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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 23/10/2009 Scarica PDF
L'azione di classe nel nuovo art. 140bis e gli obiettivi di deterrenza e di accesso alla giustizia dei consumatori
Paolo Fiorio, Avvocato in TorinoSOMMARIO: 1. Il nuovo art. 140bis: l'azione di classe a tutela dei diritti individuali omogenei dei consumatori ha sostituito l'azione collettiva risarcitoria. 2. Le finalità degli strumenti risarcitori collettivi o di classe. 3. La legittimazione ad agire: due modelli contrapposti. 3.1 La legittimazione ad agire diretta da parte di ogni consumatore membro della classe o indiretta tramite associazioni e comitati. 3.2. Legittimazione ad agire e valutazione di ammissibilità dell'azione di classe. 3.3. Costi, incentivi e disciplina della transazione: un assetto normativo inadeguato. 4. L'ambito soggettivo di applicazione dell'azione di classe: i potenziali danneggiati. 4.1. (segue): i potenziali convenuti. 5. L'ambito oggettivo di applicazione dell'azione di classe: i diritti individuali omogenei tutelabili e la c.d. ««irretroattività»». 6. L'identità dei diritti. 6.1. Il rapporto tra questioni comuni a tutti i membri della classe e questioni invidiali negli ordinamenti stranieri. 6.2. Il rapporto tra le questioni comuni e quelle individuali nel nuovo art. 140bis. 7. Il contenuto della sentenza che accoglie la domanda. 8. La liquidazione del danno. 9 Le adesioni e l'opt-in. 9.1 Natura, forma e contenuto dell'atto di adesione. 9.2. Gli effetti della sentenza che definisce il giudizio e la consumazione dell'azione di classe. 10 Conclusioni: il modello dell'opt-in è idoneo a perseguire gli obiettivi di deterrenza e riparazione?
1. Il nuovo art. 140bis: l'azione di classe a tutela dei diritti
individuali omogenei dei consumatori ha sostituito l'azione collettiva
risarcitoria
L'art. 49 della l. 23 luglio 2009, n. 99 ha modificato l'art. 140bis del codice
del consumo introdotto con l'art. 2 comma 445 l. 24 dicembre 2007 n. 244, ma
mai entrato in vigore per i continui rinvii succedutisi a partire dal giugno
del 20081.
Non si tratta di piccoli ritocchi, ma di una radicale revisione di molti
aspetti centrali della disciplina. Il deciso mutamento di prospettiva del
legislatore è intuibile fin dalla rubrica della norma intitolata non più
«azione collettiva risarcitoria»», ma ««azione di classe»».
All'indomani dell'approvazione dell'originario art. 140bis è sorto un fervido
dibattito circa la natura dell'azione che ha visto contrapporsi chi riteneva
che si trattasse di un'azione collettiva limitata alle questioni comuni a tutti
i danneggiati e chi invece propendeva per un giudizio nel quale potevano essere
dedotti i singoli crediti individuali degli aderenti2.
Alla domanda posta da Sergio Chiarloni3, nella vigenza del vecchio testo,
ovvero se si trattasse di un'azione collettiva, che segnava l'evoluzione degli
strumenti inibitori e ripristinatori collettivi previsti dall'art. 140 cod.
cons., o di un'azione di classe vicina al modello americano, oggi dovrebbe
rispondersi che si tratta di un'azione di classe che unisce alcuni tratti della
disciplina delle class actions statunitensi4, con altri aspetti ad essa del
tutto estranei, creando un assemblaggio discutibile della cui efficienza, in
attesa delle prime applicazioni giurisprudenziali, si può dubitare. Accanto ad
alcuni elementi tipici della class action, quali ad esempio la legittimazione
ad agire diffusa ed individuale, il giudizio di ammissibilità, che pur con
alcune differenze può essere accostato alla certification, il contenuto della
decisione, che di regola dovrebbe consistere nella condanna al pagamento di
somme liquide ed esigibili, sono presenti molti aspetti della disciplina
completamente estranei al modello statunitense quali la limitazione dell'ambito
di applicazione della norma ai consumatori, il sistema dell'opt-in e la
conseguente limitazione del giudicato ai soli consumatori aderenti, l'assenza
di un deciso controllo giudiziale sulle transazioni, la mancata previsione di
alcuna norma incentivante per la liquidazione delle spese processuali.
Certo è che il legislatore del 2009, poco incline ad un visione collettiva
degli strumenti di tutela ed alla valorizzazione dagli enti esponenziali, ha
disegnato un modello che ha abbandonato l'interesse collettivo quale fulcro
della tutela risarcitoria superindividuale, per abbracciare una dimensione di
matrice individualistica, incentrata sulla, presunta, capacità propulsiva dei
singoli consumatori danneggiati, o meglio della classe forense, sospinta da un
««individualistico altruismo»»5.
Il mutamento di prospettiva appare con tutta evidenza dall'individuazione delle
finalità dell'azione di classe diretta a tutelare i ««diritti individuali
omogenei dei consumatori e degli utenti»» e non i loro ««interessi
collettivi»», attorno ai quali era invece costruito il modello dell'azione
collettiva risarcitoria.
I diritti individuali omogenei, che con il nuovo art. 140bis per la prima volta
compaiono ufficialmente in un testo normativo, non solo altro che diritti
soggettivi individuali sorti in occasione di dinamiche e comportamenti di massa
e conseguentemente connotati da omogeneità sia perché generati da uno stesso
comportamento o da comportamenti simili ripetuti, sia perché il loro
accertamento giudiziale richiede la soluzione di questioni di diritto o di fatto
simili se non identiche.
I diritti o gli interessi collettivi, secondo la tradizionale ma discutibile
impostazione, sono invece posizioni di vantaggio appartenenti ad una
collettività e non suscettibili di appropriazione individuale6.
La distinzione tra interessi collettivi e diritti individuali omogenei, come si
è cercato di dimostrare in altra sede7, ha una portata applicativa limitata ad
alcuni tratti della disciplina che sono stati affrontati espressamente nel
nuovo art. 140bis.
Tale contrapposizione può infatti risultare il frutto di un'astratta finzione
in quanto solo gli uomini possiedono bisogni e anche i bisogni che appartengono
collettivamente ad un gruppo o ad una classe di soggetti si risolvono sempre in
bisogni comuni a tutti gli individui che ne fanno parte. La differenza tra
diritti soggettivi individuali ed interessi collettivi sta nel fatto che mentre
per i primi il soddisfacimento del bisogno avviene esclusivamente su base
individuale, per i secondi, realizzandosi una solidarietà di interessi tra i
soggetti coinvolti, il bisogno di uno dei componenti non può essere soddisfatto
se non sia soddisfatto il bisogno degli altri, tanto che si ritiene
correttamente che i beni collettivi non possono essere oggetto di
un'appropriazione individuale che ne determini la definitiva consumazione. La
vera distinzione tra la dimensione collettiva e quella individuale risiede
principalmente nel vincolo di solidarietà di interessi e nella consapevolezza
non meramente individuale dei diritti che richiede la creazione e l'organizzazione
di enti esponenziali che ne perseguano la tutela.
La scelta tra un modello di tutela risarcitoria superindividuale incentrato
sugli interessi collettivi, piuttosto che sui diritti soggettivi, può avere
conseguenze pratiche rilevanti sotto tre distinti profili: l'individuazione dei
soggetti legittimati ad agire; l'oggetto dell'azione che, se si spinge fino
alla liquidazione del danno subito da ogni singolo consumatore, travalica
l'interesse collettivo in quanto crea un bene (il titolo al trasferimento del
risarcimento per equivalente dalla sfera del danneggiante a quella del
danneggiato) di esclusiva appropriazione individuale, mentre se limitata
all'accertamento dell'illecito o del diritto risarcitorio o restitutorio può
ben rientrare nella tutela collettiva8; gli effetti della sentenza che, se
pronunciata a tutela degli interessi collettivi, segue, almeno stando
all'orientamento dottrinale prevalente9, la regola dell'efficacia secundum
eventum litis propria delle obbligazioni solidali o indivisibili.
Questi aspetti sono disciplinati dal nuovo art. 140bis che opera scelte più
chiare rispetto al testo precedente. La legittimazione ad agire è attribuita ad
ogni consumatore danneggiato. La sentenza che definisce il giudizio di regola
procederà alla liquidazione del danno per gli aderenti e, in via eccezionale, qualora
ciò non sia possibile, accerterà il diritto risarcitorio o restitutorio dei
consumatori, determinando i criteri omogenei per la liquidazione del danno. Il
giudicato della sentenza opera solo nei confronti delle parti e degli aderenti.
Da un primo sommario confronto tra l'azione di classe e le azioni collettive
previste all'art. 140 cod. cons, anche nell'ottica di delineare i tratti
distintivi tra queste due tecniche di tutela non individuale (o
superindividuale) si può ritenere che l'azione a tutela degli interessi
collettivi si differenzi dall'azione di classe per una differente
regolamentazione dei tre aspetti sopra considerati. La legittimazione ad agire
di natura collettiva è affidata ai soli enti esponenziali rappresentativi. Le
azioni a tutela degli interessi collettivi possono chiudersi, oltre che con
provvedimenti inibitori o ripristinatori espressamente contemplati all'art. 140
cod. cons., con l'accertamento dell'illecito e del diritto al risarcimento del
danno. La tutela dell'interesse collettivo, in quanto indivisibile e non
suscettibile di appropriazione individuale ad escludendum, deve poter giovare a
tutti i membri della classe, secondo la regola dell'efficacia secundum eventum
litis, propria delle obbligazioni indivisibili.
2. Le finalità degli strumenti risarcitori collettivi o di classe
A prescindere dalla ricostruzione dei modelli normativi di riferimento della
nuova azione di classe, la questione che pare necessario affrontare fin da una
prima lettura della norma è se la disciplina oggi vigente risulti idonea al
raggiungimento delle finalità cui dovrebbe rispondere.
Gli strumenti risarcitori collettivi o di classe perseguono essenzialmente tre
obiettivi tra loro strettamente connessi: l'accesso alla giustizia dei
consumatori e la conseguente riparazione dei danni provocati da illeciti di
massa, la deterrenza dal compimento degli illeciti, l'economia processuale,
risultante dalla gestione in un solo giudizio di una molteplicità di pretese
individuali omogenee o seriali.
Come noto, nei rapporti tra consumatori ed imprese l'accesso alla giustizia è
ostacolato sia da fattori di carattere socio-culturale, in quanto i danneggiati
spesso non sanno di poter agire in giudizio, sia dalle asimmetrie che si
determinano qualora lo scontro processuale avvenga tra una moltitudine di
litiganti occasionali e un litigante abituale che, oltre a poter fruire di
economie di scala nella predisposizione delle proprie difese e nella spesa per
il contenzioso, ha un interesse superiore al valore della causa ad evitare
precedenti sfavorevoli. Nella maggior parte degli illeciti di massa, e specialmente
in quelli di natura bagatellare, una semplice comparazione tra costi e benefici
porta il litigante occasionale a tenere un atteggiamento passivo di inerzia e a
non esercitare i propri diritti.
L'inerzia o l'apatia razionale del consumatore danneggiato non consente che la
responsabilità civile, congeniata in chiave strettamente individuale, sia uno
strumento idoneo a prevenire comportamenti illeciti e a proteggere non solo gli
interessi individuali dei singoli, ma anche quelli collettivi all'esercizio
delle attività imprenditoriali secondo i principi di correttezza e trasparenza.
La commissione di illeciti di massa può infatti divenire un comportamento
economicamente conveniente, ma deleterio per la collettività, qualora il costo
dei risarcimenti possa essere di gran lunga inferiore ai benefici derivanti dai
comportamenti opportunistici, specialmente qualora vengano affievoliti i
meccanismi di public enforcement e la tutela penale.
L'enforcement (ovvero l'applicazione e l'effettività) del diritto sostanziale10,
anche attraverso la tutela giurisdizionale, è considerabile come bene
pubblico11. La sanzione degli illeciti, ed in particolare i meccanismi di
responsabilità civile, assolvono infatti sia ad una funzione riparatoria sia ad
una più generale funzione di deterrenza12 e di prevenzione dei comportamenti
scorretti, allocando sui responsabili le conseguenze dannose.
Il contenzioso conseguente agli illeciti di massa ha quindi come effetto
diretto la reintegrazione dei danneggiati, producendo allo stesso tempo
esternalità positive anche per i soggetti non appartenenti al gruppo dei
danneggiati quali appunto la deterrenza dal compimento di illeciti per il
futuro, l'individuazione di standard comportamentali, l'informazione del
pubblico sulle caratteristiche dei prodotti e sui comportamenti delle
imprese.13.
La funzione di deterrenza dell'istituto della responsabilità civile deve
tuttavia fare i conti con le caratteristiche degli illeciti di massa e con la
difficoltà che le azioni risarcitorie possano essere effettivamente esercitate
da soggetti che, come i consumatori, accusano "problemi di azione
collettiva"14 e non hanno alcun incentivo ad investire nel contenzioso15.
La contrattazione di massa e lo sviluppo delle relazioni economiche verso
rapporti giuridici spersonalizzati e su vasta scala hanno posto all'attenzione
di tutti gli ordinamenti giuridici la necessità di svincolare l'istituto della
responsabilità civile dalla tradizionale dimensione individuale, verso forme di
tutela superindividuale che consentano di superare i problemi di azione
collettiva e di assicurare all'ordinamento il necessario livello di deterrenza
dal compimento degli illeciti.
Tali strumenti consentono infine di raggiungere la terza finalità sopra
individuata, ovvero l'economia dei giudizi ed una corretta allocazione delle
risorse giurisdizionali in un solo processo collettivo che permetta di evitare
una moltitudine di giudizi individuali.
3. La legittimazione ad agire: due modelli contrapposti
La legittimazione a promuovere l'azione collettiva risarcitoria è stato uno
degli aspetti più controversi del lungo e travagliato iter dell'art. 140bis e
delle numerose proposte di legge succedutesi nelle ultime legislature. Dalla
scelta dei soggetti legittimati a rappresentare la classe possono dipendere
infatti la concreta configurazione e l'efficacia dello strumento collettivo
risarcitorio.
A partire dall'aprile del 2003 sono emerse, pur con rilevanti distinzioni, due
differenti concezioni delle azioni collettive a tutela di diritti individuali
omogenei16. Da un lato le proposte più dirompenti prevedevano di conferire il
potere di agire in capo ad ogni interessato, ispirandosi evidentemente ad una
delle caratteristiche tipiche del modello di class-action statunitense.
Sull'altra sponda si collocavano, invece, quelle tendenti ad attribuire la
legittimazione agli enti esponenziali, ed in particolare alle associazioni
rappresentative dei consumatori e degli utenti.
L'una o l'altra scelta privilegiano esigenze contrapposte.
Ogni modello di azione collettiva a tutela dei diritti individuali omogenei
presenta sempre un problema di agency, aggravato dall'attribuzione della
rappresentanza senza uno specifico mandato17, e comporta il rischio avvertito
particolarmente negli Stati Uniti, di azioni rispondenti all'interesse del
rappresentante, o meglio del suo difensore, piuttosto che a quello della classe
dei danneggiati. Allo stesso tempo, però, i problemi di azione collettiva18
alla cui soluzione è diretto ogni meccanismo di tutela risarcitoria superindividuale
richiedono che la legittimazione ad agire sia attribuita ad un soggetto che
abbia gli incentivi necessari per promuovere l'azione assumendosene i costi ed
i relativi rischi19.
Si è infatti rilevato che la limitazione del potere di agire per conto della
classe ad un numero ristretto di soggetti (le associazioni di consumatori
iscritte nell'albo tenuto dal Ministero delle attività produttive), e non ad
ogni singolo danneggiato (che come l'esperienza nordamericana ci insegna
equivale ad attribuirla di fatto allo studio legale dell'attore
rappresentativo), può costituire un freno alla proposizione delle azioni che
dipendono dall'investimento nel contenzioso da parte dell'associazione20.
L'azione collettiva associativa presenta però il vantaggio che gli enti
esponenziali rappresentativi, in numero sufficientemente ampio, ma non
indeterminato, tale da escludere un'eccessiva competizione tra i promotori
della classe e la scelta dell'attore rappresentativo in maniera
discrezionale21, possono essere oggetto di maggiori controlli da parte
dell'opinione pubblica, necessari per limitare la proposizione di azioni
infondate o la conclusione di accordi transattivi di scarso vantaggio per i
danneggiati22. Le associazioni rappresentative degli interessi collettivi dei
consumatori hanno un interesse certamente superiore a quello del singolo
danneggiato (o dello studio legale che ne assume le difese) a salvaguardare la
propria immagine ed il proprio "capitale reputazionale" che potrebbe
essere gravemente compromesso in caso di una scorretta o inefficiente gestione
dell'azione di classe.
L'introduzione di azioni collettive a tutela di diritti individuali omogenei
ispirate alle class actions nordamericane, può invece assegnare un maggiore
incentivo alla proposizione dell'azione e risultare pertanto efficiente se
inserito in un contesto caratterizzato dal carattere imprenditoriale della
professione legale che connota l'esperienza statunitense23, e dalla conseguente
possibilità di parametrare il compenso del difensore al risultato complessivo
che, negli Stati Uniti diventa di particolare importanza, non solo per la
liquidazione dei danni punitivi, ma soprattutto per il meccanismo dell'opt-out,
che consente di arrivare alla liquidazione dell'intero danno collettivo.
Il legislatore del 2007, con la precedente formulazione dell'art. 140bis del
codice del consumo, aveva imboccato una soluzione intermedia tra i due modelli
di legittimazione ad agire24: se per un verso infatti era esclusa una
legittimazione individuale diffusa, essa era stata assegnata non solo al
ristretto numero di associazioni di consumatori rappresentative a livello
nazionale, ma ad ogni associazione o comitato adeguatamente rappresentativo
degli interessi fatti valere. Tale norma poteva infatti consentire ai singoli
danneggiati (o meglio ai loro difensori) di promuovere la costituzione di
associazioni o di comitati costituiti appositamente per promuovere l'azione
collettiva risarcitoria25. La legittimazione ad agire si presentava quindi come
diffusa, seppur nel solco degli schemi di tutela degli interessi collettivi dei
consumatori da parte degli enti esponenziali.
3.1 La legittimazione ad agire diretta da parte di ogni consumatore membro
della classe o indiretta tramite associazioni e comitati
La norma oggi vigente segna un chiaro scostamento rispetto all'originaria
formulazione dell'art. 140bis. Il primo comma prevede infatti che ««i diritti
individuali omogenei dei consumatori e degli utenti di cui al comma 2 sono
tutelabili anche attraverso l'azione di classe, secondo le previsioni del
presente articolo. A tal fine ciascun componente della classe, anche mediante
associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa, può agire per
l'accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno
e alle restituzioni»».
Il differente, ma verrebbe da dire quasi opposto, approccio riguarda due
fondamentali profili della disciplina: (i) i soggetti legittimati ad agire sono
oggi i singoli consumatori danneggiati i quali possono avviare l'azione di
classe direttamente o tramite associazioni cui conferiscono mandato o comitati
cui partecipano, (ii) l'oggetto dell'azione che non ha più quale punto di
riferimento l'interesse collettivo, bensì i diritti individuali omogenei dei
consumatori e degli utenti precisati al secondo comma.
Questi due aspetti sono chiaramente tra loro collegati in quanto la scomparsa
dell'interesse collettivo quale fulcro dell'azione di classe emargina il ruolo
degli enti esponenziali i quali da veri protagonisti della tutela collettiva
risarcitoria, divengono meri comprimari legittimati a rappresentare la classe
solo in presenza di uno specifico mandato conferito da almeno un danneggiato.
Se quindi l'oggetto dell'azione è, come si vedrà, di regola, la liquidazione
dei danni subiti dai membri della classe, i singoli danneggiati sono certamente
i diretti portatori dell'interesse fatto valere in giudizio.
Quanto alla natura dell'azione e della legittimazione ad agire, pur non essendo
in questa sede possibile un'approfondita riflessione, si può rilevare che
l'azione promossa dal singolo appartenente alla classe o da associazioni e
comitati presentano alcune importanti differenze.
Nel primo caso l'attore agisce in una duplice veste; in proprio, per ottenere
la condanna del convenuto al risarcimento dei danni subiti, quale sostituto
processuale della classe dei danneggiati, in quanto fa valere in nome proprio i
diritti di coloro che aderiranno all'azione. L'art. 140bis potrebbe quindi
essere ricondotto alle disposizioni di legge che derogano al generale divieto
di sostituzione processuale sancito all'art. 81 c.p.c. in forza del quale
condizione di trattabilità nel merito della domanda è la necessaria
corrispondenza tra l'attore e colui che nella domanda è affermato titolare del
diritto sostanziale controverso26.
In alternativa all'esercizio diretto dell'azione il consumatore può agire in
giudizio ««mediante associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa»». La
norma è formulata in maniera poco chiara in quanto parrebbe differenziare i
requisiti necessari per l'esercizio dell'azione a seconda che l'ente collettivo
sia un'associazione, alla quale deve essere conferito un vero e proprio
mandato, o un comitato, relativamente al quale sarebbe invece sufficiente la
mera partecipazione quale fondatore o aderente di almeno un membro della
classe. Tale distinzione pare irragionevole e si giustifica forse solo laddove
lo statuto del comitato, che di regola sarà costituito appositamente per la
promozione di una specifica azione di classe, preveda che con l'adesione
all'ente ogni danneggiato conferisca il mandato per l'esercizio dell'azione. Al
di fuori di questa ipotesi, imporre solo alle associazioni, ovvero ad
organizzazioni tendenzialmente stabili, che se iscritte nell'apposito albo di
cui all'art. 137 cod. cons., rappresentano gli interessi collettivi dei
consumatori, e non ai comitati, il conferimento di un mandato da parte di
almeno un membro della classe sarebbe una scelta del tutto irragionevole e
potenzialmente in contrasto con il principio di uguaglianza sancito all'art. 3
della Cost. Se si prende atto che con il nuovo art. 140bis gli unici soggetti
legittimati ad agire sono solo i diretti danneggiati, si deve concludere che il
rilascio di un mandato per la promozione dell'azione rappresenta sempre una
condizione necessaria, che non può essere sostituita dalla semplice adesione
all'associazione o al comitato.
Anche per l'azione promossa da associazioni e comitati si può ritenere che
l'art. 140bis contiene una deroga al generale divieto di attribuire la
rappresentanza con riferimento alla sola sfera processuale27. Mentre il singolo
membro della classe deduce in giudizio in nome proprio i diritti della classe,
le associazioni ed i comitati possono promuovere l'azione in nome e per conto
dei danneggiati ponendo quindi in essere atti immediatamente riferibili alla
sfera giuridica del o dei soggetti rappresentati.
Ne deriva pertanto che, da un lato, l'associazione, agendo quale semplice
rappresentante, può vedersi estromessa dal giudizio attraverso l'intervento
personale del mandate28, e, dall'altro, che saranno direttamente riferibili
alla sfera giuridica del rappresentato gli effetti delle attività poste in
essere dal rappresentante29 sia, come è ovvio, rispetto ai benefici da essa derivanti,
sia per gli oneri, quali ad esempio l'obbligo di corrispondere le spese legali
della controparte in caso di soccombenza, per le quali è presumibile che l'ente
collettivo manlevi il singolo danneggiato.
Tale situazione presenta per le associazioni ed i comitati il rischio di
sostenere ingenti costi per l'avvio e la conduzione del giudizio a fronte di un
potere di gestione dell'azione di classe instabile e pone conseguentemente il
problema della validità di quelle clausole dirette a limitare o vietare la
revocabilità del mandato o, in caso di revoca, a porre a carico del consumatore
mandante i costi del giudizio.
Mentre non paiono esservi dubbi circa la legittimità , in caso di revoca del
mandato, di un accordo diretto a porre a carico del rappresentato tali costi,
ben più complessa è la questione dell'irrevocabilità del mandato. Anche se il
contratto tra il singolo danneggiato e l'ente collettivo mandatario può essere
qualificato come mandato conferito principalmente nell'interesse di terzi (la
classe dei danneggiati), o anche del mandatario30, l'applicazione dell'art.
1723, 2° co. c.c., che consente la revoca solo in presenza di una giusta causa
o di una specifica previsione contrattuale, potrebbe infatti risultare in
contrasto con il libero esercizio del diritto di agire in giudizio e spiegare i
propri effetti solo nei rapporti interni tra mandante e mandatario31. Una via
più sicura per ovviare all'instabilità dell'esercizio indiretto dell'azione di
classe potrebbe essere invece individuata nel conferimento del mandato da parte
di una pluralità di consumatori che consentirebbe all'associazione di mantenere
la propria legittimazione tranne in caso di revoca dell'incarico da parte di
tutti i mandatari, anche a prescindere dall'applicabilità della disciplina del
mandato collettivo prevista all'art. 1726 c.c.
3.2. Legittimazione ad agire e valutazione di ammissibilità dell'azione di
classe
Anche se il 6° comma non prevede espressamente che nell'ambito del giudizio di
ammissibilità il Tribunale debba verificare che l'attore sia legittimato ad
agire, e a prescindere dalla natura della relativa eccezione, se processuale, e
quindi attinente la legittimatio ad causam, o se sostanziale attinente al
merito32, non paiono esservi dubbi circa il fatto che la mancanza di tale
requisito possa rientrare nel giudizio di manifesta infondatezza dell'azione33.
Quindi, anche se è astrattamente possibile che tale questione sia decisa con la
sentenza che definisce il giudizio34, esigenze di economia processuale, da un
lato, e di tutela dei danneggiati potenziali aderenti che, superato il filtro
di ammissibilità, possono ragionevolmente confidare nella rappresentatività
dell'attore collettivo, dall'altro, fanno ritenere opportuno che le azioni
infondate per difetto di legittimazione ad agire siano dichiarate inammissibili
con l'ordinanza prevista al sesto comma della norma in esame.
Nell'ambito del giudizio di ammissibilità il Tribunale dovrà quindi certamente
valutare due requisiti che devono necessariamente caratterizzare la posizione
sostanziale dell'attore che agisce in sostituzione della classe direttamente o
tramite mandato conferito ad un'associazione. Tale soggetto (i) deve essere un
consumatore (ii) deve appartenere alla classe dei danneggiati. Qualora l'azione
sia promossa da un'associazione o da un comitato dovrà inoltre essere
verificato il conferimento del mandato per la rappresentanza processuale.
Quanto al primo requisito, rilevando per ora, che il soggetto legittimato ad
agire è certamente il consumatore persona fisica che agisce per scopi estranei
all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale
eventualmente svolta, secondo la classica definizione contenuta all'art. 3, 1°
co. lett. a) cod. cons, si rinvia al paragrafo relativo all'ambito soggettivo
di applicazione della norma l'analisi dei non pochi problemi posti da tale,
forse eccessivamente restrittiva, limitazione dell'azione di classe.
Il secondo requisito sopra individuato, ovvero l'appartenenza alla classe, non
presenta particolari problemi interpretativi in quanto presuppone
essenzialmente che l'attore sia individualmente legittimato ad agire in
giudizio per il risarcimento del danno o per la restituzione di somme dovute a
seguito di un illecito plurioffensivo Delimitate le caratteristiche
fondamentali del diritto fatto valere dall'attore, l'individuazione dei
caratteri dei diritti individuali oggetto del giudizio, con la specificazione
dei criteri in base ai quali gli aderenti dovranno ritenersi inclusi o esclusi
dalla classe (nono comma, lett. a), riguarderà non tanto l'accertamento della
legittimazione ad agire, quanto invece la delimitazione dell'oggetto
dell'azione di classe35.
Sempre nell'ambito del giudizio di ammissibilità il Tribunale dovrà verificare
due ulteriori requisiti i quali, pur non attenendo specificamente alla
legittimazione attiva, riguardano sempre la posizione dell'attore. L'azione è
infatti dichiarata inammissibile quando sussiste un conflitto di interessi,
ovvero quando il proponente non appaia in grado di curare adeguatamente
l'interesse della classe.
Il primo requisito, già presente nella precedente formulazione della norma,
attiene essenzialmente al conflitto che potrebbe sussistere tra l'attore e la
classe dei danneggiati, ravvisabile qualora questi abbia specifici rapporti o
relazioni di natura commerciale con il convenuto o con imprese concorrenti tali
da lederne l'indipendenza. Ben più problematico è il requisito dell'idoneità a
curare l'interesse della classe che può essere interpretato come mero rafforzativo
dell'assenza di conflitti di interesse, o invece, con valenza autonoma, quale
requisito di adeguatezza economico finanziaria dell'attore o dell'associazione
cui è conferito il mandato36 i quali dovrebbero provare di essere in grado di
sostenere gli oneri economici della lite. Tra le due possibili interpretazioni
pare preferibile la prima per due ragioni. Innanzitutto non pare corretto e
coerente con la finalità della norma, che è certamente di consentire l'accesso
alla giustizia dei consumatori, subordinare l'ammissibilità dell'azione alla
situazione economico finanziaria dell'attore e/o del suo rappresentante. In
secondo luogo, qualora si volesse interpretare tale requisito in termini più
realistici, riferendolo allo studio legale che assiste la classe, risulterebbe
veramente difficile, oltre che anomalo per il nostro ordinamento, verificare
l'idoneità finanziaria del difensore.
3.3. Costi, incentivi e disciplina della transazione: un assetto normativo
inadeguato
Per evitare i rischi di un uso distorto dell'azione l'art. 140bis contiene
diverse disposizioni che possono incidere fortemente sui costi della causa,
scoraggiandone un frequente e diffuso utilizzo in assenza di adeguati incentivi
anche di carattere economico. Basti considerare che, con l'ordinanza di
inammissibilità, il Tribunale regola le spese, anche ai sensi dell'art. 96
c.p.c. e ordina gli opportuni strumenti pubblicitari i cui costi potrebbero
essere particolarmente significativi qualora il Tribunale ne individuasse le
finalità nel risarcimento in forma specifica dei danni d'immagine provocati
dall'avvio dell'azione di classe successivamente dichiarata inammissibile; con
l'ordinanza di ammissibilità dispone invece le forme pubblicitarie ritenute
idonee per agevolare una tempestiva adesione da parte dei danneggiati, il cui
onere dovrà essere di regola sostenuto (o quantomeno anticipato37) dall'attore.
A tali rischi e costi si aggiungono inoltre la condanna alle spese della
controparte in caso di soccombenza, i costi per studiare la causa e retribuire
i difensori ed eventuali consulenti tecnici dell'attore, nonché quelli
necessari per sollecitare le adesioni.
Se si considera che l'art. 140bis dovrebbe consentire l'esercizio di quelle
azioni che ogni singolo danneggiato non ha interesse a promuovere per non
sopportarne i costi, appare subito evidente come il singolo consumatore, se si
esclude l'irrealistica figura del ricco benefattore, possa avere ancor minor
interesse e minori incentivi a promuovere un'azione collettiva ben più onerosa
di quella individuale.
Né pare realistico pensare che tale ostacolo possa essere di fatto superato
grazie al ruolo imprenditoriale degli avvocati specializzati nelle azioni di
classe i quali diverrebbero veri e propri promotori del giudizio38 o
all'intervento delle associazioni o dei comitati quali rappresentanti di un
membro della classe. Il contesto economico e normativo nel quale si inserisce
l'art. 140bis è innegabilmente molto diverso rispetto a quello che connota la
class action statunitense al quale si è apertamente ispirato il legislatore del
2009.
Innanzitutto, per quanto riguarda il ruolo degli studi legali, bisognerà
verificare la compatibilità con i principi di deontologia forense, ed in
particolare con il divieto di accaparramento di clientela e con le limitazioni
relative alla diffusione di informazioni pubblicitarie promozionali39, di un
vero e proprio ruolo imprenditoriale dell'avvocato40 al quale sarà richiesto
non solo di rischiare che il proprio lavoro non sia retribuito in caso di
soccombenza, ma soprattutto di finanziare l'iniziativa per far fronte ai costi
per la promozione dell'azione, per la sua pubblicità, ed al pagamento delle
eventuali spese di lite liquidate a favore della controparte che rappresentano
un rischio che nessun danneggiato sarà disposto ad affrontare41.
Anche a voler prescindere da eventuali problemi di compatibilità con i principi
di deontologia professionale, non pare comunque che, a fronte dei rischi e dei
costi conseguenti all'avvio di un'azione di classe, l'art. 140bis fornisca
adeguati incentivi economici per assegnare agli avvocati un ruolo propulsivo,
di natura essenzialmente imprenditoriale, nella proposizione del contenzioso
collettivo42. Innanzitutto la norma non contiene alcuna disposizione relativa
alla quantificazione delle spese in caso di vittoria da parte dell'attore, che
potranno essere quindi liquidate secondo i principi generali, considerando
quale valore della causa la somma delle domande degli attori e degli aderenti.
Anche la previsione di un patto di quota lite43 tra il difensore della classe,
l'attore e gli aderenti può non essere sufficiente a creare adeguati incentivi
all'organizzazione dell'azione in quanto, a differenza di quanto accade negli
Stati Uniti, il compenso del difensore dipenderà dal numero delle adesioni che,
come si vedrà in seguito44, presuppongono un comportamento attivo da parte di
un soggetto quale il consumatore, razionalmente apatico, che pare molto poco
realistico45.
Anche l'azione proposta tramite associazioni o comitati in rappresentanza
dell'attore non sembra destinata ad un maggiore successo. Come si è in
precedenza notato l'associazione, non essendo direttamente legittimata ad
agire, deve sempre sottostare alle decisioni processuali del consumatore
rappresentato. Questi può sempre decidere di revocare il mandato, di
intervenire personalmente nel giudizio o di transigere la controversia. Non è
irrealistico pensare che l'impresa convenuta, dopo la valutazione di
ammissibilità dell'azione e decorso il termine per l'adesione da parte dei
membri della classe, abbia interesse a transigere la lite con il singolo
danneggiato, presumibilmente a condizioni di favore rispetto agli altri membri
della classe. Si determinerebbe così la definitiva consumazione dell'azione
collettiva ed il regresso al contenzioso individuale per tutti gli aderenti che
non abbiano accettato la proposta transattiva eventualmente formulata, come
previsto al quindicesimo comma46. La norma si preoccupa di tutelare i diritti
individuali di difesa del convenuto (che può definitivamente chiudere ogni
azione di classe) e di non pregiudicare quelli degli aderenti (che non sono
vincolati ad accordi ai quali non hanno prestato il proprio consenso),
dimenticando però qualsiasi forma di tutela dei diritti della classe ad ottenere
la sentenza finale o un accordo transattivo adeguato.
Proprio la disciplina degli accordi transattivi risulta estremamente lacunosa.
Da un lato, il quindicesimo comma fa riferimento alla possibilità di definire
il giudizio tramite un accordo transattivo (e conseguenti rinunce) tra le
parti, ovvero tra l'attore ed il convenuto, senza prevedere alcun obbligo di
estendere la medesima proposta agli aderenti. Dall'altro, gli accordi
transattivi non sono in alcuna misura soggetti ad un'approvazione giudiziale,
così come invece specificamente previsto nella class action statunitense47 che
impone al giudice di verificare che la transazione sia "fair, reasonable,
and adequate"48, aspetto questo recentemente rafforzato con le ultime
riforme del 2003 e del 200549. L'assenza un'adeguata disciplina delle
transazioni delle azioni di classe comporta che il singolo aderente può essere
estromesso, senza alcun vaglio giudiziale, da qualsiasi beneficio conseguente
alla transazione della lite o può comunque trovarsi a dover scegliere se
accettare un'insoddisfacente proposta transattiva o se avviare un nuovo ed
autonomo giudizio individuale senza alcuna possibilità di coltivare i propri
diritti in altra azione collettiva, come previsto al 14° comma50.
Pare quindi difficile che, in assenza di forme di finanziamento pubblico
dell'azione51, associazioni e comitati si facciano frequenti promotori di
iniziative giudiziarie che, oltre ad essere difficili e particolarmente
costose, sarebbero caratterizzate da un'elevata instabilità e dal rischio di
dover assistere passivamente a opportunistiche transazioni ed al conseguente
abbandono del giudizio a condizioni non favorevoli ai consumatori danneggiati.
Ad una prima lettura della norma pare potersi concludere che il nostro
legislatore ha importato una delle caratteristiche fondamentali del sistema
americano, ovvero la legittimazione ad agire in capo ad ogni (consumatore)
danneggiato, senza però preoccuparsi di introdurre adeguati incentivi per la
promozione dell'azione e controlli efficienti per assicurane un uso corretto.
Ne può quindi derivare, da un lato, un limitato ricorso alla tutela
risarcitoria di classe, dall'altro un suo utilizzo distorto, incapace di
assicurare gli obiettivi di deterrenza, riparazione ed economia processuale che
la norma dovrebbe perseguire.
4. L'ambito soggettivo di applicazione dell'azione di classe: i potenziali
danneggiati
Il primo comma dell'art. 140bis delimita in maniera abbastanza netta l'ambito
soggettivo di applicazione dell'azione di classe ai ««diritti individuali
omogenei dei consumatori e degli utenti»», seguendo la strada già tracciata
dalla precedente versione della norma, anche se in aperto contrasto con la
class action statunitense che non conosce invece limitazioni relative all'ambito
soggettivo di applicazione dell'istituto52.
La limitazione dell'ambito di applicazione dell'azione ai soli consumatori è
stata, già in passato correttamente criticata da parte della dottrina che,
anche in considerazione delle esperienze straniere, ha rilevato che gli
strumenti collettivi risarcitori possono trovare applicazione in situazioni tra
loro assai diverse e non sempre riconducibili ai rapporti di consumo, quali ad
esempio i casi di discriminazione, i danni ambientali o gli illeciti posti in
essere nei confronti dei lavoratori che, come noto, sono tra i principali
esempi di contenzioso seriale nei quali sono fatti valere diritti individuali
omogenei53.
Pur restringendo la nostra indagine ai rapporti di consumo, si deve notare che
l'azione di classe avrà un ambito soggettivo di applicazione limitato in quanto
potrà tutelare i soli consumatori, secondo la tradizionale nozione (ovvero le
persone fisiche che agiscono per scopi estranei all'attività imprenditoriale o
professionale eventualmente svolta) avallata dalla giurisprudenza della
Cassazione, della Corte di Giustizia54 e della Corte Costituzionale55. Senza
poter qui ripercorrere i rilievi critici mossi dalla dottrina che ha
correttamente ritenuto ingiustificata e discriminatoria l'esclusione dei soggetti
deboli diversi dalle persone fisiche che agiscono per finalità non
professionali o imprenditoriali56, ci si può limitare ad osservare come tale
limitazione appaia oggi ancor più discutibile anche sotto il profilo
dell'irragionevole compressione del diritto di agire (collettivamente) in
giudizio ai sensi dell'art. 24 Cost.
Resta tuttavia il dubbio che non può essere compiutamente affrontato in questa
sede se in quei settori particolari57, quali ad esempio l'intermediazione
finanziaria, ove la figura del contraente debole non è il consumatore, ma il
cliente al dettaglio58 (categoria nella quale vanno ricompresi anche gli
imprenditori e le persone giuridiche), siano legittimate ad agire anche le
piccole imprese59. Nel libro bianco in materia di azioni di risarcimento del
danno per violazione delle norme antitrust comunitarie del 2 aprile 200860 la
Commissione europea ha infatti precisato che non solo i cittadini, ma anche le
imprese ««che subiscono un danno a seguito di un'infrazione delle norme antitrust
comunitarie (articoli 81 e 82 del Trattato CE) devono poter richiedere un
risarcimento alla parte che ha causato il danno»», ritenendo necessaria
l'introduzione a livello comunitario di un'azione collettiva che consenta
l'aggregazione delle singole istanze da parte delle vittime delle violazioni
delle norme antitrust. Finalmente con un sano realismo si è osservato che ««i
singoli consumatori, ma anche le piccole imprese, in particolare coloro che
hanno subito un danno diffuso e di valore relativamente basso, sono spesso
scoraggiati dall'intentare un'azione individuale per danni a causa dei costi,
ritardi, incertezze, rischi ed oneri che ne possono derivare»».
4.1. (segue) : i potenziali convenuti
Quanto invece alla legittimazione passiva l'art. 140bis non opera una scelta
altrettanto chiara. In tre occasioni la norma identifica quale convenuto
l'impresa. Il 2° co. lett. a) specifica che l'azione tutela ««i diritti
contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti
di una stessa impresa in situazione identica»»; il 4° co., individuando la
competenza territoriale, precisa che ««la domanda è proposta al tribunale
ordinario avente sede nel capoluogo della regione in cui ha sede l'impresa»»;
il 14° co, sancendo il principio di consumazione dell'azione fa nuovamente
riferimento all'impresa convenuta in giudizio: ««non sono proponibili ulteriori
azioni di classe per i medesimi fatti e nei confronti della stessa impresa»».
L'utilizzo della nozione di ««impresa»», che nella sua connotazione soggettiva
dovrebbe intendersi come ««imprenditore»» ai sensi dell'art. 2082 c.c., in
luogo di quelle abituali utilizzate nel codice del consumo di
««professionista»»61, anche nelle sue declinazioni di ««produttore»»62 o
««venditore»»63, pone alcuni rilevanti e complessi problemi interpretativi.
Sono certamente da considerarsi escluse dall'ambito di applicazione della norma
le lesioni ai diritti dei consumatori previsti al 2° comma attribuibili a
soggetti che non operano professionalmente, quale ad esempio sarebbe il
condomino che, violando il regolamento condominiale, danneggi gli altri
condomini.
Ci si può però chiedere se l'utilizzo del termine ««impresa»» valga ad
escludere quei soggetti che, pur operando in maniera professionale, non
rientrino nella figura dell'imprenditore di cui all'art. 2082 c.c., ovvero del
soggetto che ««esercita professionalmente un'attività economica organizzata al
fine della produzione o dello scambio di beni e servizi»». Il problema si pone
essenzialmente con riferimento ai professionisti intellettuali, alla pubblica
amministrazione e agli enti pubblici.
In linea generale si può rilevare che il termine ««impresa»», contenuto nelle
norme sopra richiamate, non pare impiegato in senso tecnico per limitare la
legittimazione passiva del convenuto in un'azione di classe64. L'impresa ha
infatti di regola un significato di carattere oggettivo coincidente con
l'attività economica esercitata dall'imprenditore e non una connotazione
soggettiva idonea ad identificare il soggetto cui sia riferibile tale
attività65. L'uso improprio del termine "impresa" trova un'ulteriore
conferma nel 12° co. che prevede espressamente che l'azione possa essere
esercitata ««nei confronti di gestori di servizi pubblici o di pubblica
utilità»» che non sempre possono essere considerati come imprenditori.
Si può quindi fondatamente ritenere che il legislatore abbia fatto riferimento
all'impresa in maniera impropria quale sinonimo di convenuto, sul presupposto
che nella maggior parte dei casi l'azione di classe a tutela dei diritti dei
consumatori sarà avviata nei confronti di un imprenditore.
Fatta tale premessa resta tuttavia da verificare se, in ragione dei principi
generali cui si ispira la norma o di altre disposizioni in essa contenute,
l'art. 140bis consenta azioni di classe promosse nei confronti di
professionisti intellettuali e della pubblica amministrazione.
Pare preferibile ritenere che essa possa essere intentata anche nei confronti
di professionisti intellettuali che rientrano certamente nella nozione di
««professionista»» ex art. 3 lett. c) cod. cons, ovvero la controparte abituale
del consumatore66. Non si vedono quindi ostacoli a che sia convenuto in
giudizio un medico che suggerisca terapie palesemente dannose, un architetto
che su incarico di un gruppo di consumatori abbia predisposto un progetto
inadeguato che abbia successivamente determinato il crollo di un edificio o un
avvocato che, nel difendere numerosi consumatori, magari proprio in un'azione
di classe, abbia agito in violazione dei doveri di diligenza e di correttezza.
Meno agevole è invece la soluzione dell'ulteriore questione sopra prospettata,
inerente alla legittimazione passiva della pubblica amministrazione o degli
enti pubblici, che richiederebbe una più approfondita riflessione circa la
necessità che tra la classe ed il convenuto intercorra un rapporto di consumo,
nonché sul significato da attribuire a tale relazione. Il problema pare dover
essere risolto tenendo in considerazione due specifici indici normativi. Da un
lato, sia il professionista, sia il consumatore, sono individuati, con
riferimento non tanto alla specifica attività posta in essere, quanto invece
alle finalità perseguite (il consumatore deve agire per finalità non
professionali, mentre, all'opposto il professionista deve agire nell'ambito
della propria attività imprenditoriale o professionale)67. Dall'altro, la
figura del consumatore, anche nell'art. 140bis, è affiancata all'utente, con
l'ulteriore specificazione che tra i diritti fondamentali dei consumatori e
degli utenti è ricompreso quello ««all'erogazione di servizi pubblici secondo
standard di qualità e di efficienza»» (art. 2, co. 1, lett. g).
In una recente sentenza la Cassazione68 ha affermato che l'applicabilità delle
tutele apprestate per il consumatore all'utente del servizio pubblico deve
essere valutata caso per caso, verificando se le varie disposizioni contenute
nel codice del consumo siano o meno applicabili, per la loro ratio o sulla base
del loro tenore, al rapporto di utenza pubblica, per arrivare nel caso
esaminato a negare l'applicabilità delle norme sulle clausole abusive al
rapporto tra l'utente ed il servizio sanitario nazionale sulla base di due
argomentazioni entrambe discutibili. Da un lato si è affermato che la
disciplina delle clausole abusive richiederebbe sempre la presenza di un
contratto, situazione non ravvisabile nei casi in cui si tratti
dell'adempimento di un dovere di prestazione discendente direttamente dalla
legge, quale per l'appunto il rapporto tra paziente e struttura ospedaliera.
Dall'altro la Corte ha ritenuto che l'azienda sanitaria non possa essere
considerata un professionista in quanto il servizio sanitario può essere
prestato senza il rispetto del principio di economicità in ragione del fatto
che l'erogazione delle prestazioni sanitarie deve essere assicurata anche se
cagiona perdite69.
Non pare che le conclusioni della Cassazione, criticabili anche con riferimento
alla disciplina delle clausole abusive70, siano idonee ad escludere le aziende
sanitarie pubbliche, e più in generale i soggetti di natura pubblicistica che
erogano servizi pubblici, tra i legittimati passivi dell'azione di classe.
Nella sentenza sopra richiamata la Cassazione ha sottolineato la necessità di
valutare caso per caso l'applicabilità o meno delle singole norme del codice
del consumo alla pubblica amministrazione. Il 12° co. dell'art. 140bis prevede
espressamene la possibilità di avviare un'azione di classe nei confronti dei
««gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità»». Ci si può pertanto
chiedere se sia corretta un'interpretazione della norma che ammetta la tutela
collettiva solo per i servizi pubblici dati in appalto, e non invece per quelli
gestiti direttamente dalla pubblica amministrazione, specialmente se si
considera che l'art. 36 d.l. 25 giugno 2008, ha disposto un rinvio dell'entrata
in vigore dell'originario art. 140bis cod. cons. ««anche al fine di individuare
e coordinare specifici strumenti di tutela risarcitoria collettiva, anche in
forma specifica nei confronti delle pubbliche amministrazioni»»71.
Resta quindi il dubbio se anche la pubblica amministrazione o gli enti pubblici
possano essere convenuti in un'azione di classe qualora eroghino beni o servizi
(anche pubblici o di pubblica utilità) purché nell'ambito di un attività
esercitata professionalmente.
5. L'ambito oggettivo di applicazione dell'azione di classe: i diritti
individuali omogenei tutelabili e la c.d. «irretroattività»
Un'ulteriore importante differenza tra l'azione di classe italiana e la class
action statunitense riguarda l'ambito di applicazione che il legislatore
italiano ha voluto circoscrivere solo ad alcuni diritti dei consumatori.
L'azione di classe è infatti ammessa, ai sensi del co. 2 dell'art. 140bis in
sole quattro fattispecie:
(i) per la lesione di ««diritti contrattuali»», inclusi quelli relativi a
contratti stipulati ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c.
(ii) per la responsabilità del produttore;
(iii) in caso di pratiche commerciali scorrette o
(iv) di comportamenti anticoncorrenziali.
Rispetto alla precedente formulazione il nuovo art. 140bis presenta due novità
di segno opposto. Se per un verso i diritti risarcitori e restitutori di natura
contrattuale non sono più limitati ai rapporti giuridici relativi a contratti
stipulati mediante moduli o formulari ex art. 1342 c.c, nel contempo l'azione
non è più esercitabile per qualsiasi atto illecito extracontrattuale, ma solo
per la responsabilità del produttore, per i comportamenti anticoncorrenziali e
le pratiche commerciali scorrette.
L'eliminazione della restrizione dell'azione ai soli rapporti contrattuali di
cui all'art. 1342 c.c. è certamente positiva ed idonea ad eliminare
un'ingiustificabile disparità di trattamento rispetto ai diritti dei
consumatori derivanti da contratti conclusi per adesione senza la
sottoscrizione di moduli o formulari che hanno un elevatissima diffusione (si
pensi ad esempio al trasporto aereo o ferroviario). L'azione di classe è oggi
attivabile per ogni rapporto contrattuale dal quale nascano diritti (identici)
per una pluralità di consumatori a prescindere dalle modalità di conclusione
del contratto.
La limitazione dell'azione ai soli illeciti extracontrattuali espressamente
previsti può invece comprimere eccessivamente l'ambito di applicazione della
norma non consentendo l'azione di classe per le fattispecie di responsabilità
precontrattuale, qualora la si inquadri nell'ambito degli illeciti
extracontrattuali, e per la violazione dei doveri di informazione del pubblico
da parte di soggetti quali amministratori e sindaci delle società quotate,
società di revisione, agenzie di rating, e analisti finanziari.
La contrapposizione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale che
può emergere dall'art. 140bis è tuttavia in controtendenza rispetto
all'orientamento emerso in dottrina e giurisprudenza che ha cercato di fornire
una ricostruzione unitaria della responsabilità72 a prescindere dal suo
fondamento. L'art. 140bis potrà quindi riproporre all'attenzione della dottrina
e della giurisprudenza la necessità (di ordine pratico-applicativo) di
individuare il fondamento della responsabilità di ogni singolo illecito per
verificare l'ammissibilità dell'azione di classe.
La reale efficacia dell'azione di classe e la sua idoneità a realizzare gli
obiettivi di deterrenza e di riparazione che essa si prefigge potranno
dipendere, da un lato, dalle applicazioni giurisprudenziali della disciplina
delle pratiche commerciali scorrette e, dall'altro, dall'inquadramento nella
responsabilità contrattuale delle obbligazioni senza prestazione o da
"contatto sociale".
L'inclusione tra le fattispecie tutelabili dei ««diritti identici al ristoro
del pregiudizio derivante (...) da pratiche commerciali scorrette»» può
consentire la tutela collettiva in situazioni non sempre facilmente
riconducibili a diritti contrattuali73 sui quali forse il legislatore del 2009
aveva deciso di intervenire in senso restrittivo. Sono infatti ««pratiche
commerciali»» ««qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione,
comunicazione commerciale, ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione
del prodotto posta in essere da un professionista, in relazione alla
promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai
consumatori»» [art. 18, 1° co. lett.d) cod. cons]. Anche la nozione di prodotto
è particolarmente ampia e pressoché onnicomprensiva in quanto include
««qualsiasi bene o servizio, compresi i beni immobili, i diritti e le
obbligazioni»», e quindi, ad esempio, anche i servizi di investimento, bancari
o assicurativi. Tra le pratiche commerciali scorrette possono quindi rientrare
quasi tutti i casi di diffusione di informazioni contrarie agli obblighi di
diligenza cui sia tenuto un professionista che falsino o siano idonee a falsare
in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio74. La
tutela in questo caso pare inoltre concessa a prescindere dal fatto che
l'illecito sia posto in essere prima durante o dopo un'operazione commerciale75
e che possa quindi determinare una responsabilità precontrattuale o
extracontrattuale o un diritto restitutorio derivante dall'annullamento o dalla
dichiarazione di nullità del contratto.
Con riferimento agli illeciti derivanti dalla diffusione di informazioni
economiche inesatte, parte della dottrina ha affermato la natura contrattuale
delle "obbligazioni senza prestazione"76, in quelle situazioni nelle
quali sia riscontrabile la violazione di norme che presuppongono un rapporto
obbligatorio da affidamento in ragione dello status professionale del soggetto
tenuto a fornire informazioni particolari dirette a proteggere la sfera
giuridica dei destinatari o comunque tenuto al rispetto di specifici obblighi
di protezione della persona o del patrimonio77. In queste situazioni gli
obblighi di comportamento che incombono sul soggetto tenuto a fornire una
determinata informazione costituiscono autonome fonti di obbligazioni ai sensi
dell'art. 1173 c.c. idonei a trasformare il contatto (generalmente definito
come "sociale") in un vero e proprio rapporto obbligatorio fondato
sull'affidamento incolpevole riposto nella regolarità del comportamento del
soggetto tenuto ad informare e pertanto disciplinato dall'art. 1218 c.c78.
Tale orientamento, diretto essenzialmente ad alleviare gli oneri probatori del
danneggiato altrimenti applicabili per gli illeciti extracontrattuali79,
persegue finalità che paiono coincidere con l'agevolazione dell'accesso alla
giustizia dei consumatori. Per questa via si potrebbe quindi giungere ad un
ragionevole ampliamento delle fattispecie di responsabilità sanzionabili
attraverso l'art. 140bis: si pensi ad esempio alla responsabilità dei soggetti
(società di revisione, agenzie di rating80, analisti finanziari81, banche
d'affari responsabili dei consorzi di collocamento82, protagonisti dei numerosi
scandali finanziari del nuovo millennio) tenuti a specifici obblighi di
informazione necessari per assicurare l'integrità dei mercati finanziari e la
tutela dell'investitore che nell'esperienza statunitense rappresentano le più
diffuse tipologie di class actions83.
Si deve però realisticamente rilevare che in molti di questi casi
l'inquadramento della responsabilità del "professionista" come
contrattuale è soggetta a notevoli incertezze interpretative84 che potranno
disincentivare l'avvio dell'azione che può presentare un rischio eccessivamente
elevato tale da non giustificare un adeguato investimento finanziario nella
causa collettiva.
Occorre infine segnalare che l'ambito oggettivo di applicazione dell'art.
140bis incontra una importante limitazione temporale in quanto l'art. 49, 2°
co., l. 23 luglio 2009, n. 99, prevede che : ««le disposizioni dell'articolo
140-bis del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005,
n. 206, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, si applicano agli
illeciti compiuti successivamente alla data di entrata in vigore della presente
legge»».
Tale disposizione risolve la questione che si era posta all'indomani
dell'approvazione del vecchio testo dell'art. 140bis relativa all'applicabilità
dell'azione collettiva risarcitoria agli illeciti commessi in un momento
precedente all'entrata in vigore della legge. La questione, sollevata in
particolare dalle organizzazioni imprenditoriali, era stata risolta dalla
dottrina in maniera pressoché univoca sulla semplice considerazione che l'art.
140bis non prevedeva alcun nuovo diritto, per il quale si sarebbe potuto
correttamente porre un problema di irretroattività della legge, ma uno
strumento processuale per l'esercizio di diritti preesistenti come tale
applicabile dalla sua entrata in vigore85. Non si può nascondere che l'attuale
limitazione non abbia alcuna giustificazione diversa dal porre le imprese
potenziali convenute al riparo dalle azioni di classe per un elevato numero di
illeciti, in quanto anche il nuovo art. 140bis non introduce alcun nuovo
diritto sostanziale per i consumatori.
6. L'identità dei diritti
Questione fondamentale nell'interpretazione del nuovo art. 140 bis riguarda il
significato da attribuire alle espressioni in "situazione identica"
riferito ai "diritti contrattuali" di una pluralità di consumatori
(2° co. lett. a) e "diritti identici" ripetuto alle lett. b) e c) con
riguardo alle pretese dei consumatori per i danni da prodotti difettosi, da
pratiche commerciali scorrette o anticoncorrenziali. L'identità dei diritti
rappresenta infatti un requisito indispensabile affinché il Tribunale possa
dichiarare l'azione di classe ammissibile, come previsto al sesto comma.
Il requisito dell'identità della situazione contrattuale o dei diritti dei
consumatori, oltre a non essere mai stato utilizzato dal legislatore non solo
nel settore consumeristico, pare poco coerente sia con il generale panorama
legislativo degli altri ordinamenti che hanno introdotto strumenti risarcitori
collettivi, nei quali non è rintracciabile una simile disposizione, sia con
altre previsioni contenute all'art. 140bis.
In linea generale si deve osservare che il riconoscimento del diritto alla
restituzione di somme ed al risarcimento del danno richiede sempre (i)
l'accertamento di un "comportamento illegittimo" imputabile al
convenuto; (ii) l'esistenza di un danno o di un indebito pagamento; e quanto
alle domande risarcitorie (iii) l'esistenza del nesso di causalità tra
l'illecito ed il danno. Effettuati tali accertamenti, che attengono
all'esistenza del diritto, il concreto ristoro del soggetto leso richiede (iv)
la quantificazione del danno subito individualmente o la determinazione della
somma da restituire.
Problema comune a tutti gli illeciti di massa e quindi agli strumenti di tutela
risarcitoria collettiva riguarda il rapporto tra le questioni (di diritto e di
fatto) comuni a tutti i danneggiati e le questioni di carattere individuale che
possono attenere solo a sottogruppi di danneggiati o anche a singoli individui.
Non v'è dubbio che la tutela risarcitoria collettiva si giustifichi proprio in
quelle situazioni nelle quali sia ravvisabile un comportamento plurioffensivo
(o una pluralità di identici comportamenti ripetuti nei confronti di una
collettività di soggetti), idoneo a ledere un elevato numero di danneggiati in
maniera seriale. Allo stesso tempo non può nemmeno dubitarsi che gli strumenti
di tutela collettiva non siano appropriati per affrontare illeciti di natura
individuale.
6.1. Il rapporto tra questioni comuni a tutti i membri della classe e questioni
invidiali negli ordinamenti stranieri
Il rapporto tra questioni comuni e questioni individuali nelle azioni
risarcitorie collettive è stato affrontato nei principali ordinamenti stranieri
secondo due differenti approcci86: quello proprio delle class action
statunitensi per le quali è richiesta la prevalenza delle questioni comuni a
tutti i membri della classe rispetto a quelle personali ad ognuno; quello
adottato per class actions in Australia ed in Canada, o quello ancora diverso
emerso in Germania o in Inghilterra che, seppur con alcune distinzioni,
consentono la decisione anche solo di una questione di fatto o di diritto
comune a tutti i membri del gruppo.
Negli Stati Uniti, dopo un lungo dibattito, con soluzioni oscillanti tra
l'applicabilità e l'inapplicabilità della Rule 23 ai casi nei quali vi fosse
anche solo una o più questioni comuni a tutti i membri della classe, si è
rafforzata, e poi definitivamente consolidata con l'intervento della Corte
Suprema87, la soluzione maggiormente restrittiva che richiede la prevalenza
(predominance) delle questioni comuni su quelle individuali88.
Tale soluzione, dimostratasi particolarmente restrittiva per i casi di mass
tort litigation non è stata però seguita né negli ordinamenti che hanno introdotto
strumenti processuali vicini alle class action statunitensi, né negli
ordinamenti europei.
La disciplina delle class actions introdotta dal Governo federale australiano
nel 1992, forse proprio in ragione dei limiti emersi negli Stati Uniti, ha
notevolmente ammorbidito il requisito della commonality prevedendo da un lato
che la "classe" debba essere composta da almeno sette persone, che le
domande si fondino su circostanze identiche, simili o anche solamente
collegate, che esse diano luogo almeno ad un substantial common issue di fatto
o di diritto, e, dall'altro, estendendo l'esperibilità della class action anche
alle controversie che coinvolgano individual issues89.
Analogo approccio è stato seguito anche dalla legislazione delle province
canadesi che non richiede né l'identità, né la predominanza delle questioni
comuni, essendo invece sufficiente che la loro risoluzione sia suscettibile di
incidere sul giudizio90.
Il requisito della predominance è stato abbandonato anche dal legislatore
inglese nel 2000 che, con l'introduzione del c.d. Group Litigation Order, ha
voluto superare i limiti delle tradizionali representative suits, le quali
richiedono, come emerso nell'interpretazione giurisprudenziale a partire dal
XIX secolo, l'identità del titolo, dell'interesse e del provvedimento richiesto
per tutti i soggetti rappresentati91, limitandone pertanto l'applicabilità ai
casi di mass tort litigation. Il Group Litigation Order consente invece che
oggetto dell'azione di gruppo siano anche solo questioni di diritto o di fatto
comuni o anche solo connesse, apportando così una distinzione tra trial of
common issues e trial of individual issues92.
Soluzione analoga è anche quella adottata in Germania con il c.d. processo
modello che può riguardare anche solo una stessa questione di diritto o di
fatto comune93.
Se il modello statunitense ha certamente il pregio di consentire una diretta e
forse più immediata tutela risarcitoria, quello emerso, pur con notevoli
differenze, negli altri ordinamenti tanto di civil, quanto di common law,
permette invece un allargamento della tutela collettiva che può riguardare
anche gruppi o classi connotate da una più marcata disomogeneità, relativamente
alle quali il giudizio collettivo si può fermare anche solo ad una o più delle questioni
comuni, ovvero ad uno dei tasselli necessari per il riconoscimento del diritto
individuale al risarcimento del danno.
L'azione collettiva risarcitoria introdotta con l'art. 140-bis nel 2007,
quantomeno con riferimento al rapporto tra questioni comuni a tutti i membri
della classe e questioni individuali, rappresentava una sintesi tra i due
modelli in quanto poteva consentire l'accesso alla tutela collettiva sia in
quelle situazioni in cui, data la forte predominanza degli aspetti comuni a
tutti gli aderenti, era possibile una sentenza che determinasse la (ovvero,
come si è ritenuto94, condannasse il convenuto alla) corresponsione degli
importi minimi dovuti, sia laddove una più marcata differenziazione tra le
posizioni individuali aggregate consentiva solo pronunce di accertamento,
seppur con i tratti di una condanna generica rafforzata95.
6.2. Il rapporto tra le questioni comuni e quelle individuali nel nuovo art.
140bis
Il requisito dell'identità dei diritti (o della situazione contrattuale
sottostante) rappresenta un profilo di disciplina nuovo rispetto alla
precedente formulazione della norma e, a quanto consta, sconosciuto anche in
altri contesti normativi.
Un'interpretazione letterale della norma potrebbe portare a ritenere che tutti
gli elementi che connotano i rapporti obbligatori dedotti in giudizio
dall'attore e dagli aderenti debbano essere identici. Sarebbe quindi richiesta
non solo l'identità del debitore, ma anche dell'oggetto della prestazione (la
richiesta risarcitoria o restitutoria), il titolo, ovvero la fonte in forza del
quale è sorto il rapporto obbligatorio, da intendersi tanto come il rapporto
obbligatorio sottostante, quanto come il fatto generatore del danno o
dell'inadempimento96.
Tale interpretazione potrebbe avere un solido fondamento solo qualora il
legislatore avesse imposto che l'azione di classe debba sempre e comunque
concludersi con una sentenza di condanna al pagamento di una somma liquida ed
esigibile, senza prevedere la possibilità che il provvedimento finale consista
in una condanna generica che richieda successivi giudizi individuali di
completamento diretti alla valutazione delle questioni personali di ogni
singolo aderente.
Un'interpretazione letterale dell'art. 140bis non pare però accettabile sia in
considerazione del complessivo quadro normativo degli ordinamenti stranieri che
hanno recentemente introdotto sistemi collettivi risarcitori i quali non solo
non hanno richiesto l'identità dei diritti individuali omogenei, ma si sono
addirittura allontanati dal requisito della prevalenza delle questioni comuni
su quelle individuali che caratterizza la class action statunitense, sia,
soprattutto, in quanto l'azione di classe prevista all'art. 140bis non è sempre
destinata a concludersi con un provvedimento di condanna al pagamento, a titolo
risarcitorio o restitutorio, di somme liquide ed esigibili97.
In particolare l'identità dei diritti fatti valere nell'azione di classe non
può dipendere dalla quantificazione del danno subito dai consumatori in quanto
il dodicesimo comma prevede che la sentenza che accoglie la domanda possa
alternativamente liquidare ««le somme definitive dovute a coloro che hanno
aderito all'azione»» o stabilire ««il criterio omogeneo di calcolo per la
liquidazione di dette somme»». I danni subiti dai singoli consumatori possono
essere quindi differenziati purché liquidabili sulla base di criteri omogenei
(non solo e non sempre riconducibili a mere operazioni di calcolo98) a tutti i
membri della classe.
Se quindi l'azione di classe è esperibile anche in presenza di conseguenze
dannose diversificate, pare evidente che ogni tentativo di interpretare in
maniera letterale e rigorosa il requisito dell'identità dei diritti fatti
valere si poggi su fondamenta poco solide.
Tale conclusione pare trovare un'ulteriore conferma nel primo comma ai sensi
del quale ogni componente della classe ««può agire per l'accertamento della
responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle
restituzioni»». Se si considera che l'accertamento della responsabilità del
convenuto è sempre necessario affinché possa essere emessa una pronuncia di
condanna al risarcimento del danno o alla restituzione delle somme, a meno di
non voler concludere che il legislatore sia incorso in un'inutile ripetizione,
si può ritenere che l'azione di classe possa essere circoscritta anche alla
sola domanda di accertamento, non accompagnata dalla richiesta di liquidazione
delle somme dovute99. In questo modo si valorizzerebbe l'esigenza, avvertita in
molti ordinamenti stranieri, di ampliare l'accesso alla giustizia risarcitoria
collettiva anche ai casi in cui l'unica questione comune riguardi
l'accertamento dell'illecito posto in essere dal convenuto, che, con una
valutazione prognostica, risulti astrattamente idoneo a ledere i diritti dei
consumatori e a determinare, di conseguenza, il loro diritto risarcitorio e
restitutorio.
La sentenza che conclude l'azione di classe determinando i criteri omogenei di
calcolo per la liquidazione del danno è infatti una sentenza di condanna
generica, che, come posto in luce in dottrina, è sempre un provvedimento di
accertamento a contenuto complesso100. Se si considera che, già con riferimento
ai giudizi individuali per il risarcimento del danno, l'art. 278 c.p.c. viene
interpretato dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti, nel senso che
sia sufficiente l'accertamento della sussistenza di un fatto potenzialmente
produttivo del danno101, non si può escludere che la sentenza che definisce
l'azione di classe si limiti a tale accertamento, lasciando a successivi
giudizi di completamento individuali la trattazione delle questioni personali.
L'ammissibilità di azioni di classe di mero accertamento pare del resto trovare
conferma nelle lettere b) e c) del secondo comma che consentono espressamente
le azioni di risarcimento del danno da prodotto difettoso o da pratiche
anticoncorrenziali. E' pressoché impossibile pensare che i danni provocati da
un prodotto difettoso a migliaia di consumatori possano essere accertati e
liquidati in assenza di specifiche valutazioni individualizzate e calibrate su
ogni singolo danneggiato il quale può aver riportato conseguenze dannose
diversificate, può aver utilizzato il prodotto secondo modalità differenti, o
potrebbe essere stato danneggiato anche da altri eventi concomitanti102.
Ritenere che l'azione collettiva risarcitoria da prodotto difettoso sia
esercitatile solo qualora l'esistenza del diritto al risarcimento del danno dei
membri della classe sia accertabile in via generale ed identica per tutti i
danneggiati equivarrebbe di fatto a rendere la norma inapplicabile, in palese
contrasto con l'esigenza avvertita dal legislatore di consentire l'azione di
classe anche per tali illeciti.
Se si ritengono quindi ammissibili azioni di classe anche di mero accertamento
e, comunque, se si considera che in ogni azione può differire l'oggetto dei
diritti fatti valere, ovvero l'ammontare del risarcimento del danno o delle
somme da restituire, che come si è detto possono essere differenziati purché
determinabili in maniera omogenea, il requisito dell'identità non può che
essere valutato con riferimento al titolo sulla cui base si fonda il diritto al
risarcimento del danno o alla restituzione delle somme dovute. Tale soluzione
trova del resto conferma in due specifici riferimenti normativi contenuti
nell'art. 140bis, dai quali si evince chiaramente che sia l'azione di classe,
sia l'adesione si caratterizzano per il titolo dedotto in giudizio :il 3° comma
prevede che ««l'adesione comporta rinuncia a ogni azione restitutoria o risarcitoria
individuale fondata sul medesimo titolo»»; il 14° precisa inoltre che ««non
sono proponibili ulteriori azioni di classe per i medesimi fatti e nei
confronti della stessa impresa dopo la scadenza del termine per l'adesione»».
Una situazione contrattuale identica può essere quindi ravvisata in due
distinte situazioni103: (i) i consumatori devono aver concluso contratti
(oppure, anche in assenza di un contratto, trovarsi nella stessa situazione
idonea a dare luogo a responsabilità contrattuale, si pensi ad esempio alle
obbligazioni senza prestazione o da contatto sociale) che, seppur distinti ed
autonomi gli uni dagli altri, presentino il medesimo contenuto o comunque siano
diretti a regolare diritti uguali; (ii) i membri della classe devono essere stati
lesi da un comportamento unitario o da più atti di identica portata reiterati
nel tempo ed idonei a ledere i loro diritti.
Se si prendono invece in considerazione i diritti cui fanno riferimento le
lett. b) e c) del secondo comma, inquadrabili secondo gli schemi tradizionali
nell'ambito della responsabilità extracontrattuale, l'identità delle pretese
fatte valere dovrà riguardare essenzialmente il titolo ovvero l'atto illecito
idoneo a danneggiare la classe che, anche in questo caso, dovrà necessariamente
estrinsecarsi in un comportamento unitario o comunque reiterato nel tempo.
La lettura del requisito dell'identità dei diritti in precedenza fornita pare
tenere nella dovuta considerazione la circostanza che le controversie
collettive risarcitorie possono presentare rilevanti differenze tipologiche che
impongono all'interprete una ricostruzione flessibile ed ancorata ai singoli
casi concreti, anche per ragioni di efficienza ed economia processuale che
rendono preferibile affrontare in un solo giudizio collettivo l'accertamento
dell'illiceità del comportamento plurioffensivo contestato104.
Per valorizzare tali esigenze non pare poi contrario allo spirito della norma
riconoscere al Tribunale la facoltà di determinare la classe dei danneggiati in
maniera elastica. Il nono comma prevede infatti che con l'ordinanza che
dichiara ammissibile il giudizio il tribunale ««definisce i caratteri dei
diritti individuali oggetto del giudizio, specificando i criteri in base ai
quali i soggetti che chiedono di aderire sono inclusi nella classe o devono
ritenersi esclusi dall'azione»». Proprio tale norma consente al tribunale di
assegnare un significato concreto al fumoso requisito dell'identità dei diritti
di credito azionabili in giudizio. Non pare potersi escludere che nell'esercizio
di tale potere il collegio possa anche procedere ad una suddivisione della
classe in sottoclassi105 in modo da poter raggruppare secondo il requisito di
omogeneità pretese creditorie che, pur fondandosi sul medesimo titolo, siano
tra loro differenziate sotto altri diversi aspetti. Si pensi ad esempio alle
differenze che possono sussistere tra i danneggiati che abbiano acquistato un
determinato prodotto in momenti diversi o ne abbiano fatto uso per periodi
differenti. In tutti i casi l'azione si fonda su un titolo identico (la
commercializzazione di un prodotto dannoso) anche se le conseguenze pratiche
dell'illecito, non solo per quanto riguarda la quantificazione del danno,
possono essere simili o identiche per sottogruppi di danneggiati.
7. Il contenuto della sentenza che accoglie la domanda
Le norme rilevanti per determinare il contenuto della sentenza che accoglie la
domanda sono il primo comma che specifica che l'azione è diretta
««all'accertamento della responsabilità»» e alla ««condanna al risarcimento del
danno e alle restituzioni»» e, più specificatamente il dodicesimo che prevede
che «se accoglie la domanda, il tribunale pronuncia sentenza di condanna con
cui liquida, ai sensi dell'articolo 1226 del codice civile, le somme definitive
dovute a coloro che hanno aderito all'azione o stabilisce il criterio omogeneo
di calcolo per la liquidazione di dette somme»».
Il nuovo art. 140bis appare certamente più chiaro rispetto alla precedente
formulazione della norma che aveva suscitato interpretazioni contrastanti.
Parte della dottrina aveva ritenuto che l'attore collettivo potesse ottenere
solo una sentenza di accertamento (o di condanna generica)106 mentre altro
orientamento era arrivato ad affermare che si trattasse di una vera e propria
sentenza di condanna che poteva costituire titolo esecutivo per gli aderenti
all'azione107.
Tali dubbi paiono oggi risolti. La sentenza resa in esito all'azione di classe
può assumere più chiaramente la natura un provvedimento di condanna108, come si
desume non solo dal primo comma della norma, ove si prevede che l'attore può
agire per ««la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni»», ma
soprattutto dal dodicesimo che fa espresso ed esplicito riferimento alla
«condanna»» ed alla conseguente liquidazione delle somme dovute a titolo
risarcitorio o restitutorio, premurandosi di specificare che la stessa diviene
esecutiva decorsi 180 giorni e che i pagamenti effettuati entro tale termine
non sono soggetti ad incrementi per interessi e rivalutazione.
Anche il nuovo art. 140bis pare seguire la strada già tracciata dal legislatore
del 2007 che, in ragione delle differenti peculiarità delle azioni di classe o
seriali, aveva ritenuto opportuna una soluzione elastica che consentisse di
adattare il contenuto decisorio della sentenza alle molteplici caratteristiche
degli illeciti di massa. In alternativa alla liquidazione del danno il
Tribunale può infatti determinare ««il criterio omogeneo di calcolo per la
liquidazione di dette somme»». Quindi, mentre in caso di liquidazione delle
««somme definitive»» l'azione collettiva decide in maniera completa in ordine
ai crediti dedotti in giudizio, qualora il Tribunale si avvalga della
possibilità di determinare i criteri per la liquidazione, la sentenza conterrà
l'accertamento della responsabilità del convenuto e la sua condanna (generica)
al risarcimento del danno che potrà essere liquidato in eventuali giudizi
individuali di completamento.
Anche su questo aspetto si registrano alcune differenze rispetto al testo
previgente in quanto non è più prevista la determinazione di generali ««criteri
in base ai quali liquidare la somma da corrispondere»», ma si specifica che
questi devono essere omogenei, dovendo quindi riguardare indistintamente la
classe o eventuali sottoclassi individuate dal Tribunale, ed attenere
esclusivamente al calcolo dell'ammontare del danno o delle somme dovute. La
differenza tra le due norme pare ricollegabile principalmente al requisito
dell'identità dei crediti che possono essere azionati con il giudizio,
attraverso il quale si è voluta privilegiare la tutela collettiva per le classi
di consumatori omogenee. Se tuttavia si vuole evitare che la determinazione dei
criteri omogenei di calcolo si risolva in un espediente che consenta al
Tribunale di omettere mere operazioni matematiche sulla base elementi di fatto
già presi in considerazione con la decisione, si deve ritenere che
l'applicazione dei criteri per la liquidazione del danno si giustifichi qualora
sia necessaria la valutazione di circostanze di fatto non considerate
nell'azione di classe o comunque non dedotte dagli aderenti. Sembra quindi
possibile che tali criteri possano essere differenziati in ragione di elementi
di fatto specifici ad ogni singolo consumatore, quali potrebbero essere, ad esempio,
la data dell'acquisto del prodotto, il prezzo corrisposto, l'età del
danneggiato.
La scelta tra la liquidazione delle ««somme definitive»» e la determinazione
dei criteri di liquidazione può quindi consentire al Tribunale di modellare il
contenuto della decisione in ragione delle caratteristiche dei singoli
illeciti: ove sia possibile la liquidazione, esigenze di economia processuale e
di salvaguardia delle scarse risorse giudiziarie da assegnare al singolo
illecito, dovranno portare il tribunale a chiudere definitivamente le pretese
creditorie, evitando il riscorso ai giudizi individuali; ove invece tale
risultato sia impossibile, o estremamente difficile per il numero di aderenti o
per le specificità di ciascuna posizione dedotta in giudizio, sarà preferibile
semplificare l'azione di classe lasciando ad eventuali inevitabili giudizi
individuali la determinazione del quantum.
Una seconda differenza rispetto al vecchio art. 140bis sta nell'eliminazione
della possibilità di determinare nella fase collettiva ««la somma minima da
corrispondere a ciascun consumatore o utente»», lasciando eventualmente al
giudizio individuale la liquidazione residua. Tale possibilità parrebbe oggi
esclusa dalla norma che definisce le somme oggetto di liquidazione come ««definitive»».
Vietare tuttavia la liquidazione parziale del danno pare irrazionale ed
illogico posto che, come si è visto, l'azione di classe può concludersi senza
alcun provvedimento di condanna specifica, e non si vedrebbe quale ragione
possa ostare al riconoscimento di una provvisionale. Si potrebbe quindi
sostenere che, così come è possibile non liquidare alcuna somma, allo stesso
modo dovrebbe essere consentito liquidare la somma (non definitiva) accertata
in sede collettiva, lasciando ai giudizi di merito l'ulteriore liquidazione. In
questo modo si potrebbero certamente valorizzare le esigenze di accesso alla
giustizia da parte dei consumatori, che anche nei casi più complessi,
potrebbero già con l'azione di classe vedere soddisfatti seppur parzialmente i
propri crediti.
In definitiva si può ritenere che l'azione di classe prevista all'art. 140bis
può avere indifferentemente natura unitaria o bifasica potendosi concludere con
tre differenti tipologie di sentenze:
(i) una sentenza di condanna che costituisce titolo esecutivo non solo per
l'attore, ma per tutti gli aderenti;
(ii) una sentenza di condanna generica (o di accertamento del diritto
risarcitorio o restitutorio), rafforzata dalla determinazione dei criteri per
la liquidazione dei crediti risarcitori o restitutori, e, eventualmente, dalla
liquidazione delle somme minime dovute determinabili già nell'azione di classe;
(iii) una sentenza di mero accertamento relativa alla sola illegittimità del
comportamento plurioffensivo del convenuto.
8. La liquidazione del danno
La liquidazione del danno nei giudizi collettivi richiede il bilanciamento di
due esigenze contrapposte: da un lato, l'accuratezza della decisione e il
conseguente ristoro integrale del pregiudizio subito, dall'altro, la
possibilità di ricorrere a criteri standardizzati che consentano un agevole
impiego dell'azione di classe, altrimenti destinata a rimanere invischiata in
un processo che potrebbe perdere la propria natura collettiva109.
L'art. 140bis, al dodicesimo comma specifica che con la sentenza di condanna il
Tribunale ««liquida, ai sensi dell'art. 1226 del codice civile, le somme
definitive dovute a coloro che hanno aderito all'azione»».
Tale disposizione si presta a tre possibili differenti interpretazioni: si può
ritenere che il riferimento alla liquidazione del danno secondo equità
rappresenti una deroga al principio generale sancito all'art. 1223 c.c. ai
sensi del quale sono risarcibili tanto il danno emergente quanto il lucro
cessante in quanto nelle azioni di classe il danno non potrebbe essere mai
liquidato nel suo preciso ammontare; si potrebbe invece concludere nel senso
opposto che la norma non intenda apportare alcuna deroga ai principi generali,
limitandosi invece a ribadire, con chiara valenza rafforzativa, la possibilità
di ricorrere ad una valutazione equitativa qualora la prova dell'effettivo
danno subito, seppur astrattamente possibile, risulti difficile in un giudizio
collettivo; si può infine ritenere che il richiamo all'art. 1226 c.c valga a
consentire il risarcimento di danni ulteriori rispetto a quelli contemplati
all'art. 1223 c.c. ed assimilabili in qualche misura ai danni non patrimoniali
con funzione sanzionatoria e non ristoratoria.
Delle tre possibili interpretazioni pare preferibile la seconda in quanto
consente di effettuare un attento bilanciamento tra l'applicazione dei principi
generali ed il loro indispensabile adattamento alla dimensione collettiva del
giudizio.
Innanzitutto si deve ritenere che vedere nel richiamo all'art. 1226 c.c. la
possibilità di liquidare danni non compensativi ma punitivi o sanzionatori pare
una chiara forzatura del dato normativo dal quale non può ritenersi che la
valutazione equitativa del danno non abbia valenza prettamente compensativa110;
l'introduzione dei danni punitivi avrebbe richiesto una più precisa e chiara
presa di posizione del nostro legislatore anche in ragione dell'intenso
dibattito dottrinale e delle più recenti decisioni giurisprudenziali111 che
hanno negato la compatibilità dei danni punitivi con i principi generali del
nostro ordinamento.
Analoghe considerazioni possono portare ad escludere che il legislatore abbia
inteso apportare una deroga ai principi generali anche in ragione del fatto che
un eventuale divieto di applicare nelle azioni di classe l'art. 1223 c.c., in
quanto integralmente sostituito dall'art. 1226 c.c., si esporrebbe ad evidenti
dubbi di legittimità costituzionale per la violazione del principio di
uguaglianza sancito all'art. 3 Cost. in quanto la medesima pretesa creditoria
potrebbe essere trattata in maniera differenziata (e potenzialmente anche
sfavorevolmente al danneggiato) a seconda che la stessa sia fatta valere in un
giudizio individuale, nel quale sarebbe possibile la prova del danno emergente
o del lucro cessante, o in un'azione di classe, nella quale la liquidazione
potrebbe avvenire solo e sempre in via equitativa, anche qualora fosse
possibile applicare i principi generali.
Se si considera invece che anche la liquidazione del danno nelle azioni
risarcitorie di classe può presentare problemi diversi a seconda della natura
dei singoli illeciti dedotti in giudizio, in quanto in alcuni casi è certamente
possibile fornire una prova precisa e specifica dell'ammontare del danno,
mentre in altre situazioni tale onere probatorio è impossibile o di notevole
difficoltà, pare preferibile un'interpretazione della norma che consenta al
tribunale di modellare la liquidazione del danno in maniera flessibile.
Qualora, nonostante la natura collettiva dell'azione, gli aderenti possano
fornire la prova del danno (o delle somme comunque dovute a titolo
restitutorio), il Tribunale dovrà liquidarlo secondo i canoni dell'art. 1223
c.c. Se invece le caratteristiche dell'illecito o la numerosità della classe
rendono, seppur non impossibile, di notevole difficoltà la liquidazione, essa
potrà avvenire secondo equità, al ricorrere dei presupposti che consentono in
via generale l'applicazione dell'art. 1226 c.c. Una liquidazione equitativa,
che non potrà in ogni caso prescindere dalla prova dell'esistenza del danno,
può risultare estremamente utile laddove perduri una incertezza sulla sua
effettiva misura112. Il riferimento all'art. 1226 c.c. può quindi avere la
finalità di rafforzare l'orientamento giurisprudenziale che ha spesso
equiparato l'impossibilità di provare il preciso ammontare dei danni ad una sua
notevole difficoltà113, che nel caso di specie dovrà essere valutata in ragione
della natura collettiva del giudizio e della numerosità dei crediti fatti
valere che, se trattati secondo le ordinarie regole in materia probatoria,
comporterebbero inevitabilmente la paralisi del processo114.
La liquidazione equitativa pare quindi un criterio al quale i tribunali
potranno di regola ricorrere in tutte quelle situazioni nelle quali la
determinazione del quantum sia possibile su scala collettiva solo ricorrendo ai
principi di regolarità statistica e dell'id quod plerumque accidit115. Essa
potrà quindi avvenire sulla base degli elementi di fatto che caratterizzano la
controversia da valutare caso per caso pur nel rispetto del principio della
riparazione integrale116.
La medesima finalità di agevolare la liquidazione del danno su scala collettiva
sorregge anche la previsione contenuta nel 12° co. che prevede che, per le
azioni di classe proposte nei confronti di gestori di servizi pubblici o di
pubblica utilità, ««il tribunale tiene conto di quanto riconosciuto in favore
degli utenti e dei consumatori danneggiati nelle relative carte dei servizi
eventualmente emanate»». Anche a tale proposito pare doversi ritenere che
l'eventuale quantificazione del danno o di eventuali indennizzi contemplata
nelle carte di servizio abbia un funzione ausiliaria per agevolare la
liquidazione, fatta in ogni caso salva la possibilità per il Tribunale di
procedere alla condanna di quanto effettivamente provato dagli aderenti.
9 Le adesioni e l'opt-in
Come si è già accennato, l'azione di classe prevista dall'art. 140bis, segue,
seppur con alcune necessarie precisazioni ed alcune modifiche, il modello
dell'opt-in già tracciato con la precedente formulazione della norma.
Il nuovo art. 140-bis del Codice del consumo, si differenzia quindi nettamente
rispetto alle class action statunitensi, caratterizzate dalla facoltà di
recesso dalla classe (opt-out)117, ma allo steso tempo anche dai modelli di
autoinclusione adottati in Inghilterra118 ed in Germania119. Mentre in questi
ordinamenti la decisione sulle questioni comuni richiede necessariamente
l'avvio di un giudizio individuale che presenti questioni di fatto o di diritto
comuni al gruppo, l'azione d classe italiana segue un modello di autoinclusione
non giudiziario più simile alla legge svedese120 che non presuppone che ogni
singolo danneggiato instauri una controversia individuale.
La scelta del legislatore italiano sembra rispondere a due principali
obiettivi: da un lato, si sono voluti evitare o ridurre fortemente i costi
processuali che, come noto, rappresentano il principale ostacolo all'esercizio
dei diritti qualora si fronteggino un litigante occasionale ed uno abituale;
dall'altro, si sono accolte le pressioni del mondo imprenditoriale dirette a
limitare gli effetti della sentenza collettiva ad una platea dei potenziali
danneggiati ben individuati che non potrà mai realisticamente includere tutti i
potenziali membri della classe.
La disciplina dell'adesione è contenuta al terzo comma che prevede che: ««I
consumatori e utenti che intendono avvalersi della tutela di cui al presente
articolo aderiscono all'azione di classe, senza ministero di difensore.
L'adesione comporta rinuncia a ogni azione restitutoria o risarcitoria
individuale fondata sul medesimo titolo, salvo quanto previsto dal comma 15.
L'atto di adesione, contenente, oltre all'elezione di domicilio, l'indicazione
degli elementi costitutivi del diritto fatto valere con la relativa
documentazione probatoria, è depositato in cancelleria, anche tramite l'attore,
nel termine di cui al comma 9, lettera b). Gli effetti sulla prescrizione ai
sensi degli articoli 2943 e 2945 del codice civile decorrono dalla
notificazione della domanda e, per coloro che hanno aderito successivamente,
dal deposito dell'atto di adesione»». Il nono comma prevede inoltre che con
l'ordinanza che dichiara ammissibile l'azione il tribunale ««fissa un termine
perentorio, non superiore a centoventi giorni dalla scadenza di quello per
l'esecuzione della pubblicità, entro il quale gli atti di adesione, anche a
mezzo dell'attore, sono depositati in cancelleria»».
9.1 Natura, forma e contenuto dell'atto di adesione
Dalla formulazione del terzo comma dell'art. 140bis, che precisa che gli
aderenti si avvalgono della tutela dell'azione di classe, pare doversi
escludere che questi assumano le vesti di parti formali del processo.
L'aderente non è quindi legittimato al compimento di alcuna attività
processuale121; non può richiedere l'assunzione di mezzi istruttori e non ha
alcun rapporto con il difensore nominato dall'attore che rimane l'unico
soggetto responsabile per il pagamento dei compensi per l'attività
professionale svolta122. Sembra invece preferibile ritenere che, quantomeno nei
rapporti con l'autorità giudiziaria e con il convenuto, l'adesione possa essere
qualificata come un atto unilaterale sui generis123 (ma per certi aspetti
tipizzato dall'art. 140-bis, 3° comma) diretto a manifestare la volontà del singolo
consumatore di inclusione nel gruppo124 per poter godere delle
"agevolazioni" previste dall'art. 140-bis125 (l'interruzione della
prescrizione; la liquidazione del danno e la formazione di un titolo esecutivo
in assenza di un giudizio individuale).
L'adesione deve presentare i soli requisiti individuati, all'art. 140-bis, ed
in particolare l'elezione di domicilio nel distretto del tribunale competente e
««l'indicazione degli elementi costitutivi del diritto fatto valere con la
relativa documentazione probatoria»».
Se si tiene in considerazione la natura collettiva o superindividuale
dell'azione collettiva, che non può perdersi in una molteplicità di questioni
individuali, l'indicazione degli elementi costitutivi del diritto fatto valere
deve necessariamente comportare un onere probatorio e di allegazione minimo,
diretto a dimostrare l'appartenenza del consumatore alla classe dei
danneggiati, ovvero la circostanza che questi sia stato danneggiato dal
medesimo illecito fatto valere in giudizio dall'attore. Mentre infatti la prova
dell'illecito e della sua astratta idoneità a danneggiare i membri della classe
dovrà essere fornita dall'attore, quella del nesso di causalità e
dell'ammontare del danno, qualora non siano di palmare evidenza, o non possano
essere provati in via presuntiva mediante il ricorso a criteri di probabilità
logica o statistica, in modo da consentire la liquidazione del danno o delle
somme da restituire già nell'azione di classe, potranno essere demandati ai
successivi giudizi individuali di completamento sulla base dei criteri omogenei
stabiliti dal tribunale.
L'adesione è efficace se risulti da un atto scritto depositato in cancelleria.
Sono così superati i dubbi interpretativi che potevano sorgere in forza del
vecchio testo che si limitava ad imporre un vago onere di comunicazione
dell'atto di adesione all'associazione proponente l'azione collettiva. Il
deposito in cancelleria può essere effettuato da ogni singolo aderente,
dall'attore o dall'associazione mandataria senza particolari formalità, come si
può desumere dal fatto che non è previsto alcun obbligo di assistenza
tecnica126.
Rispetto alla precedente formulazione della norma, la principale novità
relativa all'adesione riguarda il termine per il deposito delle adesioni che
non è più individuato nell'udienza di precisazione delle conclusioni nel
giudizio d'appello, ma in quello stabilito dal Tribunale, non superiore a 120
giorni dall'adempimento degli oneri pubblicitari.
9.2. Gli effetti della sentenza che definisce il giudizio e la consumazione
dell'azione di classe
L'adesione all'azione di classe ha tre importanti effetti: determina
l'interruzione della prescrizione ai sensi degli artt. 2943 e 2945 dalla data
della notifica della domanda, qualora l'adesione avvenga contestualmente alla
notifica dell'atto di citazione, o dal suo deposito in cancelleria se
successivo; comporta la rinuncia ad ogni azione risarcitoria o restitutoria
fondata sul medesimo titolo, ad eccezione del caso in cui l'azione di classe si
estingua o si chiuda anticipatamente anche attraverso un accordo transattivo
non accettato dall'aderente; consente infine l'estensione del giudicato e la
formazione di un titolo esecutivo ai consumatori che, pur non rivestendo la
qualifica di parte in senso tecnico del processo, abbiano deciso di avvalersi
dell'azione di classe aderendovi.
La disciplina del giudicato prevista dal nuovo art. 140bis è la diretta
conseguenza della scelta del regime dell'opt-in. La sentenza che definisce nel
merito l'azione di classe dispiega i propri effetti solo ed esclusivamente nei
confronti degli aderenti, a prescindere dal fatto che essa accolga (anche
parzialmente) o respinga la domanda. Coloro che non hanno aderito all'azione di
classe non possono beneficiare della sentenza di condanna e rimangono in ogni
caso liberi di agire individualmente per i medesimi fatti contro il convenuto.
Mentre il vecchio art. 140-bis non conteneva alcuna previsione diretta a
disciplinare né il concorso di azioni collettive, né la riproponibilità di
altra identica azione collettiva successivamente al superamento del filtro di
ammissibilità o dopo il passaggio in giudicato della prima sentenza collettiva,
suscitando quindi numerosi ed importanti dubbi interpretativi, il 14° co. della
norma oggi vigente risolve apertamente la questione, sancendo il principio di
"consumazione" dell'azione di classe. Scaduto il termine per
l'adesione stabilito dal Tribunale è improponibile ogni nuova azione collettiva
nei confronti del medesimo soggetto già convenuto ai sensi dell'art. 140bis per
i medesimi fatti dedotti nella prima azione di classe. Fino alla scadenza di
tale termine sono invece proponibili nuove azione collettive che devono essere
riunite d'ufficio se pendenti avanti lo stesso tribunale o riassunte davanti al
primo giudice, previa cancellazione della causa da ruolo, se proposte presso
altri fori.
Non essendo possibile affrontare in questa sede i molti problemi di ordine
processuale proposti dalla norma, ci si può limitare a segnalare due questioni
di particolare importanza. Innanzitutto non è chiaro se le azioni di classe
successive alla prima debbano essere tutte soggette al giudizio di
ammissibilità previsto al 6° comma. Qualora queste vengano proposte prima della
conclusione del giudizio di ammissibilità, pare scontato che il Tribunale,
disposta la riunione dei giudizi o a seguito della riassunzione della causa,
conduca un unico giudizio di ammissibilità relativo a tutte le domande proposte
ai sensi dell'art. 140bis. Qualora invece la nuova azione sia proposta nel periodo
compreso tra la pubblicazione della decisione sull'ammissibilità ed il termine
per il deposito delle adesioni previsto dal tribunale ai sensi del 9° comma, si
potrebbe rilevare l'inutilità di un nuovo giudizio di ammissibilità non solo
per ragioni di economia processuale, ma soprattutto perché, vertendo la nuova
azione sui medesimi fatti già valutati in sede di ammissibilità dal tribunale,
risulterebbe un'inutile ripetizione vagliare nuovamente la non manifesta
infondatezza della domanda, l'identità dei diritti fatti valere. Un nuovo
giudizio di ammissibilità si potrebbe forse giustificare solo per verificare
l'esistenza di conflitti di interessi e l'adeguatezza del nuovo attore nella
cura degli interessi della classe. Si può però osservare che, dopo il
superamento del primo giudizio di ammissibilità, tali valutazioni perdono gran
parte del loro significato in quanto il Tribunale ha già avuto modo di
selezionare un attore collettivo adeguatamente rappresentativo ed in grado di
curare gli interessi della classe per tutto il processo.
Una seconda questione riguarda infine i poteri processuali degli attori che
abbiano proposto una pluralità di azioni successivamente riunite. Anche sotto
questo profilo l'art. 140bis si discosta dal modello statunitense che prevede
che per ogni azione di classe debba essere di regola nominato un lead plantiff
e un lead consuel, con una gara concorrenziale per l'attribuzione della
legittimazione a proseguire la class action. Il legislatore italiano, non
avendo previsto alcun sistema di valutazione del migliore attore collettivo, ma
solo dell'attore collettivo adeguato a rappresentare la classe, ammette quindi
una pluralità sincronica di azioni, seppur riunite e gestite in un unico
giudizio, con la conseguente attribuzione ad ogni attore dei medesimi poteri
processuali, che spetterà al Tribunale dirimere e regolare ««per evitare
indebite complicazioni e ripetizioni nella predisposizione di prove e di
argomenti»» come previsto all'11° comma.
10 Conclusioni: il modello dell'opt-in è idoneo a perseguire gli obiettivi di
deterrenza e riparazione?
Come si è in precedenza rilevato, l'assenza di adeguati incentivi per la
proposizione dell'azione, la mancata previsione di un controllo giudiziale
sulle transazioni, i ristretti limiti di applicazione (soggettivi, oggettivi e
temporali) ed i numerosi problemi interpretativi posti dalla nuova norma
possono limitare un diffuso impiego dell'azione di classe.
Tuttavia, il maggiore ostacolo al raggiungimento degli obiettivi di riparazione
e di deterrenza, può essere individuato nel sistema di autoinclusione previsto
dall'art. 140bis e nella conseguente limitazione del giudicato ai soli
aderenti.
Il reperimento delle risorse necessarie per affrontare le spese processuali ed
i costi per l'istruzione della causa e per l'aggregazione e l'organizzazione
dei consumatori danneggiati è infatti particolarmente difficile per quelle
azioni dirette a tutelare classi molto numerose, disaggregate e composte da
consumatori che hanno subìto individualmente danni di lieve entità, anche se
collettivamente ingenti, ovvero in quelle situazioni che rappresentano il
terreno elettivo delle azioni di classe127: proprio in questi casi i
danneggiati possono non rendersi nemmeno conto di aver subìto un danno; i
consumatori più attenti dovranno mettersi alla ricerca delle azioni collettive
proposte per potervi aderire con la conseguenza che il rapporto costi-benefici
può rendere preferibile un comportamento passivo e determinare la rinuncia
all'inclusione nel gruppo. Il pericolo di raccogliere un numero limitato di
adesioni può quindi rappresentare il maggiore disincentivo alla promozione
dell'azione in considerazione del fatto che, in presenza di un numero contenuto
di adesioni, i costi transattivi connessi al sistema di opt-in possono
scoraggiare la promozione di azioni economicamente non sostenibili o
determinare la necessità di investire risorse economiche eccessive per
sollecitare i danneggiati.
L'esperienza delle class actions negli Stati Uniti pone bene in evidenza come l'inerzia,
o l'apatia razionale, sia il comportamento che connota di regola i gruppi
latenti128, tanto nell'esercizio dell'opt-out, quanto nei comportamenti attivi
di regola richiesti in caso di conciliazione della lite. Un recente studio che
ha preso in considerazione tutte le class actions concluse con una
conciliazione nell'arco di un decennio, ha rilevato che il tasso dell'opt-out è
stato in media inferiore allo 0,2% dei membri della classe129. Anche nelle
conciliazioni il comportamento dei danneggiati è molto simile. Basti pensare
che meno del 30% degli investitori istituzionali (che di regola sono attori
professionali ben informati e legittimati ad ottenere risarcimenti di elevato
ammontare) propongono la richiesta di liquidazione130. Tale comportamento
passivo è ancor più evidente qualora i danneggiati siano consumatori con danni
di lieve entità i quali aderiscono alle procedure di conciliazione in una
minima percentuale o non ritirano nemmeno gli assegni emessi a loro favore131.
Solo in presenza di gruppi coesi, omogenei (e quindi, per seguire la
classificazione di Olson, privilegiati) quali i lavoratori, per i quali anche
alcune leggi speciali americane prevedono il sistema di autoincolusione,
l'opt-in riesce a raggiungere un tasso di adesioni pari al 50%132
L'effettiva funzione di deterrenza e di riparazione dell'azione di classe è
inoltre frustrata non solo dalla riduzione del termine per il deposito delle
adesioni, ma soprattutto dalla regola di consumazione dell'azione che pare
rispondere esclusivamente alla preoccupazione di non esporre il convenuto ad
una pluralità di giudizi collettivi, senza che sia ravvisabile la necessità di
salvaguardare il suo diritto di difesa. Se è infatti pacifico che la sentenza
collettiva non pregiudica le singole azioni individuali, non si vede per quale
ragione, dopo una prima sentenza collettiva di accoglimento, sia consentito
l'esercizio di una moltitudine di azioni individuali e non invece l'esercizio
delle medesime in forma aggregata o collettiva.
Il divieto di nuove azioni, seppur temperato fino alla scadenza del termine per
il deposito delle adesioni, risponde quindi al solo interesse del convenuto a
soddisfare una (presumibilmente) piccola parte dei danneggiati (gli aderenti
alla prima azione), sul presupposto che la disparità delle armi ed i costi del
contenzioso individuale porteranno il consumatore medio a rimanere inerte. La
proposizione di nuove azioni collettive, rappresentando una forma di tutela
giudiziaria diretta al soddisfacimento dei crediti risarcitori o restitutori
concorrenziale rispetto ai giudizi individuali, avrebbe invece consentito di
coniugare contemporaneamente l'accesso alla giustizia dei consumatori ed una
più efficiente allocazione delle risorse giudiziarie, con un chiaro risparmio
per l'amministrazione della giustizia. Non si può nemmeno nascondere il rischio
che la consumazione dell'azione di classe possa incentivare una mala gestio del
processo da parete di "associazioni gialle" vicine all'impresa
convenuta in giudizio o di attori frettolosi e poco attrezzati determinando
l'insuccesso dell'azione e la conseguente definitiva impossibilità di ricorrere
nuovamente alla tutela collettiva.
Sperando di poter essere smentito dalle prime applicazioni del nuovo istituto,
mi pare si debba realisticamente concludere che, da un lato, il sistema di
opt-in rende difficile il raggiungimento dell'obiettivo della deterrenza in
quanto il risarcimento parziale, ma più realisticamente minimo del danno
complessivo arrecato ai consumatori, è inidoneo a scoraggiare i comportamenti
opportunistici delle imprese scorrette che decidono di porre in essere i
comportamenti illeciti qualora il costo dell'illecito sia inferiore ai suoi
benefici, dall'altro il principio di consumazione dell'azione limita fortemente
l'accesso alla giustizia dei consumatori, e di conseguenza l'obiettivo della
riparazione, in quanto solo i primi ed attenti danneggiati avranno la fortuna
di salire sull'autobus dell'azione di classe, mentre gli altri dovranno
proseguire da soli ed a piedi.
* Il presente saggio è redatto per il volume I diritti dei consumatori e la
nuova class action, curato da Paolo Demarchi e Stefano Ambrosini ed in corso di
pubblicazione per la casa editrice Zanichelli.
1) Tra i moltissimi commenti all'art. 140bis si possono ricordare BRIGUGLIO,
L'azione collettiva risarcitoria (art. 140-bis Codice del consumo) in ventuno
domande e ventuno risposte, Torino, 2008; CAPONI, La class action in materia di
tutela del consumatore in Italia, in Foro it., 2008, V, c. 281ss.; CAPONI.,
Variabilità dell'oggetto del processo (nell'azione collettiva risarcitoria), in
Riv. dir. proc., 2009, p. 47 ss; CAPONI, Litisconsorzio «aggregato». L'azione
risarcitoria in forma collettiva dei consumatori, in Riv. trim. dir. proc.
civ., 2008, p. 819; CHIARLONI, Il nuovo art. 140bis del codice del consumo:
azione di classe o azione collettiva?, in Analisi giuridica dell'economia, 1,
2008, 107; CONSOLO, E' legge una disposizione sull'azione collettiva
risarcitoria: si è scelta la via svedese dello "opt-in" anziché
quella danese dello "opt-out" e il filtro ("L'inutil
precauzione"), in Corr. Giur., 2008, 8; CONSOLO BONA BUZZELLI, Obiettivo, class action: l'azione collettiva risarcitoria,
Milano, 2008, 88; COSTANTINO, La tutela collettiva risarcitoria: note a prima
lettura dell'art. 140-bis del Codice del consumo, in Foro it.,, 2008, 20; DE
SANTIS, La pronuncia sull'ammissibilit
à della "class action":
una certification all'italiana, in Analisi giuridica dell'economia, 1,
2008,143; DE SANTIS, L'azione risarcitoria collettiva, in "Class
actions" e tutela collettiva dei consumatori, a cura di Chinè e Miccolis,
Roma, 2008; FIORIO, L'oggetto dell'azione collettiva risarcitoria e la tutela
degli interessi collettivi dei consumatori, in Giur. merito, 2009, 1445 ss;
GIUSSANI, Azioni collettive risarcitorie nel processo civile, Bologna, 2008;
MENCHINI, La nuova azione collettiva risarcitoria e restitutoria, in Giusto
processo civ., 2008, 41; RUFFINI, Legittimazione ad agire, adesione ed
intervento nella nuova normativa sulle azioni collettive risarcitorie e
restitutorie di cui all'art. 140bis del codice del consumo, in Riv. dir. proc.,
2008.,707 ss; VIGORITI, Class action e azione collettiva risarcitoria. La
legittimazione ad agire ed altro, in Contratto e impresa, 2008, 729 ss.
Sul nuovo testo cfr. CONSOLO, Come cambia, rivelando ormai a tutti e in pieno
il suo volto, l'art. 140-bis e la class action consumeristica, in Corr. Giur.,
2009, 1297 ss; con riferimento all'emendamento governativo che ha introdotto il
nuovo art. 140bis.,v. anche E. MINERVINI, Art. 140bis, in Le modifiche al
codice del consumo, a cura di Minervini e Rossi Carleo, Torino, 2009, 579 ss;
CAPONI, La riforma della class action. Il nuovo testo dell'art. 140bis cod.
cons. nell'emendamento governativo, in www.judicium.it., 2009.
2) Cfr. CHIARLONI Il nuovo art. 140bis del codice del consumo, cit., 108 ss.
3) Cfr. CHIARLONI Il nuovo art. 140bis del codice del consumo, cit., 108 ss
4) Sulla class action statunitense in questo volume v. LEONCI, La class action
nei paesi anglosassoni.
5) L'espressione si deve a TARUFFO, Modelli di tutela giurisdizionale degli
interessi collettivi, in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e
diffusi, a cura di Lanfranchi, Torino, 2003, 65.
6) Sulla distinzione tra interessi diffusi ed interessi collettivi cfr. PUNZI,
La tutela giurisdizionale degli interessi diffusi e degli interessi collettivi,
in La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, a cura di
Lanfranchi, Torino, 2003,17 ss il quale sottolinea che, se entrambe le
categorie hanno in comune il fatto ««di riguardare una pluralità di soggetti
più o meno determinata o determinabile»», l' interesse diffuso ««è adespota e
non è qualificato necessariamente sulla base di requisiti di appartenenza ad un
gruppo, anche se solo nel gruppo si può individuare»», mentre l'interesse
collettivo ««riguarda normalmente gruppi organizzati ai quali il legislatore
annette rilevanza...»». Sul tema oltre agli atti del convegno tenutosi a Pavia
in data 11-12 giugno 1974 (AAVV, Le azioni a tutela degli interessi collettivi,
Padova, 1976; AA.VV., La tutela degli interessi diffusi nel diritto comparato
(con particolare riguardo alla protezione dell'ambiente e dei consumatori), a
cura di Gambaro, Milano, 1976), cfr. in particolare CAPPELLETTI, Appunti sulla
tutela giurisdizionale di interessi collettivi e diffusi, in Giur. It., 1975,
IV, 49 ss; BIANCA, Note sugli interessi diffusi, in La tutela giurisdizionale
degli interessi collettivi e diffusi, cit., 67; CARRATTA, Profili processuali
della tutela degli interessi collettivi e diffusi, ivi, 79. ss.
7) Sulla nozione di interessi collettivi dei consumatori, ed in particolare
circa il problema se l'accertamento del diritto dei singoli al risarcimento del
danno conseguente a comportamenti plurioffensivi, possa rientrare nella tutela
dell'interesse collettivo, mi sia consentito rinviare a FIORIO, L'oggetto,
cit., 1455 ss.
8) Nonostante i giudici di merito abbiano in diverse occasioni affermato che il
professionista convenuto con un'azione collettiva non può essere condannato al
risarcimento del danno o alla restituzione di somme in favore dei singoli
soggetti danneggiati (con la sola eccezione di Trib. Roma 30 aprile 2008, in
Foro it., 2008, 2679 con la quale, in esito ad un'azione proposta in via
d'urgenza ai sensi dell'art. 140 cod. consumo, il tribunale ha condannato Sky a
restituire mediante riaccredito nella prima fattura utile gli importi
illegittimamente addebitati a tutti i propri clienti.), una serie di decisioni,
rese a seguito di azioni collettive promosse ai sensi dell'art. 140 cod. cons,
hanno accertato i diritti individuali di carattere risarcitorio o restitutorio
dei consumatori con una diretta portata sulle loro posizioni individuali. Trib.
Torino 20 novembre 2006, in Foro it., 2007, I, 1298, con nota di PALMIERI,
confermata da App. Torino 24 febbraio 2009, al momento inedita, ha dichiarato
che il mancato adempimento ad una serie di contratti telefonici, ed in
particolare la mancata attivazione del servizio in unbundling, costituisce un
comportamento lesivo degli interessi dei consumatori e degli utenti; Trib.
Palermo 29 maggio 2006, in Foro it., 2006, I, 2542 e Trib. Palermo, 28 febbraio
2008, in Giur. it., 2008, 2751 con nota di FIORIO, Le azioni a tutela degli
interessi collettivi dei consumatori di cui all'art. 140 c. cons. (con una
digressione sull'azione collettiva risarcitoria prevista all'art. 140-bis),
dichiarata la vessatorietà della clausola operante nei rapporti di conto
corrente bancario intrattenuti con clienti consumatori che prevedeva il calcolo
di interessi anatocistici, hanno inibito alle banche di astenersi dal
respingere le istanze avanzate da consumatori, titolari di rapporto di conto
corrente bancario, finalizzate al ricalcolo dell'esposizione debitoria; Trib.
Milano, 15 settembre 2004, in Giur. it, 2005, 1017, con nota di DE SANTIS ha
dichiarato illegittimo il rifiuto di una banca al riconoscimento del diritto
della propria clientela di consumatori alla restituzione delle somme,
indebitamente percepite in base alla clausola contrattuale che prevedeva il
calcolo anatocistico trimestrale degli interessi debitori; Trib. Torino, 19
febbraio 2003, in Giur. it., 2004, 953 ha accertato l'illegittimità del rifiuto
della banca al riconoscimento del diritto al rimborso delle somme indebitamente
percepite in forza della clausola che prevedeva il calcolo degli interessi
anatocistici. Trib. Roma, 21 gennaio 2009 confermata in sede di reclamo da Trib
Roma, 17 aprile 2009, entrambe al momento inedite, hanno accertato, nell'ambito
di un giudizio cautelare, il diritto dei consumatori ad ottenere in
restituzione le penali corrisposte in caso di recesso da un contratto di
abbonamento televisivo, condannando l'impresa convenuta ad informare tutta la
propria clientela mediante l'invio di una lettera che spiegasse la portata del
provvedimento.
9) Con riferimento invece alle azioni inibitorie e ripristinatorie introdotte
dalla l. n. 281/1998 ed oggi contenute all'art. 140 Codice del consumo v.
PUNZI, La tutela giurisdizionale degli interessi diffusi e degli interessi
collettivi, cit., 34; CHIARLONI, Appunti sulle tecniche di tutela collettiva
dei consumatori, in Consumatori e processo. La tutela degli interessi
collettivi dei consumatori, a cura di Chiarloni e Fiorio, Torino, 2005,392 e
ss.; BOVE, L'oggetto del processo "collettivo" dall'azione inibitoria
all'azione risarcitoria (articoli 140 e 140-bis codice del consumo), Relazione
svolta al convegno "Dall'azione inibitoria all'azione risarcitoria
collettiva", tenutosi a Perugia il 10 aprile 2008, in www.judicium.it.,
2008, § 1; MARENGO, Garanzia processuale e tutela dei consumatori, Torino,
2007, 151 e ss.; MARINUCCI, Azioni collettive e inibitorie da parte delle
associazioni di consumatori, in Consumatori e processo, cit., 68 e ss.;
DALFINO, Appunti in tema di tutela in forma specifica e per equivalente degli
interessi collettivi, in Le azioni collettive in Italia. Profili teorici ed
aspetti applicativi, a cura di Belli, Milano, 2007; 148; PAGNI, Tutela
individuale e tutela collettiva nella nuova disciplina dei diritti dei
consumatori e degli utenti, in La disciplina dei diritti dei consumatore e
degli utenti (l. 30 luglio 1998, n. 281), a cura di Barba, Napoli, 2000, 185 e
ss.
10) Come notato da DERRIDA, La forza del diritto, in Riv. crit. dir. priv.,
2005, 193 il concetto di enforcement è di difficile traduzione nelle lingue dei
paesi continentali. Sull'argomento cfr. in termini generali STELLA,
L'enforcement nei mercati finanziari, Milano, 2008.
11) Si può considerare "pubblico", "comune" o
"collettivo" un bene che, usufruito da un individuo Xi, appartenente
ad un gruppo Xn, sia accessibile anche agli altri membri del gruppo, non
essendo possibile escludere coloro i quali non hanno contribuito alla sua
produzione, impedendo loro di trarne i conseguenti benefici. In argomento v.
RUBENSTEIN, Why Enable Litigation?: A Positive Externalities Theory of the
small Claims Class Action, (2006), in www.ssrn.com; CHAMBLEE
BURCH, Cafa's Impact on Litigation as Public Good, (2008), in Cardozo Law rev.,
29.6., 2519. reperibile anche in www.ssrn.com.
12) Nella letteratura statunitense anche gli autori che esprimono rilievi
critici sulle class actions riconoscono come centrale, e spesso prevalente
anche sulle ragioni di compensazione, il ruolo della deterrenza; tra i
contributi più recenti cfr. COFFEE, Reforming the Securities Class Action: An
Essay on Deterrence and its implementation, 106 Col L. Rev (2006)1547; COFFEE,
Law and the Market: The impact of Enforcement, (2007), in www.ssrn.com;
CHAMBLEE BURCH, Cafa's Impact, cit. 2520. In argomento v. anche GIUSSANI,
Azioni collettive, danni punitivi e deterrenza dell'illecito, in Riv. trim.
dir. proc. civ., 2008, 239 ss.
In argomento, con riferimento ai mercati finanziari cfr. AMATUCCI, La vera
ambizione delle azioni di classe: brevi note sulla deterrenza, in Analisi
giuridica dell'economia, 1, 2008, 11 ss; AMATUCCI, L'azione collettiva nei
mercati finanziari come strumento di governo societario, in Riv. soc., 2005,
1341 ss; FERRARINI GIUDICI, Financial Scandals and the Role of Private
Enforcement: The Parmalat Case, working paper 40/2005; FERRARINI, Informazione
societaria: quale riforma dopo gli scandali?, in Banca impresa società, 2004,
417 s. il quale rileva che l'ordinamento italiano presenta lacune non tanto
nelle norme di diritto sostanziale, quanto invece nei sistemi di enforcement
pubblico e privato, auspicando che l'organizzazione del processo civile crei
adeguati incentivi affinché gli investitori possano agire giudizialmente per il
ristoro dei danni in modo che la deterrenza verso gli autori degli illeciti
tenga conto dei costi sociali cagionati dai loro comportamenti.
13) Alcuni autori affermano che il contenzioso costituisce di per sé un bene
pubblico in quanto capace di stimolare esternalità positive che vanno anche a
beneficio dei soggetti estranei al gruppo dei danneggiati cfr. RUBENSTEIN, Why
Enable Litigation?: A Positive Externalities Theory of the small Claims Class
Action, (2006), in www.ssrn.com; CHAMBLEE BURCH, Cafa's Impact, cit.
2519.
14) In generale sui problemi di azione collettiva si può richiamare il
fondamentale contributo di OLSON, The Logic of Collective Action: Public Goods
and the Theory of Groups, Boston, 1971, trad. it., a cura di S. Sferza, La
Logica dell'Azione Collettiva, i beni pubblici e la teoria dei gruppi, Milano,
1983, 27 e ss. Più specificamente con riferimento alle class actions nella
letteratura statunitense v. YEAZELL, Collective Litigation as Collective
Action, 1989 U. Ill.. L. Rev. 43 (1989); MACEY MILLER, The Plaintiffs'
Attorney's Role in Class Action and Derivative Litigation: Economic Analysis
and Recommendations for Reform, 58 U. Chi. L. Rev. 1 (1991); GRUNDFEST PERINO,
The Pentium Papers: A Case Study of Collective Institutional Investor Activism
in Litigation, 38 Ariz. L. Rev. 559, 563 (1996); THOMAS HANSEN, Auctioning
Class Action and Derivative Lawsuits: A Critical Analysis, 87 Nw. U. L. Rev.
423, 427 (1993).
15) Cfr. MILLER, Punti cardine in tema di ««class action»» negli Stati Uniti e
in Italia, in Analisi giuridica dell'economia, 1, 2008, 224 ss.
16) Per un'analisi delle proposte di legge e delle diverse opzioni in esse
contenute si rimanda a CHIARLONI, Appunti sulle tecniche di tutela collettiva
dei consumatori, in CHIARLONI-FIORIO (a cura di), Consumatori e processo. La
tutela degli interessi collettivi dei consumatori, Torino, 2005; CONSOLO, Fra
nuovi riti civili e riscoperta delle class actions, alla ricerca di una
"giusta" efficienza, Corr. Giur, 2004, 565 e ss., 17 ss.; GIUSSANI,
Il consumatore come parte debole nel processo civile italiano: esigenze di
tutela e prospettive di riforma, in CHIARLONI-FIORIO (a cura di), Consumatori e
processo, cit., 25 e ss.; ID., Le azioni collettive risarcitorie nel processo
civile, Bologna, 2008, 181 e ss.; COSTANTINO, Note sulle tecniche di tutela
collettiva (disegni di legge sulla tutela del risparmio e dei risparmiatori),
Riv. Dir. Proc., 2004, 1009 e ss.; CARRATTA, Dall'azione collettiva inibitoria
a tutela di consumatori e utenti all'azione collettiva risarcitoria: i nodi
irrisolti delle proposte di legge in discussione, Giur. it., 2005, 662 e ss.
17) In argomento, con riferimento all'esperienza statunitense, cfr. WEISS
BEKERMANN, Let the money do the monitoring: how institutional investors can
reduce agency costs in securities class actions, in 104 Yale Law Journal, 1995,
2053; CHOI, The evidence on securities class actions, working paper 2004, in www.ssrn.com;
ROMANO, The Shareholder Suit: Litigation Without Foundation, 7 J. L. Econ.
& Org. 55, 57 (1991). La situazione in cui vengono a trovarsi l'attore, o
meglio la classe dei soggetti danneggiati, e gli avvocati che ne assumono la
difesa può quindi essere inquadrata nell'ambito dei fenomeni nei quali si
verificano agency problems e agency costs. Il principal (il cliente
rappresentativo della classe) non ha infatti sufficienti incentivi di carattere
economico per monitorare l'operato dell'agent il quale può porre in essere
comportamenti opportunistici, determinati da interessi configgenti con quelli
dei soggetti rappresentati.
18) L'effetto di deterrenza conseguente all'esercizio delle azioni risarcitorie
da parte dei risparmiatori può infatti essere considerato come un "bene
pubblico" che va a vantaggio di tutti i risparmiatori, i quali però,
agendo razionalmente ed individualmente, senza coordinarsi tra di loro, non
sono disponibili ad atti di eroismo per la collettività e non hanno interesse a
sopportare costi superiori ai possibili benefici. Sui problemi di azione
collettiva v. OLSON, La logica dell'azione collettiva, cit.
19) Diffusamente sull'argomento v. GIUSSANI, Azioni collettive risarcitorie,
cit.
20) Così TARUFFO, La tutela collettiva: interessi in gioco ed esperienze a
confronto, in Le azioni collettive in Italia, cit., 19; RUFFINI, Legittimazione
ad agire, cit.,708.
21) Cfr. CHIARLONI, Per la chiarezza di idee in tema di tutele collettive dei
consumatori alla luce della legislazione vigente e dei progetti all'esame del
Parlamento, in Le azioni collettive in Italia, cit., 2007, 29.
22) In argomento mi sia consentito rinviare a FIORIO, Deterrenza e riparazione:
la tutela degli interessi collettivi e dei diritti individuali omogenei dei
risparmiatori negli Stati Uniti, in Francia ed in Italia, in Consumatori e
processo, cit., 189 e ss.
23) Cfr. CHIARLONI, Per la chiarezza di idee, cit., 30.
24) Così MENCHINI, La nuova azione collettiva risarcitoria e restitutoria, in www.judicium.it.
25) COSTANTINO, La tutela collettiva risarcitoria: note a prima lettura dell
'art. 140 bis del codice del consumo, in Foro it., 2008, 19; CHIARLONI, Il
nuovo art. 140bis del codice del consumo, cit., 116.
26) Tale ricostruzione non pare del resto incompatibile con il principio per
cui in caso di sostituzione processuale o di legittimazione straordinaria, si
determina un litisconsorzio necessario con la conseguenza che la sentenza, nel
rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, può essere
efficace nei confronti del sostituito-titolare del diritto (ovvero, nel nostro
caso, dei consumatori), se questi sia posto nelle condizioni di partecipare al
processo (Cfr. PROTO PISANI, , Diritto processuale civile, Napoli, 2002, 291;
COMOGLIO FERRI TARUFFO, Lezioni sul processo civile, I, Il processo ordinario
di cognizione, Bologna, 2006, 303; CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale
civile, II, Profili generali, Padova, 2006, 475). Seppure, come si vedrà,
l'aderente all'azione non può essere considerato parte del giudizio in senso
formale, l'adesione è pur sempre un atto volontario idoneo ad integrare il
diritto di difesa e il contraddittorio dei membri della classe.
27) La dottrina (cfr. MANDRIOLI, Diritto processuale civile. Nozioni
introduttive e disposizioni generali, I, Torino, 2002, 308, ove ampi
riferimenti) e la più recente giurisprudenza (Cass., 14 febbraio 1995, in Giur.
it., I, 1, 1414; Id., 22 aprile 1997, in Rep. Foro it., 1997, voce ««Cassazione
civile»», n. 53; Id., 3 novembre 1997, n. 10765, in Foro it., 1998, I, 494)
concordano nel ritenere che ai sensi dell'art. 77 c.p.c. la qualità di
rappresentante nel campo sostanziale è necessaria in quanto non si può
conferire la legittimazione processuale rappresentativa ad un soggetto che non
abbia analogo potere rispetto ai diritti sostanziali oggetto del giudizio. Non
v'è dubbio che, non trattandosi più di un'azione collettiva relativamente alla
quale si poteva ritenere che l'associazione fosse titolare degli interessi
collettivi fatti valere, associazioni e comitati non hanno la titolarità dei
diritti sostanziali del danneggiato.
28) In considerazione del fatto che parte sostanziale nel giudizio è il
rappresentato e non il rappresentante, il rappresentato può sempre subentrare
nel giudizio e sostituirlo in qualsiasi momento, cfr. Cass., 11 gennaio 2002,
n. 314, in Rep. Foro it., 2002, voce ««Procedimento civile»», n. 62; Id., 9
luglio 1994, n. 6524, ivi., 1994, voce ««Procedimento civile»», n. 41.
29) Cfr. in termini generali, LUISO, Diritto processuale civile. Principi
generali, Milano, 2007, 213.
30) Sull'argomento, in generale, cfr. LUMINOSO, Il mandato, in Trattato di
diritto privato, diretto da Rescigno, 12, 2, Torino, 2007 il quale rileva che
la legge priva il mandante del potere di scioglimento del mandato solo nei casi
in cui la causa concreta del contratto postula la realizzazione di interessi
facenti capo anche a soggetti diversi dal mandante, situazione questa che può
astrattamente ricorrere nel nostro caso in quanto l'azione di classe è diretta
a tutelare gli interessi degli aderenti.
31) In diverse occasioni la giurisprudenza ha affermato che l'irrevocabilità
del mandato con rappresentanza conferito dal creditore ad un terzo, secondo
quanto prevede l'art. 1723 comma 2 c.c., si esaurisce nel rapporto interno fra
il mandante e il mandatario: cfr. Cass., 4 dicembre 1996, n. 10819, in Studium
Juris, 1997, 315; Id., 26 giugno 1997, n. 5717, in Giust. civ. Mass. 1997,
1063.
32) In argomento con riferimento alla precedente versione della norma, anche se
il problema può porsi in termini identici per il nuovo art. 140bis, v. DE
SANTIS, La pronuncia sull'ammissibilità della "class action", cit.,,
150
33) Con riferimento alla precedente formulazione della norma cfr. RUFFINI,
Legittimazione ad agire, cit., 709.
34) Come osservato da BOVE, Azione collettiva: una soluzione all'italiana
lontana dalle esperienze straniere più mature, in Guda al Diritto, n. 4, 26
gennaio 2008, 11 la questione sulla legittimazione ad agire può rappresentare
una mina vagante per tutto il corso del processo.
35) Sull'argomento si rinvia al § 6.2
36) In tal senso interpretava già il requisito di adeguata rappresentatività
del "vecchio" articolo 140bis VIGORITI, Class action e azione
collettiva risarcitoria. 140bis, cit., 749 secondo il quale ««adeguatezza
significa disponibilità di risorse personali e finanziarie affidabili in
relazione al caso concreto»».
37) Non paiono sussistere ostacoli a che l'attore richieda, a titolo di
risarcimento del danno, il rimborso dei costi sostenuti per la raccolta delle
adesioni la promozione e la gestione dell'azione di classe esclusi dalle spese
di giustizia. Tuttavia, in considerazione del fatto che l'adempimento degli
oneri pubblicitari è condizione di procedibilità della domanda, pare scontato
che l'unico soggetto interessato ad adempiervi sia l'attore.
38) Sul ruolo degli studi legali nelle azioni collettive risarcitorie, v.
LUCANTONI, Un ruolo trainante per gli studi legali?, in Analisi Giuridica
dell'Economia, 1, 2008, 83 ss. Più in generale sul finanziamento delle azioni
seriali cfr. TORINO, Il finanziamento delle azioni seriali. Esperienze
straniere e azione collettiva risarcitoria, ivi., 257 ss.
39) L'art. 19 del Codice deontologico forense prevede in via generale che: ««è
vietata ogni condotta diretta all'acquisizione di rapporti di clientela a mezzo
di agenzie o procacciatori o con modi non conformi alla correttezza e al
decoro»», specificando in particolare che ««è' vietato offrire, sia
direttamente che per interposta persona, le proprie prestazioni professionali
al domicilio degli utenti, nei luoghi di lavoro, di riposo, di svago e, in
generale, in luoghi pubblici o aperti al pubblico»». Tale divieto appare
difficilmente compatibile con le dinamiche dell'azione di classe, ed in
particolare con la natura imprenditoriale dell'avvocato, il quale, per
consentire un elevato numero di adesioni, dovrà certamente porre in essere una
capillare attività promozionale, che potrebbe risultare contraria al generale
principio del decoro professionale e comunque richiedere la sollecitazione
delle adesioni. Con riguardo, invece ai rapporti con la stampa, l'art. 18
prevede che: ««In ogni caso, nei rapporti con gli organi di informazione e con
gli altri mezzi di diffusione, è fatto divieto all'avvocato (...) di
sollecitare articoli di stampa o interviste sia su organi di informazione sia
su altri mezzi di diffusione; è fatto divieto altresì di convocare conferenze
stampa fatte salve le esigenze di difesa del cliente»». In argomento cfr.
LUCANTONI, Un ruolo trainante per gli studi legali?, cit., 96.
40) L'assunzione di elevati rischi da parte degli avvocati potrebbe comportare
una configurazione del rapporto tra l'attore ed il proprio difensore
completamente differente, se non opposta, rispetto al modello tradizionale
tipico del contenzioso individuale. Anche se né l'attore né il difensore sono
infatti titolari dei diritti collettivi o superindividuali della classe dei
danneggiati, il soggetto che ha il maggiore interesse individuale nel giudizio
sarà di regola l'avvocato che, in caso di vittoria, potrà recuperare un
compenso di regola superiore al risarcimento del danno subito dal proprio
cliente. Tale configurazione del rapporto tra il cliente ed il difensore potrà
porre il problema di validità sul piano civilistico, e di correttezza su quello
deontologico, delle clausole dirette a vincolare il membro della classe allo
studio legale che patrocina l'azione, vietando la revoca del mandato
professionale (che appare però contraria al disposto dell'art. 2237 c.c.), o
prevedendo, in caso di revoca o di mancata accettazione di una determinata
proposta transattiva, la corresponsione delle spese sostenute e degli onorari
maturati (clausola che invece può considerarsi in linea con l'art. 2237 c.c.),
che renderebbe però concretamente irrevocabile l'incarico.
41) Occorre segnalare che il problema della liquidazione delle spese sostenute
dalla controparte non si pone negli Stati Uniti per le class actions le quali
sono "agevolate" dal generale principio per cui ogni parte si fa
carico delle proprie spese legali. Altra soluzione per agevolare l'accesso alla
giustizia nel contenzioso collettivo è quella seguita in Portogallo ed in
Germania dove sono state introdotte norme specifiche per alleviare gli oneri
derivanti dal regime ordinario di ripartizione delle spese processuali; in
argomento cfr. TORINO, Il finanziamento delle azioni seriali, cit.,273.
42) Cfr. sempre con riferimento alla disciplina previgente, ma anche in questo
caso il problema si può porre oggi in termini molto simili, LUCANTONI, Un ruolo
trainante per gli studi legali?, cit., 93
43) Come noto, il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento
degli obiettivi perseguiti è stato abrogato dall'art. 2 d.l. 4 luglio 2006, n.
22, convertito in l. 4 agosto 2006, 248.
44) V. infra § 10.
45) Cfr. AMATUCCI, La vera ambizione delle azioni di classe: brevi note sulla
deterrenza, cit., 23.
46) Cfr. art. 140bis, 15° comma: ««Le rinunce e le transazioni intervenute tra
le parti non pregiudicano i diritti degli aderenti che non vi hanno
espressamente consentito. Gli stessi diritti sono fatti salvi anche nei casi di
estinzione del giudizio o di chiusura anticipata del processo»».
47) In generale, sui poteri accordati alle Corti statunitensi Cfr. Rule 23 (d)
(1) FRCP: ««In conducting an action under this rule, the court may issue orders
that: (A) determine the course of proceedings or prescribe measures to prevent
undue repetition or complication in presenting evidence or argument; (B) require to protect class members and fairly conduct the action giving appropriate notice to some or all class members of: (i) any step in
the action; (ii) the proposed extent of the judgment; or (iii) the members'
opportunity to signify whether they consider the representation fair and
adequate, to intervene and present claims or defenses, or to otherwise come
into the action; (C) impose conditions on the representative parties or on
intervenors; (D) require that the pleadings be amended to eliminate allegations
about representation of absent persons and that the action proceed accordingly;
or (E) deal with similar procedural matters»»
Come riportato da CAPPIELLO, La composizione stragiudiziale dell'azione
collettiva risarcitoria, in Analisi giuridica dell'economia, 1, 2008, 196,
molti ordinamenti quali la Danimarca, la Germania, l'Olanda, la Svezia ed il
Portogallo prevedono che le transazioni siano sottoposte all'approvazione
giudiziale.
48) Con specifico riferimento agli accordi transattivi cfr.. Rule 23 (e) FRCP:
««The claims, issues, or defenses of a certified class may be settled,
voluntarily dismissed, or compromised only with the court's approval. The
following procedures apply to a proposed settlement, voluntary dismissal, or
compromise:(1) The court must direct notice in a reasonable manner to all class
members who would be bound by the proposal. (2) If the proposal would bind
class members, the court may approve it only after a hearing and on finding
that it is fair, reasonable, and adequate. (3) The parties seeking approval
must file a statement identifying any agreement made in connection with the
proposal. (4) If the class action was previously certified under Rule 23(b)(3),
the court may refuse to approve a settlement unless it affords a new
opportunity to request exclusion to individual class members who had an earlier
opportunity to request exclusion but did not do so. (5) Any class member may
object to the proposal if it requires court approval under this subdivision
(e); the objection may be withdrawn only with the court's approval»».
49) Cfr. VIGORITI, Class action e azione collettiva risarcitoria, cit., 738
50) Cfr. art. 140bis, 14° comma: «« Non sono proponibili ulteriori azioni di
classe per i medesimi fatti e nei confronti della stessa impresa dopo la
scadenza del termine per l'adesione assegnato dal giudice ai sensi del comma
9»». Opposta era invece la soluzione alla quale pareva scontato pervenire sulla
base della precedente formulazione dell'art. 140bis Come osservato da CONSOLO,
La transazione dell'azione collettiva: difetti e pregi, in Analisi giuridica
dell'economia, 1, 2008, 188, la transazione comportava la rinuncia alla
proposizione dell'azione da parte dell'attore collettivo ma non comprometteva
la possibilità di avviare una nuova azione da parte di altri soggetti
legittimati alla quale avrebbero potuto partecipare gli aderenti insoddisfatti
delle condizioni dell'accordo transattivo.
51) V'è da chiedersi se l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato estesa
anche ad enti o associazioni che non perseguano scopi di lucro e non esercitino
attività economica ai sensi dell'art. 119, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, potrà
applicarsi all'associazione che agisca quale rappresentante processuale. Sui
sistemi di finanziamento pubblico delle azioni collettive risarcitorie v.
TORINO, Il finanziamento delle azioni seriali, cit., 264 ss ove ampi
riferimenti alle esperienze delle province canadesi e dell'Ontario del Quebec.
In particolare quest'ultima ha istituito un Fonds d'aide aux recours
collectifs, finanziato con un prelievo sulle somme oggetto di condanna in tutte
le azioni collettive che consente di finanziare le spese processuali per
avvocati e consulenti e tutti gli altri costi per la preparazione e l'esercizio
dell'azione.
52) Cfr. Rule 23 (a): ««One or more members of a class may sue or be sued as
representative parties on behalf of all members»»
53) Cfr. TARUFFO, La tutela collettiva, cit; 14; COSTANTINO, La tutela
collettiva: un tentativo di proposta ragionevole, in Foro it., 2007, V, 140 ss;
AROSSA, Gli scomodi confini dell'azione collettiva risarcitoria all'italiana:
diseconomie del suo ambito di applicazione, in Analisi Giuridica dell'economia,
1, 2008, 27 ss..
54) Cass., 8 giugno 2007, n. 13377, in Giust. Civ., 2008, I, 996; Id., 13
giugno 2006, n. 13643, in Contratti, 2007, 225; Id., 25 luglio 2001, n. 10127.
in Giur. it., 2002, 543 con nota di FIORIO, Professionista e consumatore un
discriminane formalista?; Corte Giustizia CE, 22 novembre 2001, cause C-541/99
e 542/99, ibidem.
55) Corte Cost., 22 novembre 2002, , n. 469, in Foro it., con note di PALMIERI,
Consumatori, clausole abusive e imperativo di razionalità della legge: il
diritto privato europeo conquista la Corte Costituzionale, ivi, 337 e di PLAIA,
Nozione di consumatore, dinamismo concorrenziale e integrazione comunitaria del
parametro di costituzionalità, ivi, 340. La Corte ha respinto la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 1469bis, comma 2 c.c. nella parte in cui
esclude(va) dalla nozione di consumatore i professionisti ed i piccoli
imprenditori, rilevando che la preferenza nell'accordare una particolare
protezione a coloro che agiscono in modo occasionale, saltuario e non
professionale si dimostra ragionevole in quanto la finalità dell'art. 1469 bis
comma 2 c.c., sarebbe quella di tutelare i soggetti che, secondo l'"id
quod plerumque accidit", sono presumibilmente privi della necessaria
competenza a negoziare; situazione non ravvisabile per quelle categorie di
soggetti -professionisti, piccoli imprenditori, artigiani - che, proprio per
l'attività abitualmente svolta, hanno cognizioni idonee per contrattare su di
un piano di parità.
In senso contrario si è invece espressa la prevalente dottrina che ha
denunciato il sospetto di illegittimità costituzionale conseguente alla
discriminazione tra consumatori ed imprenditori contraenti deboli, cfr. ex
multis BIN, Clausole vessatorie, una svolta storica (ma si attuano così le
direttive comunitarie?), in Contratto e impresa. Europa, 1996, 437; BIGLIAZZI
GERI, Art. 1469bis, in Commentario al capo XIVbis del codice civile: dei
contratti del consumatore, a cura di Bianca e Busnelli, Padova, 1999, 85;
BUONOCORE, Contratti del consumatore e contratti d' impresa, in Riv. Dir civ.,
1995, 1 ss. Sul punto v. diffusamente CALVO, I contratti del consumatore, in
Tratt. dir. comm, a cura di F. Galgano, Padova, 2005, 76 ss (ma già prima dello
stesso Autore., Il concetto di consumatore, l'argomento naturalistico ed il
sonno della ragione, in Contratto e impresa. Europa, 2003 715 ss e La tutela
del consumatore alla luce del principio di uguaglianza sostanziale, in Riv.
trim dir. proc civ., 2004, 869 ove ampi riferimenti dottrinali).
56) Così CALVO, La tutela del consumatore, cit.,, 869, ora con alcuni
adattamenti ed integrazioni in CALVO, I contratti del consumatore, cit.
l'Autore, con riferimento alla sentenza della Corte Cost. 22 novembre 2002, in
Foro it., 2003, I, 332 che ha respinto la questione di illegittimità
costituzionale della definizione di consumatore di cui all'art. 1469bis c.c.,
rileva l'irrazionalità ««di ogni tentativo volto a giustificare la disparità di
trattamento fra contraenti uniti da una simile posizione di debolezza (o
faiblesse économique) in ragione delle loro diverse condizioni giuridiche o
intellettuali. A ben riflettere, il pericolo di abuso della libertà contrattuale
non dipende -come ormai noto- dall'evenienza che l'aderente agisca in qualità
di imprenditore o di consumatore finale, essendo viceversa legato al
presupposto che la controparte, la quale si avvalga del potere di determinare
unilateralmente il contenuto del regolamento negoziale, disconosca qualsiasi
margine di trattativa individuale»».
57) In tal senso, con riferimento alle azioni collettive risarcitorie relative
a servizi turistici, cfr. DE SANTIS, L'azione risarcitoria collettiva, cit.,
148 il quale rileva che la nozione di consumatore applicabile è quella
specifica contenuta all'art. 83, comma 1, lett. c) del codice di consumo.
58) Non può ritenersi fondato il dubbio sollevato da Confindustria nella
propria circolare 18 marzo 2008 che l'investitore non sia considerabile come
consumatore ai sensi dell'art. 140bis; sia sufficiente al proposito ricordare
l'art. 32bis del t.u.f. d.gs. 24 febbraio 1998, n. 58 che estende la
legittimazione ad agire delle associazioni di consumatori di cui all'art. 137 cod.
cons. alla ««tutela degli interessi collettivi degli investitori, connessi alla
prestazione di servizi e attività di investimento e di servizi accessori e di
gestione collettiva del risparmio»», in tal senso mi sia consentito rinviare,
per ulteriori riferimenti a FIORIO, Deterrenza e riparazione, cit., 180; su
posizioni simili, recentemente, v. AROSSA, Gli scomodi confini dell'azione
collettiva, cit., 38.
59) Casi emblematici in cui l'art 140bis potrebbe trovare applicazione per
tutelare soggetti diversi dai consumatori persone fisiche potrebbero essere
quello della abnorme e pericolosissima negoziazione dei contratti derivati nei
confronti di molte piccole e medie imprese (in argomento cfr. INZITARI,
Strumentalità e malizia nella predisposizione e raccolta della dichiarazione di
operatore qualificato, in www.ilcaso.it., doc. 87, 29.12.2007, 1 ss ) e
delle pratiche anticoncorrenziali che possono ugualmente ledere tanto il
consumatore quanto le imprese.
60) Cfr. Libro bianco in materia di azioni di risarcimento del danno per
violazione delle norme antitrust comunitarie, 2 .4.2008, COM (2008) 165.
61) Definito all'art. 3, 1° co. lett. c) cod. cons., come ««la persona fisica o
giuridica che agisce nell'esercizio della propria attività imprenditoriale,
commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario»». Circa
la nozione di professionista, in dottrina cfr. ROMAGNOLI, La pubblica
amministrazione come ««professionista»», in Riv. dir. comm., 1999, I, 669 ss;
TROIANO, Gli enti pubblici come ««professionisti»» e come ««consumatori»», in
Commentario al capo XIVbis del codice civile: dei contratti dei consumatori.
Artt. 1469bis-1469sexies, a cura di Bianca e Busnelli, Padova, 1999, 177 ss;
KIRSCHEN, Commento all'art. 3, co. 1, lett. c), in Codice del consumo.
Commentario, a cura di Alpa e Rossi Carneo, Napoli, 2005, 66 ss; CHINÈ,
Commento all'art. 3, in Codice del Consumo, a cura di Cuffaro, Milano, 2006, 13
ss.
62) Cfr. art. 3, co. 1, lett. d): «« produttore: fatto salvo quanto stabilito
nell'articolo 103, comma 1, lettera d), e nell'articolo 115, comma 2-bis, il
fabbricante del bene o il fornitore del servizio, o un suo intermediario,
nonché l'importatore del bene o del servizio nel territorio dell'Unione europea
o qualsiasi altra persona fisica o giuridica che si presenta come produttore
identificando il bene o il servizio con il proprio nome, marchio o altro segno
distintivo»»
63) Cfr. art. 128, co. 2, lett. b): ««qualsiasi persona fisica o giuridica
pubblica o privata che, nell'esercizio della propria attività imprenditoriale o
professionale, utilizza i contratti di cui al comma 1»».
64) In tal senso cfr. MINERVINI, Art. 140bis, cit., 587.
65) Cfr. BONFANTE COTTINO, L'imprenditore, in Trattato di diritto commerciale,
diretto da Cottino, Padova, 2001, 713 s.
66) Cfr. AROSSA, Gli scomodi confini dell'azione collettiva risarcitoria
all'italiana, cit., 34; MINERVINI, Art. 140bis, cit., 587; in senso v. CONSOLO,
Come cambia, cit., 1300, secondo il quale la norma sembrerebbe escludere la
possibilità di intentare azioni di classe nei riguardi di professionisti non
imprenditori.
67) Cfr. ROMAGNOLI, La pubblica amministrazione, cit., 671 il quale sottolinea
che il tratto caratterizzante il professionista consiste nell'abitualità e
nella consuetudine alla stipulazione dei contratti.
68) Cfr. Cass., 2 aprile 2009, n. 8093.
69) L'affermazione della Corte pare tuttavia criticabile in quanto l'art. 3,
lett. c) del codice del consumo non contiene alcun riferimento né allo scopo
lucrativo del ««professionista»», né al criterio dell'economicità che la
dottrina prevalente ritiene necessario per l'imprenditore di cui all'art. 2082
c.c.. Anzi il riferimento al soggetto che agisce nell'ambito ««della propria
attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale»» porta a
ritenere che l'imprenditore connotato da finalità lucrative o quantomeno dal
metodo economico possa essere solo una delle figure che rientrano nella nozione
stessa di professionista. A meno di non voler ritenere che per finalità
professionali debbano intendersi solo ed esclusivamente quelle del professionista
intellettuale, esse possono essere quelle connotate dall'esercizio abituale e
non occasionale dell'attività (cfr. CHINÈ, Commento all'art. 3, cit., 23). Una
differente interpretazione della nozione di professionista potrebbe portare ad
un risultato irragionevole in quanto mentre il medico è certamente un
««professionista»» (intellettuale) , non lo sarebbe la struttura sanitaria
pubblica.
70) In argomento cfr. ROMAGNOLI, La pubblica amministrazione, cit., 671 il
quale comprende tra gli scambi rilevanti anche quelli diretti alla
realizzazione di fini sociali, rilevando che è necessariamente imprenditoriale
l'attività dell'ente che offre prestazioni sottocosto grazie alla copertura
delle perdite mediante un sovvenzionamento esterno.
71) Tale obiettivo non è certo stato realizzato con l'approvazione dell'art. 4,
2° co. lett. l) della l. 4 marzo 2009, n. 15 che non ha introdotto un'azione
risarcitoria. Tale norma prevede infatti che: ««Nell'esercizio della delega
nella materia di cui al presente articolo il Governo si attiene ai seguenti
principi e criteri direttivi: (...) 4) prevedere che, all'esito del giudizio,
il giudice ordini all'amministrazione o al concessionario di porre in essere le
misure idonee a porre rimedio alle violazioni, alle omissioni o ai mancati
adempimenti di cui all'alinea della presente lettera e, nei casi di perdurante
inadempimento, disponga la nomina di un commissario, con esclusione del
risarcimento del danno, per il quale resta ferma la disciplina vigente»». Lo
schema di decreto legislativo di attuazione all'art. 2 prevede che ««il ricorso
di cui all'art. 1 non può essere proposto se un organismo con funzione di
regolazione e di controllo istituito con legge dello Stato e preposto al
settore interessato ha instaurato e non ancora definito un procedimento volto
ad accertare le medesime condotte oggetto dell'azione di cui all'art. 1, né se,
in relazione alle medesime condotte, sia stato instaurato un giudizio ai sensi
degli articoli 139, 140 e 140-bis del codice del consumo, di cui al decreto
legislativo 6 settembre 2005, n. 206»», contemplando quindi espressamente che
una condotta posta in essere da un'amministrazione pubblica o da concessionari
di servizi pubblici possa essere fatta valere ai sensi dell'art. 140bis.
72) In argomento v. da ultimo GIARDINA, La distinzione tra responsabilità
contrattuale e responsabilità extracontrattuale, in Trattato della
responsabilità contrattuale, diretto da G. Visintini, vol 1, 73 ss.; THIENE,
Inadempimento alle obbligazioni senza prestazione, ivi, 317 ss.
73) Sull'argomento, in questo volume cfr. CALVO, L'effettività della tutela pro
consumatore, § 4 il quale rileva che l'intera disciplina delle pratiche
commerciali scorrette, incentrata sulla figura del consumatore medio, è
principalmente congeniata per proteggere la generalità dei consumatori
attraverso le azioni collettive.
74) Cfr. art. 20, 1° co. cod. cons.
75) Cfr. art. 19, 1° co. cod. cons: ««il presente titolo si applica alle
pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori poste in essere
prima, durante e dopo un'operazione commerciale relative a un prodotto»». Sul
punto cfr. AUTERI, Introduzione: un nuovo diritto della concorrenza sleale?, in
I decreti legislativi sulle pratiche commerciali scorrette. Attuazione e impatto
sistematico della direttiva 2005/29/CE, a cura di Genovese, Padova, 2008, 9 il
quale afferma che ««Le pratiche commerciali di cui si occupa la direttiva sono
quindi tutti i comportamenti tenuti dall'impresa sul mercato per influenzare a
proprio vantaggio le scelte e quindi la domanda dei consumatori»».
76) Cfr. CASTRONOVO, L'obbligazione senza prestazione. Ai confini tra contratto
e torto, in Le ragioni del diritto. Scritti in onore di Luigi Mengoni, vol. I,
Milano, 1995, 147
77) Tali principi sono stati applicati dalla giurisprudenza in diverse
occasioni nelle quali la responsabilità contrattuale è stata ricollegata al
c.d. "contatto sociale:con riferimento alla responsabilità medica cfr.
Cass. 22 gennaio 1999, n. 589, in Foro it., 1999, I, 3332; Id.,19 aprile 2006,
n. 9085, in Resp. e risarcimento, 2006, fasc. 6, 64; Id., 24 maggio 2006, n.
12362, in Rep Foro it., 2006, ««Professioni intellettuali»», n. 198 Cass. 28
maggio 2004, n. 10297, in Foro it., 2005, I, 2479; in merito alla responsabilità
del sorvegliante dell'incapace cfr. Cass. 18 luglio 2003, n. 11245, in Nuova
giur. civ., 2004, I, 491; con riguardo al ruolo rivestito dall'amministratore
di fatto v. Cass., 6 marzo 1999, n. 1925, in Corr. giur., 1999, 1396.
Recentemente Cass., S.U. 26 giugno 2007, n. 14712, in Banca Borsa, 2008, II,
567 ha affermato la natura contrattuale della responsabilità della banca per
violazione nei confronti dei terzi dei doveri professionali di protezione
derivanti dalle norme che disciplinano l'incasso degli assegni muniti della
clausola di non trasferibilità, precisando che: ««è opinione ormai quasi
unanimemente condivisa dagli studiosi quella secondo cui la responsabilità
nella quale incorre "il debitore che non esegue esattamente la prestazione
dovuta" (art. 1218 c.c.) può dirsi contrattuale non soltanto nel caso in
cui l'obbligo di prestazione derivi propriamente da un contratto,
nell'accezione che ne dà il successivo art. 1321 c.c., ma anche in ogni altra
ipotesi in cui essa dipenda dall'inesatto adempimento di un'obbligazione
preesistente, quale che ne sia la fonte»». Nello stesso senso, con riferimento
al mediatore non mandatario, cfr. Cass., 14 luglio 2009, n. 16382, in www.altalex.com.
Per ulteriori riferimenti anche dottrinali cfr. BUTA, La responsabilità nella
revisione obbligatoria delle s.p.a, Torino, 2005, 159; in argomento v.
FAILLACE, La responsabilità da contatto sociale, Padova, 2004
Di particolare interesse, anche perché resa in un giudizio litisconsortile che
vedeva come attori centinaia di investitori danneggiati, è la decisione del.
Trib. Milano, 25 luglio 2008, in www.ilcaso.it, sez I, doc. 1645 che ha affermato
la responsabilità contrattuale del presidente del consiglio di amministrazione,
della società di revisione e dello sponsor del collocamento nonché la
responsabilità extracontrattuale della Consob per la pubblicazione del
prospetto di quotazione della società Freedomland contente informazioni false.
E' interessante notare come il Tribunale milanese, non senza qualche
contraddizione, afferma che la responsabilità di tali soggetti, ed in
particolare della società di revisione, si colloca nell'ambito della
responsabilità precontrattuale, trattandosi di elaborazione di dati che servono
alla formazione della volontà contrattuale, salvo poi inquadrarla nell'ambito
della responsabilità contrattuale da inadempimento di obbligazioni
preesistenti, con l'esclusione della Consob la quale, non avendo assunto
volontariamente tali obblighi, può rispondere solo ex art. 2043 c.c.
78) Cfr. CASTRONOVO, L'obbligazione senza prestazione, cit., 221 ss; ID., La
nuova responsabilità civile, Milano, 2006, 502 ss..
79) Cfr. CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, cit, 469; THIENE,
Inadempimento alle obbligazioni senza prestazione,cit., 322.
80) Sulla responsabilità delle agenzie di rating, FACCI, Il rating e la
circolazione del prodotto finanziario: profili di responsabilità, in Resp.civ.
e prev., 2007, 933; GOMELLINI, Gli scandali dei mercati finanziari, l'attività
di rating e i Modelli di prevenzione dei reati (a margine del recente
intervento legislativo di "salvataggio" del rating dei titoli risultanti
da operazioni di cartolarizzazione di canoni di leasing e della prossima
attuazione del Nuovo Accordo di Basilea 2), in Diritto della banca e del
mercato finanziario, 2004, 594
81) In argomento cfr. MAZZONI, Osservazioni in tema di responsabilità civile
degli analisti finanziari, in Analisi giuridica dell'economia, 2002, p. 209; DI
CASTRI, I conflitti di interesse degli analisti finanziari: disciplina
statunitense, evoluzione della normativa comunitaria e prospettive per
l'ordinamento italiano, in Banca impresa società, 2004, p. 483
82) Cfr. Trib. Milano, 25 luglio 2008, cit.
83) Cfr. COFFEE, Reforming the Securities Class Action, cit, 1548 il quale
riporta che negli anni compresi tra il 1996 ed il 2004 negli Stati Uniti sono
state avviate in media ogni anno 196 securities class actions. Tali azioni
esercitate contro amministratori, società quotate e società di recisione
rappresentano quasi sempre i casi di contenzioso collettivo di maggiori
dimensioni economiche per gli importi riconosciuti in via transattiva (il caso
Enron si è chiuso con una transazione per 7.160,5 milioni di dollari, Worldcom
6.156,3 milioni, Cendant 3.52,0 milioni, AOL Time Warner $2.500 milioni).
84) Non essendo qui possibile esporre nemmeno per sommi capi i problemi
interpretativi sull'inquadramento della natura della responsabilità per le
fattispecie sopra individuate nel testo, ci si può limitare a richiamare gli
orientamenti contrastanti emersi con riguardo alla responsabilità della società
di revisione nei confronti degli azionisti ed obbligazionisti. La prevalente
giurisprudenza (Cfr. Cass., 18 luglio 2002, n. 10403, in Società, 2002, 1513,
con nota di SALAFIA; Trib. Milano 21 ottobre 1999, cit; App. Milano, 7 luglio
1998, in Società, 1998, 1171 con nota di SALAFIA; Trib. Milano, 18 giugno 1992,
in Giur. it., 1993, I, 2, 1 con nota di MONTALENTI, Responsabilità
extracontrattuale della società di revisione per negligente certificazione) e
l'orientamento dottrinario in passato dominante (MAGGIOLINO, Commento all'art. 2409sexies,
in Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti, Bianchi,
Ghezzi, Notari, Milano, 2005,582 ss ; NUZZO, Commento all'art. 164, in
Commentario al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione
finanziaria, a cura di Alpa e Capriglione, II, Padova, 1998, 1510; BALZARINI,
Commento all'art. 164, in La disciplina delle società quotate, a cura di
Marchetti e Bianchi, II, Milano, 1999, 1945) hanno ricondotto la responsabilità
da revisione al generale principio del neminem laedere di cui all'art. 2043,
facendo spesso ricorso al modello della responsabilità derivante dalla
divulgazione di informazioni economiche inesatte. Tale qualificazione è stata
tuttavia messa in discussione dai più recenti contributi dottrinari che l'hanno
qualificata come contrattuale in considerazione delle specificità della
revisione obbligatoria e del ruolo del revisore che assume i tratti di
un'attività istituzionale inserita in un sistema pubblicistico di vigilanza
diretto alla protezione del mercato e quindi di interessi ulteriori rispetto a
quelli della sola società che abbia conferito l'incarico (cfr. BUTA, La
responsabilità nella revisione obbligatoria delle s.p.a., cit., 169 ss; FACCI,
Il danno da informazione inesatta nell'attività di revisione contabile, in
Resp. Civ. e prev., 2007, 2019; BARCELLONA, Responsabilità da informazione al
mercato: il caso dei revisori legali dei conti, Torino, 2003, 247; FORTUNATO,
Art. 2409sexies, in Società di capitali. Commentario a cura di Niccolini e
Stagno d'Alcontres, 2, artt. 2380-2448, Napoli, 2004, 852 e ss ove ulteriori
riferimenti al dibattito dottrinale).
85) Cfr. CHIARLONI, Il nuovo art. 140bis, cit., 112; GIUSSANI, Azioni
collettive risarcitorie, cit., 226.
86) In argomento, anche per riferimenti, si rinvia a MARENGO, Garanzia
processuale e tutela dei consumatori, Torino, 2007, 64
87) Cfr. Amchem Products Inc. v. Windsor, 821 US 591, 117 S Ct 2231 (1997). Il
caso, relativo ai danni da esposizione all'amianto subiti da diverse centinaia
di migliaia di individui, riguardava una classe estremamente disomogenea in
quanto i danneggiati erano stati esposti a prodotti differenti, per diversi
periodi di tempo, in momenti diversi e con conseguenze dannose disomogenee. La
Corte Sprema ha ritenuto non soddisfatto il criterio della prevalenza delle
questioni comuni in ragione della peculiarità delle questioni che coinvolgevano
non solo le differenti classi dei danneggiati ma anche i singoli individui
appartenenti a ciascuna sottoclasse.
88) Cfr. MARENGO, Garanzia processuale e tutela dei consumatori, cit., 64 ss.
Con riferimento alle azioni proposte nei confronti delle imprese produttrici di
tabacchi v. BONA, "Class action", "Group Action" e
"azione collettiva risarcitoria": modelli europei a confronto, in
Obiettivo class action, cit., 12.
89) In argomento cfr. MULHERON, The class action in common law legal system,
cit., 214 e ss.; MARENGO, Garanzia processuale e tutela dei consumatori, cit.,
89 e ss.; BONA, "Class action", "Group Action" e
"azione collettiva risarcitoria", cit., 24 e ss.
90) Sul punto cfr. MARENGO, Garanzia processuale e tutela dei consumatori,
cit., 86, nt. 124 il quale riporta alcuni casi in cui la Supreme Court of
British Columbia ha ritenuto che la idoneità di un prodotto all'uso cui è
destinato debba considerarsi questione comune sufficiente a fondare la
certification, riservando a successivi giudizi individuali l'accertamento della
negligenza del produttore, la verifica del nesso di causalità e la
quantificazione dei danni.
91) Cfr. GIUSSANI, Azioni collettive risarcitorie, cit., 147 e ss
92) Cfr. in particolare Rule 19.10: "A Group Litigation Order ('GLO')
means an order made under rule 19.11 to provide for the case management of
claims which give rise to common or related issues of fact or law (the 'GLO
issues')"; Practice Direction 15: "The management court may give
direction 1) for the trial of common issues and 2) for the trial of individual
issues. Common issues and test claims will normally be tried at the management
court. Individual issues may be directed to be tried at other courts whose
locality is convenient for the parties".
93) In argomento cfr. CONSOLO - RIZZARDO, Due modi di mettere le azioni
collettive alla prova: Inghilterra e Germania, Riv trim dir proc civ, 2006,
896; CAPONI, Strumenti di tutela collettiva nel processo civile: l'esempio
tedesco, in Le azioni collettive in Italia. Profili teorici ed aspetti
applicativi, a cura di Belli, Milano, 2007, 66 e ss.; HODGES, Multi party
actions, Oxford, 2001; MARENGO, Garanzie processuali, cit., 74 e ss
94) CAPONI, Litisconsorzio aggregato, cit., 840 s; CONSOLO, I contenuti
decisori del processo collettivo, in Obiettivo class action, cit., 218;
GIUSSANI, Azione collettiva risarcitoria e determinazione del quantum, in Riv.
dir. proc., 2009, p. 342; PAGNI, Azione inibitoria delle associazioni e azione
di classe risarcitoria: le forme di tutela del codice del consumo tra illecito
e danno, in Analisi giuridica dell'economia, 2008, 1, 135; in senso contrario,
cfr. COSTANTINO, La tutela collettiva risarcitoria, cit., 23; BRIGUGLIO,
L'azione collettiva risarcitoria, cit., 25 ss; CHIARLONI, Il nuovo articolo
140bis, cit., 122 ss.
95) In argomento, con riferimento alla precedente formulazione dell'art.
140bis, mi sia consentito rinviare a FIORIO, L'oggetto, cit., 1448 SS.
96) Non paiono ai nostri fini decisivi elementi accessori del rapporto quali il
luogo ed il tempo nel quale deve essere adempiuta l'obbligazione.
97) Cfr. CAPONI, La riforma della class action, cit., § 6
98) In argomento v. infra § 7.
99) In tal senso v. CAPONI, La riforma della class action, cit., § 6 secondo il
quale il fatto che le ««le due ipotesi siano congiunte attraverso una
"e" e non disgiunto attraverso una "o" significa poco»».
100) In tal senso, con riferimento al vecchio art. 140bis, cfr. CAPONI,
Litisconsorzio aggregato, cit., 839; CONSOLO, I contenuti decisori del processo
collettivo, cit., 214 secondo il quale l'antitesi tra accertamento e condanna
generica sarebbe sterile in quanto la condanna generica non è una vera species
del genus di condanna, ma una sentenza di accertamento a contenuto complesso.
Sulle origini storiche della condanna generica cfr. CHIARLONI, Appunti sulle
tecniche di tutela collettiva, cit., 18 il quale rileva che "negli anni
trenta del secolo scorso, alcuni giudici di merito, giustamente preoccupati del
fatto che le sentenze di mero accertamento della responsabilità aquiliana non
costituissero titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale (a differenza di
quanto avveniva in altri ordinamenti, come il francese) fecero un'opera di
manipolazione linguistica e di distorsione concettuale per ottenere
l'iscrivibilità della garanzia, dando a quella sentenza il nome di 'condanna
generica'. Operazione avallata poi dal legislatore del nuovo codice con l'art.
278".
101) Il principio secondo cui la pronuncia di condanna generica richiede
necessariamente l'accertamento del diritto controverso in tutti gli elementi
che lo compongono non viene accolto nella sua interezza dalla dottrina e dalla
giurisprudenza nei casi di responsabilità contrattuale o aquiliana.
L'orientamento prevalente ritiene infatti sufficiente l'accertamento di un
fatto potenzialmente produttivo del danno, ovvero l'esistenza di una condotta
illecita e dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa, mentre non solo la
quantificazione, ma anche l'esistenza del danno e del nesso di causalità, da
valutarsi al momento della pronuncia ex art. 278 c.p.c. in termini di
probabilità o di verosimiglianza, possono essere oggetto di valutazione nella
fase successiva di determinazione del quantum. Cfr. da ultimo Cass., 31 luglio
2006, n. 17297, Rep. Foro it., 2006, voce "Sentenza civile", n. 83:
"Poiché la condanna generica al risarcimento del danno per fatto illecito
extracontrattuale postula, quale presupposto legittimante, soltanto
l'accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose, è
riservato al giudice della liquidazione l'accertamento dell'esistenza effettiva
del danno e della sua entità, nonché del nesso di causalità fra questo ed il
fatto illecito"; nello stesso senso cfr tra le molte Cass., 22-11-2000, n.
15066, in Rep. Foro it, 2000, voce "Sentenza civile", n. 71; Cass.,
7-2-1998, n. 1298, in Rep. Foro it, 1998, voce "Sentenza civile", n.
82; Cass., 21-5-1997, n. 4511, in Rep. Foro it, 1997, voce "Sentenza
civile", n. 82; Cass., 15-5-1996, n. 4514, in Rep. Foro it, 1996, voce
"Sentenza civile", n. 13; Cass., 7-5-1994, n. 4467, in Rep. Foro it,
1995, voce "Sentenza civile", n. 10. Per ampi riferimenti a dottrina
e giurisprudenza cfr. MONTANARI, Commento all'art. 278, in Codice di procedura
civile commentato, diretto da Consolo e a cura di Consolo e Luiso, Milano,
2007, 2147.
102) Sottolinea tale aspetto CAPONI, La riforma della class action, cit., § 6.
103) Tale conclusione pare giustificata anche dal fatto che il secondo comma
lett. a) presenta una differente formulazione rispetto alle lett b) e c):
mentre in queste ultime si fa riferimento ai "diritti identici", la
lett. a) specifica che l'azione tutela "i diritti contrattuali di una
pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa
impresa in situazione identica". L'utilizzo dell'espressione
"situazione identica" in luogo di "diritti identici" si
spiega in quanto negli illeciti contrattuali di massa il titolo sul quale si
può fondare l'azione risarcitoria o restitutoria è diverso per ogni singolo
apparentante alla classe e va identificato con il contratto che, seppur
standardizzato, ha una sua ineliminabile autonomia individuale e con l'atto o
il comportamento con il quale si sostanzi una violazione dei diritti del
consumatore.
104) Sottolinea in particolare la necessità di salvaguardare le esigenze di
efficienza e di economia processuale nell'interpretazione della norma CAPONI,
La riforma della class action, cit., § 6 e 7.
105) La possibilità di suddividere la classe in sottoclassi è prevista negli
Stati Uniti dalla Rule 23(c)(4)(B): ««"When appropriate (...) a class may
be divided into subclasses and each subclass treated as a class, and the
provisions of this rule shall then be construed and applied accordingly»».
Sull'argomento cfr. DODSON, Subclassing, in 27 Cardozo Law Rev., 2006, 2351 ss
secondo il quale la suddivisione in sottoclassi può consentire di ottenere la
certification per i casi che altrimenti non incontrerebbero i requisiti
previsti dalla rule 23, ed in particolare quello della prevalenza delle
questioni comuni su quelle individuali.
106) Cfr. COSTANTINO, La tutela collettiva risarcitoria, cit., 23; BRIGUGLIO,
L'azione collettiva risarcitoria, cit., 25 ss; CHIARLONI, Il nuovo articolo
140bis, cit., 122 ss.
107) CAPONI, Litisconsorzio aggregato, cit., 840; CONSOLO, I contenuti decisori
del processo collettivo, cit., 217 ss; GIUSSANI, Azione collettiva risarcitoria
e determinazione del quantum, cit., 342; PAGNI, Azione inibitoria, cit., 135.
108) Cfr. CAPONI, la riforma della "class action", cit., § 22;
MINERVINI, Art. 140bis, cit., 584.
109) In argomento cfr. GIUSSANI, Azione collettiva risarcitoria e
determinazione del quantum, cit., 339.
110) In tal senso cfr. FRANZONI, Il danno risarcibile, in Trattato della
responsabilità civile, diretto da Franzoni, Milano, 2004, 172; VISINITINI, La
valutazione equitativa del danno, in Trattato della responsabilità
contrattuale, 3, cit., 453
111) Cfr. Cass., 19 gennaio 2007, n. 1183, in Giur. it., 2008, 395, con nota di
GIUSSANI; in argomento cfr. BOERI PETRELLI, Il principio di precauzione.
Funzione preventiva e punitiva del risarcimento, in Trattato della
responsabilità contrattuale, cit., 157 ss.
112) Tra le più recenti decisioni di legittimità cfr. Cass., 11 luglio 2007, n.
15585 in Rep. Foro it., 2007, voce ««Danni civili»», n. 381; Id., 20 aprile
2007, n. 9514, in Danno e resp., 2007, 1028., Id., 15 marzo 2007, n. 5997, in
Rep. Foro it., 2007, voce ««Sentenza civile»», n. 67; Id., 3 marzo 1994, n.
2124, ivi., 1994, voce ««Sentenza civile»», n. 16; Id., 5 maggio 1988, n. 3340,
in Vita not., 1988, 744.
113) Cass., 20 aprile 2007, n. 9514, cit; Id., 11 luglio 2007, n. 15585, cit;
Id., 18 agosto 2005, n. 16992, in Riv. it. dir. lav., 2006, II, 632; Id., 15
febbraio 2005, n. 3032, in Foro it., 2006, I, 1898.
114) In argomento v. CONSOLO, Come cambia, cit., 1304 secondo il quale l'enfasi
attribuita alla liquidazione equitativa si giustificherebbe con l'obiettivo di
condannare l'impresa all'insieme dei ristori dovuti, anche al costo di trattare
ogni singolo diritto in via equitatitva o "spannometrica".
115) Circa la necessità di ricorrere alla prova statistica sia per la
quantificazione del danno, sia per la sussistenza del nesso di causalità
nell'esperienza statunitense, cfr. GIUSSANI, La prova statistica nelle class
"class actions»», in Riv. dir. proc., 1989, 1029 ss.
116) In argomento cfr, anche per riferimenti, VISINTINI, La valutazione
equitativa del danno, cit., 453.
117) Come noto, nell'ordinamento statunitense momento centrale della class
action è la certification da parte del giudice. Attraverso questo provvedimento
si consente che il singolo danneggiato assuma le vesti di una entità
spersonalizzata ed organicamente immedesimata nella classe, tanto che si può
ritenere che l'attore sia la classe stessa da questi rappresentata in forza
della nomina giudiziaria [cfr. CONSOLO, Class actions fuori dagli
Usa?(Un'indagine preliminare sul versante della tutela dei crediti di massa:
funzione sostanziale e struttura processuale minima), Riv. dir. civ., 1993, I,
642 e ss]. Per consentire un corretto funzionamento di tale fenomeno
rappresentativo (o di quasi immedesimazione), e, in particolare per permettere
che gli effetti (favorevoli o sfavorevoli) della sentenza possano estendersi a
tutti i potenziali danneggiati senza lesione dei loro diritti, la Rule 23 (c)
(2) prevede una facoltà di autoesclusione, garantita da una comunicazione che,
sebbene informale, deve consentire nel migliore modo possibile ad ogni
danneggiato, date le circostanze concrete del caso, di venire a conoscenza
dell'avvio della class action. Tale comunicazione, da inviare a tutti i
componenti della classe individuabili tramite ogni ragionevole sforzo, deve
indicare il termine entro il quale è possibile esercitare l'opt-out, chiarendo
che in caso di mancato esercizio di tale diritto il componente della classe
sarà vincolato dalla sentenza (in argomento cfr. GIUSSANI, Studi sulle
"class actions", Padova, 1996, 68; MARENGO, Garanzie processuali,
cit., 68 e ss).
118) Nelle azioni di gruppo inglesi (sulle quali cfr. CONSOLO - RIZZARDO, Due
modi di mettere le azioni collettive alla prova, cit., 907 e s.) i danneggiati
devono avere preventivamente avviato un giudizio individuale ed assumono
pertanto le vesti di vere e proprie parti del giudizio. L'oggetto dell'azione
di gruppo riguarda solo le questioni comuni alla classe, mentre gli aspetti
particolari e specifici ad ogni singola controversia sono lasciati a separati
giudizi individuali di completamento. La Corte, su richiesta di una delle parti
o anche d'ufficio, emana un Group Litigation Order con il quale individua le
questioni comuni alle diverse controversie individuali, indica la management
court che si assume il compito di gestire le controversie e di decidere le
questioni comuni e dispone le forme pubblicitarie necessarie per rendere nota
l'esistenza dell'azione di gruppo. La decisione collettiva dispiega i propri
effetti solo nei confronti dei soggetti iscritti in un apposito registro (group
register).
119) Il processo modello tedesco, introdotto per far fronte all'imponente
contenzioso di massa sorto nel caso Deutsche Telekom, si articola in tre fasi:
la prima, che si svolge davanti ai giudici investiti delle controversie
individuali, è diretta alla decisione di ammissibilità del giudizio. Affinché
possa instaurarsi il processo modello è necessario che vengano iscritte in un
apposito registro almeno dieci istanze per ottenere la decisione modello su di
una stessa questione di diritto o di fatto. Raggiunto il numero minimo di
istanze necessario, il giudice che per primo ha ottenuto la pubblicazione nel
registro rimette la questione alla Corte d'Appello presso la quale si svolge la
seconda fase diretta alla decisione della questione comune rimessa dal giudice
a quo. L'avvio del giudizio avanti la Corte d'Appello comporta la sospensione
di tutti i processi individuali nei quali deve essere affrontata la questione
comune e la contestuale chiamata in causa nel processo modello di tutte le
parti. La Corte nomina d'ufficio un attore modello senza che ciò pregiudichi il
compimento degli atti di difesa di tutte le altre parti coinvolte. La decisione
modello vincola tutte le parti chiamate ad intervenire nel processo davanti
alla Corte d'Appello tanto in caso di accoglimento quanto in caso di rigetto.
Con il passaggio in giudicato della decisione modello prende avvio la terza
fase nella quale si riaprono nuovamente avanti ai giudici delle controversie
individuali i processi sospesi nei quali dovrà essere applicata la decisione
modello. In argomento cfr. CAPONI, Strumenti di tutela collettiva nel processo
civile: l'esempio tedesco, cit., 66 e ss.; CONSOLO - RIZZARDO, Due modi di
mettere le azioni collettive alla prova, cit., 891 e ss.
120) Il modello svedese, introdotto dal Group Proceedings Act ( reperibile
nella traduzione inglese in www.sweden.gov.se; per ulteriori riferimenti cfr.
GIORGETTI - VALLEFUOCO, Il contenzioso di massa in Italia, in Europa e nel
Mondo. Profili di comparazione in tema di Azioni di Classe ed Azioni di Gruppo,
Milano, 2008, 235 ss), si differenzia rispetto a quello inglese e tedesco in
quanto l'azione viene proposta da un attore rappresentativo che agisce come
vero e proprio rappresentante di un gruppo in cui sono ricompresi soggetti che
non assumono le vesti di parti processuali. Legittimati a proporre l'azione
sono tanto i singoli individui quanto le associazioni che tutelino gli
interessi dei consumatori o autorità pubbliche individuate dal Governo. Se la
Corte competente ammette l'azione dispone la notifica ai membri del gruppo di
un avviso contenente: (i) una descrizione dell'azione, (ii) l'avvertimento che
i membri del gruppo possono prendere parte al giudizio collettivo entro un
termine prestabilito, (iii) l'esposizione degli effetti giuridici conseguenti
alla partecipazione al giudizio e (iv) le regole relative alle spese processuali.
Per poter entrare a far parte del gruppo, e conseguentemente per poter invocare
gli effetti della decisione collettiva, ogni singolo partecipante deve
comunicare per iscritto alla Corte la propria adesione. Coloro che non
comunicano l'adesione entro il termine previsto sono esclusi dal gruppo e non
saranno pertanto sottoposti agli effetti della decisione collettiva. La
sentenza che definisce il giudizio collettivo deve individuare i membri del
gruppo ai quali si riferisce e dispiega i propri effetti nei confronti di
coloro che abbiano aderito all'azione.
121) Cfr. già con riferimento all'azione collettiva risarcitoria MENCHINI,
L'azione collettiva risarcitoria italiana, cit., § 4.
122) In tal senso, sempre con riferimento al vecchio art. 140bis, cfr. CONSOLO,
È legge una disposizione sull'azione collettiva risarcitoria, cit., 2.
123) Quale atto unilaterale, con evidente contenuto patrimoniale (in quanto
diretto alla corresponsione o alla restituzione di somme), l'adesione, in forza
dell'art. 1324 c.c., è pertanto soggetta alle regole generali dettate dal
codice civile per i contratti, ed in particolare a quelle relative
all'efficacia ed alla validità e non a quelle contenute nel codice di rito agli
artt. 156 e ss. relative alla nullità degli atti processuali.
124) In tal senso, con riferimento all'abrogata azione collettiva risarcitoria
cfr. CONSOLO, È legge una disposizione sull'azione collettiva risarcitoria,
cit., 2 il quale però in L'opt-in e gli interventi: ossia della variabilità
dell'oggetto del giudizio e della unitarietà del rapporto processuale, in
Obiettivo class action, cit., 186 riconduce l'adesione alle figure tassative di
cui all'art. 81 c.p.c.; in senso contrario riteneva che l'adesione fosse un
mandato scritto, fonte del potere di rappresentanza MENCHINI, L'azione
collettiva risarcitoria e restitutoria, cit., § 4. Su posizioni simili, anche
se con alcune sfumature, si era espresso anche CAPONI, Litisconsorzio
aggregato, cit., 828 secondo il quale l'adesione era un atto complesso che
racchiudeva due componenti: un mandato all'associazione ed una manifestazione
di volontà per l'esercizio dell'azione.
125) In tal senso si può richiamare il terzo comma dell'art. 140-bis, 2° comma:
"i consumatori che intendono avvalersi [corsivo aggiunto] della tutela di
cui al presente articolo...".
126) In argomento v. però CONSOLO, Come cambia, cit., 1301 secondo il quale al
proponente deve essere riconosciuta l'esclusiva nel deposito delle adesioni e
la facoltà di respingere quelle con le quali siano fatti valere diritti non
omogenei.
127) Secondo OLSON, La logica dell'azione collettiva, cit., 56 e ss. si tratta
dei gruppi latenti contrapposti a quelli privilegiati. Sono privilegiati i
gruppi in cui vi sia almeno un componente che dall'azione collettiva possa
trarre benefici maggiori dei costi necessari per attivarsi individualmente.
Sono invece latenti quei gruppi in cui nessun soggetto sia in grado di trarre
dal proprio intervento benefici maggiori rispetto ai costi affrontati per
procurare il bene collettivo. Tra le due categorie se ne inserisce una terza, i
c.d. "intermediate groups" in cui nessun singolo componente ha
incentivi sufficienti per realizzare il bene collettivo, ma un sottogruppo,
attraverso forme di coordinamento e coalizione riesce a dividere i costi e ad
avere gli incentivi sufficienti per attivarsi. La difficoltà di coordinamento è
tuttavia più difficile in presenza di gruppi poco coesi relativamente ai quali
l'aggregazione comporta costi transattivi eccessivamente elevati. In argomento
v. anche GIUSSANI, Azioni collettive risarcitorie, cit., 110 e ss. il quale
definisce i gruppi latenti come "classi olistiche" contrapposte a
quelle "discrete".
128) Cfr. MILLER, Punti cardine in tema di "class action" negli Stati
Uniti e in Italia, in AGE,1, 2008, 225. L'inerzia quale comportamento
preferenziale del piccolo danneggiato è stata ben evidenziata dalla Suprema
Corte americana nel caso Phillips Petroleum v. Shutts 472 U.S. 797 (1985):
««Requiring a plaintiff to affirmatively request inclusion would probably
impede the prosecution of those class actions involving an aggregation of small
individual claims, where a large number of claims are required to make it
economical to bring suit. The plaintiff's claim may be so small, or the plaintiff
so unfamiliar with the law, that he would not file suit individually, nor would
he affirmatively request inclusion in the class if such a request were required
by the Constitution»».
129) Cfr. EISENBERG - MILLER, The Role of Opt- Outs and Objectors in Class
Action Litigation: Theoretical and Empirical Issues, in (2004) Vanderblit Law
Rev., 57, 1529.
130) COX - THOMAS, Leaving money on the table: Do Institutional Investors Fail
to File Claims in Securities Class Action, in (2002) Washington Univ. Law.
Quart, 80, 855.
131) Cfr. MILLER, Punti cardine in tema di "class action", cit., 226
il quale riporta che in New Mexico Indirect Purchasers Microsoft Antitrust
Litigation solo il 2,3% della classe ha richiesto i benefici della
conciliazione. In Nienaber v. Citibank neanche un membro su oltre un milione ha
proposto la domanda. In re Compact Disc Minimum Advertised Price Antitrust
Litigation più di 310.000 assegni da 13, 86 dollari ciascuno, per un totale di
circa quattro milioni di dollari, non sono stati incassati. In Dahingo v. Royal
Caribbean Cruises 958 assegni da 800 dollari ciascuno non sono stati incassati.
132) Cfr. MILLER, Punti cardine in tema di "class action", cit., 225
s.
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