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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 30/10/2015 Scarica PDF
Il cd. divorzio breve (l. 6 maggio 2015, n. 55)
Giuseppe Buffone, Magistrato, esperto giuridico presso la rappresentanza permanente italiana presso l'Unione europeaIndice
1. Contenuti della Legge. 1.1. Diritto intertemporale. 1.2. Efficacia nel tempo del nuovo art. 191 c.c. – 2. Abbreviazione dei termini per la proposizione della domanda di divorzio. 2.1. Trasformazione del rito da giudiziale a consensuale. 2.2. Precisazione congiunta delle conclusioni. 2.3. Cessazione della comunione legale in caso di trasformazione del rito in sede presidenziale. 2.4. Termini per la instaurazione del procedimento divorzile in caso di negoziazione assistita o accordo concluso davanti al Sindaco (artt. 6 e 12, legge n. 162 del 2014). – 3. Cessazione del regime patrimoniale della comunione legale. 3.1. Comunicazioni all’ufficiale dello Stato Civile. 3.2. Scioglimento della comunione legale in caso di negoziazione assistita o accordo concluso davanti al Sindaco (artt. 6 e 12, legge n. 162 del 2014). – 4. Contestuale pendenza di separazione e divorzio: effetti sui cd. provvedimenti de futuro. 4.1. Misure organizzative degli uffici giudiziari. – 5. Conclusioni.
1. Contenuti della legge
La legge n. 55 del 6 maggio 2015 ha introdotto «disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi». La normativa è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’11 maggio 2015 ed è entrata in vigore il 26 maggio. Il saggio legislativo è composto da tre articoli: l’articolo 1 modifica la legge sul divorzio (l. 898 del 1970), l’articolo 2 modifica l’art. 191 del codice civile (norma in materia di scioglimento della comunione legale), l’articolo 3 regola l’efficacia nel tempo delle nuove disposizioni (prescrivendone l’immediata applicabilità).
Articolo 1 |
Articolo 3 Modifica il codice civile (art. 191) Anticipa il momento di scioglimento della comunione legale. Si
scioglie :con l’ordinanza presidenziale (in caso di separazione giudiziale)
oppure con la sottoscrizione del verbale (in caso di separazione
consensuale) Diritto intertemporale Regola l’efficacia nel tempo delle nuove disposizioni: si applicano
immediatamente anche se la separazione è ancora pendente Modifica la Legge sul divorzio (898/1970) Abbrevia il termine necessario per proporre la domanda di divorzio,
una volta ottenuta la separazione personale. Si passa da 3 anni a: 1 anno
(se la separazione è giudiziale); 6 mesi (se la separazione è consensuale) Articolo 2
L’art. 1 della l. 55 del 2015, modificando i termini per accedere al procedimento divorzile in caso di separazione, ha indotto gli interpreti ad assegnare a questo intervento normativo la locuzione “legge sul divorzio breve”. Premesso che un ampliamento dei casi di “cd. divorzio diretto” avrebbe certamente raggiunto migliori risultati in termini di accelerazione del contenzioso familiare e deflazione dei carichi, va rilevato come di “breve” questa legge rischi di avere solo il nome. Infatti, le nuove disposizioni introdotte dalla legge 55/2015 non modificano le norme processuali che governano il rito della separazione caratterizzato, come noto, da una macchinosa serie di segmenti processuali con una massiccia presenza di appendici scritte che dilatano i tempi di definizione. Il ricorso di separazione introduce il giudizio; la parte resistente si costituisce. Segue l’udienza presidenziale che pronuncia i provvedimenti provvisori e innesca un nuovo scambio di difese (di nuovo ricorso e comparsa: le cd. memorie integrative) che portano avanti il processo di almeno 60 giorni (ma, nella prassi, sono molti di più: anche 6/8 mesi). Davanti al giudice istruttore, alla prima udienza, le parti chiedono i termini 183 comma VI c.p.c. e si riparte con gli scritti: altre tre memorie che spingono il procedimento avanti di 80 giorni. Terminata la fase istruttoria, si ritorna alle appendici scritte: comparsa conclusionale e memoria di replica, prima della decisione, spostando ancora una volta in avanti la decisione di 80 giorni. Questo se va tutto bene: in corso di processo, infatti, come noto, sono ammessi i cd. sub-procedimenti di vario genere e natura. Ricorso per la modifica dei provvedimenti presidenziali (art. 709 ultimo comma c.p.c.); ricorso per la soluzione di controversie genitoriali (art. 709-ter c.p.c.); ricorso per garanzie (art. 156 c.p.c.); ricorso per misure limitative della responsabilità genitoriale (artt. 330, 333 c.c.); etc. Senza alcuno strumento giudiziale per contenerne l’utilizzo strumentale, dilatorio o temerario: infatti, in questi casi, non è prevista nemmeno la possibilità di liquidare immediatamente le spese (sub) processuali dovendosi attendere il termine del giudizio. Questo certamente incide sul cd. divorzio breve: infatti, che siano 2 mesi o 5 giorni, la domanda di divorzio, in caso di separazione giudiziale, può essere proposta solo se la sentenza separativa sia passata in giudicato. Un buon escamotage può essere la pronuncia parziale sullo status (Cass. civ., sez. VI, 22 giugno 2012 n. 10484) non senza inconvenienti pratici: in primis, comunque occorre passare dalla fase presidenziale ed affrontare, in genere, almeno due udienze; in secundis, il giudizio di separazione è destinato, poi, a proseguire per le ulteriori domande realizzandosi, così, la contestuale presenza di due procedimenti (quello di separazione in prosecuzione e quello divorzile).
[1.1]. Le nuove disposizioni si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge 55/2015, anche nei casi in cui il procedimento di separazione che ne costituisce il presupposto risulti ancora pendente alla medesima data. La nuova normativa entra in vigore il 26 maggio 2015: da quel momento, per tutte le separazione (in corso o già perfezionate), il termine per adire il giudice del divorzio va ricalcolato in 1 anno dall’udienza ex art. 708 c.p.c. o in 6 mesi dall’udienza ex art. 711 c.p.c.
[1.2]. La legge 6 maggio 2015 n. 55 (cd. legge sul divorzio breve) ha modificato, però, anche l’art. 191 c.c. prevedendo, nel nuovo comma II, che, nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati. L’art. 3 della l. 55 del 2015 ha previsto – pure in questo caso - che le nuove disposizione si applichino ai procedimenti in corso. Gli interpreti hanno offerto soluzioni diversificate in merito alla corretta ermeneutica da offrire all’art. 3 l. 55/2015, con riguardo all’art. 191 c.c. Secondo taluni, infatti, l’applicabilità “immediata” ai processi pendenti determinerebbe la cessazione del regime di comunione legale in tutte le procedure in corso alla data di entrata in vigore della nuova normativa, a prescindere dal momento storico di pronuncia della autorizzazione ex art. 708 c.p.c. Per altri, questo momento comunque sarebbe da individuare quanto meno nella data del 26 maggio 2015. La tesi preferibile è altra. La nuova normativa regola gli effetti giuridici di un determinato atto che è l’ordinanza presidenziale ex art. 708 c.p.c. (nella parte in cui autorizza i coniugi a vivere separati) pertanto il nuovo art. 191 comma II c.c. si applica a tutte le autorizzazioni pronunciate dal 26 maggio 2015 in poi, a prescindere dal fatto che il processo sia stato iscritto in data anteriore. Questa tesi ha trovato autorevolmente il conforto in Dottrina: si è affermato che, in virtù della disposizione generale di cui all’art. 11 prel., e tenuto conto del tenore dell’art. 3 l. 55 del 2015, il nuovo art. 191 comma II c.c. non può non operare se non per le ordinanze presidenziali pronunciate dopo l’entrata in vigore della L. 55 del 2015; anche tenuto conto degli effetti che, una diversa impostazione, avrebbe sui terzi in buona fede[2]. Va aggiunto quanto segnalato autorevolmente da Oberto: «se nel corso di una separazione giudiziale, iniziata prima della riforma (…) con un’autorizzazione a vivere separati non «munita» (per essere stata emanata prima della riforma del 2015 sul «divorzio breve») dell’effetto ora descritto dalla norma in esame, le parti decidessero di pervenire ad una separazione consensuale, non vi sarebbe ragione per non applicare l’effetto predetto, a decorrere dalla sottoscrizione del verbale di separazione consensuale»[3].
2. Abbreviazione dei termini per la proposizione della domanda di divorzio[4]
La norma di maggiore importanza è contenuta nell’art. 1 della L. 55/2015. Prima della novella, in caso di separazione personale, la domanda di divorzio non era proponibile se non dopo il decorso di tre anni. In virtù della modifica apportata dall’art. 1 citato, i tempi si accorciano. Se i coniugi si sono separati consensualmente, la domanda di divorzio può essere presentata dopo 6 mesi; se i coniugi si sono separati giudizialmente, la domanda di divorzio può essere presentata dopo 1 anno. In entrambi i casi, il termine decorre dalla prima udienza dinanzi al Presidente del Tribunale (dunque, l’udienza presidenziale ex art. 708 c.p.c. nel rito giudiziale ed ex art. 711 c.p.c. nel rito consensuale).
[2.1]. Come noto, il processo iniziato “giudizialmente” può, in itinere, “trasformarsi” in consensuale: i coniugi, cioè, in corso di processo, pervengono a un assetto condiviso e il carattere contenzioso del procedimento viene meno. La Legge 55 del 2015 prevede che, in questi casi, si applichi il termine più breve di 6 mesi. Resta fermo che la decorrenza è comunque fissata alla prima udienza di comparizione davanti al Presidente e non anche a quella successivamente calendarizzata per effetto della trasformazione. I coniugi che hanno avviato un iter contenzioso hanno, quindi, un effettivo interesse a raggiungere un accordo in corso di lite: se ciò accade, il loro termine di 1 anno si dimezza. Ovviamente, in tanto di “interesse” si può discorrere in quanto uno o entrambi i coniugi desiderino accelerare la definitiva disgregazione del vincolo matrimoniale.
[2.2]. L’art. 1 ricollega il decorso accelerato del termine divorzile solo al procedimento cd. «trasformato» e, cioè, quel procedimento che, per effetto dell’ordinanza di mutamento del rito, si sia concluso con decreto di omologa e non con sentenza. Ciò vuol dire che non si applica il termine di 6 mesi nella ipotesi delle cd. «PC congiunte» ossia nel caso in cui, avendo trovato un accordo, le parti rassegnino le conclusioni in modo identico all’udienza ex art. 189 c.p.c. Infatti, in questo caso, il processo non si chiude con “decreto” di omologa, da cui conseguono gli effetti tipici della separazione consensuale, ma con sentenza, senza che il rito giudiziale contenzioso abbia mutato la propria struttura, anche quanto agli effetti. Ne consegue che, in caso di precisazione congiunta delle conclusioni, il termine per il divorzio resta di 1 anno. L’orientamento della giurisprudenza, sino ad ora espresso, è in questa direzione. Questa lettura è stata, ad esempio, accolta da Trib. Milano, sez. I civ., decreto 22 luglio 2015 (Pres. Est. Enrica Manfredini): «il termine di sei mesi per instaurare il procedimento di divorzio, a seguito di separazione consensuale, per effetto della norma di cui all’art. 1 l. 6.5.2015 n. 55 che ha modificato l'articolo 3 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, è applicabile ove il procedimento di separazione contenzioso venga trasformato, previo mutamento del rito, in separazione consensuale, e pertanto detto termine di mesi sei non è applicabile laddove il procedimento di separazione sia stato definito con sentenza, sia pure su conclusioni congiunte delle parti, dovendo in tale ipotesi applicarsi il termine annuale dalla comparizione dei coniugi dinanzi al Presidente del Tribunale».
[2.3]. La trasformazione del rito può avvenire anche nell’udienza presidenziale: in questo caso, in genere, il Presidente f.f. muta il rito ma senza emettere prima altre statuizioni (es. autorizzazione ai coniugi a vivere separati). In questo caso – e, dunque, nelle ipotesi in cui manchi l’ordinanza ex art. 708 c.p.c. - l’effetto della cessazione della comunione legale decorre dalla sottoscrizione del verbale di separazione consensuale (ciò rileva ai fini dell’onere della pubblicità legale del relativo provvedimento). Pertanto, è il citato verbale e non l’ordinanza di conversione del rito che va comunicato all’ufficiale dello Stato Civile[5].
3. Cessazione del regime patrimoniale della comunione legale
[3.1]. L’ordinanza ex art. 708 c.p.c. va, ora, comunicata all’ufficiale dello Stato Civile: questo adempimento va letto in senso funzionale e, pertanto, è dovuto solo se i coniugi sono in regime di comunione legale. Nulla dice la norma circa lo scioglimento della comunione legale in caso di negoziazione assistita o accordo concluso davanti al Sindaco. Deve, allora, avere rilievo il discorso già coltivato in precedenza: questi accordi «producono gli effetti e tengono luogo dei provvedimenti giudiziali» che sostituiscono e, dunque, «ereditano» il medesimo regime giuridico.
[3.2]. Quindi, la comunione legale si scioglierà dalla data certificata nella negoziazione (purché l’accordo sia munito di autorizzazione o nullaosta) o dalla data che contiene il patto in caso di accordo concluso davanti al Sindaco. Sia per le negoziazioni assistite che per gli accordi semplificati, l’atto è sottoposto a condizione sospensiva: dopo la firma della convenzione di negoziazione, la comunione cessa se l’atto è autorizzato dal Pm o munito di nullaosta; dopo la firma dell’accordo semplificato, la comunione cessa se i coniugi confermano la separazione dopo trenta giorni davanti all’ufficiale dello Stato Civile. La tesi pur sostenuta da taluni, che qualifica queste condizioni come risolutive, non è condivisibile già per il rilievo assorbente che l’attesa della condicio “mette in quiescenza” tutti gli effetti dell’atto e, dunque, apparirebbe quanto meno singolare che, invece, quello relativo alla cessazione del regime di comunione legale operasse immediatamente.
4. Contestuale pendenza di separazione e divorzio: effetti sui cd. provvedimenti de futuro
La riduzione dei termini per accedere al giudizio divorzile tende a provocare, per quanto si è già detto, un maggiore ricorso alle pronunce parziali sullo status per evitare che la durata del procedimento di separazione precluda la proponibilità della domanda di divorzio. Ciò comporta, tuttavia, una frequente (se non ordinaria) co-pendenza del giudizio di separazione e di quello di divorzio. Questa situazione processuale ha effetti di particolare importanza sui provvedimenti cd. de futuro. Il provvedimento “de futuro” è destinato ad avere effetti solo (per l’appunto) per il futuro non potendo modificare la situazione fattuale pregressa. Si tratta, sostanzialmente, delle statuizioni giurisdizionali in materia di esercizio della responsabilità genitoriale (affidamento, collocamento, etc.). Ebbene, non potendosi modificare, per il passato, il contenuto dei rapporti genitoriali, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che, una volta depositato il ricorso di divorzio (e almeno finché questi non abbia provveduto con le misure provvisorie), il giudice della separazione non possa più assumere alcun provvedimento de futuro, appartenendo la relativa competenza al solo giudice divorzile (v. Corte App. Catania, 6 febbraio 2014, Pres. Zappia, est. Russo). Pertanto, una volta depositato il ricorso per divorzio, le parti non potranno più richiedere al giudice della separazione provvedimenti regolativi dell’esercizio della responsabilità genitoriale, dovendo coltivare le relative domande nel processo divorzile.
[4.1]. Il testo originario della legge sul cd. divorzio breve prevedeva espressamente una norma di coordinamento tra procedimento di divorzio e processo di separazione eventualmente ancora pendente: si prevedeva che la causa fosse assegnata allo stesso giudice. Questo addentellato è stato rimosso in corso d’opera poiché mal si conciliava con le varie ipotesi fattuali che potevano verificarsi in concreto: in primis, la sussistenza di un giudizio divorzile facente capo a un altro ufficio giudiziario, in base alla competenza per territorio. Si è quindi rinunciato a una norma generale sul punto. Diversi uffici giudiziari hanno, tuttavia, comunque seguito questa strada con misure limitate al singolo tribunale: si segnalano, in particolare, Milano[9], Roma, Genova, Torino. Il Tribunale di Milano ha inaugurato questa corrente giurisprudenziale con una modifica organizzative adottata il 25 maggio 2015. La Sezione IX civile ha modificato i criteri di riparto interno degli affari prevedendo che, nel caso in cui la domanda di divorzio sia presentata allorché ancora penda il procedimento di separazione giudiziale, il fascicolo sia assegnato al medesimo giudice. Questa scelta sembra, invero, l’unica idonea a garantire una gestione razionale ed efficiente (nonché celere) del contenzioso matrimoniale, sulla scorta delle seguenti ragioni: 1) per quanto si è già osservato, dal momento del deposito del ricorso divorzile (o, comunque, quanto meno dall’adozione dei provvedimenti provvisori ex art. 4 l. div.), il giudice della separazione non può più pronunciarsi sulle questioni genitoriali (cd. provvedimenti de futuro) avendo esclusiva potestas decidendi (sopravvenuta) il solo giudice del divorzio. Si registra, cioè, per quanto riguarda le questioni relative all’esercizio della responsabilità genitoriale, uno “svuotamento” del giudizio di separazione a favore di quello divorzile. Appare, conseguentemente, opportuno che il magistrato investito della trattazione sia il medesimo, quanto meno per evitare che strumenti di tutela dei minori, in itinere, possano subire un arresto o inconvenienti in fatto. Ciò, ovviamente, ferma restando la competenza decisoria del Collegio per l’uno (separazione) e per l’altro caso (divorzio). Questo accorgimento organizzativo, peraltro, agevola una definizione in tempi ragionevoli dei due processi, tenuto conto del sensibile aumento del contenzioso che inevitabilmente si registrerà per effetto della abbreviazione dei termini per l’accesso alla giurisdizione del divorzio. 2) Dal momento del deposito del ricorso divorzile (o, comunque, quanto meno dall’adozione dei provvedimenti provvisori ex art. 4 l. div.), il giudice della separazione non può più pronunciarsi sulle questioni economiche se non con riguardo al periodo compreso tra la data di deposito del ricorso per separazione e la data di deposito del ricorso divorzile, così che anche per tale aspetto appare all’evidenza ragionevole concentrare in capo ad un unico giudice la trattazione dei due procedimenti, al fine di garantirne la più sollecita definizione. Sulla scorta di questi argomenti, i tribunali sopra indicati hanno introdotto, di fatto, un nuovo criterio di assegnazione dei procedimenti divorzili: “per connessione” ex lege 55/2015.
5. Conclusioni
Il Legislatore avrebbe potuto introdurre, come avviene in altri Stati europei, il divorzio cd. diretto. Valgano, al riguardo, le parole di Coulon: «Le divorce est un remède ; la séparation n’est qu’un palliatif»[10].
[1] Testo della relazione tenuta al Corso “Che c’è di nuovo in materia di famiglia e di stato delle persone?” tenuto alla Scuola Superiore della magistratura, il 26 ottobre 2015
[2] Sia consentito citare, in giurisprudenza: Trib. Milano, sez. IX civ., sentenza 3 giugno 2015 (Pres. E. Manfredini, Est. G. Buffone). “Per effetto della legge 55 del 2015, il nuovo art. 191 comma II c.c., in materia di cessazione della comunione legale, si applica a tutte le ordinanze presidenziali ex art. 708 c.p.c. pronunciate dal 26 maggio 2015 in poi, a prescindere dal fatto che il processo sia stato iscritto in data anteriore; la norma, però, non ha effetto retroattivo riguardo, invece, alle ordinanze pronunciate in data anteriore al 26.5.2015”.
[3] Oberto G., «Divorzio breve», separazione legale e comunione legale tra coniugi in www.giacomooberto.com
[4] Tratto da: Buffone, Legge sul divorzio breve in ItaliaOggi, 2015, 18 maggio
[5] Sia consentito citare: Trib. Milano, sez. IX civ., ordinanza 26 maggio 2015 (est. G. Buffone). “Nel caso in cui, in un procedimento di separazione giudiziale, in sede di udienza presidenziale, i coniugi raggiungano un accordo e sia disposta la trasformazione del rito in separazione consensuale, con prosecuzione del rito, in assenza di ordinanza ex art. 708 c.p.c. che autorizzi i coniugi a vivere separati, l’effetto della cessazione della comunione legale decorre dalla sottoscrizione del verbale di separazione consensuale (ciò rileva ai fini dell’onere della pubblicità legale del relativo provvedimento). Pertanto, è il citato verbale e non l’ordinanza di conversione del rito che va comunicato all’ufficiale dello Stato Civile”.
[6] Legge 10 novembre 2014 n. 162: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, recante «misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile»
[7] SESTA, Negoziazione assistita e obblighi di mantenimento nella crisi della coppia, in Fam. dir., 2015, 297. In Dottrina vedi anche Danovi, Il d.l. n. 132/2014: le novità in tema di separazione e divorzio, in Fam. dir., 2014, 952,
[8] In argomento v. Servetti, Lo scioglimento della comunione legale, in Il nuovo diritto di famiglia, Trattato diretto da Ferrando, II, Rapporti personali e patrimoniali, Bologna, 2008,p. 618
[9] Trib. Milano, sez. IX civ., delibera 25 maggio 2015 (Pres. G. Servetti). La Sezione IX del Tribunale di Milano introduce il criterio di assegnazione dei fascicoli di divorzio per “connessione ex lege 55/2015”, con effetto immediato, dalla data del 26 maggio 2015; conseguentemente, la causa di divorzio depositata a partire dalla data del 26.5.2015 verrà assegnata al magistrato investito della trattazione del procedimento di separazione giudiziale ove ancora pendente.
[10] Coulon H., Le divorce et la séparation de corps, I, Paris, 1890, 2.
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