Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 26/10/2015 Scarica PDF
Il divieto di anatocismo e la nuova disciplina degli interessi bancari. Prime osservazioni alla bozza di deliberazione CICR
Paolo Fiorio, Avvocato in TorinoSommario: 1. Premessa - 2. Il nuovo articolo 120 t.u.b. e il divieto di anatocismo - 3. La Delibera CICR nel sistema delle fonti che regolano la produzione di interessi - 4. La struttura e la ratio dell’art. 1283 c.c. nelle sue applicazioni ai rapporti bancari e la compatibilità con l’art. 120 t.u.b. - 5. La proposta di deliberazione: uno sguardo d’insieme - 6. Anatocismo ed interessi di mora - 7. Le convenzioni per l’addebito degli interessi sul conto -7.1. Forma, obblighi di informazione e pratiche elusive? - 8. Le convenzioni preventive e l’imputazione delle rimesse
1. Premessa
Dopo oltre quindici anni di aperto contrasto tra la giurisprudenza ed il legislatore, quando oramai la disciplina degli interessi sugli interessi pareva aver raggiunto un suo quadro normativo stabile, l’articolo 1, comma 629, della Legge 27 dicembre 2013, n. 147 è intervenuto sulla materia, riaprendo i termini del dibattito.
L’art. 120, secondo comma, in vigore fino al 31 dicembre 2013 prevedeva che “Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori”. Tale norma oggi è stata integralmente sostituita dall’articolo 1, comma 629, della Legge 27 dicembre 2013, n. 147 che prevede invece che: “Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori; b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”.
Il 24 agosto 2015, e quindi con quasi 20 mesi di ritardo dall’approvazione della legge 147/2013, la Banca d’Italia ha pubblicato sul proprio sito internet la bozza della Deliberazione attuativa dell’art. 120 t.u.b[1].
La ricostruzione della disciplina legale dell’anatocismo –e più in generale degli interessi nelle attività bancarie- pare preliminarmente richiedere la risposta a due interrogativi: (i) quale sia la corretta interpretazione del nuovo articolo 120 t.u.b., ed in particolare se tale norma abbia introdotto nel nostro ordinamento un divieto di anatocismo e (ii) quali siano i poteri attribuiti al CICR dalla delega contenuta nella norma primaria ed in quali ambiti sia ammissibile l’integrazione della disciplina primaria con quella secondaria.
Affrontate tali questioni di natura preliminare, si potranno svolgere alcune riflessioni sulle regole introdotte con la bozza di delibera per verificarne gli effetti e la rispondenza al rinnovato quadro normativo e ai principi che regolano le obbligazioni pecnuiarie ed i contratti bancari.
2. Il nuovo articolo 120 t.u.b. e il divieto di anatocismo
La giurisprudenza maggioritaria che ha avuto modo di esprimersi sulla portata del nuovo art. 120 t.u.b. ha affermato che, a decorrere dal 1° gennaio 2014, è vietata l’applicazione degli interessi sugli interessi scaduti[2].
Senza poter entrare in questa sede nel dettaglio delle numerose questioni affrontate dai giudici di merito nelle prime applicazioni giurisprudenziali, sembra sufficiente ai nostri fini sottolineare l’argomento che può essere di per sé sufficiente per fornire una corretta interpretazione della norma.
La regola di default vigente nel nostro ordinamento prevede il divieto di anatocismo sancito all’art. 1283 c.c. o meglio la limitazione delle clausole anatocistiche (o di capitalizzazione degli interessi) alle sole ipotesi ivi espressamente previste ovvero, la presenza di una domanda giudiziale o, in alternativa, di una convenzione posteriore allo scadere degli interessi, unitamente al fatto che gli stessi siano dovuti per almeno 6 mesi.
Come appare del tutto evidente, tali condizioni, ed in particolare la posteriorità della convenzione rispetto al sorgere del debito, determinano l’impossibilità di prevedere l’anatocismo nelle condizioni generali dei contratti di conto corrente in quanto sottoscritte necessariamente prima del sorgere del credito.
Ogni eccezione a tale generale divieto deve essere specificamente prevista da una norma primaria di legge, come risulta dalle applicazioni giurisprudenziali succedutesi a partire dal 1999. La disciplina dell’anatocismo bancario si è articolata in tre distinte “epoche”: (i) quella “antica”, precedente al 1° luglio 2000, nella quale, in assenza di usi normativi e di disposizioni speciali per il settore bancario, l’anatocismo era vietato[3]; (ii) quella intermedia nella quale l’anatocismo era permesso ai sensi dell’art. 120 t.u.b., come modificato dal d.lgs 442/99, e della Deliberazione CICR 9 febbraio 2000[4]: (iii) quella attuale ove non è più rinvenibile una norma primaria che, per i contratti bancari, deroghi all’art. 1283 c.c.
L’anatocismo è stato quindi ammesso nel nostro ordinamento nel solo periodo compreso tra l’entrata in vigore della Delibera CICR (luglio 2000), attuativa del secondo comma dell’art. 120 t.u.b., introdotto come si è detto dal d.lgs 342/99, e il 1° gennaio 2014, data di entrata in vigore della l. 147/2013, che ha abrogato tale norma, facendo rivivere anche in materia bancaria l’art. 1283 c.c[5].
Questa pare infatti la conclusione obbligata conseguente all’affermarsi dell’orientamento oramai del tutto pacifico nella giurisprudenza di legittimità anche a Sezioni Unite che ha negato che nel nostro ordinamento siano ravvisabili usi normativi che consentano, nel settore bancario, la deroga all’art. 1283 c.c. Proprio la degradazione degli usi da normativi a negoziali ha segnato l’uscita di scena dell’anatocismo quale effetto della capitalizzazione trimestrale degli interessi maturati. Ogni clausola di capitalizzazione contenuta nelle condizioni generali di contratto di conto corrente è quindi in contrasto con l’art. 1283 c.c. e conseguentemente nulla ex art. 1418 c.c.
Il Nuovo articolo 120 t.u.b. ha sostituito il precedente secondo comma con una disposizione del tutto nuova: con la legge 27 dicembre 2013 n. 147 (Legge di stabilità 2014) si è previsto al comma 629: “All’art 120 del testo unico di cui al decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385, il comma 2 è sostituito dal seguente: (…)”. Pare quindi doversi ritenere che il precedente art. 120 t.u.b., secondo comma, sia stato abrogato in quanto sostituito dalla nuova disposizione[6].
Prima ancora di entrare nel merito delle direttive che il legislatore ha fornito al CICR [secondo comma lett. a) e b)], si deve quindi ritenere che la sostituzione del vecchio art. 120 t.u.b. – che demandava al CICR di regolare “modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi”, faccia venire meno quella che è stata efficacemente definita la riserva di anatocismo bancario[7], parificando così il credito da interessi della banca con quello di ogni altro creditore.
In tal senso in giurisprudenza si è infatti precisato che mentre in precedenza la norma primaria ha delegato all’organo amministrativo di stabilire le modalità per la produzione di interessi sugli interessi, ora si limita ad incaricare il CICR di stabilire le modalità di produzione degli interessi nelle operazioni bancarie. L’eliminazione di ogni riferimento alla produzione di interessi sugli interessi farebbe rivivere il divieto generale di anatocismo posto dall’art. 1283 c.c, con la logica conseguenza che, anche nelle operazioni bancarie, non è più consentito calcolare interessi su interessi[8].
A tali conclusioni pare esser giunta non solo la giurisprudenza prevalente e la dottrina[9], ma anche l’Autorità di Vigilanza che lo scorso 15 luglio ha pubblicato la versione aggiornata della propria circolare, Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti al fine di “recepire innovazioni normative intervenute negli ultimi anni, realizzare una semplificazione dei documenti informativi e fornire chiarimenti sulla disciplina attuale”. Tra le innovazioni normative per le quali la Banca d’Italia ha apportato modifiche alla propria precedente circolare del 2009 è compreso anche il nuovo articolo 120 t.u.b. La principale modifica consiste nell’eliminazione di ogni riferimento alla capitalizzazione degli interessi nei rapporti regolati in conto corrente ed alla Delibera Cicr 9 febbraio 2000. Tale scelta trova conferma anche nell’allegato 4 A (“Prototipo di foglio informativo di contratto di conto corrente offerto ai consumatori”) ove è stato conseguentemente e coerentemente eliminato il riferimento all’indicazione della periodicità della capitalizzazione e, dalla legenda, è stata espunta la stessa definizione di “capitalizzazione degli interessi”.
Anche l’art. 3 della proposta di deliberazione CICR attualmente in consultazione ribadisce il divieto di anatocismo previsto nella norma primaria di riferimento: “Nelle operazioni indicate dall’articolo 2, comma 1, gli interessi maturati non possono produrre interessi”. La relazione di accompagnamento aderisce apertamente all’orientamento del Tribunale di Milano[10] ritenendo che la novella in esame vieti ogni forma di anatocismo in precedenza ammessa in forza dell’art. 120 t.u.b. e della Deliberazione CICR del 9 febbraio 2000. In particolare nel documento per la consultazione viene precisato che l’intenzione del legislatore, quale emerge dall’esame dei lavori parlamentari, era quella di stabilire “l’improduttività degli interessi composti”, onde “mettere la parola fine a un comportamento riconosciuto illegittimo dalla giurisprudenza, ma costantemente tollerato dal legislatore”. Proprio con riferimento al divieto di anatocismo sancito all’art. 3 della proposta di delibera, la relazione di accompagnamento predisposta dalla Banca d’Italia e dal Ministero dell’Economia precisa che: “La norma - di portata generale in quanto applicabile a tutte le operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito tra intermediari e clienti - pone la regola fondamentale del divieto di produzione di interessi anatocistici”.
3. La Delibera CICR nel sistema delle fonti che regolano la produzione di interessi
Una volta appurato che la norma in analisi ha abrogato la riserva di anatocismo bancario, resta da verificare quali siano i limiti e le coordinate entro le quali l’emananda delibera del CICR potrà regolare la materia della produzione di interessi sugli interessi nelle operazioni bancarie.
L’art. 120 t.u.b. nella sua attuale formulazione, ha una duplice natura: (i) da un lato, sostituendo la disposizione precedente, opera tra i privati, eliminando la riserva di anatocismo e “rimettendo in gioco” l’art. 1283[11]; (ii) dall’altro è norma diretta al CICR al quale è affidata la disciplina secondaria della materia (“Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria”).
A fronte di una delega assai ampia (non più la disciplina della produzione degli interessi sugli interessi, ma la stessa “produzione di interessi”), il legislatore ha espressamente individuato solo due principi al quale dovrà “in ogni caso” attenersi la delibera: “a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori; b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”.
La prescrizione di cui alla lettera a), riproduttiva dell’analoga regola precedente, non ha suscitato particolari problemi interpretativi anche perché relativa ad un fenomeno economicamente marginale, data la misura, sempre prossima allo zero, degli interessi sui saldi attivi dei conti correnti[12].
Discorso opposto vale invece per la prescrizione di cui alla lett. b) che ha visto contrapporsi l’interpretazione pressoché univoca della giurisprudenza[13] ad oggi pronunciatasi e quella fornita da alcuni commentatori che hanno in diverso modo tentato di dare una lettura della norma compatibile con l’anatocismo[14].
Le prime decisioni giurisprudenziali hanno infatti messo in evidenza che la formulazione, non particolarmente felice della norma, che fa riferimento agli “interessi periodicamente capitalizzati” e “alle successive operazioni di capitalizzazione”, non può consentire alcuna letturache ammetta l’anatocismo. Tali tentativi si scontrerebbero in ogni caso con il dato letterale ed incontrovertibile secondo cui gli interessi sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale[15]. Si è infatti rilevato che il termine capitalizzazione è utilizzato in un’accezione atecnica[16], e non può che aver altro significato di conteggio o di computo[17].
Tale interpretazione è seguita anche dalla relazione alla bozza della proposta di delibera del CICR: “In coerenza con la già ricordata intenzione del legislatore (quale emerge anche dai lavori parlamentari), si è ritenuto dunque che l’espressione “capitalizzazione” possa essere interpretata come sinonimo di“conteggio o contabilizzazione”.
Si deve quindi concludere che nel nuovo articolo 120 t.u.b., non solo l’abrogazione della riserva bancaria conseguente alla sostituzione della vecchia norma, ma anche la (più specifica) direttiva data al CICR ai sensi della lett. b) impone al legislatore secondario di recepire il divieto di anatocismo enunciato nelle fonti primarie.
Individuato tale primo paletto quale limite intrinseco ai poteri regolamentari dell’emananda deliberazione, si deve verificare quali possano essere gli ambiti nei quali, al di là del divieto di anatocismo, siano ammissibili regole relative alla produzione degli interessi bancari, atteso che la “delega” contenuta nella norma primaria appare assai ampia consentendo interventi su “modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria”.
Proprio la giurisprudenza che si è espressa sui limiti dei poteri normativi del CICR ha ritenuto e ribadito l’elementare principio per cui la regolazione secondaria non può in alcun modo dettare regole contrarie alle norme primarie di legge[18]. Si deve pertanto ritenere che la Delibera non possa contenere disposizioni contrarie ad ogni norma di legge applicabile sia di diritto comune (si pensi alle disposizioni ed ai principi generali contenuti nel codice civile con riguardo alle obbligazioni pecuniarie, all’anatocismo, e ai contratti bancari), sia contenuta nel t.u.b.
Tale conclusione pare del tutto in linea con i più basilari principi che regolano nel nostro ordinamento i rapporti gerarchici tra le fonti del diritto. In mancanza di una specifica norma primaria che consenta di derogare ad altre norme di pari grado ad opera della disciplina secondaria[19], le fonti sottoordinate non possono apportarvi alcuna deroga, introdurre disposizioni di diritto transitorio, né tantomeno fornire un’interpretazione alle norme di legge. In tale contesto la disciplina secondaria può quindi riempire eventuali vuoti normativi, intervenendo su quegli aspetti non regolamentati e lasciati all’autonomia delle parti[20].
In tal senso ha trovato conferma in giurisprudenza la posizione espressa dal Tribunale di Milano[21] il quale, per affermare l’immediata applicabilità della norma, ha osservato che l’emananda deliberazione del CICR può regolare le precise modalità di conteggio, rendicontazione e pagamento degli interessi con il solo rispetto delle norme imperative poste a tutela della clientela[22].
Nell’analizzare la bozza della Deliberazione del CICR è quindi necessario verificare se la disciplina secondaria recepisca correttamente il divieto di anatocismo e se contrasti con altre regole primarie applicabili alla produzione degli interessi bancari.
La prima questione da affrontare è se l’art. 120 t.u.b. deroghi l’art. 1283 c.c. prevedendo un divieto assoluto di anatocismo, o se invece la norma codicistica sia applicabile anche ai rapporti bancari.
In assenza di un specifica, quanto auspicabile, indicazione da parte del legislatore, pare necessario verificare se le finalità sottese alle due norme possano essere tra loro compatibili.
4. La struttura e la ratio dell’art. 1283 c.c. nelle sue applicazioni ai rapporti bancari e la compatibilità con l’art. 120 t.u.b
Esclusa l’esistenza nel settore bancario di usi normativi che consentano l’anatocismo, ai sensi dell’art. 1283 c.c. gli interessi possono produrre nuovi interessi in presenza di una domanda giudiziale o di una convenzione. In entrambi i casi gli interessi devono essere <<scaduti>> e <<dovuti per almeno sei mesi>>. L’anatocismo è possibile solo in conseguenza di una domanda giudiziale o di una convenzione successiva alla scadenza dell’obbligazione accessoria[23].
Appare subito evidente come l’art. 1283 c.c. rappresenti una deroga al generale principio di produttività del danaro sancito all’art. 1282 c.c. In assenza della norma in esame, infatti, gli interessi, una volta divenuti esigibili, dovrebbero essere trattati alla stregua di qualsiasi obbligazione pecuniaria, fungendo da capitale sul quale conteggiare nuovi interessi.
In dottrina si è rilevato che il requisito della domanda giudiziale risponde all’esigenza di porre il debitore nella condizione di conoscere gli effetti economici derivanti dal mancato adempimento dell’obbligazione che comporta non solo il pagamento degli interessi maturati, ma anche di quelli derivanti dalla loro capitalizzazione[24]. Il divieto di pattuizioni anteriori alla scadenza è invece diretto ad evitare che il debitore, al momento della conclusione del contratto, specialmente se di natura creditizia, possa trovarsi nella condizione di dover accettare tali onerose clausole pena non ottenere la concessione di credito richiesto[25].
La ratio sottesa al limite temporale semestrale, in forza del quale gli interessi, per essere produttivi di nuovi interessi, devono essere scaduti e dovuti da almeno sei mesi, viene invece ricondotto all’esigenza di protezione del debitore che può essere sottoposto ad un effetto anatocistico tanto più intenso quanto più breve sia il periodo decorrente tra la scadenza degli interessi e la loro capacità di produrre nuovi interessi[26].
Il divieto, o meglio le limitazioni sancite all’art. 1283 c.c. paiono così avere due generali finalità: (i) limitare tale pratica in quanto potenziale ed incontrollabile moltiplicatore dell’obbligazione pecuniaria[27] per limitare i rischi di usura; (ii) rafforzare la trasparenza sui costi reali delle operazioni, particolarmente sentita in ambito bancario, anche per consentire un più agevole raffronto tra le condizioni economiche praticate dalle banche e promuovere la concorrenza nel settore.
Proprio queste sembrano le linee di fondo che, a partire dagli anni ’90, hanno caratterizzato l’elaborazione giurisprudenziale e gli interventi normativi nel settore bancario.
La svolta della Cassazione, sulla natura negoziale degli usi anatocistici, si deve principalmente alla espressa presa di coscienza dell’asimmetria che connota il rapporto banca-cliente, che ha portato i giudici di legittimità a censurare le sperequazioni derivanti da operazioni non negoziate, non negoziabili ed imposte dal contraente forte in danno del contraente debole[28]. Limitare i margini di manovra dell’autonomia contrattuale nella predisposizione delle condizioni generali di contratto ed ammettere la convenzione anatocistica solo successivamente all’insorgere del credito impone infatti alle parti la negoziazione delle condizioni economiche applicabili che, pur non eliminando le disparità di forze in campo, può riequilibrare le dinamiche negoziali[29].
La reintroduzione del divieto di anatocismo anche nel settore bancario è poi in linea con le finalità degli interventi legislativi succedutisi dopo il 2000[30] e diretti ad assicurare la trasparenza e una più immediata percepibilità delle forme di remunerazione del credito, quale presupposto per incentivare la concorrenza conseguente ad una più agevole confrontabilità delle condizioni economiche praticate dalle banche[31]. Da questo angolo visuale si può ritenere che la contabilizzazione separata degli interessi maturati, specialmente se conteggiati su base annuale, possa rendere più facilmente percepibile il costo effettivo del credito rispetto a quanto avveniva in precedenza con la capitalizzazione ed il conseguente “effetto ottico” che portava a mimetizzare il credito concesso con gli interessi maturati[32].
Si può quindi ritenere che le finalità di tutela del cliente – debitore quale parte debole del rapporto, la promozione della trasparenza quale presupposto per la confrontabilità delle offerte possano convivere con le due residue ipotesi in cui è ammesso l’anatocismo ai sensi dell’art. 1283 c.c. che fuoriescono dall’automatismo nell’applicazione di condizioni contrattuali con effetti non facilmente comprensibili dal cliente medio.
La lettera e la ratio dell’attuale art. 120, t.u.b. non possono quindi portare a ritenere vigente un divieto di anatocismo, per così dire assoluto[33], anche in deroga al disposto dell’art. 1283 c.c. La norma pare infatti voler eliminare il privilegio accordato tra il 1999 ed il 2013 agli intermediari creditizi con la riserva di anatocismo bancario, senza arrivare a delineare un regime di maggior sfavore rispetto agli altri creditori che non sarebbe giustificabile in assenza di un’espressa indicazione e, soprattutto, in ragione della ratio sottesa alle ipotesi di ammissibilità dell’anatocismo ai sensi dell’art. 1283 c.c[34].
L’opposta soluzione che vedesse un divieto assoluto nell’art. 120 t.u.b. arriverebbe all’eccesso di impedire anche la richiesta degli interessi sugli interessi con domanda giudiziale, ponendo per altro in serio dubbio la legittimità delle operazioni di ristrutturazione del debito, frequentemente utilizzate nelle situazioni di sovraindebitamento che potrebbero essere consentite, senza distinzione tra quota capitale e interessi, solo applicando l’art. 1283 c.c.
Chiarita la ratio delle limitate e residue ipotesi di ammissibilità in base alla norma codicistica, non pare potersi affermare che un’applicazione dell’art. 1283 c.c. al settore bancario, limitatamente alla domanda giudiziale ed alle convenzioni successive all’insorgere del debito, e quindi fatto salvo il divieto di introdurre clausole con effetti anatocistici nelle condizioni generali di contratto, possa porsi in evidente contrasto con le intenzioni del novellato art. 120 t.u.b.
5. La proposta di deliberazione: uno sguardo d’insieme
La proposta di delibera contiene (i) alcune norme applicabili a tutte le operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito tra intermediari e clienti (artt. 2 e 3) e (ii) una serie di disposizioni specifiche per i “rapporti regolati in conto corrente, conto di pagamento e finanziamenti a valere su carte di credito” (art. 4).
Le norme generali toccano tre distinti aspetti:
(a) all’art. 3 viene ribadito il divieto di anatocismo (“Nelle operazioni indicate dall’articolo 2, comma 1, gli interessi maturati non possono produrre interessi”):
(b) il richiamo alle disposizioni del codice civile per gli interessi moratori (art. 2, co. 3) e
(c) l’imputazione dei pagamenti, con il richiamo all’art. 1194 c.c. (art. 2, co. 4).
Le disposizioni speciali (applicabili ai conti correnti, conti di pagamento e finanziamenti a valere sulle carte di credito) sono molto più dettagliate e riguardano svariati profili della disciplina:
(a) per il computo degli interessi, l’art. 4, co. 2, con una disposizione nuova, impone “la stessa periodicità, comunque non inferiore a un anno, nel conteggio degli interessi creditori e debitori”, precisando che “gli interessi sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, comunque, al termine del rapporto per cui sono dovuti; per i contratti stipulati nel corso dell’anno, il conteggio è effettuato il 31dicembre”;
(b) la contabilizzazione (art. 4, co. 3) che deve assicurare la separazione tra interessi e capitale; in tale contesto viene nuovamente precisato il divieto di anatocismo: “il saldo periodico della sorte capitale produce interessi nel rispetto di quanto stabilito dal presente articolo”;
(c) l’esigibilità degli interessi, subordinata ai sensi dell’art. 4 co. 4 al “decorso un termine di sessanta giorni dal ricevimento da parte del cliente dell’estratto conto inviato ai sensi dell’articolo 119 del TUB o delle comunicazioni previste ai sensi dell’articolo 126-quater, comma 1, lettera b), del TUB”, fatta salva la previsione di termini diversi, se a favore del cliente;
(d) il pagamento degli interessi che può seguire due distinte modalità:
(d1) la convenzione successiva con la quale “decorso il termine di sessanta giorni, o quello superiore eventualmente stabilito, il cliente può autorizzare l’addebito degli interessi sul conto o sulla carta; in questo caso, la somma addebitata”è considerata sorte capitale” (art. 4, co. 4 ultimo periodo);
(d2) la convenzione preventiva che consenta l’imputazione delle rimesse effettuate sul conto: ai sensi dell’art. 4 co. 5 “il contratto può stabilire che, dal momento in cui gli interessi sono esigibili, i fondi accreditati sul conto dell’intermediario e destinati ad affluire sul conto del cliente sul quale è regolato il finanziamento siano impiegati per estinguere il debito da interessi”;
e) la chiusura definitiva del rapporto (art. 4. Co. 6: “il saldo relativo alla sorte capitale può produrre interessi, se contrattualmente stabilito; quanto dovuto a titolo di interessi non produce ulteriori interessi”).
Come emerge dalla relazione di accompagnamento e dal documento sull’impatto economico, la bozza di delibera cerca di bilanciare due distinte esigenze: (i) a tutela della clientela, il rispetto del divieto di anatocismo ed una maggiore trasparenza nell’esposizione degli oneri conseguenti agli interessi e (ii) a tutela del sistema bancario, agevolare l’estinzione del debito da interessi.
La Banca d’Italia manifesta infatti la preoccupazione “che l’applicazione del divieto di anatocismo si risolva, per le banche, nell’impossibilità economico-finanziaria di erogare i servizi della specie e, per i clienti che non abbiano i fondi, nella difficoltà di pagare immediatamente gli interessi maturati”.
Le modalità di pagamento degli interessi vengono giustificate quali rimedi alla situazione in cui, non potendosi, pena la violazione del divieto di capitalizzazione, estinguere il debito con addebito sul conto incapiente, il debitore dovrebbe provvedere al pagamento in contanti o con bonifico da altra banca, soluzione reputata potenzialmente difficoltosa (il cliente potrebbe non avere a disposizione il denaro) e costosa (se il cliente deve aprire un conto presso altro intermediario). Preoccupazioni analoghe sono manifestate anche nella Relazione sull’analisi d’impatto predisposta dalla Banca d’Italia la quale ha ritenuto inopportuna la previsione dell’esigibilità degli interessi solo alla chiusura del rapporto che si tradurrebbe in “un’eccessiva onerosità per le banche creditrici, anche in relazione alla circostanza che il conto potrebbe essere chiuso dopo un periodo molto lungo. Tale onerosità potrebbe verosimilmente indurre le banche a non offrire più il prodotto delle aperture di credito a tempo indeterminato, per privilegiare invece la concessione di operazioni di credito a tempo”.
Così delineate le regole primarie applicabili si possono analizzare le soluzioni individuate nella bozza di delibera sopra descritte per verificarne la legittimità, la portata e gli effetti.
6. Anatocismo ed interessi di mora
La prima questione sulla quale è necessario spendere qualche considerazione riguarda la rilevanza, ai fini dell’applicazione dell’art. 1283 c.c., degli interessi moratori.
Tale problema si è già posto in passato per i contratti di mutuo strutturati secondo lo schema che prevede che ogni rata sia composta da una quota di capitale ed una di interessi, determinate secondo il piano di ammortamento (detto anche alla francese). In caso di inadempimento le clausole contrattuali, considerando le singole rate come un unicum inscindibile[35], prevedono spesso l’applicazione degli interessi di mora sull’intera rata e quindi anche sulla quota relativa ad interessi.
Tali clausole, così come quelle di capitalizzazione nei contratti di conto corrente, sono state ritenute illegittime dalla Cassazione[36] che negato anche per i mutui l’esistenza di usi negoziali[37]. La Delibera CICR 9 febbraio 2000 ha legittimato tale prassi, prevedendo che “in caso di inadempimento del debitore l'importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica”.
Come affermato in maniera pressoché unanime in tutte le prime decisioni giurisprudenziali, l’abrogazione del vecchio articolo 120 t.u.b., e l’introduzione del divieto di anatocismo, hanno determinato l’inefficacia della Delibera CICR 9 febbraio 2000 in quanto contraria alle norme primarie applicabili (artt. 120 t.u.b. e 1283 c.c.)[38].
Mentre il testo della proposta di delibera si limita ad un generico quanto inutile richiamo delle norme di diritto comune (cfr. art. 2, terzo comma: “per la produzione degli interessi moratori si applicano le disposizioni del codice civile”), per altro non indicate, la relazione di accompagnamento entra nel merito del problema rilevando che l’art. 120, co. 2, TUB disciplina gli “interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria”, ma non specifica se detti interessi siano solo quelli aventi funzione di remunerazione del capitale (interessi corrispettivi) o anche quelli con finalità risarcitoria (interessi moratori). Alcune considerazioni depongono nel senso di riferire la disposizione ai soli interessi corrispettivi:- sul piano giuridico formale, manca una deroga esplicita al principio generale in base al quale è dovuto un risarcimento a fronte di un inadempimento (art. 1218 cod. civ)[39]”.
La relazione di accompagnamento alla bozza di delibera suscita non poche perplessità in quanto non pare considerare l’art. 1283 c.c., come interpretato dalla Cassazione.
Si deve innanzitutto valutare se sia corretto affermare che “sul piano giuridico formale, manca una deroga esplicita al principio generale in base al quale è dovuto un risarcimento a fronte di un inadempimento (art. 1218 cod. civ.)”. La relazione non si occupa infatti in alcun modo di verificare se l’art. 1283 c.c. possa rappresentare una deroga al principio generale sancito agli artt. 1218 e1224 c.c., applicandosi anche agli interessi moratori.
Pare che la Banca d’Italia ignori l’orientamento pacifico della giurisprudenza di legittimità[40] che in diverse occasioni ha affermato in termini generali che, per tutte le obbligazioni aventi ad oggetto originario il pagamento di una somma di denaro sulla quale spettino interessi di qualsiasi natura, è applicabile, in mancanza di usi contrari, la regola dell'anatocismo dettata dall'art. 1283 c.c., dovendosi escludere che il debito per interessi, anche quando sia stata adempiuta l'obbligazione principale, si configuri come una qualsiasi obbligazione pecuniaria, dalla quale derivi il diritto agli ulteriori interessi dalla mora nonché al risarcimento del maggior danno ex art. 1224 c.c., comma 2.
In particolare la Sezioni Unite (Cass., sez. un., n. 9653 del 2001) hanno affermato che “il debito per interessi (anche quando sia stata adempiuta l'obbligazione principale) non si configura come una qualsiasi obbligazione pecuniaria, dalla quale derivi il diritto agli ulteriori interessi dalla mora nonché al risarcimento del maggior danno ex art. 1224 comma 2 cod. civ., ma resta soggetto alla regola dell'anatocismo di cui all'art. 1283 cod. civ., derogabile soltanto dagli usi contrari ed applicabile a tutte le obbligazioni aventi ad oggetto originario il pagamento di una somma di denaro sulla quale spettino interessi di qualsiasi natura, compresi quelli di cui agli artt. 35 e 36 del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063”.
Tali principi, come sopra ricordato, sono applicati pacificamente dalla giurisprudenza di legittimità per dichiarare la nullità delle clausole, precedenti alla Delibera CICR 9 febbraio 2000, che prevedevano l’obbligo di corrispondere gli interessi di mora anche sulla quota di interessi delle rate dei mutui[41].
Pare quindi corretto concludere che, abrogata la riserva di anatocismo bancario, anche l’applicazione degli interessi di mora è soggetta al divieto di cui all’art. 1283 c.c[42].
L’orientamento giurisprudenziale richiamato porta infatti a ritenere che l’art. 2, terzo comma della proposta di delibera, ai sensi del quale “per la produzione degli interessi moratori si applicano le disposizioni del codice civile”, debba essere interpretato come una conferma dell’applicabilità del divieto di anatocismo anche agli interessi di mora relativi alla quota di interessi delle rate non pagate dei contratti di mutuo. Del resto, soluzione opposta a quella che emerge dalla relazione di accompagnamento è seguita per i contratti regolati in conto corrente per i quali l’art. 4 co. 6 prevede che: “In caso di chiusura definitiva del rapporto, il saldo relativo alla sorte capitale può produrre interessi, se contrattualmente stabilito; quanto dovuto a titolo di interessi non produce ulteriori interessi”. In caso di chiusura definitiva del rapporto di conto corrente sul saldo finale sono infatti dovuti, se previsti nel contratto, gli interessi di mora che però maturano solo sulla quota di capitale e non sugli interessi. Tale regola, conforme all’art. 1283 c.c., deve certamente valere per tutti i rapporti bancari, compresi i mutui e ogni finanziamento con rimborso rateale[43].
La relazione di accompagnamento alla delibera fornisce un facile, ma inconsistente, appiglio per avvalorare interpretazioni contrarie all’applicabilità dell’art. 1283 c.c. anche agli interessi di mora. Per evitare un possibile contenzioso sulla materia, sarebbe pertanto opportuno esplicitare che il divieto di anatocismo riguarda anche gli interessi di mora.
7. Le convenzioni per l’addebito degli interessi sul conto
L’art. 4, co. 4 della bozza di delibera, per i contratti di conto corrente, conto di pagamento e per i finanziamenti a valere su carte di credito, prevede che, decorso il termine di sessanta giorni a partire dal quale gli interessi sono considerati esigibili, “il cliente può autorizzare l’addebito degli interessi sul conto o sulla carta; in questo caso, la somma addebitata è considerata sorte capitale”.
La prima modalità di pagamento degli interessi scaduti consiste quindi nella conclusione di un accordo di capitalizzazione degli interessi[44] che vengono stornati dalla scritturazione contabile separata ed imputati sul conto principale, determinando una riduzione della provvista disponibile ed un incremento del credito utilizzato sul quale inizieranno a decorrere gli interessi pattuiti. L’accordo tra la banca ed il cliente, almeno secondo le intenzioni della proposta di delibera, dovrebbe determinare la mutazione della natura dell’obbligazione di pagamento della quota di interessi da accessoria a principale[45].
Si è visto che l’art. 1283 c.c. ammette le convenzioni anatocistiche al ricorrere di due requisiti: (i) la posteriorità rispetto alla scadenza degli interessi e (ii) “sempre che si tratti di interessi dovuti per almeno sei mesi”.
Una volta ritenuto che il nuovo articolo 120 t.u.b. non introduca un divieto assoluto di anatocismo per i soli contratti bancari, non pare potersi dubitare della legittimità delle convenzioni anatocistiche successive al sorgere del credito purché conformi all’art. 1283 c.c.
Le convenzioni anatocistiche cui fa riferimento l’art. 4, co. 4 della proposta di delibera sono senz’altro successive al sorgere del credito in quanto possono intervenire solo successivamente alla chiusura annuale e al decorso del termine di sessanta giorni dalla comunicazione dell’estratto conto al quale è subordinata l’esigibilità degli interessi.
Maggiori problemi suscita, invece, la verifica dell’ulteriore requisito della “debenza ultrasemestrale”: le convenzioni in oggetto possono infatti essere stipulate non appena gli interessi siano esigibili, ovvero decorsi sessanta giorni dalla comunicazione dell’estratto conto.
Per analizzare la portata della disposizione in esame pare necessario distinguere i concetti di maturazione, contabilizzazione ed esigibilità degli interessi destinati a maturare nei rapporti di conto corrente, non rinvenibili all’art. 1283 c.c.
Si ritiene generalmente che la maturazione degli interessi sia regolata dall’art. 821 c.c. che prevede che “i frutti civili si acquistano giorno per giorno in ragione della durata del diritto”[46]. Distinta dalla maturazione degli interessi è la loro contabilizzazione che rende l’obbligazione liquida. La periodicità di chiusura dei conti e di contabilizzazione degli interessi maturati nel relativo periodo non è attualmente regolata da fonti primarie o secondarie e viene lasciata alle condizioni generali di contratto che, come noto, prevedono la chiusura e la capitalizzazione trimestrale. La proposta di delibera, come si è visto, interviene su tale aspetto con una disposizione nuova che impone la chiusura annuale del conto. Analoghe considerazioni possono valere per l’individuazione del momento di esigibilità degli interessi, anch’essa lasciata ad oggi all’autonomia contrattuale ed alle clausole di capitalizzazione trimestrale. Anche sotto questo profilo la proposta di delibera, per assegnare al debitore un congruo termine per il pagamento degli interessi, prevede con una soluzione innovativa un termine minimo, derogabile solo a vantaggio del cliente, di sessanta giorni dalla comunicazione con la quale vengano quantificati gli interessi dovuti per l’anno precedente.
Nell’interpretazione dell’art. 1283 c.c. sono emerse due differenti letture: alcuni hanno ritenuto che il requisito in oggetto debba essere ricondotto alla maturazione degli interessi che così dovrebbero essere accumulati per almeno sei mesi[47], altri hanno invece sostenuto che la maturazione sia requisito insufficiente in quanto gli interessi dovrebbero essere dovuti, ovvero esigibili da almeno sei mesi[48].
Le finalità di tutela del cliente debitore sottostanti alle nuove regole di contabilizzazione ed esigibilità degli interessi paiono oggi confermare l’orientamento prevalente in dottrina[49] e giurisprudenza[50] che, con riferimento all’art. 1283 c.c., ha affermato che la lettera della legge evoca il concetto di debenza che non coincide né con la maturazione né con la contabilizzazione degli interessi ma con il verificarsi di tutte le circostanze al ricorrere delle quali l’ordinamento giuridico consente al creditore di esigerne il pagamento.
Se si considera che la proposta di delibera ha il chiaro intento di uniformare le modalità di contabilizzazione e di esigibilità degli interessi e, nel contempo, di assegnare un congruo termine al debitore per adempiere, e, se si tiene conto che anche l’art. 1283 c.c. impone a tutela del debitore un termine semestrale non inferiore a sei mesi proprio per limitare l’effetto moltiplicatore delle clausole anatocistiche, pare debba trovare conferma l’indirizzo maggioritario che ritiene irrilevante la sola maturazione e l’accumulo, richiedendo invece che gli interessi siano esigibili da almeno un semestre[51].
Si deve quindi concludere che, ai sensi dell’art. 1283 c.c., i cui principi sono oggi confermati e rafforzati dal nuovo regime di contabilizzazione e di esigibilità degli interessi delineato nella bozza di delibera, le convenzioni anatocistiche possono riguardare solo gli interessi dovuti, ovvero divenuti esigibili, da almeno sei mesi. Anche sotto questo profilo la bozza della delibera non pare quindi conforme alle norme primarie e, se approvata nella formulazione proposta, potrà essere disapplicata dal giudice civile con conseguente nullità delle convenzioni intercorse prima del decorso di un semestre dall’esigibilità degli interessi.
7.1. Forma, obblighi di informazione e pratiche elusive?
La proposta di delibera è del tutto silente sulla forma delle autorizzazioni previste dall’attuale art. 4 co. 4 e sugli obblighi di informazione richiesti agli intermediari per dare esecuzione all’addebito in conto. Non viene prestata nemmeno alcuna attenzione alle possibili pratiche elusive per aggirare il divieto previsto dall’art. 120 t.u.b.
I contratti bancari devono rispettare la forma scritta prevista dall’art. 117 t.u.b. Tale norma è applicabile a tutti i contratti e, ai sensi dell’art. 1324 c.c., a tutti gli atti unilaterali a contenuto patrimoniale quali le autorizzazione all’addebito degli interessi in conto da parte del cliente.
Sarebbe opportuno che la delibera esplicitasse che l’autorizzazione in conto debba rivestire la forma scritta ex art. 117 t.u.b[52].
Lo sfavore per le convenzioni anatocistiche che ispira l’art. 120 t.u.b. e l’art. 1283 c.c. e gli effetti potenzialmente dannosi per il cliente conseguenti all’espansione del debito, richiedono che le autorizzazioni siano consapevoli ed informate a seguito di una corretta valutazione della situazione creditizia del cliente, al di là di ogni meccanismo formale quale la specifica sottoscrizione ex art. 1341 c.c (per altro nemmeno prevista nella proposta)[53].
L’art. 124 t.u.b., primo comma, impone all’intermediario di fornire al consumatore le informazioni necessarie per “prendere una decisione informata e consapevole in merito alla conclusione di un contratto di credito”. Il quinto comma specifica che le informazioni devono essere finalizzate a permettere di “valutare se il contratto di credito sia adeguato alle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria”, e riguardano, le caratteristiche essenziali dei prodotti proposti e gli effetti specifici che possono avere sul consumatore, incluse le conseguenze del mancato pagamento”.
Considerata la peculiarità della situazione nella quale può intervenire l’autorizzazione del cliente all’addebito sul conto degli interessi non pagati (mancato pagamento per oltre 6 mesi degli interessi maturati nell’anno precedente) che può essere sintomo della necessità di valutare la complessiva situazione creditizia, è necessario che l’intermediario, per consentire una decisione informata e consapevole del cliente, fornisca le informazioni sulle“caratteristiche” dell’autorizzazione e sugli effetti specifici che questa può avere sul consumatore, incluse le conseguenze del mancato pagamento.
La riapertura di uno spazio negoziale nel rapporto banca cliente richiede infatti il superamento degli automatismi conseguenti all’applicazione delle clausole di capitalizzazione preventiva previste nelle condizioni generali di contratto. La consapevolezza del cliente sulle caratteristiche e sugli effetti dell’addebito sul conto degli interessi scaduti e non pagati, e soprattutto sull’adeguatezza della propria complessiva situazione creditizia, può incentivare un rapporto improntato ad un maggior livello di responsabilità delle parti, anche in un ottica di “educazione finanziaria” della clientela
Affinché l’autorizzazione sia consapevole ed effettiva devono essere espressamente vietate le clausole, inserite nelle condizioni generali di contratto, che in caso di mancata autorizzazione del cliente, consentano alla banca di recedere unilateralmente dal contratto o di risolverlo a prescindere dall’importanza dell’inadempimento.
Per evitare un ritorno surrettizio alla capitalizzazione trimestrale sarebbe poi necessario regolare la concessione di affidamenti a brevissimo (tre o sei mesi) continuamente prorogati e privi di una effettiva giustificazione (che potrebbero quindi essere riqualificati come a tempo indeterminato) che consentissero alla banca di addebitare in altro conto i saldi a debito del cliente, facendo così decorrere gli interessi anche sulla parte del debito relativa agli interessi[54].
8. Le convenzioni preventive e l’imputazione delle rimesse
La delibera, come si è accennato, individua una seconda modalità per agevolare il pagamento degli interessi qualora il conto corrente sia a debito e quindi il cliente non disponga della provvista necessaria per il pagamento degli interessi divenuti esigibili, prevedendo all’art. 4 co. 5 che “il contratto può stabilire che, dal momento in cui gli interessi sono esigibili, i fondi accreditati sul conto dell’intermediario e destinati ad affluire sul conto del cliente sul quale è regolato il finanziamento siano impiegati per estinguere il debito da interessi”. Tale disposizione è da leggere congiuntamente all’art. 2, co. 4, applicabile a tutti i rapporti bancari, che richiama l’art. 1194, secondo comma, c.c. ai sensi del quale “il pagamento fatto in conto capitale e interessi deve essere imputato prima agli interessi”.
Tale modalità di pagamento, già prospettata seppur a livello di obiter dictum da una decisione di merito[55], ha suscitato notevoli perplessità da parte dei primi commentatori che hanno notato come la regola per i rapporti assistiti da un’apertura di credito, si risolva, in fin dei conti, nella reintroduzione surrettizia dell’anatocismo[56].
La capitalizzazione trimestrale dispiega infatti i seguenti effetti: (i) la registrazione della posta per interessi sul conto; (ii) l’applicazione di nuovi interessi su tale posta fin dalla registrazione e (iii) la riduzione della provvista disponibile per il cliente.
L’imputazione dei pagamenti prevista dalla bozza delibera si muove su un terreno attiguo in quanto: (i) la rimessa sul conto estingue il debito da interessi ma contemporaneamente (ii) non può andare ad abbattere l’esposizione del cliente per l’importo oggetto della rimessa e quindi (iii) consente la produzione di nuovi interessi sull’intera esposizione che non viene ridotta in misura equivalente alla rimessa.
La capitalizzazione si differenzia così dall’imputazione delle rimesse agli interessi solo perché nel primo caso l’effetto anatocistico è immediato e consegue direttamente dalla registrazione in conto, mentre nel secondo, viene rinviato temporalmente alla prima rimessa utile.
Sottolineando la distinzione tra rimesse solutorie e ripristinatorie delineata dalle Sezioni Unite della Cassazione[57], si è infatti rilevato che l’applicazione dell’art. 1194 c.c. presuppone la natura solutoria della rimessa[58]. In diverse occasioni, infatti, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la regola di imputazione di cui all’art. 1194, secondo comma, c.c. richiede la simultanea esigibilità del capitale e degli interessi sui quali interviene il pagamento[59].
E’ infatti opinione consolidata che nell’apertura di credito l’esigibilità degli interessi e di ogni altra somma a debito del cliente sia sospesa fino alla chiusura definitiva del rapporto[60] e quindi fino alla scadenza del termine contrattualmente previsto, o al recesso di una delle parti. Nel vigore della precedente disciplina, che si caratterizzava per la capitalizzazione del debito da interessi conteggiato ogni trimestre, si riteneva inapplicabile l’art. 1194 c.c. finché il cliente non avesse completamente utilizzato l’affidamento accordatogli. Tale criterio di imputazione, richiedendo l’esistenza di un debito liquido ed esigibile sarebbe quindi applicabile solo in presenza di rimesse solutorie, ovvero in caso di scoperto temporaneo del conto o di superamento del limite concesso per il fido.
Il divieto di capitalizzazione e la previsione di esigibilità degli interessi secondo le modalità delineate dalla bozza della delibera potrebbero però modificare sensibilmente i termini del problema, delineando un quadro giuridico diverso rispetto a quello precedente. Secondo la Banca d’Italia, come si evince dalla relazione sull’impatto, l’esigibilità degli interessi alla chiusura del conto, rischierebbe di disincentivare il ricorso ai contratti di apertura di credito a tempo indeterminato. E’ bene osservare che tali difficoltà deriverebbero non tanto da una maggiore difficoltà di incassare la quota di interessi, quanto invece dalla loro natura infruttifera che potrebbe portare gli intermediari a richiedere giudizialmente il pagamento degli interessi.
Un compiuto giudizio sulla legittimità e sull’opportunità del meccanismo delineato non è semplice.
Dando rilievo all’esigenza di agevolare il pagamento degli interessi manifestata dalla Banca d’Italia, si potrebbe pervenire ad un giudizio positivo e di legittimità del sistema di imputazione delle rimesse[61], superando i rilievi sull’inapplicabilità dell’art. 1194 c.c. al contratto di apertura di credito ad oggi sollevati in dottrina. Si potrebbe infatti rilevare che, una volta ripudiato il sistema della capitalizzazione composta, nessuna norma primaria vieta alle parti di prevedere un termine di esigibilità degli interessi che maturano nei rapporti di durata, anticipato rispetto alla scadenza del capitale (si pensi al mutuo o al prestito obbligazionario)[62]. Il principio di autonomia negoziale è infatti ribadito anche dall’art. 1183 c.c. per la determinazione del tempo dell’adempimento e in diverse occasioni la disciplina codicistica che regola il contratto di apertura di credito detta norme derogabili dalle parti (cfr. artt. 1843 c.c., 1845 c.c.). Anche l’art. 1852 c.c. per i contratti di conto corrente si limita a stabilire il principio di disponibilità in ogni momento delle somme a suo credito, senza nulla dire in merito a quelle a debito. Qualora si ritenesse ammissibile la pattuizione di un termine di esigibilità degli interessi diverso dal capitale[63], potrebbero risultare superate le tradizionali obiezioni mosse all’inapplicabilità dell’art. 1194 c.c.
Seguendo una diversa impostazione, e volendo, invece, dare maggior rilievo alla chiara intenzione del legislatore di eliminare i fenomeni moltiplicatori del costo del credito, affermata la finalità elusiva del divieto di anatocismo insita nel sistema di imputazione delle rimesse delineato dalla delibera, si potrebbe rilevare la nullità di siffatte clausole sotto il profilo della frode alla legge ex art. 1344 c.c.
Il sistema complessivamente delineato dal legislatore pare tuttavia presentare alcune incongruenze che si auspica possano essere considerate nella predisposizione del testo definitivo. Come abbiamo visto, la bozza di delibera individua due modalità alternative per il pagamento degli interessi: la convenzione successiva cui fa riferimento l’art. 4 co. 4 e quella preventiva a cui fa riferimento l’art. 4 co. 5.
Entrambe producono effetti molto simili ma sono sottoposte ad una disciplina differente. Mentre l’autorizzazione all’addebito richiede la negoziazione tra le parti, la seconda, opererà in automatico per la sola applicazione delle condizioni generali non negoziate, non negoziabili ed imposte. Pare scontato che tutti gli operatori adotteranno condizioni generali di contratto che consentiranno l’imputazione delle rimesse secondo quanto previsto al quinto comma, rendendo di fatto del tutto marginali le convenzioni successive, ed eliminando così sul nascere ogni possibile tentativo per rilanciare qualche spazio negoziale tra banca e clientela.
Nel quadro complessivo delineato dalla proposta di delibera le convenzioni successive di addebito degli interessi diverrebbero così ipotesi del tutto residuali, relegate di fatto ai soli conti correnti non alimentati da nuove rimesse.
Tale scenario appare veramente distante dalle finalità della novella legislativa che vuole impedire l’automatica imputazione a capitale (fruttifero) degli interessi maturati. Le clausole di autorizzazione all’imputazione delle rimesse ad estinzione degli interessi, così come delineate dalla delibera, potranno determinare un regime di scarsa stabilità e certezza dell’assetto regolamentare, non solo per la contrarietà allo spirito della novella, ma anche perché comporterebbero una riscrittura della disciplina dell’apertura di credito per la quale si è messa in dubbio l’idoneità della delega contenuta all’art. 120 t.u.b[64].
Resta quindi da chiedersi se l’eliminazione delle clausole previste all’art. 4 co. 5 possa risultare dannosa per la clientela e per il sistema bancario e se sia vero che la non esigibilità degli interessi fino alla scadenza o alla revoca del rapporto rappresenti un ostacolo ad un corretto funzionamento del sistema bancario.
Bisogna rilevare che le clausole di autorizzazione preventiva all’imputazione delle rimesse sono destinate a regolare le modalità di pagamento degli interessi nei contratti di apertura di credito a tempo indeterminato qualora non sia stato completamente utilizzato l’affidamento accordato. Per tutti i contratti a tempo determinato la banca può infatti esigere il pagamento alla scadenza del contratto. In caso di conti non affidati o in extra-fido, le rimesse sul conto, in quanto pacificamente solutorie, determineranno il pagamento del debito del cliente con la sicura applicazione dell’art. 1194 c.c.
L’eliminazione delle autorizzazioni preventive di imputazione delle rimesse potrebbe quindi rappresentare un disincentivo al ricorso agli affidamenti a tempo indeterminato.
Non ci pare che tale limitazione possa risultare dannosa per il sistema. Gli affidamenti a tempo indeterminato sono revocabili in ogni momento con un preavviso di 15 giorni ai sensi dell’art. 1845 c.c. derogato a vantaggio della banca anche in un solo giorno; si tratta quindi di affidamenti altamente instabili che lasciano spesso il cliente in balia delle decisioni unilaterali della banca, la quale spesso può tollerare una situazione di criticità del debitore principale confidando sulle garanzie, spesso personali, prestate.
Per contro la scadenza prestabilita dell’apertura di credito potrebbe invece rappresentare un incentivo ad un comportamento responsabile delle parti sia sotto il profilo del contenimento del sovra-indebitamento, conseguente al pagamento degli interessi alla scadenza pattuita, sia di una più calibrata e ricorrente valutazione del merito di credito del cliente.
Se si considera che gli effetti autorizzazioni preventive previste all’art. 4 co. 5 sono del tutto equivalenti all’addebito sul conto degli interessi, sarebbe auspicabile una disciplina omogenea. Per evitare i rischi di instabilità del sistema e l’incongruenza tra le soluzioni proposte nella proposta di delibera, l’addebito in conto degli interessi esigibili, e l’autorizzazione ad imputare a pagamento le rimesse in caso di mancato esaurimento del fido, dovrebbero essere sempre successive di almeno sei mesi dall’esigibilità degli interessi ed accompagnati da un’adeguata informazione.
[1] Per un primo commento alla proposta di delibera si vedano gli atti del convegno organizzato in Roma in data 8 ottobre 2015 da Movimento Consumatori, La nuova disciplina degli interessi bancari: la fine dell’anatocismo? Il nuovo articolo 120 t.u.b. e la proposta di deliberazione del CICR, in corso di pubblicazione in formato audio-video in www.movimentoconsumatori.it e del convegnoorganizzato in Roma in data 16 ottobre 2015 da ASSOCTU, Il nuovo art. 120 TUB: la Delibera CICR proposta dalla Banca d’Italia, di prossima pubblicazione in www.assoctu.it e, in particolare, le relazioni, consultate in bozza per cortesia degli Autori, di Marcelli, L’anatocismo, espunto dal parlamento, riemerge nella delibera Cicr. Gli ‘accorgimenti’ della Banca d’Italia, relazione; Dolmetta, La riforma dell’anatocismo bancario: 12 note a margine della Proposta di delibera Cicr; Stilo, Dall’art. 120, comma 3, tub alla proposta di delibera Cicr: verso il ritorno dell’anatocismo bancario; Maffeis, Il nuovo art. 120 TUB e la proposta di delibera CICR della Banca d’Italia; Quintarelli, La proposta di delibera CICR in attuazione dell’art. 120, 2° comma, TUB, formulata dalla Banca d’Italia;Girino, Il nuovo (non) anatocismo bancario ovvero la quadratura impossibile di un cerchio sbilenco; Astone, Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi: l’articolata vicenda dell’anatocismo bancario, 1; Danusso, Il nuovo art. 120 t.u.b. e la proposta di delibera Cicr della Banca d’Italia, 1; Civale, L’art. 120 del TUB e la bozza di Delibera Cicr; Cavallari, Il criterio della pari periodicità nel conteggio degli interessi. Linee evolutive della giurisprudenza.
[2] Le decisioni chiamate a pronunciarsi sull’interpretazione del nuovo articolo 120 t.u.b. sono state tutte emesse in esito ad azioni cautelari inibitorie promosse dal’associazione Movimento Consumatori. In tal senso, in sede di reclamo Trib. Milano 25 marzo 2015, Trib. Milano 3 aprile 2015; Trib. Milano, 8 agosto 2015; Trib. Cuneo 10 agosto 2015; Trib. Milano, 1° ottobre 2015; in esito al giudizio di prime cure cfr. Trib. Roma, 20 ottobre 2015; Trib. Cuneo 29 giugno 2015, Trib. Milano, 1° luglio 2015; Trib. Biella, 7 luglio 2015; Trib. Milano 13 luglio 2015, Trib. Milano 29 luglio 2015, IW Bank e Trib. Milano, 29 luglio 2015, Finecobank (tutte le decisioni sopra richiamate sono reperibili in www.movimentoconsumatori.it e in www.ilcaso.it. In senso contrario hanno negato le istanze cautelari Trib. Parma 30 luglio 2015, con esclusivo riferimento alla mancanza delle esigenze cautelari e Trib. Torino, 6 agosto 2015 (entrambe in www.expartecreditoris.it) con una più complessa motivazione che, pur sempre ancorata alle esigenze cautelari, arriva ad una valutazione congiunta dei requisiti del fumus e del periculum.
[3] Come noto la svolta sulla natura negoziale e non normativa degli usi anatocistici nei contratti bancari si deve a Cass., 16 marzo 1999, n. 2374, in Giur. It., 1999, 1221, con nota di Cottino, La Cassazione muta indirizzo in materia di anatocismo e Cass., 30 marzo 1999, n. 3096, in Banca borsa, 1999, II, 398, con note di Dolmetta, Risarcimento dei danni da inadempimento di obbligazioni di interessi e anatocismo e di Ginevra, Sul divieto di anatocismo nei rapporti tra banche e clienti. Tale orientamento è stato confermato, senza alcuna esitazione, da numerose decisioni a sezioni semplici e a Sezioni Unite (Cass., S.U., 4 novembre 2004, n. 21095, pubblicata, tra l’altro, in Giur. It., 2005, 68, con nota di Cottino, Sull’anatocismo intervengono anche le Sezioni Unite; Cass., S.U., 2 dicembre 2010, n. 24418, in Giur. It., 2011, 2073).
[4] Mentre il secondo comma dell’art. 25 d.lgs 342/99 demandava al CICR la determinazione delle modalità per la produzione di interessi sugli interessi maturati (sancendo il principio della pari periodicità nella capitalizzazione degli interessi a credito ed a debito), il terzo comma, interveniva retroattivamente sanando la nullità delle clausole inserite nei contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della delibera del CICR. Tale norma ha avuto “vita breve” in quanto la Corte Costituzionale (Corte Cost., 12 ottobre 2007, n. 341, in Giur. Cost., 2007, 4992, con nota di Nigro, Anatocismo nei rapporti bancari e Corte Costituzionale: prosegue la storia infinita) ne ha affermato l’illegittimità per eccesso di delega, eliminando definitivamente ogni disciplina speciale retroattiva di deroga dell’art. 1283 c.c.
[5] V. infra § 4.
[6] Cfr. Dolmetta, Sopravvenuta abrogazione del potere bancario di anatcosimo, in Banca Borsa, 2015, 278 s.
[7] Cfr. Dolmetta, Sopravvenuta abrogazione cit 278; IdSul transito dell’anatocismo bancario dal vecchio al nuovo regime, in www.ilcaso.it: “In positivo, le ragioni che sostengono l’idea del compiuto mutamento legislativo sono semplici; di tratto, si può dire, prima di tutto testuale. L’avvio del comma 629 dispone, deciso, che il testo della vecchia legge è «sostituito» dalla nuova disposizione: l’abrogazione della riserva bancaria, dunque, è formale, espressa. Del resto – si può pure aggiungere (per scrupolo di completezza del discorso) – il testo sostitutivo si manifesta oggettivamente incompatibile con quello sostituito: la lett. b. della sopraggiunta norma è nel senso eliminativo della riserva bancaria di anatocismo; per contro, la direzione della norma precedente risulta(va) propriamente rivolta alla costituzione della medesima” (…) “Un secondo argomento, per certi versi collegato al primo, si sostanzia nell’affermare che la norma della lett. b. non sarebbe, a ben vedere, completa (: «nulla è detto in punto di tempi e modalità di pagamento degli interessi maturati e scaduti»). Com’è evidente, però, un simile rilievo potrebbe valere – a tutto volere concedere – solo ad escludere l’applicazione della legge nuova, non anche a sostenere una mancata abrogazione della preesistente riserva bancaria; in effetti, a ipotizzare una «sospesa» applicazione della norma nuova, la materia dell’anatocismo bancario non verrebbe affatto a cadere nel vuoto, bensì nell’alveo del sistema generale, che resta imperniato sui dettami dell’art. 1283 c.c”.
[8] Così Trib. Milano 1° luglio 2015, cit confermata in sede di reclamo da Trib. Milano 8 agosto 2015, cit ; nello stesso senso cfr., Trib. Milano 29 luglio 2015, cit; Trib. Milano 13 luglio 2015, cit; Trib. Cuneo, 10 agosto 2015, cit: 'Vale la pena al riguardo sottolineare come in materia di interessi, viga nel nostro ordinamento la norma fondamentale sia quella di cui all’art. 1283 c.c. che stabilisce, al di fuori delle condizioni specificamente contenute nella medesima norma, il generale divieto di anatocismo. Si tratta di norma di carattere non solo imperativa e di carattere generale ma anche ritenuta unanimemente espressione di principio di ordine pubblico. Ne discende che qualunque deroga al divieto, costituendo eccezione, debba essere netta ed espressa. Ne discende ulteriormente che, venuta meno la previsione, ritenuta, peraltro non senza iniziali perplessità, autorizzativa e con ciò di efficacia derogatoria della “determinazione di interessi sugli interessi”, ed anzi introdotta la previsione del calcolo di interessi “esclusivamente sulla sorte capitale”, non possa che ritenersi la piena espansione del divieto di anatocismo, anche in ambito bancario'.
[9] Cfr. Dolmetta, Sopravvenuta abrogazione, cit., 278; Antonucci, Divieto di anatocismo banario, conflittualità e regole istituzionali, in NGCC, 2015, 734 ss; Petrazzini, Brevi note sulla sorte delle clausole anatocistiche nei contratti bancari alla luce del nuovo art. 120, comma 2, t.u.b., in corso di pubblicazione in Giur.it, 2015;, Farina, L’immediata operatività del (nuovo) divieto di anatocismo, in Contratti, 2015, 880 ss; Id, Le recenti modifiche dell’art. 120 TUB e la loro incidenza sula delibera CICR 9 febbraio 2002, in dirittobancario.it, 2014; MARCELLI, L’anatocismo e le vicissitudini della Delibera CICR 9/2/00. Dall’anatocismo sfilacciato al divieto dell’art. 1283 c.c; TANZA, Anatocismo bancario: le novità introdotte dalla Legge di Stabilità, in Altalex, 2014, febbraio; QUINTARELLI, Conto corrente bancario: anatocismo e capitalizzazione; prescrizione; azioni di accertamento e condanna, distribuzione dell’onere della prova e saldo zero, in IlCaso, 2015; MAZZOLA, La nuova disciplina dell’anatocismo bancario nella legge di stabilità: prime note, in dirittobancario.it, 2014.
[10] Alla nota 5 del documento in consultazione la Banca d’Italia precisa che: “Questa lettura della disposizione, peraltro, risulta confermata dalle prime pronunzie rese in materia: cfr., in proposito, le ordinanze del Tribunale di Milano del 25 marzo e del 3 aprile 2015”.
[11] V. infra § 4.
[12] Per un cenno in tal senso cfr. Trib. Cuneo, 29 giugno 2015, cit. Sulla nullità delle clausole che prevedevano interessi simbolici cfr. Trib. Imperia 31 gennaio 2014; Trib. Imperia 9 luglio 2009; Trib. Imperia 12 giugno 2015, in www.ilcaso.it; in argomento v. anche Cavallari, cit.
[13] Cfr. Trib. Milano 25 marzo 2015, Trib. Milano 3 aprile 2015; Trib. Cuneo 29 giugno 2015, cit (confermata anche sul punto in sede di reclamo da Trib. Cuneo, 10 agosto 2015, cit; Trib. Milano, 8 agosto 2015; Trib. Milano 29 luglio 2015, cit; Trib. Biella, 7 luglio 2015.
Le argomentazioni contrarie sono indicate in Trib. Torino, 5 agosto 2015, cit. che però si astiene dal fornire una interpretazione univoca della norma riportando, oltre alla posizione unanime della giurisprudenza, le argomentazioni a favore dell’opposta interpretazione senza prendere una specifica posizione (si consideri infatti che il provvedimento conclude sul punto affermando che: “l’interpretazione corretta della norma appare fortemente controvertibile, essendo quindi assai dubbio se prevalgano le considerazioni accolte dal Tribunale di Milano e dalla prevalente giurisprudenza di merito o le contrapposte considerazioni sopra riepilogate”). Per altro, a ben leggere la motivazione, anche il Tribunale di Torino non può che ammettere che la norma comporti il divieto di anatocismo: “E’ vero che l’art. 120 nella nuova versione, a differenza della precedente, la quale rimetteva al CICR di stabilire modalità per la produzione degli interessi scaduti, si limitava a prevedere che il CICR stabilisca modalità e criteri per la produzione di interessi ma la differenza è più apparente che reale, atteso che nella nuova versione semplicemente sono posti dei limiti e cioè il divieto di anatocismo”.
[14] Cfr. Morera-Olivieri, Il divieto di capitalizzazione degli interessi bancari nel nuovo art. 120 comma 2, TUB, in Banca Borsa, 2015, I, 286; Maimeri; La capitalizzazione degli interessi fra legge di stabilità e decreto sulla competitività, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 7/ 2014; Colombo, Gli interessi nei contratti bancari, Roma, 2014, 97 ss.
[15] In dottrina in tal senso v. Petrazzini, Brevi note, cit.
[16] Alcune decisioni (Trib. Milano, 1° luglio 2015; Trib. Milano, 13 luglio 2015 e Trib. Biella, 7 luglio 2015) hanno precisato che il termine capitalizzazione è stato utilizzato dal legislatore non in senso tecnico giuridico ma secondo il significato attribuito alla nozione di capitalizzazione dalla matematica finanziaria. Su posizioni simili in dottrina si è rilevato che il legislatore avrebbe voluto far riferimento alla capitalizzazione semplice (trasformazione degli interessi in capitale infruttifero) e non quella composta (che comporta che gli interessi, aggiunti al capitale, siano fruttiferi), cfr. Antonucci, Divieto di anatocismo, cit., 739; Marcelli, L’anatocismo, espunto dal parlamento, riemerge nella delibera Cicr, cit., 5 ss. Dall’utilizzo del termine capitalizzazione traggono conseguenze diverse, non solo per l’interpretazione della norma di riferimento, ma anche per l’individuazione della disciplina conseguente all’interesse conteggiato come capitale infruttifero Quintarelli, La proposta di delibera CICR., 2 ss e Astuni, op. cit.,2.
[17] Tale interpretazione, già fatta propria dal Tribunale di Milano con le prime ordinanze (Trib. Milano 25 marzo 2015, Trib. Milano 3 aprile 2015), è stata ulteriormente precisata da Trib. Cuneo 29 giugno 2015, cit (confermata anche sul punto in sede di reclamo da Trib. Cuneo, 10 agosto 2015, cit): 'Se si analizza la prima parte della norma ci si avvede che una interpretazione letterale del sostantivo capitalizzazione non ha alcun senso. "Gli interessi periodicamente capitalizzati non possono produrre ulteriori interessi", questo dice il legislatore. Ma allora ci si deve domandare, calando la domanda nel contesto normativo in cui questo lemma viene utilizzato, che senso abbia una capitalizzazione di interessi non idonea a produrre ulteriori interessi. Capitalizzare gli interessi vuol dire portare l'interesse prodotto da una somma in un certo periodo di tempo, a una certa scadenza, a capitale, trasformare quindi l’interesse da semplice a composto consentendo la produzione di interessi anatocistici. Ma allora perché il legislatore avrebbe consentito di capitalizzare un interesse che non può produrre ulteriori interessi? Una contraddizione logica interna alla norma che non le consentirebbe di avere significato normativo e precettivo alcuno. Ancora, se così fosse, tale norma si troverebbe in irrimediabile conflitto logico con quella immediatamente successiva, che parla di "successive capitalizzazioni" prive di capacità di capitalizzare interessi, posto che, per queste ultime, gli interessi sono computati solo sulla sorte capitale. L'aporia, che porterebbe la disposizione a introdurre improbabili e confliggenti norme, di impossibile applicazione (e si ricordi, incidentalmente, che non sarà possibile per una fonte secondaria, quale la delibera CICR, tanto meno in via di interpretazione della disposizione primaria, introdurre il vietato meccanismo anatocistico) si risolve solo attribuendo al termine "capitalizzazione" utilizzato nella lettera b) il significato di calcolo, conteggio, operazione di identificazione di una unità numerica contabile per frazione di tempo'. Nello stesso senso v. anche Trib. Milano, 8 agosto 2015; Trib. Milano 29 luglio 2015, cit. Trib. Milano, 1° ottobre 2015.
[18] Cfr. Trib. Cuneo, 29 giugno 2015, cit: “Né si può sperare che la delibera CICR immuti in senso peggiorativo (ripristinando l'anatocismo) rispetto alla fonte sovraordinata il metodo di calcolo degli interessi, secondo quanto previsto dalla prima parte della disposizione di che trattasi, posto che in quel caso sarebbe senza dubbio illegittima e andrebbe disapplicata da parte del giudice ordinario investito della applicazione della disposizione di fonte primaria”; nello stesso senso anche Trib. Biella, 7 luglio 2015, cit: “infatti, la normativa regolamentare non potrà certo disciplinare la materia in modo diverso ed indipendente dalla volontà espressa dalla fonte primaria (limitandone la portata o disciplinando diversamente la decorrenza del divieto), in quanto a ciò osta il più elementare principio di separazione dei poteri dello Stato tra esecutivo e legislativo. Qualora ciò, in ipotesi, dovesse accadere, il giudice non potrà che trarne le relative conclusioni, disapplicando la normativa regolamentare di natura tecnica per contrasto con la fonte primaria, onde risolvere l’antinomia. In ogni caso, il regolamento non potrà certo porsi in contrasto con la legge, anche interpretata secondo il criterio comunitario del favor per il correntista-consumatore, così rendendo operativa una modalità di conteggio più gravosa per il cliente”.
Analoghi principi sono stati affermati dalla giurisprudenza di legittimità e di merito con riguardo all’efficacia delle Istruzioni della Banca d’Italia per la rilevazione del TEGM con riferimento ad alcune voci di costo, connesse all’erogazione del credito, quali i costi assicurativi, le commissioni di massimo scoperto e gli interessi di mora. Con riferimento alla commissione di massimo scoperto, cfr. Cass. Pen, 19 febbraio 2010, n. 12028, Cass. Pen., 14 maggio 2010, n. 28743, Cass. Pen., 19 dicembre 2011, n. 46669; Appello Cagliari 31 marzo 2014; Tribunale Torino 31 ottobre 2014, in www.ilcaso.it; con riguardo ai costi assicurativi nei contratti di cessione del quinto dello stipendio cfr. App. Torino, 20 dicembre 2013; App. Milano, 22 agosto 2013, App. Milano, 14 marzo 2014; Trib. Torino, 21 luglio 2011, Tribunale di Alba, 15 dicembre 2010, Trib. Busto Arsizio –Saronno, 3 febbraio 2011 e Trib. Pordenone, 7 marzo 2012.
[19] In argomento, con riferimento alle diverse procedure di delegificazione, cfr. Mastropaolo, Delegificazione mediante procedure atipiche e mediante atti diversi dalla legge formale, in Il libro delle leggi strapazzato e la sua manutenzione, a cura di Dogliani, Torino, 2012 99 ss.
[20] Sul tema v. Pace, Anatocismo e riserva di legge, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2007 che ritiene sussistere una riserva di legge sulla materia in quanto riconducibile alla potestà esclusiva dello Stato per “l’ordinamento civile” ai sensi dell’art. 117, comma 2 Cost.
[21] Tribunale di Milano del 25 marzo 2015: “Ed, invero, gli interrogativi circa la mancata capitalizzazione, la sorte degli interessi attivi con relativa capitalizzazione, il conteggio degli interessi di mora in aggiunta alle rate già comprensive degli interessi come ad esempio nei contratti di mutuo ed in quelli di leasing (…) sono del tutto svincolati dal paletto invalicabile imposto dal legislatore ed incentrato sull’esclusione dell’anatocismo bancario e costituiscono, per l’appunto, il terreno sul quale si misurerà l’intervento del CICR. Ed, infatti, se, certamente non può trascurarsi l’anomalia prima facie di interessi che, una volta capitalizzati, possano essere infruttuosi, vi è anche da rilevare come ben possa essere data evidenza contabile ad un saldo finale modulato separatamente con riferimento allo stato passivo o attivo del conto capitale e degli interessi maturati sullo stesso nel medesimo arco temporale, senza che questi ultimi possano essere incorporati nel primo per le operazioni contabili conseguenti: ad avviso del Collegio è, infatti, proprio in tale ambito che deve essere confinato l’intervento regolamentare del CICR, cui è assegnato lo specifico compito di esprimersi in ordine alle specifiche tecniche bancarie contabili, senza, tuttavia, disporre in termini diversi dal divieto di anatocismo, che, pertanto, è da ritenersi operante a decorrere dall’1.1.14”
[22] Cfr. Trib. Milano 8 agosto 2015 Trib. Milano 1° luglio 2015 Trib. Cuneo 29 giugno 2015 Trib. Cuneo, 10 agosto 2015 e Trib. Milano, 29 luglio 2015.
[23] Cfr. Barba, La disciplina legale dell’anatocismo nel sistema codicistico, in L’anatocismo nei contratti e nelle operazioni bancarie, a cura di Capaldo, Padova, 2010, 74.
[24] Così Inzitari, Delle obbligazioni pecuniarie, in Commentario al codice civile Scialoja Branca, Bologna- Roma 2010, 448.
[25] Cfr. Inzitari, op. cit., 449.
[26] Cfr. Inzitari, op. cit., 449.
[27] Marcelli, L’anatocismo, espunto dal parlamento, riemerge nella delibera Cicr, cit., 5 ss: 'Per un capitale iniziale di 100 e per un tasso nominale del 5%, la componente anatocistica presenta, sul totale degli interessi, un’incidenza compresa fra il 9,5% sulla scadenza di cinque anni e il 30,5% su una scadenza di quindici anni; al crescere del tasso nominale la componente anatocistica tende a divenire dominante: per un tasso nominale del 20% la componente anatocistica assorbe una porzione degli interessi compresa fra il 32,8% sulla scadenza quinquennale e il 79,2% sulla scadenza di quindici anni. Il tempo, soprattutto su tassi elevati, determina un innalzamento del debito che diviene deflagrante per l’incidenza dell’anatocisno, inducendo un’accelerazione alla lievitazione e determinando un effetto assimilabile ad una valanga'.
[28] Cfr. Cass., S.U., 4 novembre 2004, cit: “L'evoluzione del quadro normativo - impressa dalla giurisprudenza e dalla legislazione degli anni '90, in direzione della valorizzazione della buona fede come clausola di protezione del contraente più debole, della tutela specifica del consumatore, della garanzia della trasparenza bancaria, della disciplina dell'usura - ha innegabilmente avuto il suo peso nel determinare la ribellione del cliente (che ha dato, a sua volta, occasione al revirement giurisprudenziale) relativamente a prassi negoziali, come quella di capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti alle banche, risolventesi in una non più tollerabile sperequazione di trattamento imposta dal contraente forte in danno della controparte più debole”.
[29] Così, ancora Cass., S.U., 4 novembre 2004, cit : “Più semplicemente, di fatto, le pattuizioni anatocistiche, come clausole non negoziate e non negoziabili, perché già predisposte dagli istituti di credito, in conformità a direttive delle associazioni di categoria, venivano sottoscritte dalla parte che aveva necessità di usufruire del credito bancario e non aveva, quindi, altra alternativa per accedere ad un sistema connotato dalla regola del prendere o lasciare. Dal che la riconducibilità, ab initio, della prassi di inserimento, nei contratti bancari, delle clausole in questione, ad un uso negoziale e non già normativo (per tal profilo in contrasto dunque con il precetto dell'articolo 1283 c.c.), come correttamente ritenuto dalle sentenze del 1999 e successive”
[30] Si vedano a titolo esemplificativo l’art. 117bis t.u.f., sulla remunerazione degli affidamenti e degli sconfinamenti; l’art. 120ter t.u.b., sull’estinzione anticipata dei mutui, l’art. 120quater sulla c.d. portabilità dei mutui, gli artt. 121-126 sul credito ai consumatori.
[31] In argomento, con riferimento alla disciplina dei mutui, cfr. diffusamente Caleo, Pratiche anatocistiche e nuove regole per i mutui bancari: dal pacchetto Bersani bis al piano famiglie, in L’anatocismo nei contratti e nelle operazioni bancarie, cit., 228, ove ampi riferimenti.
[32] In tal senso cfr. la Relazione sull’analisi d’impatto predisposta dalla Banca d’Italia ed allegata alla proposta di delibera attuativa del nuovo art. 120 t.u.b che giustifica la previsione di un termine annuale per la contabilizzazione degli interessi, affermando che con tale soluzione. “si conseguirebbe un grado di trasparenza delle condizioni economiche più elevato, poiché il tasso effettivo corrisponderebbe al tasso nominale annuo. I benefici di un’accresciuta trasparenza sono molteplici: essa comporta una maggiore comparabilità delle offerte per i clienti e stimola la concorrenza tra intermediari, con i conseguenti vantaggi per il sistema finanziario nel suo complesso. Benefici possono essere identificati anche a favore degli intermediari. Nella misura in cui una maggiore trasparenza aumenta il grado di fiducia che la clientela ripone nel settore, le relazioni tra banca e cliente diventano più stabili anche in periodi di congiuntura negativa e aumenta la probabilità che nuovi soggetti diventino fruitori dei servizi proposti”.
[33] Così la relazione alla proposta di delibera che precisa che il nuovo art. 120, co. 2, intende “vietare la produzione di interessi anatocistici, non consentendo mai la capitalizzazione degli interessi nelle operazioni da esso disciplinate, diversamente da quanto stabilito dal codice civile (art. 1283)”. Nello stesso senso, seppure a livello di obiter dictum, Trib. Milano 3 aprile 2015, cit: “La norma, pertanto, non può che essere intesa come rivolta a vietare l’anatocismo nei rapporti bancari, di fatto introducendo in tale ambito una disciplina speciale più rigorosa della normativa ordinaria dettata dall’art. 1283 c.c.”. Tra i primi commentatori così Danusso, Il nuovo art. 120 t.u.b. e la proposta di delibera CICR della Banca d’Italia, 1; parrebbe orientato su posizioni analoghe Maffeis, Il nuovo art. 120 TUB, cit., 4 s che ritiene vietate, in quanto contrarie alla lettera ed allo spirito dell’art. 120 t.u.b. le convenzioni successive all’insorgere del debito da interessi.
[34] Così Dolmetta, Sopravvenuta abrogazione, cit., 283; Dolmetta, La riforma dell’anatocismo bancario, cit., 1 s; Petrazzini, cit.; Farina, L’immediata operatività del (nuovo) divieto di anatocismo, cit, 882; Stilo, cit, 6; Astuni, cit., § 3; Girino, cit., 5; Astone, cit, 1 il quale, pur ritenendo che la nuova norma riallinei il t.u.b. ed il codice civile, pare ammettere che la clausola possa essere contenuta nelle condizioni generali di contratto. L’Autore rileva che le condizioni contrattuali che riqualificassero il debito da interessi a capitale, potrebbero essere riqualificate dal giudice quali obbligazioni pecuniarie da interessi, con conseguente dichiarazione di nullità. Pare tuttavia che le condizioni generali di contratto, possano tutt’al più prevedere la preventiva autorizzazione della banca, non potendo però mai consentire quella del cliente ora per allora, in quanto sarebbe ravvisabile una contrarietà all’art. 1283 c.c., prima ancora che all’art. 120 t.u.b.
[35] In tal senso in dottrina cfr. Inzitari, Il mutuo con riguardo al tasso 'soglia' della disciplina antiusura e al divieto di anatocismo, in Banca Borsa, 1999, I, 257.
[36]Cfr. Cass., 20 febbraio 2003, n. 2593, in Banca e Borsa, 2003, II, 505, con nota di Tardivo, Divieto di anatocismo e mutui bancari. riflessi per i finanziamenti fondiari; una volta affermato, in conformità a Cass. 3479/71, che la compresenza nelle singole rate del piano di ammortamento di una quota del capitale da estinguere e degli interessi non opera un conglobamento né vale tanto meno a mutare la natura giuridica di questi ultimi, che conservano la loro autonomia anche dal punto di vista contabile, ha ritenuto che le limitazioni poste dall'art. 1283 c.c. alla produzione di interessi anatocistici concernono anche il contratto di mutuo, non essendo riscontrabili contrari usi negoziali precedenti all’entrata in vigore del codice civile. La Suprema Corte ha quindi dichiarato la nullità delle clausole pattuite in deroga alla disciplina legale di cui all’art. 1283 c.c. che consentivano la produzione di interessi moratori sulla quota dovuta per interessi delle singole rate previste nel piano di ammortamento. Nello stesso senso recentemente cfr. Cass., 3 marzo 2015, n. 4230: “l'avvenuta trasformazione del credito fondiario in un contratto di finanziamento a medio e lungo termine garantito da ipoteca di primo grado su immobili, comporta l'applicazione delle limitazioni di cui al citato art. 1283 cod. civ. (…) il mancato pagamento di una rata di mutuo non determina più l'obbligo (prima normativamente previsto) di corrispondere gli interessi di mora sull'intera rata, inclusa la parte rappresentata dagli interessi corrispettivi, dovendosi altresì escludere la vigenza di un uso normativo contrario”; Cass., 22 maggio 2014, n. 11400; Cass. 27 dicembre 2013, n. 28663; Cass., 11 gennaio 2013, n. 603, in Foro it. 2014, 128 con nota di Palmieri;.Cass., 29 gennaio 2013, n. 2072, in Foro it., 2014, 1246 con nota di Colangelo, Mutuo, ammortamento “alla francese” e nullità.
[37] In argomento v. Stilo, cit., 13 e ss: Caleo, Pratiche anatocistiche, cit., 165 ss, ove ampi riferimenti anche alla disciplina speciale dei mutui fondiari (prevista all’art. 38 del r.d. n. 646/1905, poi riprodotta all’art. 14 d.p.r. 21 gennaio 1976, n. 7 e all’art. 16 l. 6 giugno 1991, n. 175), abrogata con l’entrata in vigore del testo unico bancario, limitatamente ai quali le rate scadute potevano produrre interessi senza distinzioni tra quota dovuta per capitale e per interessi.
[38] Cfr. Trib. Milano 25 marzo 2015, Trib. Milano 3 aprile 2015; Trib. Milano, 8 agosto 2015; Trib. Cuneo 10 agosto 2015; Trib. Milano, 1° ottobre 2015; Trib. Cuneo 29 giugno 2015, Trib. Milano, 1° luglio 2015; Trib. Biella, 7 luglio 2015; Trib. Milano 13 luglio 2015, Trib. Milano 29 luglio 2015, IW Bank e Trib. Milano, 29 luglio 2015, Finecobank.
[39] La relazione continua poi affermando che “nel merito, il divieto di interessi di mora farebbe sì che, in caso di inadempimento, gli unici rimedi a disposizione del creditore sarebbero la domanda giudiziale o – dandosene le condizioni – il recesso; in entrambi i casi si tratterebbe di conseguenze sproporzionate che risolverebbero una disposizione nata a tutela del cliente in una che lo danneggia, costringendolo a subire le conseguenze (anche economiche) di un giudizio o a vedersi revocata la linea di fido, anche a fronte di un inadempimento transitorio”.
[40] Di recente, con riferimento al contratto di muto agrario, cfr. Cass., 29 ottobre 2013, n. 2072: “con riferimento al calcolo degli interessi di mora, devono ritenersi applicabili le limitazioni previste dall'art. 1283 c.c., non rilevando, in senso opposto, l'esistenza di un uso bancario contrario a quanto disposto dalla norma predetta e non essendo l'anatocismo previsto dalla legislazione di settore, in deroga all'art. 1283 c.c.; poiché con riguardo al suddetto mutuo non è dato rinvenire, in epoca anteriore al 1942, alcun uso che consentisse l'anatocismo oltre i limiti poi previsti dall'art. 1283 c.c., sono illegittime tanto le pattuizioni, quanto i comportamenti - ancorché non tradotti in patti - che si risolvano in un'accettazione reciproca, ovvero in una unilaterale imposizione, di una disciplina diversa da quella legale”. Tali principi hanno trovato costante applicazione dopo la decisione delle Sezioni Unite che si è pronunciata con riferimento agli interessi di qualsiasi natura, compresi quelli di cui agli artt. 35 e 36 del Capitolato generale d'appalto per le opere pubbliche, approvato con D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 (Cass. SU. 9653/01, seguita da Cass. 10680/06;. Cass., 5 settembre 2008, n. 2240; Cass., 1° agosto 2013, n. 18438).
[41] Cass., 20 febbraio 2003, n. 2593, cit; Cass., 22 maggio 2014, n. 11400, cit; Cass. 27 dicembre 2013, n. 28663, cit; Cass., 11 gennaio 2013, n. 603, cit;.Cass., 29 gennaio 2013, n. 2072, cit.
[42] Cfr. Stilo, cit., 19; Astuni, cit., § 9; Inzitari, Osservazioni alla proposta di delibera Cicr in consultazione, in www.ildirittodegliaffari.it,.
[43] La nuova disciplina degli interessi bancari, come previsto all’art. 120 secondo comma, t.u.b. riguarda tutte le “operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria”. L’art. 2 della proposta di delibera, in linea con la norma primaria ne individua l’ambito di applicazione in tutte le “operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito tra intermediari e clienti”.
[44] L’accordo dovrà avere essere redatto, a pena di nullità, per iscritto ai sensi dell’art. 117 t.u.b.
[45] Astone, cit., 3 rileva in maniera puntuale l’impossibilità per le parti di dare una qualificazione della somma addebitata in conto quale capitale o interessi infruttiferi, vincolante per il giudice.
[46] Cfr. Barba, op. cit., 59.
[47] Dolmetta – Perrone, Risarcimento dei danni da inadempimento di obbligazioni di interessi e anatocismo, in Banca Borsa, 1999, II, 417; Colombo, Anatocismo, cit., 32 s. Con riferimento alla proposta di delibera v. Quattrocchio – Quaranta – Astorino, L’anatocismo sul piano tecnico e sotto il profilo storico-evolutivo, in ambito nazionale e sovranazionale, in www.ildirittodegliaffari.it, 55. Segue tale orientamento sulla base di una raffinata argomentazione storica per cui l’art. 1283 c.c. avrebbe il proprio antesignano nell’art. 1232 del codice civile del 1865, derivato dall’art. 1154 del code Napoleon Astuni, cit., § 7. In giurisprudenza cfr. Cass., 12 novembre 2014, n. 24160; Cass., 4 marzo 2011, n. 5218; Cass., 8 marzo 2006, n. 4935 ove viene affermato il principio senza addurre particolari argomentazioni a sostengo.
[48] Cfr. Barba, op. cit., 75 ss.; Magni, Le regole sull’anatocismo, in Il mutuo e le altre operazioni di finanziamento, a cura di Cuffaro,Bologna, 2005, 138; La Rocca, L’anatocismo. Dall’inadempimento ai contratti di credito, Napoli, 2002, 153.
[49] Cfr. Barba, op. cit., 75 ss.; Magni, op. cit., 138; La Rocca, L’anatocismo. cit, 153 per ulteriori riferimenti v. Colombo Anatocismo, cit., 31 nt. 30 e 35.
[50] In giurisprudenza cfr. Cass., 8 marzo 2006, n. 4935, secondo cui il giudice può condannare al pagamento degli interessi sugli interessi solo se già scaduti, richiedendo quindi che il debito sia esigibile e che il debitore sia in mora; nello stesso senso v. anche Cass., 10 marzo 2005, n. 4830 (ove ampi riferimenti alla giurisprudenza precedente): “L'art. 1283 c.c. stabilisce che «...gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi». Ne deriva che il giudice può condannare al pagamento degli interessi sugli interessi solo se si sia accertato:- che alla data della domanda giudiziale erano già scaduti gli interessi principali sui quali calcolare gli interessi secondari, cioè che il debito era esigibile e che il debitore era in mora (Corte di cassazione 18 luglio 2002, n. 10434);- che l'attribuzione degli interessi anatocistici postula una specifica domanda giudiziale del creditore (Corte di cassazione 12 aprile 2002, n. 5271, e 14 dicembre 2001, n. 15838) o la stipula di una convenzione posteriore alla scadenza degli interessi;- che la mora si è protratta, anteriormente al giudizio, per almeno sei mesi, cioè che si tratta di crediti ultrasemestrali scaduti (Corte di cassazione 18 luglio 2002, 10434, e 12 febbraio 2002, n. 1964)”. Tali principi, espressi con riguardo alla domanda giudiziale, sono applicabili anche alle convenzioni in ragione del fatto che il requisito della debenza ultrasemestrale degli interessi si applica ad entrambe le eccezioni al divieto di anatocismo contemplate dall’art. 1283 c.c.
[51] Così Inzitari, Osservazioni, cit., 2.
[52] Così Dolmetta, La riforma dell’anatocismo bancario, cit., 7 il quale osserva che, se l’obbligo di forma scritta discende dai principi propri della normativa di trasparenza, resta l’opportunità di una sua esplicitazione.
[53] In tal senso cfr. Dolmetta, La riforma dell’anatocismo bancario, cit., 6 il quale osserva che l’obbligo di informazione dovrebbe essere rispettato nella fase di formazione del contratto, in caso di informazione infrannuali e nella fase di autorizzazione all’addebito.
[54] Sulle pratiche elusive del divieto cfr. ancora Dolmetta, La riforma dell’anatocismo bancario, cit., 3.
[55] Cfr. Trib. Lecce 11.4.2014 che ha ritenuto direttamente ed immediatamente applicabile l’art. 120 t.u.b. a prescindere dall’approvazione della delibera del CICR, affermando che: “Osserva, questo decidente, che il meccanismo utilizzato dalla Banca è stato definitivamente soppresso, unitamente alla disapplicazione dell’art. 1194 c.c. operato con la legge di stabilità 2014 n. 147 del 27.12.2013 che con il comma 629 interviene a modificare in maniera sensibile la disciplina dell’anatocismo bancario introdotto dall’art. 25 co 2 d.lgs 4.8.1999 n. 342 a parziale deroga di quanto previsto dall’art. 1283 c.c.L’art. 120 comma 2 Tub è stato sostituito con il comma b) il quale prevede che “gli interessi periodicamente capitalizzati non possono produrre interessi ulteriori che nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale” di tal che, quando un correntista effettua una rimessa sul conto, questa andrà a scomputarsi prima al monte interessi e poi sul capitale salvo che la banca non intenda avvalersi della facoltà di cui all’art. 1194 c.c”
[56] Cfr. Marcelli, L’anatocismo, espunto dal parlamento, riemerge nella delibera Cicr, cit., 34: 'il pagamento si qualifica tale esclusivamente nelle rimesse aventi natura solutoria e la giurisprudenza prevalente ritiene che, per l’applicazione del criterio legale di imputazione dell’art. 1194 c.c., si renda necessario che sia il capitale sia gli interessi risultino liquidi ed esigibili'; dubbi circa la legittimità di una deroga, ad opera della delibera, alle norme generali che regolano l’apertura di credito sono sollevati da Astuni, cit., § 3.3. e ss. Ritiene invece contraddittoria la previsione di inesigibilità temporanea degli interessi Inzitari, Osservazioni alla delibera Cicr in consultazione, in www.ildirittodegliaffari.it.
[57] Cfr Cass., S.U., 2 dicembre 2010, n. 24418.
[58] Cfr. Marcelli, La riforma dell’art. 120 t.u.b. e l’applicazione dell’art. 1194 c.c., in www.assocutu.it, 2 ss-
[59] La giurisprudenza (cfr. Cass., 27 ottobre 2005, n. 20904; Cass., 16 aprile 2003, n. 6022; Cass., 15 luglio 2009, n. 16448) è concorde nell’affermare che la disposizione secondo la quale il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi o alle spese senza il consenso del creditore, presuppone che tanto il credito per il capitale quanto quello, accessorio per gli interessi e le spese, siano simultaneamente liquidi ed esigibili.
[60] Cfr. Inzitari, Osservazioni, cit., 2. In argomento cfr. App. Torino, 3 maggio 2013, in www.altalex.it ove una chiara ricostruzione del problema: “quanto all’ulteriore problema dell’applicabilità al caso di specie del criterio di imputazione di cui all’articolo 1194 cod. civ. (terzo motivo di appello), ritiene questa Corte – pur nella oggettiva controvertibilità della questione – di aderire all’orientamento di legittimità in base al quale il meccanismo di imputazione di cui all’articolo 1194 codice civile, risolvendosi in una modalità prettamente estintiva, ha luogo di operare unicamente in sede di chiusura del rapporto; vale a dire, allorché le reciproche posizioni in dare ed in avere tra le parti siano tutte, non soltanto liquide o liquidabili, ma anche esigibili: “la disposizione dell’articolo 1194 codice civile, secondo cui senza il consenso del creditore il debitore non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi o alle spese, presuppone la simultanea esistenza della liquidità e della esigibilità di ambedue i crediti, e cioè sia di quello per capitale che dell’altro, accessorio, per interessi o spese (...) né appare rispondente alla realtà che la banca, dopo aver messo a disposizione del cliente una determinata somma in conto corrente (con o senza formale affidamento), possa poi pretendere il pagamento degli interessi debitori in maniera continuativa, cioè man mano che questi si producono. Se è vero che gli interessi si producono infatti ‘giorno per giorno’, non si può dirsi di norma che essi possano essere, ‘giorno per giorno’, altresì pretesi in pagamento (operazione che risulterebbe anzi anche del tutto antieconomica stante il rapporto tra oneri di contabilizzazione e riscossione da un lato, e verosimile esiguità degli importi dovuti quotidianamente per interessi). In difetto (se non di liquidità) quanto meno di esigibilità del credito della banca per interessi, è dunque giocoforza escludere – secondo il su riportato orientamento giurisprudenziale – l’applicabilità nella specie del criterio di imputazione di cui all’articolo 1194 codice civile. Questa conclusione si avvalora ulteriormente alla luce del citato orientamento di cui in SS.UU n. 24418/10, la cui applicazione nella concretezza della fattispecie esclude che si siano verificate rimesse solutorie prima dell’estinzione definitiva del rapporto di conto corrente”.
[61] Quattrocchio – Quaranta – Astorino, cit, 51.
[62] Cfr. Quintarelli, La proposta di delibera CICR, 4 secondo il quale, in considerazione del fatto che le modalità del pagamento di una obbligazione pecuniaria, salvo l’anatocismo, è rimessa all’autonomia contrattuale, e, non rinvenendosi alcun fenomeno di anatocismo nel prevedere che il pagamento degli interessi debba avvenire in termini inferiori o diversi rispetto alla durata dell’obbligazione di restituzione del capitale, si deve concludere per la liceità di tali convenzioni.
[63] La simultanea esigibilità di capitale ed interessi, è affermata in alcune decisioni giurisprudenziali (Cass., 16 aprile 2003, n. 6022; Cass., 27 ottobre 2005, n. 20904) con riferimento ai crediti risarcitori per i quali, il creditore chiedeva di imputare i pagamenti effettuati agli interessi e non al capitale prima della stessa liquidazione del danno. Tali precedenti non affrontano il problema, rilevante ai nostri fini, della possibilità di una scadenza non simultanea tra debito per capitale e per interessi (si pensi al mutuo o ai regolamenti dei prestiti obbligazonari). Né pare che tale principio possa dirsi sorretto da una norma di legge inderogabile applicabile ai rapporti contrattuali.
[64] Così Astuni, cit. § 10.
Scarica Articolo PDF