CrisiImpresa


Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 19/10/2015 Scarica PDF

Le modifiche alla proposta di concordato

Giovanni Battista Nardecchia, Giudice


Sommario: I. L’utilità della proposta concordataria. - II. Il pagamento del 20% dell’ammontare dei crediti chirografari. - III. (segue) I riflessi sul concordato con continuità aziendale. - IV. La proposta e le proposte concorrenti.


   

I. L’utilità della proposta concordataria

Nell’originaria formulazione del r.d. n. 267/1942 il legislatore, prima di definire il contenuto della proposta utilizzava la formula «la proposta di concordato deve rispondere ad una delle seguenti condizioni:», formula che non lasciava dubbi circa la necessità che essa si dovesse conformare ad alcuni modelli prestabiliti (concordato per garanzia e concordato per cessione di beni, ai quali si era aggiunta la figura del concordato misto)[1] e che dovesse prevedere necessariamente alcuni elementi specificamente enunciati nell’articolo: a) l’indicazione della percentuale offerta ai creditori chirografari, non minore del 40 per cento; b) l’indicazione del tempo di pagamento ove diverso da quanto previsto dall’art. 160 l.fall.; c) la descrizione delle garanzie offerte per il pagamento dei creditori.

Tale impostazione è stata completamente ribaltata con la riforma, tanto che oggi, assai significativamente, l’art. 160, comma 1, l.fall., nell’indicare il contenuto che può assumere il nuovo concordato preventivo, con un’espressione ben differente parla di «un piano che può prevedere… la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma», formula che lascia già di per sé intendere come il legislatore abbia inteso destrutturare il contenuto della domanda, non ponendo sostanzialmente ad essa vincoli o confini[2].

Il riferimento al soddisfacimento dei crediti rende evidente come la proposta possa prevedere, almeno per alcune categorie di creditori, soluzioni satisfattive alternative al pagamento monetario.

Modalità di soddisfacimento alternative che possono essere riservate esclusivamente ai creditori chirografari, con l’eccezione dell’erario, dato che tutti i crediti fiscali (e previdenziali) devono essere pagati in denaro sia per la parte privilegiata che per quella chirografaria.

Tale innovazione segna il passaggio tra la vecchia disciplina, in cui la proposta poteva incidere sulla percentuale di pagamento e quindi soltanto sulla misura del pagamento e la nuova, in cui si può proporre ai creditori una forma di soddisfazione alternativa al pagamento.

Soddisfazione che può prevedere, ad esempio, la trasformazione del credito in capitale di rischio, mediante, appunto «l’attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni o altri strumenti finanziari e titoli di debito».

La proposta, come detto, deve assicurare a tutti i crediti una generica soddisfazione, espressione che si prestava a molteplici interpretazioni.

Secondo una nota decisione di merito, in base all’analisi della causa dell’atto di autonomia negoziale (della proposta concordataria che manifesta «natura sostanziale di atto unilaterale tra vivi a contenuto patrimoniale disciplinato, nei limiti della compatibilità, dalle regole generali sui contratti»), la previsione di una percentuale «simbolica» andava a minare i requisiti minimi della fattispecie legale[3].

La previsione di una percentuale meramente simbolica per i creditori chirografari andrebbe ad incidere sulla stessa validità della causa negoziale della proposta concordataria, non assolvendo più ad una «funzione oggettivamente apprezzabile sotto il profilo della ragionevolezza economica»[4].

Seguendo tale orientamento dovrebbe quindi ritenersi che il presupposto della soddisfazione sarebbe escluso ove la proposta preveda di ripartire ai creditori chirografari una percentuale irrisoria, economicamente non apprezzabile.

Interpretazione contestata in dottrina da chi riteneva che in tal modo si andasse a forzare il nuovo equilibrio venutosi a creare dopo la riforma tra la volontà dei creditori ed il controllo giurisdizionale[5].

E ciò in quanto il legislatore non avrebbe posto limiti al debitore nel poter proporre a determinate categorie di crediti qualsiasi soddisfazione, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, la proposta sarà inammissibile solo ove si dubiti della stessa esistenza di un pagamento o di un’attribuzione patrimoniale.

Per cui la valutazione di ammissibilità della proposta, avuto riguardo alla validità della causa, avrebbe  potuto condurre ad un esito negativo solo ove non fosse prevista alcuna soddisfazione per i crediti, nella sola ipotesi cioè in cui una sola parte (il debitore) riceve e l’altra, sola (i creditori), sopporta un sacrificio, unica essendo l’attribuzione patrimoniale.

Previsione di soddisfazione di tutti i crediti che costituisce un elemento essenziale della proposta, compatibile sia con l’obiettivo della liquidazione che del risanamento dell’impresa

Interpretazione che ha trovato l’autorevole avallo delle sezioni unite della Cassazione secondo cui il secondo fondamento causale del concordato preventivo viene rinvenuto “nel riconoscimento in favore dei creditori di una sia pur minimale consistenza del credito da essi vantato in tempi di realizzazione ragionevolmente contenuti” (pagina 49)[6].

Riconoscimento che giustifica, secondo la corte, una così significativa limitazione e compressione dei diritti del creditore a seguito del procedimento di concordato preventivo.

La decisione delle sezioni unite ha fornito quindi una sorta di interpretazione autentica dell’inciso contenuto nell’art. 160, comma 1, lettera a) l.fall. la dove riguardo al contenuto del piano (rectius della proposta) si fa riferimento alla soddisfazione dei crediti.

Inciso che va quindi letto in primo luogo come attribuzione di una valenza inderogabile all’indicazione di una misura minima di soddisfacimento di tutti  i creditori.

Il che significa che, secondo i giudici di legittimità, la proposta doveva comunque avere un contenuto minimo predeterminato rappresentato dalla soddisfazione dei crediti, dovendo essa prevedere il pagamento o un’altra forma satisfattiva di estinzione di tutti i debiti[7].

Non avendo i giudici della suprema corte indicato quale fosse la “pur minimale consistenza del credito” atta a soddisfare la causa in concreto del concordato la dottrina e la giurisprudenza si sono divise tra chi riteneva che il legislatore non avesse posto limiti al debitore nel poter proporre a determinate categorie di crediti qualsiasi soddisfazione, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo (con la conseguenza che la proposta deve considerarsi inammissibile solo ove si dubiti della stessa esistenza di un pagamento o di un’attribuzione patrimoniale) e chi riteneva, al contrario che vi fosse una soglia minima di soddisfazione.

Con l’approvazione della legge n. 132 del 6 agosto 2015 (pubblicata sul supplemento ordinario n. 50 della Gazzetta Ufficiale del 20 agosto ed entrata in vigore il giorno successivo), che ha convertito il d.l. n. 83 del 27 giugno 2015, il legislatore è intervenuto sul contenuto della proposta.

L’art. 161 è stato modificato con l’inserimento, alla fine della lettera e) del secondo comma, della seguente disposizione: “in ogni caso, la proposta deve indicare l’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore”[8].

Il concetto di soddisfazione dei crediti e quindi di necessaria non gratuità della prestazione offerta dal debitore deve essere quindi assunto nel suo significato economico proprio di attribuzione patrimoniale, per la quale deve tenersi conto dell’interesse economico che si intende realizzare e soddisfare, anche in via mediata, attraverso la complessa operazione economica sintetizzata nel piano.

L’avere utilizzato il lemma “utilità”, consente ora al debitore di frazionare ancor di più le modalità di soddisfacimento dei creditori, posto che si possono ricomprendere, ad esempio, il beneficio immediato degli “scarichi” fiscali, così come la contrattualizzazione di nuovi rapporti commerciali, oltre che, naturalmente, modalità estintive dell’obbligazione diverse dal pagamento in denaro[9].

Tale novità rende quindi evidente la possibilità che il debitore non offra di  pagare o soddisfare i crediti, ma prometta una qualche utilità al creditore quale, ad esempio, la stipulazione di un contratto che consenta al fornitore di proseguire i rapporti commerciali con il debitore o con il terzo cessionario dell’azienda[10].

Novella che segna il passaggio dalla necessaria soddisfazione «dei crediti» a quella «dei creditori», fattispecie quest’ultima che ricorre in tutte le ipotesi in cui la mancata soddisfazione del credito sia compensata dall’attribuzione al creditore di una qualche diversa utilità, ferma restando la necessità che , in questo caso, i creditori così soddisfatti siano inseriti in una classe separata dagli altri creditori cui la proposta riserva una soddisfazione dei crediti.

Norma che si riferisce a tutti i concordati anche se, al di fuori del concordato con continuità aziendale, essa deve essere valutata ed applicata unitamente all’imposizione dell’obbligo di assicurare il pagamento dei creditori chirografari nella misura minima del 20% contenuto nel riformato art. 160 l.fall.

L’utilizzo del verbo “assicurare”(il riferimento è all’utilità che il proponente si obbliga ad assicurare) rende ben evidente che la proposta non può limitarsi a una prospettazione ai creditori di verosimile adempimento, dovendo invece contenere l’assunzione di un vero e proprio impegno[11].

L’applicazione di tale norma alla fattispecie disciplinata  dall’art. 186 bis va vista con favore ed appare più un’interpretazione autentica della norma che una vera e propria novità, dato che, anche prima della novella del 2015, appariva evidente che  il debitore, a prescindere dal tipo di continuità, diretta o indiretta che sia, deve sempre garantire ai creditori, una qualche soddisfazione o un pagamento degli stessi in termini monetari, indicando una certa percentuale, non potendosi ritenere ammissibile una proposta che prospetti genericamente di soddisfare o pagare i creditori, sia che tale soddisfazione derivi dalla prosecuzione dell’attività che dalla cessione dell’azienda.

In definitiva, dopo la riforma del 2015, può ben dirsi che il concordato con continuità aziendale, con riferimento alla proposta, è catalogabile come concordato con garanzia, con obbligo del debitore di garantire ai creditori una certa utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile.

 

II. Il pagamento del 20% dell’ammontare dei crediti chirografari

La rilevanza dell’indicazione della misura percentuale del soddisfacimento dei creditori costituisce una delle tematiche più dibattute e controverse nell’ambito della disciplina del concordato liquidatorio, con cessione dei beni.

Vi era chi sosteneva, infatti, che nel caso di concordato per cessione di beni che non comportasse l’immediato trasferimento della proprietà ai creditori, la proposta dovesse prevedere necessariamente l’indicazione specifica del “trattamento” che veniva promesso a ciascun credito o a ciascuna classe di creditori, la previsione della percentuale di soddisfacimento del credito che tale attribuzione patrimoniale avrebbe potuto garantire.

In tale prospettiva si reputava inammissibile una proposta che non prevedesse alcun impegno ad un soddisfacimento determinato per i creditori ma, soltanto, la messa a disposizione dei creditori medesimi di tutti  i beni del debitore[12].

Con la conseguenza che la proposta avrebbe dovuto sempre indicare una “misura” percentuale che i creditori avrebbero assunto come “misura” delle proprie possibilità di recupero[13]

Interpretazione che aveva trovato conferma in un obiter di una pronuncia della suprema corte secondo cui la proposta di concordato per cessione di beni non potrebbe essere disancorata “dalla promessa di un risultato utile conseguibile precisato o implicito in una percentuale di soddisfacimento, senza il quale la proposta del debitore diverrebbe aleatoria in senso giuridico, pur a fronte dell’effetto esdebitatorio certo della falcidia concordataria”[14].

Secondo una diversa interpretazione ove la proposta preveda la cessione dei beni in funzione del soddisfacimento monetario dei creditori, il debitore ha la facoltà, ma non l’obbligo, di indicare la percentuale di soddisfacimento degli stessi[15].

Il debitore può indicare quale sia la probabile percentuale di soddisfazione ricavabile dalla liquidazione dei beni, ma non deve obbligarsi ad assicurare ai creditori un minimo grado di soddisfazione.

La suprema corte  nel 2013 ha sposato questa seconda interpretazione affermando espressamente che “la causa della procedura di concordato…..esclude infatti che l’indicazione di una percentuale di soddisfacimento dei creditori da parte del debitore possa in qualche modo incidere sull’ammissione del concordato (pagina 53)”[16] e con specifico riferimento alla proposta di concordato per cessione di beni afferma che “quando si tratti di proposta concordatizia con cessione di beni la percentuale di pagamento eventualmente prospettata non è vincolante, non essendo prescritta da alcuna disposizione la relativa allegazione ed essendo al contrario sufficiente  “l’impegno a mettere a disposizione dei creditori i beni dell’imprenditore liberi da vincoli ignoti che ne impediscano la liquidazione o ne alterino apprezzabilmente il valore”, salva l’assunzione di una specifica obbligazione in tal senso (Cass. 11/13817).

Il legislatore è intervenuto su tale problematica con la novella del 2015, in quanto all’art. 160 l.fall. è stato aggiunto un quarto comma, che così testualmente recita: “In ogni caso la proposta di concordato deve assicurare il pagamento di almeno il venti per cento dell’ammontare dei crediti chirografari”.

La disposizione di cui al presente comma non si applica al concordato con continuità aziendale di cui all’art. 186-bis”.

L’impegno a garantire il pagamento di almeno il 20% dei crediti chirografari impone, in primo luogo, una corretta individuazione di tali crediti.

La previsione incontra un limite nel caso in cui la legge non attribuisca a determinati creditori il diritto di soddisfarsi, se non quando si siano soddisfatti integralmente tutti gli altri creditori, quando cioè sia rinvenibile nell’ordinamento una norma che si ponga in rapporto di specialità rispetto a quanto disposto dall’art. 160 l.fall.[17].

È questa l’ipotesi dei creditori postergati, ai sensi degli artt. 2467- 2497 quinquies c.c., norme che si pongono in rapporto di specialità rispetto all’art. 160 l.fall. e che influiscono sulla stessa graduazione di tali crediti, cui non è riservata alcuna soddisfazione in forza della regola di sopportazione del rischio di insolvenza della società contenuto nelle stesse norme[18]

Gli obbligazionisti si pongono a cavallo tra la postergazione legale ex  artt. 2467-2497 quinquies c.c. e quella volontaria[19], posto che ai sensi dell’art. 2411 c.c. il diritto degli obbligazionisti alla restituzione del capitale ed agli interessi può essere, in tutto o in parte, subordinato alla soddisfazione dei diritti di altri creditori della società

Anche il credito degli obbligazionisti nasce postergato, anche se tale postergazione è meramente facoltativa e non necessaria come quella dei crediti postergati, ai sensi degli artt. 2467- 2497 quinquies c.c.

Una volta chiarito il novero dei destinatari, va sottolineato come la norma, che si applica a tutti i tipi di concordato ad eccezione di quelli con continuità, determina il contenuto minimo della proposta con riferimento al trattamento riservato ai crediti chirografari.

Come già rilevato con riferimento alla modifica dell’art. 161 l.fall.,l’utilizzo del verbo “assicurare” rende evidente che la proposta non può limitarsi a una mera prospettazione ai creditori di un verosimile pagamento, dovendo invece contenere l’assunzione di un vero e proprio impegno da parte del debitore[20].

Dal chiaro ed in equivoco tenore letterale della norma si evince, inoltre, che la proposta deve prevedere il pagamento monetario dell’ammontare dei crediti chirografari nella misura minima del 20%, non soltanto la loro soddisfazione.[21]

Il legislatore ha quindi chiaramente inteso distinguere il concetto di soddisfazione da quello di adempimento delle obbligazioni pecuniarie secondo le regole codicistiche (il dato letterale dell’art. 1277, comma 1, c.c. comporta che i debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale)[22], con la conseguenza che non vi sono dubbi, come detto, circa il divieto di attribuire ai creditori trattamenti non costituiti da dazioni monetarie relativamente alla percentuale minima del 20% dell’ammontare dei crediti chirografari.

Obbligo che costituisce il contenuto necessario della proposta, rimanendo libero il debitore di prospettare ai creditori un’ulteriore soddisfazione o pagamento, per la parte residua dell’80% dell’ammontare dei crediti.

La proposta presenta quindi un contenuto necessario ed indisponibile (assicurazione del pagamento del 20% dell’ammontare dei crediti chirografari) ed uno eventuale, rimesso alla piena disponibilità del debitore (prospettazione di pagamento o soddisfazione del rimanente 80%).

Il debitore può quindi realisticamente contemplare il rischio del verificarsi di eventi imprevedibili ed indicare un range previsionale di pagamento dei creditori, che oscilli fra un minimo ed un massimo, a seconda di come evolvano le circostanze di fatto non immediatamente controllabili; ed anche formulare ipotesi alternative, a ciascuna delle quali sia legata una previsione di realizzo differente, purché sia ben chiaro quale sia l’obiettivo minimo garantito: quello del pagamento 20%[23].

Così come sarà legittima una proposta che assicuri una quota di pagamento in denaro e prospetti soluzioni satisfattive alternative al pagamento monetario.

Con la conseguenza che nei concordati liquidatori è ancora consentito che un debito pecuniario, scaduto ed esigibile, venga estinto dall’obbligato mediante una prestazione diversa, anche se tale facoltà è limitata alla quota di soddisfazione eccedente il 20% dell’ammontare dei crediti.

Prestazione diversa ed ulteriore che può fungere da parametro per valutare la convenienza della proposta e la fattibilità del piano, ferma restando la facoltà del debitore di assumere un ulteriore obbligo di adempimento, che vada ad aggiungersi a quello “legale” riguardante la percentuale  del 20%.

Il debitore ha la facoltà, non l’obbligo, di assicurare, l’adempimento della proposta per la quota eccedente il pagamento del 20% dell’ammontare dei crediti chirografari.

Lettura che nasce da un’interpretazione letterale della norma.

Invero sostenere che il debitore debba sempre assicurare l’adempimento, a prescindere dal contenuto della proposta, equivale a ritenere che la norma debba essere letta come se dicesse “In ogni caso la proposta di concordato deve assicurare il pagamento di almeno il venti per cento dell’ammontare dei crediti chirografari o comunque il pagamento dell’ammontare superiore indicato nella proposta”.

Il legislatore non ha inteso rinnegare del tutto la riforma del 2006, nella parte in cui attribuiva al debitore una quasi completa libertà nel modellare la proposta e quindi la soddisfazione dei creditori, ha semplicemente ampliato il contenuto necessario della proposta in tutti i concordati diversi da quello con continuità aziendale: non più  la mera soddisfazione di tutti i crediti (in una consistenza sia pur minimale secondo l’interpretazione delle sezioni unite), ma il pagamento di almeno il 20% dell’ammontare dei crediti chirografari.

Fermo restando che in caso di concordato senza classi, la soglia del 20% deve essere assicurata ad ogni singolo creditore, ove il debitore provveda alla loro formazione,  il riferimento “all’ammontare dei crediti chirografari” fa ritenere che il legislatore abbia ritenuto legittima la previsione di pagamenti differenziati per classi, anche inferiori, per alcune, al 20%, purché la detta soglia sia rispettata facendo riferimento al complessivo ammontare dei crediti chirografari[24].

Interpretazione che appare preferibile anche considerando che, altrimenti, la facoltà del debitore di suddividere i creditori in classi con trattamenti differenziati comporterebbe necessariamente l’assunzione di un obbligo superiore rispetto a quello imposto dalla legge.

E ciò in quanto se il debitore dovesse assicurare a tutte le classi il pagamento di almeno il 20%, la differenziazione di trattamento condurrebbe inevitabilmente alla necessità di prospettare ad alcune un pagamento superiore alla soglia minima fissata per legge.

Se, ad esempio, la proposta prevedesse la suddivisione dei creditori chirografari in tre classi con trattamenti differenziati, l’assicurazione del pagamento del 20% alla classe A, comporterebbe necessariamente un maggior impegno per le rimanenti due classi in quanto la differenziazione di trattamento non potrebbe che essere migliorativa rispetto alla soglia minima assicurata alla classe A.

Tale lettura consente altresì di preservare, almeno in parte, lo spirito originario della riforma, garantendo un’ampia autonomia “negoziale” al debitore, il quale potrebbe modellare la proposta promettendo  ai creditori inseriti in classi cui sia assicurato un pagamento inferiore al 20% altre utilità economiche compensative.

Operazione che, presumibilmente, si renderà necessaria per ottenere l’approvazione del concordato ogni qual volta il debitore pur rispettando la soglia del 20% con riferimento all’ammontare complessivo dei crediti chirografari, non assicuri tale percentuale a ciascun creditore.

La differenza rispetto alla passata disciplina, con riferimento agli obblighi che il debitore deve assumere nei confronti dei creditori ha riflessi e conseguenze soprattutto con riferimento alla fase esecutiva del concordato.

Nel senso che il pagamento del 20% (o della diversa percentuale assicurata in caso di suddivisione dei creditori in classi) costituirà (ove il debitore non abbia assunto ulteriori obbligazioni) il parametro per valutare l’adempimento del concordato e, quindi i presupposti per la risoluzione.

Presupposti che ricorreranno solo allorquando l’inadempimento del debitore concordatario risulti di non scarsa rilevanza[25].

Non rilevanti appaiono, al contrario, le conseguenze con riferimento ai poteri d’indagine del tribunale[26].

Poteri che non sono mutati dato che considerando che anche prima della riforma esisteva un presupposto di ammissibilità riferito al contenuto della proposta: la soddisfazione dei crediti.

Il legislatore  ha semplicemente “alzato  l’asticella” richiedendo non più  che la proposta prometta e consenta che i creditori ottengano “una sia pur minimale consistenza del credito vantato “ma che essa assicuri (al di fuori dei concordati con continuità aziendale ) almeno il pagamento del 20% dell’ammontare dei crediti chirografari.

Questione assai problematica è quella dei riflessi di tale novella sul trattamento dei creditori privilegiati.

E ciò nel caso, naturalmente, in cui il debitore si sia avvalso del patto concordatario di previsto dall’art. 160, comma 2, l.fall., secondo cui il piano può prevedere un soddisfacimento non integrale per i creditori muniti di un diritto di prelazione, purché il trattamento loro riservato non risulti inferiore a quello che gli stessi potrebbero realizzare sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione.

Il parametro del 20% per i creditori chirografari ha una sicura incidenza sul trattamento dei creditori privilegiati, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo.

Sotto il primo aspetto perché non pare ammissibile un trattamento qualitativo dei privilegiati deteriore rispetto a quello previsto per i chirografari, di talché anche tali creditori dovranno essere pagati e non semplicemente soddisfatti, quanto meno per la parte di credito capiente e, comunque, sino alla soglia minima del 20%.

Sotto il secondo profilo  il rispetto dell’ordine delle prelazioni, che costituisce uno dei due principi[27] impone che ai creditori privilegiati sia garantita, in ogni caso, una percentuale di pagamento pari o superiore a quella riservata ai chirografari e, quindi, pari o superiore a quella del 20%.

La posizione del creditore privilegiato speciale va distinta a seconda della percentuale di pagamento a lui riservata, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione.

Nel caso in cui al creditore privilegiato in base alla relazione di stima sul ricavato della vendita del bene su cui grava la garanzia (dedotte le spese generali e speciali gravanti sul bene) sia assicurato, nella proposta, il pagamento di una percentuale superiore al 20% ed a quella riservata ai chirografari si pongono ulteriori problemi interpretativi ed attuativi con riferimento alla sorte della quota di credito incapiente, sorte che nel fallimento è regolata dall’art. 54 l.fall. in forza del quale il creditore privilegiato, dopo aver fatto valere il proprio diritto di prelazione sul ricavato della vendita dei beni oggetto di garanzia, concorre con i creditori chirografari per la parte incapiente[28].

L’art. 54 l.fall. non rientra tra le disposizioni richiamate dall’art. 169 l.fall., che individua negli artt. 43 comma 4, 45, 55, 56, 57, 58, 59, 60, 61, 62 e 63 l.fall le norme dettate per la disciplina del fallimento applicabili al concordato preventivo, con riferimento alla data di presentazione della domanda.

Prima della riforma del 2005 il mancato richiamo all’art. 54, commi 1 e 2, l.fall. (il comma 3 si applica in forza del richiamo contenuto nell’art. 55 l.fall.) veniva tradizionalmente giustificato con il fatto che il diritto di prelazione dei creditori garantiti da ipoteca, pegno o privilegio sui beni vincolati non veniva meno con la presentazione della domanda di concordato e che l’obbligo di soddisfare tali creditori immediatamente ed integralmente rendeva sostanzialmente inutile una regola che dettasse la disciplina del loro concorso con i creditori chirografari[29].

Dopo la riforma deve ritenersi che il mancato richiamo all’art. 54 commi 1 e 2, l.fall. sia ugualmente giustificato anche se per diverse ragioni.

Il legislatore ha infatti dettato, nel nuovo art. 160 l.fall., una disciplina specifica per il trattamento dei creditori garantiti da ipoteca, pegno o privilegio.

Il che evidenzia come il mancato rinvio all’art. 54, commi 1 e 2, l.fall. si spieghi ancora oggi, dopo la riforma, con la specificità del contenuto di tale norma, non essendo possibile l’automatica trasposizione nel concordato preventivo (che contiene una specifica e diversa disciplina) delle disposizioni che regolano il soddisfacimento dei creditori con diritto di prelazione ed il loro concorso con i creditori chirografari[30].

Sia che il debitore preveda di suddividere i creditori in classi, sia che non lo preveda (ove lo si ritenga ammissibile in presenza di creditori privilegiati non integralmente soddisfatti), i creditori privilegiati non dovranno necessariamente ricevere lo stesso trattamento riservato ai chirografari per la parte di credito non soddisfatta dal “ricavato in caso di liquidazione”.

Con la conseguenza che, ad esempio, appare legittima una proposta che preveda di soddisfare i creditori privilegiati nei soli limiti del ricavato in caso di liquidazione del bene oggetto di garanzia, non riservando alcuna risorsa per la soddisfazione dei crediti incapienti, purché essi siano pagati con tale ricavato in misura superiore a quella riservata ai chirografari (e quindi maggiore, quanto meno, a quella del 20%).

Discorso diverso va fatto per i crediti ai quali sia riservata una soddisfazione “privilegiata” sul ricavato dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione inferiore al 20% ovvero a quella eventualmente superiore riservata ai creditori chirografari.

Tali creditori dovranno essere necessariamente pagati in una percentuale pari o superiore a quella riservata ai creditori chirografari e ciò non in forza dell’art. 54 l.fall., ma delle regole proprie del concordato, che impongono, come detto, il rispetto delle cause legittime di prelazione.

Ai creditori privilegiati deve essere dunque assicurato il pagamento di una somma pari o superiore al 20% del credito anche nell’ipotesi in cui la perizia di stima prevede che essi riceverebbero meno dalla vendita del bene in forza della loro collocazione preferenziale sul bene medesimo.

Con riferimento ai privilegiati generali, la difficoltà di individuare l’oggetto del diritto di prelazione generale, stante la sua naturale estensione al patrimonio attuale e “futuro” del debitore, ha comportato che l’ammissibilità di una proposta che non preveda il loro integrale pagamento e la parziale soddisfazione dei creditori chirografari sia subordinata all’intervento di finanza esterna.[31]

Una tale possibilità è quindi limitata all’ipotesi in cui il pagamento dei creditori di grado successivo avvenga con risorse estranee al patrimonio del debitore[32].

Dopo la novella del 2015 il concordato liquidatorio con pagamento parziale dei privilegiati generali sarà ammissibile soltanto nel caso in cui ai creditori privilegiati generali sia garantita (almeno) una percentuale del 20% dal ricavato dei beni gravati dal privilegio ovvero (in caso di incapienza dei beni) dall’intervento di finanza esterna, con la quale il debitore dovrà altresì essere assicurato il pagamento dei creditori chirografari nella misura minima del 20%.

Ulteriore questione è quella dell’incidenza sul pagamento dei creditori privilegiati della sostanziale trasformazione del concordato liquidatorio in un concordato con garanzia di un pagamento minimo di almeno il 20% ai creditori chirografari.

Pur in assenza di un’espressa previsione a riguardo, deve ritenersi che anche i creditori privilegiati debbano essere garantiti.

Il debitore dovrà garantire al creditore privilegiato un pagamento pari al valore di stima sul ricavato della vendita del bene o dei beni su cui grava la garanzia (dedotte le spese generali e speciali), ovvero, in caso di incapienza, il pagamento di una percentuale minima del 20%.

Indicazione percentuale che costituirà il parametro per valutare l’adempimento della proposta da parte del debitore.

 

III. (Segue) I riflessi sul concordato con continuità aziendale

Per espressa previsione legislativa la modifica dell’art. 160 l.fall. nella parte in cui prevede che “In ogni caso la proposta di concordato deve assicurare il pagamento di almeno il venti per cento dell’ammontare dei crediti chirografari” non si applica al concordato con continuità aziendale di cui all’art. 186-bis.

La modifica dell’art. 160 l.fall. ha comunque dei riflessi sulla disciplina del concordato con continuità aziendale laddove l’art. 186 bis l.fall. afferma che  la continuità aziendale è ammissibile soltanto qualora essa offra un miglior soddisfacimento dei creditori  rispetto alla prospettiva liquidatoria fallimentare.

La valutazione di convenienza evidenzia come nel concordato con continuità aziendale la proposta sia legittima solo ove il debitore con la continuità diretta offra, per l’adempimento delle obbligazioni concordatarie, un quid pluris  rispetto alla sommatoria di tutti i suoi beni presenti e futuri.

Atteso che anche la continuazione dell’impresa, come disciplinata dall’art. 186 bis l.fall., è, per espressa scelta del legislatore, strumentale e servente rispetto al miglior soddisfacimento dei creditori[33].

Per una sorte di eterogenesi dei fini si può ipotizzare che molti concordati in continuità non potrebbero ricevere la valutazione di coerenza con l’obiettivo del miglior interesse dei creditori, perché il miglior interesse sarebbe allocato in un concordato liquidatorio ma improponibile perché non supportato da un’offerta pari al 20% delle passività chirografarie[34].

Con la conseguenza che dopo la novella del 2015 non vi possono essere più dubbi sul fatto che il giudizio di convenienza deve essere determinato esclusivamente in base a quanto tutti i creditori ricaverebbero in caso di una eventuale procedura concorsuale di fallimento.

Giudizio estremamente difficile, soprattutto nel concordato con continuità aziendale diretta, dato che nel fallimento la percentuale di pagamento del creditore viene determinato a posteriori, all’esito della liquidazione, nel concordato preventivo in base ad una valutazione prognostica, valutazione fondata sul presumibile utile derivante dalla prosecuzione dell’attività d’impresa, in base alle modalità e la tempistica fissate nel piano.

Valutazione di convenienza tra conservazione o liquidazione dell'impresa in cui prevale il diritto dei creditori concorrenti alla miglior soddisfazione delle loro ragioni, creditori tacitati con una soddisfazione parziale pur in assenza di una liquidazione integrale dell'attivo, che sarebbe restituito alla stessa impresa insolvente.

Una diversa valutazione di convenienza, sganciata questa volta dai parametri fallimentari, è riservata ai creditori in sede di approvazione nell’ipotesi di presentazione di proposte concorrenti[35] che, stante il silenzio della norma, possono essere anche del tutto disomogenee da quella presentata dal debitore, anche nell’ipotesi di continuità aziendale diretta.

Si potrà quindi presentare l’ipotesi di concorrenza tra due piani con continuità diretta ovvero la proposta del terzo creditore potrà ben prevedere la cessione dell’azienda.

La conservazione dell'impresa non giustifica infatti di per se stessa la pretesa di sottrarre alla liquidazione alcuni beni presenti nell'attivo della liquidazione, sol perché necessari o indispensabili alla prosecuzione dell'attività. Tanto più che la conservazione dell'impresa può essere ottenuta anche con la sua cessione a un terzo, nella prospettiva del conseguimento di un ricavo maggiore o uguale, o anche soltanto più rapido o più sicuro, mentre l'interesse pubblico o quello personale del debitore non potrebbe, come s'è già osservato, giustificare una scelta implicante una prospettiva non vantaggiosa per i creditori.

Rischio cui il debitore può sottrarsi ove la proposta preveda una percentuale minima di pagamento dei crediti chirografari.

 

IV. La proposta e le proposte concorrenti

La previsione di una percentuale minima di pagamento, oltre che nell’art. 160 l.fall., è contenuta anche in un’altra norma, che, in questo caso, fa espresso riferimento sia al concordato liquidatorio che al concordato con continuità aziendale.

Si tratta del riformato art. 163 l.fall., nella parte in cui afferma l’inammissibilità delle proposte concorrenti nell’ipotesi in cui la proposta di concordato preveda il pagamento, ancorché dilazionato, del 40% dell’ammontare dei crediti chirografari, percentuale che scende al 30% nel caso di concordato con continuità aziendale.

In questo caso, pur in assenza di un obbligo di conformazione alle indicazioni legislative a pena di illegittimità/inammissibilità della domanda, dal contenuto della proposta discende comunque l’applicazione o meno di una specifica fattispecie, in quanto la legittimazione esclusiva del debitore è sottoposta ad una precisa condizione in relazione alla soddisfazione quantitativa e qualitativa dei crediti e non soltanto dei creditori: l’assunzione dell’obbligo di pagamento (anche) dei crediti chirografari  nella misura minima del 30% o del 40%, condizione che impedisce la presentazione di proposte concorrenti.

La norma prescrive che il professionista, nella relazione di cui all’art. 161 comma 3, l.fall., deve attestare che la proposta di concordato assicuri tale pagamento.

Poiché l’assicurazione del pagamento è demandata in questo caso all’attestazione del professionista e non alla proposta del debitore, deve ritenersi che quest’ultimo non assuma coattivamente obblighi supplementari rispetto a quelli minimi fissati dall’art. 160 l.fall., rappresentati  dal pagamento della percentuale del 20% dei crediti chirografari.

Il che comporta che nel concordato liquidatorio, ai fini dell’esclusione dell’ammissibilità di proposte concorrenti, pare sufficiente e legittimo che il debitore formuli una proposta nella quale prospetti ai creditori chirografari il pagamento del 40%, obbligandosi nei limiti del 20%, purché il professionista attesti che la proposta possa comunque assicurare quanto promesso.

Con la conseguenza che il parametro per valutare la gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione sarà sempre quello minimo del 20% o quello diverso e superiore cui il debitore si sia liberamente impegnato.

La problematica tra percentuale di pagamento promessa ai creditori ed obbligo assunto dal debitore assume un diverso profilo nel concordato con continuità aziendale dove il debitore, come detto, deve sempre garantire ai creditori, una qualche utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile.

Per evitare la presentazione di proposte concorrenti, deve quindi garantire il pagamento di almeno il 30% dell’ammontare dei crediti chirografari.

Percentuale indicata e garantita di pagamento che costituirà il parametro per valutare la gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione.

Quel che è certo che la proposta, ai fini dell’esclusione di quelle concorrenti, deve comunque prospettare (o assicurare)  il pagamento e non la mera soddisfazione dei creditori chirografari e di quelli privilegiati, quanto meno nella misura minima del 40% o del 30%.

Il richiamo all’attestazione del professionista, alla relazione ex art. 161 comma 3 l.fall., pare chiaramente riferito all’attività tipica demandata al professionista medesimo in ogni concordato: quella avente ad oggetto l’attestazione di fattibilità.

Quel che cambia è l’oggetto dell’attestazione ed il grado di affidabilità della previsione.

Con riferimento al primo profilo oggetto dell’attestazione/assicurazione non è più soltanto il piano ma anche la proposta.

Il professionista deve quindi attestare/assicurare non soltanto la fattibilità delle azioni programmate per la realizzazione della proposta, ma anche la fattibilità della proposta medesima.

Il che pone non poche questioni in ordine al contenuto di tale attestazione/assicurazione.

Una volta, infatti, che l’oggetto dell’attestazione/ assicurazione di estende al risultato che la proposta intende conseguire, al pagamento prospettato ai creditori, l’attività demandata al professionista esonderà inevitabilmente da profili più propriamente tecnici a profili giuridici.

E ciò in quanto il professionista dovrà attestare sia che la liquidazione dei beni (ovvero la continuazione dell’attività d’impresa essendo il ragionamento esattamente riferibile anche all’ipotesi di piano ex art. 186 bis l.fall.) produrrà l’attivo indicato nel piano sia che quell’attivo, in rapporto al passivo, assicurerà  pagamento dei creditori chirografari (e di quelli privilegiati) almeno nella misura del 30 o del 40%.

Attestazione quest’ultima che comporterà inevitabilmente anche una valutazione della fattibilità giuridica della proposta in quanto assicurare che i creditori chirografari e quelli privilegiati, a fronte di un dato attivo e di un dato passivo, verranno pagati, almeno nella percentuale del 30 o 40 % significa valutare, ad esempio, se la proposta abbia esattamente previsto l’ammontare delle spese e dei crediti prededucibili ed abbia correttamente applicato i criteri di distribuzione delle prededuzioni  sul ricavato dei beni messi a disposizione dei creditori dal debitore concordatario[36].

L’utilizzo del verbo assicurare pone seri dubbi interpretativi in quanto esso è riferito ad un soggetto, il professionista, che non può assumere un obbligo in proprio in relazione all’adempimento della proposta.

Se si vuole dare un qualche significato a tale espressione lessicale può forse ritenersi che in questo caso il legislatore abbia voluto un’attestazione particolarmente “forte”.

Con la conseguenza che il professionista, pur rimanendo nel solco dell’attestazione richiesta in ogni giudiziodi fattibilità[37] (che si sostanzia in una valutazione prognostica circa la realizzabilità dei risultati attesi riportati nel Piano in ragione dei dati e delle informazioni disponibili al momento del rilascio dell’attestazione) , dovrà accentuare il grado di attendibilità della valutazione prognostica, non essendo sufficiente un’attestazione di mera probabilità di avveramento di un risultato, il pagamento del 30 o 40%, che il legislatore vuole, al contrario, che sia assicurato.



[1] Cass. 11 aprile 1989, n. 1737, in Fall., 1989, 901, secondo cui «gli schemi dalla legge previsti per le procedure concordatarie da attuarsi in via preventiva rispetto al fallimento, sono soltanto due: uno, integrato dalla proposta del pagamento di una percentuale fissa in un termine determinato con offerta di idonea garanzia che, sul piano, previsionale, dia certezza di adempimento nella percentuale e nel termine proposto; altro, integrato dalla proposta di cessione ai creditori di tutti i propri beni da parte del debitore proponente».

[2] Come correttamente sottolineato, il contenuto del piano appare di diretta derivazione da quello previsto ai sensi dell’art. 4 bis, n. 1, lett., c, c-bis, d.l. n. 347/2003, convertito con modifiche nella l. n. 39/2004 e successive modifiche, per il concordato nell’amministrazione straordinaria. In questi termini A. Patti, Crisi di impresa e ruolo del giudice, Milano, 2009, 125. Lo stesso Autore, I diritti dei creditori nel concordato preventivo, in M. Fabiani-A. Patti (a cura di), La tutela dei diritti nella riforma fallimentare. Scritti in onore di Giovanni Lo Cascio, Milano, 2006, 279, sottolinea come tra i due istituti vi sia una significativa differenza relativamente alla stabilità degli effetti, nel caso di newco tra i creditori, derivante dalla mancanza nel concordato preventivo di una fase di accertamento del passivo, a differenza di quanto accade nell’amministrazione straordinaria disciplinata dalla c.d. legge Marzano.

[3] Trib. Roma 16 aprile 2008, in Dir. fall., 2008, II, 551, che ha giudicato inammissibile una proposta che prevedeva il pagamento dei creditori chirografari nella percentuale dello 0,03%; contra R. Sacchi, Dai soci di minoranza ai creditori di minoranza, in Fall., 2009, 1064, a detta del quale questi approcci ermeneutici sarebbero intrisi di elementi «finzionistici», muovendo da un’idea preconcetta di «piano».

[4] In questi termini Trib. Roma 16 aprile 2008, cit.; sull’argomento v. G. Minutoli, L’autonomia privata nella crisi d’impresa tra giustizia e controllo di merito (o di meritevolezza), in Fall., 2008, 1053-1054.

[5] In questi termini A. Jorio, Il concordato preventivo:struttura e fase introduttiva, in Il nuovo diritto fallimentare. Novità ed esperienze applicative a cinque anni dalla riforma, Commentario diretto da A. Jorio e M. Fabiani, Bologna, 2010, 974, il quale sottolinea come precludere la sottoponibilità ai creditori di tale piano, affinché gli stessi possano compararla con l’alternativa fallimentare, significa riconoscere al giudice poteri interdittivi che vanno al di là della lettera della norma. La decisione è stata criticata anche perché introdurrebbe elementi di incertezza in quanto «tutto è rimesso all’idea che il singolo interprete ha dei requisiti necessari perché esista, secondo i casi, una proposta di concordato»: così R. Sacchi, Dai soci di minoranza ai creditori di minoranza, cit., 1065. Favorevole all’interpretazione dei giudici romani S. Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato Cottino, XI, 1, Padova, 2008, 61.

[6] Cass. s.u. 23 gennaio 2013, n.  1521,  in Fall. 2013, 149.

[7] Per la necessità di un pagamento o comunque di una soddisfazione di tutti i creditori chirografari V. Piccinini, I poteri del tribunale nella fase di ammissione alla procedura di concordato preventivo dopo il “decreto correttivo”, in Dir. fall., 2008, II, 567; G. Minutoli, L’autonomia privata nella crisi d’impresa tra giustizia e controllo di merito (o di meritevolezza), cit., 1054. Con  riferimento alle analoghe problematiche in tema di concordato fallimentare la maggior parte degli autori sostiene che nella proposta non può mancare la previsione di un pagamento percentuale (purché non irrisorio o insignificante) di tutti i creditori chirografari. Sull’argomento v. in particolare L. Guglielmucci, Commento sub artt. 124-141, in G Lo Cascio (a cura di), Codice commentato del fallimento, Milano, 2008, 1215; G. Jachia, Il concordato fallimentare, in S. Bonfatti-L. Panzani (a cura di), La riforma organica delle procedure concorsuali, Milano, 2008, 597; V. Zanichelli, La nuova disciplina del fallimento e delle altre procedure concorsuali, Torino, 2008, 351; G. Minutoli-C. Blatti, Commento sub art. 124 l.fall., in M. Ferro (a cura di), La legge fallimentare, Padova, 2007, 998-999; E. Norelli, La sistemazione dell’insolvenza attraverso il nuovo concordato fallimentare, in www.judicium.it, 2006, 5. Contra  M. Fabiani, Contratto e processo nel concordato fallimentare, Torino, 2009, 95-98 e, in particolare, nota 25, secondo cui il trattamento può essere anche di segno diverso da quello del pagamento o da altre forme di remunerazione; G. Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Milano, 2006, 489, il quale non ritiene necessario un pagamento in misura minima dei creditori chirografari.

[8] Secondo la relazione di accompagnamento al d.l. la disposizione di modifica dell’articolo 161 della legge fallimentare, ha “la finalità di evitare che possano essere presentate proposte per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo che lascino del tutto indeterminato e aleatorio il conseguimento di un’utilità specifica per i creditori”.

[9] In questi termini M. Fabiani, L’ipertrofica legislazione concorsuale fra nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche, in ilcaso.it; per medesime considerazioni G. Bozza, Brevi considerazioni su alcune norme dell’ultima riforma, in Fallimenti e Società.it, 11.

[10] Per analoghe considerazioni D. Galletti, E’ ancora attuale dopo la Riforma”d’urgenza il Tractatus Misteriosoficus delle Sezioni Unite?  In, Ilfallimentarista.it secondo cui “si potrebbe trattare a mio avviso senz’altro di un soddisfacimento non monetario ma in natura, ed anche al limite del trattamento promesso ad una classe c.d. “a costo zero”, a condizione che essa consegua dal concordato una utilità appunto, non monetaria né facente parte dell’attivo del debitore, ma ugualmente suscettibile di valutazione economica (ad es. la certezza di poter proseguire in una relazione contrattuale)”.

[11] Cfr. sull’argomento S. Ambrosini, La disciplina della domanda di concordato preventivo nella miniriforma del 2015, in ilcaso.it.

[12] Per l’ammissibilità di una proposta di concordato per cessione dei beni che ometta di indicare, in termini vincolanti per il debitore, la percentuale di soddisfazione riservata ai creditori Trib. Venezia 30 ottobre 2008, in Fall., 2009, 742; Trib. Bologna 17 novembre 2005, in Giur. mer., 2006, 658; Trib. Ancona 13 ottobre 2005, in Fall., 2005, 1404, secondo cui se il debitore non intende garantire un preciso soddisfo ai creditori chirografari «è altrimenti tenuto… a proporre ai creditori la cessione dei beni, sic et simpliciter, espressamente indicando e rendendoli edotti che sono chiamati ad esprimersi su una proposta che prevede la loro soddisfazione solo nei limiti del valore di realizzo all’esito della liquidazione»; in dottrina A Maffei Alberti , Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2009, 921; G. Lo Cascio, Le nuove procedure di crisi: natura negoziale o pubblicistica?, in Fall., 2008, 997; P. Bosticco, La resurrezione giurisprudenziale dell’art. 173 l.fall. e la difficile distinzione tra atti in frode e sopravvenienze inattese, ivi, 2007, 1450; S. Bonfatti-P.F. Censoni, La riforma della disciplina dell’azione revocatoria fallimentare del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, Padova, 2006; 256; S. Ambrosini-P.G. Demarchi, Il nuovo concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Milano, 2005, 174.

[13] Trib. Milano21 gennaio 2010, in Fall., 2010, 1315 ss.Trib. Piacenza 23 giugno 2009, in www.ilcaso.it, secondo cui l’indicazione di una specifica percentuale è anche necessaria ai fini del giudizio di comparazione in caso di cram down, ex art. 180 l.fall., Trib. Varese 28 aprile 2006, in Riv. dott. comm., 2007, 303; in dottrina P. Pajardi-A. Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, 824 ss.; M. Ferro, Commento sub art. 160 l.fall., Condizioni per l’ammissione alla procedura, in M. Ferro (a cura di), La legge fallimentare, Padova, 2011, 1724-1726

[14] Cass. 15 settembre 2011, n. 18864  in Fall. 2012, Contra Cass. 23 giugno 2011, n. 13817, in Fall. 2011, 933.

[15] In questi termini Cass. 23 giugno 2011, n. 13817, cit.

[16] Cass. s.u. 23 gennaio 2013, n.  1521,cit.

[17] V. sull’argomento Cass. 4 febbraio 2009, n. 2706 e Trib. Messina 4 marzo 2009, in Fall., 2009, 795, con nota di L. Panzani, Classi di creditori nel concordato preventivo e crediti postergati dei soci di società di capitali, 800 ss.

[18] Secondo Trib. Firenze 26 aprile 2010, in Fall., 2010, 1427 ss., il socio finanziatore non partecipa al concorso, conclusione valida, per i giudici toscani, sia nel concordato senza classi che nel concordato con classi.

[19] Secondo R. Battaglia, Postergazione ex lege del credito e formazione delle classi nel concordato preventivo: alla ricerca di un locus standi, in Dir. fall., 2010, II, 27 si tratta di una forma tipizzata dal legislatore di postergazione convenzionale.

[20] In questi termini F. Lamanna, La legge fallimentare dopo la miniriforma del D.L. n. 83/2015, Milano, 2015, 24; S. Ambrosini, La disciplina della domanda di concordato preventivo nella miniriforma del 2015, il quale precisa che la percentuale potrebbe ancora “essere indicata in un range compreso fra un minimo e un massimo, a condizione che la “forbice” sia ragionevolmente contenuta”.

[21] Per analoghe considerazioni M. Fabiani L’ipertrofica legislazione concorsuale fra nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche,cit., il quale sottolinea criticamente  la scelta del legislatore “di aver voluto marcare che ai creditori deve essere offerto il “pagamento”, termine assai preciso che espunge altre possibili forme di soddisfacimento come l’accollo o la datio in solutum. Contra  F. Lamanna, La legge fallimentare dopo la miniriforma del D.L. n. 83/2015, Milano, 2015,18,secondo cui “non viene modificata la possibilità-concessa dall’art. 160 comma 1- di proporre le più diverse forme e modalità di soddisfazione, ma sarà necessario comunque attribuire ad esse un valore percentuale satisfattivo in rapporto al montante dei crediti chirografari”. In senso dubitativo D. Galletti, E’ ancora attuale dopo la Riforma”d’urgenza il Tractatus Misteriosoficus delle Sezioni Unite?, cit.

[22] Cass., sez. un., 18 dicembre 2007, n. 26617, in Foro It., 2008, 2, 503, ha chiarito che l’espressione “moneta avente corso legale nello Stato al momento del pagamento” significa che i mezzi monetari impiegati si debbono riferire al sistema valutario nazionale, senza che se ne possa indurre alcuna definizione della fattispecie del pagamento solutorio. Ed in altri termini la moneta avente corso legale non è l’oggetto del pagamento che è rappresentato dal valore monetario o quantità di denaro. Con questa interpretazione dell’art. 1277 c.c. risultano ammissibili altri sistemi di pagamento, purché garantiscano al creditore il medesimo effetto del pagamento per contanti e, cioè, forniscano la disponibilità della somma di denaro dovuta. Tale effetto sicuramente produce l’assegno circolare con il quale, stante la precostituzione della provvista, tramite l’intermediazione di una banca si realizza il trasferimento della somma di denaro con la messa a disposizione del creditore.

[23] Sarà quindi legittima, ad  esempio, un proposta formulata nei seguenti termini: si prospetta che dalla liquidazione dei beni deriverà ai creditori chirografari il pagamento dell’ammontare del 35% dei loro crediti, si assicura che da tale liquidazione i creditori riceveranno in ogni caso il pagamento del 20% dell’ammontare dei loro crediti.

[24] In questi termini F. Lamanna, La legge fallimentare dopo la miniriforma del D.L. n. 83/2015, cit., 19.

[25] Per i profili attinenti ai presupposti della risoluzione si rimanda a G.B. Nardecchia, La risoluzione del concordato preventivo, in Fall., 2012, 253 ss.

[26] Per analoghe considerazioni S. Ambrosini, La disciplina della domanda di concordato preventivo nella miniriforma del 2015, cit. ; M. Fabiani L’ipertrofica legislazione concorsuale fra nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche,cit.. Contra F. Lamanna, La legge fallimentare dopo la miniriforma del D.L. n. 83/2015, cit.17.

[27] I principi inderogabili del concordato preventivo sono scritti nell’art. 160, c 2 l.fall.: rispetto dell'ordine delle cause legittime di prelazione; soddisfo dei privilegiati, in senso lato, in misura non inferiore a quella realizzabile sul ricavato in caso di liquidazione dei beni sottoposti a prelazione. In questi termini Cass. 26 luglio.2012, n. 13284.

[28] In forza dell’art. 54 l.fall. il diritto di prelazione dei creditori privilegiati (al pari di quelli muniti di garanzia pignoratizia o ipotecaria) può essere fatto valere solo sul prezzo ricavato dalla vendita dei beni vincolati alla garanzia - che dunque debbono a tal fine essere compresi tra i beni acquisiti alla massa con la sentenza di fallimento -, e per il residuo non soddisfatto per tali creditori non vi è che il concorso con i chirografari nelle ripartizioni del resto dell'attivo, realizzato con la liquidazione degli altri beni presenti nella massa.

[29] In questi termini A. Bonsignori, Concordato preventivo, in Commentario alla legge fallimentare Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1979, 255.

[30] Secondo Cass  6.11.2013, n. 24970  in Dir. fall., 2014, II, 223 “Se dunque non vi era spazio, in tale coerente disciplina, per un pagamento parziale dei crediti privilegiati alla stregua di quanto previsto nell'ambito del fallimento dall'art. 54, ne deriva di necessità non solo l'inapplicabilità in sede di concordato preventivo di tale norma ma più in generale la mancanza, in tale procedimento, di quella attività di verifica in ordine alla sussistenza o non dei beni sui quali grava il privilegio speciale dalla quale far dipendere l'effettiva realizzazione del privilegio stesso”. Contra G. Bozza, Il concordato preventivo, Il concordato preventivo, in A. Jorio (a cura di), Il nuovo diritto delle crisi d’impresa, Milano, 2009, 40, secondo il quale «lo scivolamento tra i chirografi della quota non soddisfatta è un effetto naturale»; negli stessi termini, con riferimento al concordato fallimentare, L. Guglielmucci, Commento sub artt. 124-141 l.fall., cit., 1240; L.A. Bottai, Trattamento dei crediti privilegiati, nuova finanza e rapporto fra classi e privilegi, cit., 85. Contra M. Vitiello, Commento sub art. 127 l.fall., in A Jorio-M. Fabiani,  Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2007, secondo cui l’equiparazione al chirografo per il residuo «non può che valere ai fini del voto, e non già a fini di un soddisfacimento in percentuale per definizione escluso per la quota di credito privilegiato non soddisfatta».

[31] La Cassazione ha recepito una nozione ristretta della finanza esterna: secondo i giudici di legittimità l’intervento esterno non è soggetto al rispetto delle regole del concorso  a condizione che esso “non comporti alcuna variazione dello stato patrimoniale del debitore, nè all’attivo - giacché in tal caso i creditori non potrebbero essere privati dei diritti che in base alla legge essi vantano sul patrimonio del debitore - e neppure al passivo, con la creazione di poste passive per il rimborso del finanziamento, sia pure postergato e con esclusione del voto”. In questi termini Cass. 8 giugno 2012, n. 9373, in Fall., 2012, 1409. Ipotesi tipica che ricorre qualora un terzo si impegni al versamento di una somma (ovvero ad apportare un bene) subordinatamente all’omologa della proposta. In questi termini M Fabiani, Contratto e processo nel concordato fallimentare, cit., 135, nt. 331, per il quale si potrebbe dare il caso del terzo che è interessato alla acquisizione di una impresa perché “ha mercato” ma i cui singoli valori non siano concretamente realizzabili; in questo caso la stima del patrimonio del fallito potrebbe dare un risultato tale da non consentire la remunerazione dei creditori privilegiati generali; ma l’apporto di altre risorse finanziarie provenienti da terzi potrebbe essere devoluto ai creditori chirografari senza che per quelli muniti di privilegio generale si possa creare pregiudizio, in quanto dalla liquidazione fallimentare nulla di più avrebbero potuto percepire; negli stessi termini M. Vitiello, Il nuovo concordato preventivo e le classi dei creditori, in S. Bonfatti (a cura di). Le procedure di composizione negoziale delle crisi d’impresa,Torino, 2008, 58-59, G. Jachia, Il concordato preventivo e la sua proposta, in G. FAUCEGLIA e L. PANZANI, Fallimento e altre procedure concorsuali, 3, Torino, 2009, 1609. In giurisprudenza, con riferimento al concordato fallimentare, Trib. Messina 18 febbraio 2009, cit., 81.

[32] In questi termini G. Bozza, Il concordato preventivo, cit., 44.

[33] Sull’argomento si veda A. Patti, Il miglior soddisfacimento dei creditori: una clausola generale per il concordato preventivo?, in Fall., 2013, 1101 ss.; L. Abete, Il pagamento dei debiti anteriori nel concordato preventivo, in  Fall., 2013, 114; L. Abete., La natura giuridica del concordato preventivo senza classi: prove minime di qualificazione, in Dir. fall., 2013, I, 208.

[34] In questi termini M. Fabiani, L’ipertrofica legislazione concorsuale fra nostalgie e incerte contaminazioni  ideologiche,cit.

[35] L’obiettivo dichiarato dal legislatore con riferimento alle proposte concorrenti, come si legge nella relazione di accompagnamento alla legge di conversione è quello «di massimizzare la recovery dei creditori concordatari e di mettere a disposizione dei creditori concordatari [stessi] una proposta ulteriore rispetto a quella di accettare o rifiutare il blocco la proposta del debitore». Sempre dalla medesima relazione si ricava che gli obiettivi che il provvedimento vuole raggiungere sono anche: a) quello di «offrire ai creditori strumenti per impedire che il debitore presenti proposte che non rispecchiano il reale valore dell’azienda (appropriandosi, così, integralmente del surplus di ristrutturazione, ossia del maggior valore creato dalla riorganizzazione rispetto all’alternativa della liquidazione fallimentare), anche quando ai creditori non sia offerta l’integrale soddisfazione dei loro crediti, benché riscadenzati».

[36] Sul tema si veda, da ultimo G. Bozza, I criteri per la distribuzione delle prededuzioni  tra il ricavato dei beni messi a disposizione dei creditori dal debitore concordatario, in Fall., 2015, 700 ss.

[37] Cfr. a tal proposito i Principi di attestazione di piani di risanamento  a cura del CNCCEC, Roma, 2014 in forza dei quali  un giudizio positivo può assumere la seguente forma: “A seguito dei controlli effettuati ed alla luce del Principi di attestazione dei piani di risanamento e del giudizio positivo espresso in merito alla veridicità dei dati aziendali, si esprime un giudizio positivo sulla fattibilità del Piano”.Per un’attenta analisi dei principi e dei documenti  internazionali in tema di attestazioni ( ISAE 3400 e  principi USAcontenuti nell’AT Section 301  che richiamano il tema della “negative assurance”), si veda P. Riva, L’attestazione dei piani delle aziende in  crisi, Milano, 2009,  242 ss...



Scarica Articolo PDF