mancato pagamento degli oneri da parte dell’obbligato principale.
Nel novembre del 2003 la appellante ha ottenuto dal comune un permesso di costruire in variante, anch’esso comportante il pagamento di ulteriori oneri debitamente quantificati e rateizzati dal comune all’atto del rilascio.
Nel corso del tempo, per quanto qui rileva, l’originaria titolare e la odierna appellante hanno provveduto al versamento soltanto di una parte degli oneri richiesti dal comune.
Nell’anno 2011 il sindaco del comune di Ayas, a seguito di un sopralluogo degli organi di polizia locale dal quale risultò come i lavori fossero stati da tempo ultimati, ha richiesto il pagamento degli oneri ancora non corrisposti, applicando contestualmente la sanzione massima (100%) prevista dalla normativa regionale di cui alla l.r. n. 11 del 1998 in caso di ritardato pagamento.
La società ha impugnato il provvedimento sindacale avanti al TAR Valle d’Aosta deducendo:
a) che i lavori non erano stati in realtà ancora ultimati, in quanto l’edificio difettava di accesso alla viabilità pubblica, e che quindi la relativa rata di pagamento non era mai scaduta;
b) che in generale il comune avrebbe dovuto escutere tempestivamente il garante senza attendere la decorrenza dei termini di pagamento per l’irrogazione delle sanzioni;
c) che il comune, erroneamente, aveva imputato taluni pagamenti parziali a copertura delle sanzioni già maturate invece che a copertura delle rate di oneri scadute.
Con la sentenza in epigrafe indicata il Tribunale ha respinto il gravame, giudicando infondate tutte le censure ivi versate.
La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello oggi all’esame dalla Residence s.a.s. la quale ne ha chiesto l’integrale riforma, deducendo tre motivi di impugnazione.
Si è costituito in resistenza il comune, che domanda il rigetto dell’appello.
Le Parti hanno depositato memorie insistendo nelle già rappresentate conclusioni.
Alla pubblica udienza del 21 aprile 2016 l’appello è stato trattenuto in decisione.
2. Con il primo e centrale motivo di impugnazione la società appellante deduce che il comune non avrebbe potuto legittimamente applicare le sanzioni previste per il ritardato pagamento di contributi concessori.
Infatti la società aveva prestato a garanzia del pagamento del contributo apposita polizza fideiussoria (priva del beneficio di preventiva escussione del debitore principale ex art. 1944 comma secondo cod. civ.) cosicché il comune ben poteva riscuotere per tempo le varie rate dei contributi direttamente dal garante.
In sostanza, secondo l’appellante, il comune, una volta accertato il mancato pagamento, avrebbe potuto senza particolari difficoltà escutere il fideiussore, così evitando di aggravare la posizione della parte debitrice.
Replica il comune di Ayas che la prestazione della garanzia non esonera il debitore dall’obbligo di adempiere in modo diligente.
Al riguardo il Collegio osserva quanto segue.
Come è noto, l’art. 1 della legge n. 10 del 1977 ha introdotto nell’ordinamento il principio fondamentale secondo cui ogni attività comportante trasformazione urbanistico/edilizia del territorio partecipa agli oneri da essa derivanti.
Tale principio dell’onerosità del permesso di costruire è oggi confermato dall’art. 11 comma 2 del T.U. n. 380 del 2001, il quale poi precisa all’art. 16 comma 1 che il relativo contributo è costituito da due quote, commisurate rispettivamente all’incidenza delle spese di urbanizzazione e al costo di costruzione dell’edificio assentito.
Ai sensi del comma 2 dello stesso art. 16 la quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è di norma (salvo eventuale rateizzazione a richiesta dell’interessato) corrisposta all’atto del rilascio del permesso.
Invece, ai sensi del successivo comma 3, la quota relativa al costo di costruzione è corrisposta in corso d’opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, non oltre sessanta giorni dall’ultimazione della costruzione.
Di fatto, come appunto l’art. 16 comma 3 consente e come avvenuto nel caso in esame, gli enti locali all’atto della quantificazione e rateizzazione del contributo richiedono sempre al beneficiario la prestazione di una garanzia nei modi indicati dall’art. 2 della legge n. 348 del 1982 e succ. modif..
Infine, nel caso di ritardato od omesso pagamento del contributo di costruzione, l’art. 42 del T.U. (il quale riprende sostanzialmente le previsioni già contenute nell’art. 3 della legge n. 47 del 1985) così prevede nel testo oggi vigente:
“1. Le regioni determinano le sanzioni per il ritardato o mancato versamento del contributo di costruzione in misura non inferiore a quanto previsto nel presente articolo e non superiore al doppio.
2. Il mancato versamento, nei termini stabiliti, del contributo di costruzione di cui all'articolo 16 comporta:
a) l'aumento del contributo in misura pari al 10 per cento qualora il versamento del contributo sia effettuato nei successivi centoventi giorni;
b) l'aumento del contributo in misura pari al 20 per cento quando, superato il termine di cui alla lettera a), il ritardo si protrae non oltre i successivi sessanta giorni;
c) l'aumento del contributo in misura pari al 40 per cento quando, superato il termine di cui alla lettera b), il ritardo si protrae non oltre i successivi sessanta giorni.
3. Le misure di cui alle lettere precedenti non si cumulano.
4. Nel caso di pagamento rateizzato le norme di cui al secondo comma si applicano ai ritardi nei pagamenti delle singole rate.
5. Decorso inutilmente il termine di cui alla lettera c) del comma 2, il comune provvede alla riscossione coattiva del complessivo credito nei modi previsti dall'articolo 43.
6. In mancanza di leggi regionali che determinino la misura delle sanzioni di cui al presente articolo, queste saranno applicate nelle misure indicate nel comma 2.”.
Da quanto sopra discende che il sistema di pagamento del contributo è caratterizzato dalla compresenza di una garanzia prestata per l’adempimento del debito principale e di un parallelo strumento sanzionatorio progressivo a carico del debitore che resti inadempiente, cosicché il comune allo scadere del termine originario di pagamento della rata può alternativamente rivalersi immediatamente sul fideiussore ed ottenere il soddisfacimento del suo credito oppure insistere per riscuotere (anche in via coattiva) dal debitore principale il contributo da questi non pagato e le sanzioni commisurate al ritardo.
In tale contesto, la questione che si pone consiste propriamente nello stabilire se in realtà la prima opzione operativa (l’incameramento della garanzia con conseguente preclusione all’applicazione delle sanzioni) sia necessitata o facoltativa.
Secondo un indirizzo giurisprudenziale, peraltro minoritario, il problema interpretativo all’esame non può che risolversi facendo coerente applicazione dei principi civilistici in tema di obbligazioni, primo fra tutti quello che impone al creditore in buona fede di collaborare con il debitore ai fini del puntuale adempimento dell’obbligazione.
In tal senso fin da epoca risalente è stato osservato che “Poiché il credito vantato dal comune per il contributo di costruzione nei confronti del titolare di una concessione edilizia è assistito da garanzia fideiussoria, una siffatta obbligazione di garanzia, priva di beneficium excussionis ed al di là della solidarietà tra debitore principale e fideiussore, esclude che il comune stesso possa far ricorso alle sanzioni ex art. 3 l. 28 febbraio 1985 n. 47 senza esercitare la predetta garanzia che nel limitare anche il danno per il concessionario, permette all'ente il pronto soddisfacimento del proprio credito. Infatti, la natura giuridica della concessione edilizia o delle sanzioni ex art. 3 legge n. 47 del 1985 non può esimere il comune dall'osservanza degli obblighi posti dalla legge in capo al creditore in materia di adempimento delle obbligazioni, ivi compreso quello della necessaria cooperazione con il debitore in tale fase dell'adempimento. “ (ad es. V Sez. n. 1001 del 1995).
Nella stessa linea, in epoca più recente, è stato ribadito che “Qualora il titolare di una concessione edilizia abbia stipulato, a garanzia del versamento dei contributi, una polizza fideiussoria priva del beneficio di preventiva escussione dell'obbligato principale, ai sensi dell'art. 1227, secondo comma, c.c., che pone a carico del creditore i danni che questi avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza, non possono essere applicate le sanzioni previste dall'art. 3 della l. 28 febbraio 1985, n. 47, per il caso di omesso o ritardato versamento dei contributi, ove l'amministrazione creditrice, violando i doveri di correttezza e buona fede, non si sia attivata per tempo nel chiedere al garante il pagamento delle somme dovute”. (ad es. V Sez. n. 32 del 2003, V Sez. n. 571 del 2003 e I^ Sez. parere n. 11663 del 17.5.2013).
A sostegno del richiamato indirizzo sta il rilievo che l’ente locale, ove il suo credito sia assistito da garanzia incondizionata, ha uno specifico dovere, ai sensi degli artt. 1175, 1375 e 1227, comma 2, cod. civ., di richiedere quanto dovutogli al garante, con la conseguenza che l’ente stesso – omettendo tale ben esigibile adempimento - viola appunto l’obbligo per il creditore di non aggravare inutilmente la posizione del debitore.
Parallelamente, sul piano funzionale, si rileva che la previsione legislativa delle sanzioni per il mancato pagamento degli oneri concessori trova ragione nella necessità per l'amministrazione di disporre tempestivamente delle somme dovute dai privati onde poter procedere alla realizzazione delle necessarie infrastrutture di urbanizzazione: in tale contesto, un ente locale che sceglie di non incamerare subito la fideiussione non persegue la finalità di interesse pubblico per cui la sanzione è appunto predisposta (assicurare la tempestiva disponibilità delle somme per l’urbanizzazione), bensì altro scopo, ossia far lievitare la somma dovuta dal privato anche a rischio di un consistente differimento nell’incasso.
Questa impostazione non è condivisa dall’indirizzo giurisprudenziale maggioritario il quale inquadra la fattispecie in una prospettiva pubblicistica, significativamente caratterizzata dalla presenza di strumenti – le sanzioni e la riscossione coattiva – tipici di un procedimento autoritativo e non paritetico.
In questa prospettiva la fideiussione – che il comune è facoltizzato a richieder in caso di rateizzazione del versamento - non ha affatto la finalità di agevolare l'adempimento del soggetto obbligato al pagamento, bensì costituisce una garanzia personale prestata unicamente nell'interesse dell'amministrazione, sulla quale non incombe alcun obbligo di preventiva escussione del fideiussore.
In sostanza, la garanzia sussidiaria serve a scongiurare che il Comune possa irrimediabilmente perdere una entrata di diritto pubblico, ma non alleggerisce affatto la posizione del soggetto tenuto al pagamento, né attenua le conseguenze previste nel caso di un eventuale suo inadempimento, conseguenze appunto riconducibili all’applicazione delle sanzioni e alla riscossione coattiva dell’intera somma dovuta. (ex multis IV Sez. n. 5818 del 2012).
Del resto, tale maggioritario orientamento (cfr. per tutte IV Sez. n. 4320 del 2012 e V Sez. n. 777 del 2016) puntualizza che, anche volendo aver riguardo al regime ordinario delle obbligazioni tra privati, in materia di obbligazione "portable" quale quella pecuniaria, e con termine di adempimento che esonera dalla costituzione in mora del debitore, il creditore è soltanto facultato ad attivare la solidale responsabilità del fideiussore, senza che possa invece ritenersi tenuto ad escutere il coobbligato piuttosto che attendere il pagamento, ancorché tardivo, salva l'esistenza di apposita clausola in tal senso accettata dal creditore stesso.
Né sarebbe pertinente il richiamo all'art. 1227 secondo comma cod. civ. - che riguarda l'esonero di responsabilità per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza – in primo luogo perchè l'obbligazione relativa alle sanzioni pecuniarie ex art. 3 l. 28 febbraio 1985 n. 47 non ha, certo, natura risarcitoria configurandosi come obbligazione legale, con finalità chiaramente e univocamente "sanzionatorie".
In secondo luogo, l'onere di diligenza che l’art. 1227 comma secondo fa gravare sul creditore non si estende alla sollecitudine nell'agire a tutela del proprio credito onde evitare maggiori danni, i quali viceversa sono da imputare esclusivamente alla condotta del debitore, tenuto al tempestivo adempimento della sua obbligazione (v. Corte cost. n. 308 del 1999 in tema di maggiorazione delle sanzioni amministrative per ritardato pagamento).
Alla luce delle considerazioni sin qui esaminate questo Collegio ritiene preferibile l’orientamento maggioritario, in quanto più coerente con la disciplina concretamente applicabile alla fattispecie.
Senonché, in tempi recenti, è andato emergendo un ulteriore indirizzo giurisprudenziale il quale, pur tenendo conto della cogenza della previsione legale relativa all’applicazione delle sanzioni in caso di ritardato pagamento, ritiene però illegittima l’applicazione delle sanzioni in misura massima.
In tale ottica, e con riferimento a controversie sovrapponibili a quella ora in esame, è stato infatti rilevato -valorizzando il principio di leale collaborazione tra cittadino e comune, che ha valenza pubblicistica e rientra nell'ambito dei principi di imparzialità di cui all'art. 97 Cost, - che il ritardo con cui l’ente locale procede alla richiesta di pagamento e l'assenza di qualsivoglia tentativo di escussione della fideiussione, comportano, all'evidenza, una violazione del dovere di correttezza che dovrebbe improntare il comportamento dell'Amministrazione comunale, in considerazione del fatto che l'Amministrazione non è un soggetto che agisce per massimizzare il suo profitto ma è un soggetto che agisce per realizzare nel modo migliore possibile un interesse pubblico che le è stato affidato dalla legge e che consiste, appunto, nella celere realizzazione delle opere di urbanizzazione (e, quindi, nella pronta disponibilità delle somme ad esse relative).
Pertanto, secondo il richiamato indirizzo, il ritardo con cui il comune agisce per riscuotere le somme a titolo di oneri di urbanizzazione dovuti, se non può impedire del tutto l'applicazione delle sanzioni, atteso il loro carattere automatico, scaturente dal disposto di legge, impedisce tuttavia l'applicazione delle sanzioni massime. (cfr. V Sez. n. 5734 del 2014 e 5287 del 2015).
In sostanza, secondo tale innovativo orientamento, appare compatibile con l'interesse pubblico azionato, con il tenore della norma e con i principi costituzionali di buona fede che ispirano i rapporti tra cittadino e P.A. la riscossione della sanzione soltanto nella limitata misura di cui alla lett. a), mentre le maggiori sanzioni sono da ritenersi illegittime, poiché verosimilmente, escutendo la fideiussione, il comune avrebbe ottenuto la somma e non avrebbe potuto quindi applicare alcuna ulteriore sanzione.
Ne consegue che l’ente locale – una volta decorsi 120 giorni dallo scadere del termine originario di pagamento – deve valersi della garanzia (per riscuotere quanto dovuto per oneri) e contestualmente irrogare al debitore inadempiente la sanzione minima normativamente prevista.
A giudizio di questo Collegio sembra potersi affermare che la soluzione “intermedia” ora in rassegna, nella misura in cui si muove in prospettiva eminentemente pragmatica, perviene ad un approdo senza dubbio assai equilibrato ma ermeneuticamente forse non del tutto appagante.
Infatti sul piano concettuale – dal momento che la legge prevede proprio sanzioni crescenti in relazione al perdurare dell’inadempimento - non è chiaro per quale ragione l’obbligo legale di applicare appunto le sanzioni possa prevalere solo fino al primo periodo di ritardo (centoventi giorni) mentre a fronte dei ritardi successivi si riespande il principio collaborativo.
Al tempo stesso appare però evidente che tale impostazione, nella misura in cui tiene conto delle diverse esigenze sin qui messe in rilievo dai contrapposti indirizzi giurisprudenziali di cui si è sopra dato conto, potrebbe comportare un ragionato superamento delle contrapposizioni interpretative sin qui registrate.
Alla luce del contrasto giurisprudenziale rilevato, e considerato il significativo rilievo pratico della questione controversa, il Collegio ritiene opportuno sottoporre il ricorso all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, a norma dell’art. 99, comma 1, c.p.a.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, ne dispone il deferimento all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
Manda alla segreteria della sezione per gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all'Adunanza Plenaria.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2016 con l'intervento dei magistrati:
[1] I riferimenti normativi sono rappresentati dagli articoli 16, comma 3 e 42 del Testo Unico in materia edilizia (d.p.r. 380/01), i quali disciplinano rispettivamente l’istituto della fideiussione inerente ai contributi di costruzione dovuti dal titolare di concessione edilizia, e delle sanzioni a questo imposte in caso di ritardi nel pagamento del debito connesso a tali contributi.
[2] Consiglio di Stato,IV Sez. n. 5818 del 2012.
[3]In tal senso, Consiglio di Stato ,V Sez. n. 32 del 2003, V Sez. n. 571 del 2003 e I^ Sez. parere n. 11663 del 17.5.2013.
[4] Consiglio di Stato, V Sez. n. 5734 del 2014 e 5287 del 2015.
[5] Per una panoramica dottrinale in materia POLACCO, Le obbligazioni nel diritto civile italiano, I, Roma, 1915, p. 92.
[6] L’ordinanza di rimessione fa esplicito riferimento agli articoli 1175 e 1375 del codice civile, e quindi ai canoni di correttezza e buona fede nel contratto. Con riferimento al ruolo della buona fede nell’esecuzione della fideiussione, la dottrina generalmente si limita a sottolineare la necessità che le obbligazioni in capo al fideiussore non siano eccessivamente gravose: in particolare, tali considerazioni vengono in rilievo in materia di massimale dell’obbligazione garantita Si veda, ad esempio, CUFFARO (a cura di), La fideiussione e le altre garanzie personali, Bologna, 2014, p. 84 e s.
[7] Sebbene la fattispecie in esame sia più agevolmente inquadrabile quale polizza fideiussoria, il Consiglio di Stato tende a riportare la tematica in esame genericamente al rapporto di fideiussione. Tali considerazioni sono evidenti, dal momento che il Consiglio di Stato parla espressamente di “garanzia personale”, come noto qualitas appartenente alla fideiussione e non ai diritti di natura indennitaria derivanti dalla polizza fideiussoria (Cass. Sezioni unite civili, sentenza 10 novembre 2009 – 18 febbraio 2010).
[8] Taluna dottrina distingue la fideiussione munita del beneficio di preventiva escussione del debitore principale da quella che, invece, ne è priva. Ciò in quanto nel primo caso verrebbe meno la solidarietà dell’obbligazione fideiussoria. In tal senso, FRAGALI, Delle obbligazioni. Fideiussione, Bologna-Roma, 1957, p. 269 e D’ORAZI FLAVONI Fideiussione, in Trattato Grosso-Santoro Passarelli, Milano, 1961, p. 18.
[9] MARINI, Promessa e affidamento nel diritto dei contratti, Napoli, 1955.
[10] Per un esempio in materia di obblighi informativi incombenti sul promotore di strumenti finanziari, si veda Cass. Sezioni unite civili, sentenza 23 ottobre – 19 dicembre 2007, n. 26724.
[11] Si fa riferimento alla recente Cass. Civ., sentenza n. 14188 del 2016.
[12] Per un esempio in materia bancaria si veda Cass. Civ. sentenza 26 giugno 2007, n. 14712
[13] Si vedano le ordinanze nn. 6594 del 2011 e 17586 del 2013 emesse dalle Sezioni unite civili della Corte di cassazione.
[14] Si fa riferimento a Cons. di Stato, III sez., sentenza n. 1855 del 2015
[15] Infatti, il giudizio di equità è maggiormente soggetto ad un’ampia discrezionalità del giudice, il quale può operare oltre gli stringenti limiti della legge.
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