CrisiImpresa
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 28/01/2013 Scarica PDF
La fattibilità al vaglio delle sezioni unite
Giovanni Battista Nardecchia, GiudiceLe sezioni unite della corte di cassazione (sentenza n. 1521/2013) erano chiamate a decidere su tre profili di rilevante importanza individuati a) nella rilevanza dell'indicazione della misura percentuale del soddisfacimento dei creditori, anche sotto il profilo della sua incidenza sul tema della fattibilità del piano; b) nella necessità di stabilire in quale misura la non fattibilità del piano possa determinare un'impossibilità dell'oggetto del concordato e quindi di definire i limiti entro i quali il requisito della fattibilità possa essere suscettibile di sindacato da parte del giudice; c) nell'esigenza di chiarire le conseguenze di un giudizio negativo di fattibilità del piano, ove ravvisato un difetto di informazione del ceto creditorio, dovendosi segnatamente valutare se, e in caso di risposta positiva entro quali limiti, possa essere disposta una nuova convocazione dell'adunanza dei creditori per la rinnovazione delle operazioni di voto.
a) L'indicazione della percentuale
Il profilo sub a) attiene ad una problematica sorta con particolare
riferimento al concordato per cessione dei beni.
Vi era chi riteneva, infatti, che nel caso di concordato per cessione di beni
che non comportasse l'immediato trasferimento della proprietà ai creditori, la
proposta dovesse prevedere necessariamente l'indicazione specifica del
"trattamento" che veniva promesso a ciascun credito o a ciascuna
classe di creditori, la previsione della percentuale di soddisfacimento del
credito (da intendersi come assunzione da parte del debitore del
relativo obbligo) che tale attribuzione patrimoniale avrebbe potuto
garantire1.
In tale prospettiva si riteneva inammissibile una proposta che non prevedesse
alcun soddisfacimento determinato per i creditori ma, soltanto, la messa a
disposizione dei creditori medesimi di tutti i beni del debitore.
La preventiva indeterminatezza della percentuale da attribuire ai crediti
chirografari costituirebbe quindi un ineliminabile elemento della proposta di
concordato preventivo per cessione dei beni.
Secondo tale prospettiva la proposta dovrebbe sempre indicare una
"misura", percentuale che i creditori assumeranno come
"misura" delle proprie possibilità di recupero.
Interpretazione che aveva trovato conferma in un obiter di una pronuncia della
suprema corte secondo cui la proposta di concordato per cessione di beni non
potrebbe essere disancorata "dalla promessa di un risultato utile
conseguibile precisato o implicito in una percentuale di soddisfacimento, senza
il quale la proposta del debitore diverrebbe aleatoria in senso giuridico, pur
a fronte dell'effetto esdebitatorio certo della falcidia concordataria"2.
Secondo una diversa interpretazione ove la proposta preveda la cessione dei
beni in funzione del soddisfacimento monetario dei creditori, il debitore ha la
facoltà, ma non l'obbligo, di indicare la percentuale di soddisfacimento degli
stessi3.
Il debitore può indicare quale sia la probabile percentuale di soddisfazione
ricavabile dalla liquidazione dei beni, ma non deve obbligarsi ad assicurare ai
creditori un minimo grado di soddisfazione4.
La suprema corte sposa correttamente questa seconda interpretazione affermando
espressamente che "quando si tratti di proposta concordatizia con cessione
di beni la percentuale di pagamento eventualmente prospettata non è vincolante,
non essendo prescritta da alcuna disposizione la relativa allegazione ed essendo
al contrario sufficiente "l'impegno a mettere a disposizione dei creditori
i beni dell'imprenditore liberi da vincoli ignoti che ne impediscano la
liquidazione o ne alterino apprezzabilmente il valore", salva l'assunzione
di una specifica obbligazione in tal senso (Cass. 11/13817).
L'indicazione della percentuale di soddisfacimento attiene quindi al profilo
economico della proposta, ed è rimessa, come tale al sindacato dei creditori e
viene quindi, conseguentemente, escluso che "l'indicazione di una
percentuale di soddisfacimento dei creditori da parte del debitore possa in
qualche modo incidere sull'ammissione del concordato (pagina 53)".
Affermazione che va correttamente interpretata, la cui assolutezza va
naturalmente ricondotta nell'alveo dello specifico oggetto della decisione: il
contenuto necessario della proposta di concordato per cessione dei beni.
E ciò in quanto in tutti gli altri tipi di concordato, che non prevedano
l'attribuzione ai creditori della proprietà o della disponibilità di beni in
luogo della dazione di denaro, appare, al contrario, necessaria l'indicazione
della percentuale offerta, a pena di inammissibilità per assoluta
indeterminatezza e/o indeterminabilità dell'oggetto della proposta.
Il che trova un preciso riscontro in un altro passo nella decisione delle
sezioni unite in commento dove, parlando della regolazione della crisi, quale
oggetto necessario della proposta, si dice che tale regolazione "può
assumere concretezza soltanto attraverso le indicazioni delle modalità di
soddisfacimento dei crediti (in esse comprese quindi le relative percentuali ed
i tempi di adempimento)" (pagina 46).
b) Il controllo di fattibilità
Il profilo sub b) investe una delle problematiche più significative
dell'intera disciplina del concordato preventivo: la definizione dei limiti
del potere di indagine del tribunale in relazione alla sussistenza del
requisito di fattibilità del piano.
La suprema corte è intervenuta una prima volta sulla questione dopo il decreto
correttivo, negando che il tribunale possa, nella verifica dei presupposti di
ammissibilità, accertare la veridicità dei dati aziendali e/o la fattibilità
del piano se non attraverso un controllo ed una puntuale verifica dell'iter
logico attraverso il quale il professionista è giunto a rilasciare la sua
attestazione.
Secondo i giudici di legittimità in tema di concordato preventivo, nel regime
conseguente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 169 dei 2007, che è
caratterizzato da una prevalente natura contrattuale, e dal decisivo rilievo
della volontà dei creditori e del loro consenso informato, il controllo del
tribunale nella fase di ammissibilità della proposta, ai sensi degli artt. 162
e 163 l.fall., ha per oggetto solo la completezza e la regolarità della
documentazione allegata alla domanda, senza che possa essere svolta una
valutazione relativa all'adeguatezza sotto il profilo del merito; ne consegue
che, quanto all'attestazione del professionista circa la veridicità dei dati
aziendali e la fattibilità del piano, il giudice si deve limitare al riscontro
di quegli elementi necessari a far sì che detta relazione - inquadrabile nel
tipo effettivo richiesto dal legislatore, dunque aggiornata e con la motivazione
delle verifiche effettuate, della metodologia e dei criteri seguiti - possa
corrispondere alla funzione, che le è propria, di fornire elementi di
valutazione per i creditori, dovendo il giudice astenersi da un'indagine di
merito, in quanto riservata,
da un lato, alla fase successiva ed ai compiti del commissario giudiziale e,
dall'altro, ai poteri di cui è investito lo stesso tribunale, nella fase
dell'omologazione, in presenza di un'opposizione, alle condizioni di cui
all'art. 180 l.fall.5.
In sintesi il potere di controllo del tribunale sul piano si sostanzierebbe,
in sede di ammissione, in un controllo indiretto, senza che l'organo
giurisdizionale possa sovrapporsi, nell'effettuare il controllo dei
presupposti di ammissibilità, alla valutazione di fattibilità contenuta nella
relazione del professionista allegata alla proposta.
Tale interpretazione è stata poi confermata da successive decisioni6.
La diversa contraria interpretazione, seguita da molti tribunali di merito, fa
leva sul fatto che 'art. 162 l.fall. dopo il decreto correttivo non contiene
alcuna limitazione al sindacato del giudice, con la conseguenza che, dovendo il
tribunale esaminare ai fini dell'ammissione la sussistenza dei presupposti
indicati dallo stesso art. 162 l. fall., ed essendo ricompreso tra i
presupposti della norma il deposito di una relazione che attesti la veridicità
e la fattibilità del piano, pare naturale ritenere che il tribunale possa e
debba esaminare nel merito la fattibilità del piano.
Conclusione suffragata dalla considerazione che l'art. 162 l.fall. attribuisce
al tribunale la facoltà di concedere al debitore un termine per apportare
integrazioni al piano, norma che non si spiegherebbe ove non fosse consentita
una valutazione diretta del piano medesimo7.
In definitiva in assenza di norme che ne impediscano l'esame o lo riservino a
particolari ipotesi, come nel caso della convenienza, è parsa a molti
discutibile l'interpretazione dei giudici di legittimità, interpretazione che
comportava concrete conseguenze sul contenuto della decisione resa sulla
domanda, escludendo qualsiasi sindacato giurisdizionale diretto sulla fattibilità
del piano.
Una decisione della corte (fondante il contrasto risolto dalle sezioni unite) è
sembrata aprire diversi orizzonti interpretativi in quanto veniva riconosciuta
al tribunale la possibilità di rilevare "l'impossibilità dell'oggetto,
riscontrabile ove la proposta concordataria non abbia, alla luce della
relazione del commissario giudiziale, alcuna probabilità di essere
adempiuta"8.
Secondo questa pronuncia resta estranea alla sfera dell'autonomia soggettiva di
giudizio "l'ipotesi-limite....di vero e proprio vizio genetico,
accertabile in via preventiva alla luce della radicale e manifesta
inadeguatezza del piano-per sopravvalutazione di cespiti patrimoniali o
indebita pretermissione, o svalutazione, di voci di passivo- non rilevata ab
initio nella relazione del professionista. In tal caso il difetto di
veridicità dei dati non può essere sanato dal consenso dei creditori, che
sarebbe inquinato da errore-vizio"9.
In applicazione di tali principi la corte aveva confermato la decisione dei
giudici di merito che avevano negato l'omologazione a causa dell'omessa
considerazione nella proposta di concordato di un credito privilegiato
concordatario che "alterava, in radice, l'ipotesi prospettata di
soddisfacimento delle obbligazioni sociali su cui riposava l'affidamento del
ceto creditorio"10.
Decisione che legittimava l'intervento autoritativo del tribunale in presenza
di un vizio genetico della causa, della proposta, vizio evidenziato dalla
"radicale e manifesta inadeguatezza del piano".
Sindacato del tribunale che troverebbe spazio, secondo tale arresto, nel caso
in cui la manifesta inadeguatezza del piano determini una vera e propria
impossibilità dell'oggetto del concordato.
La decisione in commento sembra inizialmente richiamare i capisaldi
dell'interpretazione favorevole ad un sindacato di merito del tribunale sulla
fattibilità del piano.
Viene infatti sostenuto, in maniera tranciante e senza alcuna espressa
motivazione sul punto, che tra i presupposti di ammissibilità del concordato
sono compresi, ai sensi dell'art. 161 l.fall., anche "quelli concernenti
la veridicità dei dati indicati e la fattibilità del piano" (pagina 40).
Viene quindi affermato che presupposto di ammissibilità del concordato è la
fattibilità del piano e non il deposito di una relazione che tale fattibilità
attesti.
Definito quindi il concetto di fattibilità come "prognosi circa la
possibilità di realizzazione della proposta nei termini prospettati"
concetto che va nettamente scisso da quello di convenienza, la corte conclude
correttamente che "il controllo del giudice non è di secondo grado,
destinato cioè a realizzarsi soltanto nella completezza e congruità logica
dell'attestato del professionista" (pagina 43).
Professionista, la cui figura è assimilata a quella di un"ausiliare del
giudice", la cui funzione attestatrice vede come destinatario naturale
anche il tribunale, il quale potrebbe quindi "discostarsi dal relativo
giudizio, così come potrebbe fare a fronte di non condivise valutazioni di un
suo ausiliario" (pagina 44).
Su tali premesse, che parrebbero aprire ad un controllo pieno di merito sulla
fattibilità del piano, la corte precisa che il controllo del giudice, sulla
fattibilità è limitato alla fattibilità "giuridica" con esclusione
di quella "economica", il cui sindacato è riservato in via esclusiva
ai creditori.
Fattibilità giuridica che si estrinseca nel potere/dovere di dichiarare
l'inammissibilità della proposta "quando modalità attuative risultino
incompatibili con norme inderogabili" (pagina 44).
Il riferimento alle norme inderogabili coincide con l'area dell'indisponibilità
che deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme
inderogabili, la cui violazione determina una reazione dell'ordinamento
svincolata da qualsiasi iniziativa di parte.
Reazione che si determinerebbe, ad esempio, ove il debitore programmi di
adempiere la proposta attraverso contratti nulli per contrarietà a norme
imperative.
La corte offre quale esempio di controllo di fattibilità giuridica la
proprietà e disponibilità dei beni nel concordato per cessione di beni
("la programmata cessione di beni di proprietà altrui" pagina 51).
La questione più delicata è se il controllo di fattibilità giuridica sia
limitato alla violazione di norme inderogabili ovvero possa riguardare tutti i
profili strettamente giuridici collegati alle azioni programmate per la realizzazione
della proposta.
Questa seconda interpretazione appare preferibile, posto che appare naturale
rimettere al controllo del tribunale la risoluzione di ogni questione di
fattibilità dipendente dalla corretta o quanto meno non manifestamente errata
applicazione di norme di diritto.
Con la conseguenza che il tribunale dovrebbe emettere un giudizio di
inammissibilità oltre che nell'ipotesi in cui siano programmate azioni illecite
o contrarie ai principi generali dell'ordinamento, anche qualora il piano si
fondi su prospettazioni giuridiche manifestamente errate.
Si pensi, ad esempio, all'ipotesi in cui la fattibilità del piano sia basata
sull'erronea qualificazione giuridica dei crediti o sul mancato computo degli
interessi dei crediti privilegiati, ovvero sul mancato inserimento di creditori
nell'elenco nominativo di cui all'art. 161 comma 2, lettera b) l.fall in forza
di eccezioni (prescrizione, compensazione.....etc.) manifestamente infondate.
Tutti i profili legati alla valutazione della fattibilità economica del
concordato sono rimessi, al contrario, all'esclusiva valutazione dei creditori
in sede di approvazione del concordato.
Creditori a cui è demandata ogni decisione sui profili economici della
proposta, sotto il duplice profilo della verosimiglianza dell'esito e della
sua convenienza..
Sindacato di fattibilità economica che riguarda in primo luogo la valutazione
sull'effettivo raggiungimento della percentuale di soddisfacimento indicata
nella proposta.
La corte sottolinea come tale giudizio possa ritenersi correttamente e
legittimamente formulato solo ove "i creditori ricevano una puntuale
informazione circa i dati, le verifiche interne e le connesse valutazioni"
(pagina 47).
Incombenti a cui sono deputati dapprima il professionista attestatore in
funzione dell'ammissibilità al concordato e dopo il commissario giudiziale
prima dell'adunanza per il voto (pagina 47).
Una volta affermato il controllo di "primo grado"del tribunale sulla
fattibilità, poiché nell'impianto dell'art. 161 l.fall. la
fattibilità del piano e la veridicità dei dati aziendali sono posti sullo
stesso piano, tra i presupposti di ammissibilità del concordato (cfr. pagina
40), deve naturalmente ritenersi che il tribunale possa direttamente valutare
anche la veridicità dei dati aziendali, sia in sede di ammissibilità che
successivamente alla luce delle eventuali osservazioni del commissario
giudiziale.
Sindacato che non ammette alcuna limitazione poiché nell'ambito della
veridicità non pare rinvenibile una distinzione tra veridicità giuridica ed
economica, in quanto o vi è o non vi è rispondenza al vero dei dati aziendali.
Dal che ne deriva che ove il tribunale riscontri una non rispondenza al vero
dei dati aziendali di una qualche rilevanza dovrebbe dichiarare
l'inammissibilità della proposta, revocare l'ammissione o negare l'omologa a
prescindere da ogni valutazione in ordine alla fattibilità economica della
proposta.
Il profilo della veridicità dei dati aziendali rileva di per se stesso, a
prescindere dalla fraudolenza della condotta del debitore o dall'incidenza che
la non rispondenza al vero dei dati aziendali ha sulla fattibilità del
concordato.
Rilevanza autonoma che deriva dalla chiara distinzione letterale che il
legislatore ha operato nell'art. 161 l.fal. tra i due presupposti, autonomia
ora accentuata dall'impossibilità per il tribunale di operare una valutazione
complessiva dei due fattori alla luce della reciproca incidenza sulle sorti del
concordato, essendo il profilo economico della fattibilità rimesso
all'esclusivo sindacato dei creditori.
Fattibilità giuridica che non esaurisce però l'ambito del controllo di
fattibilità del tribunale, dato che la corte si interroga se sia consentito un
intervento del tribunale, anche contrastante con le indicazioni ed il giudizio
del professionista attestatore una volta verificata "l'assoluta
impossibilità di realizzazione" del piano (pagina 45).
Impossibilità di realizzazione evidentemente non dipendente da profili
prettamente giuridici collegati alle azioni programmate per la realizzazione
della proposta, dato che altrimenti tale controllo andrebbe a coincidere con
quello sulla fattibilità giuridica.
Secondo il collegio la risposta a tale quesito presuppone l'individuazione
della causa concreta del concordato ovverosia "l'accertamento delle
modalità attraverso le quali, per effetto
ed in attuazione della proposta del debitore, le parti dovrebbero in via
ipotetica realizzare la composizione dei rispettivi interessi" (pagina
45).
Modalità che la corte individua in primo luogo "nel superamento dello
stato di crisi dell'imprenditore, obiettivo ritenuto meritevole di tutela sotto
il duplice aspetto dell'interpretazione della crisi come uno dei possibili e
fisiologici esiti della sua attività e della ravvisata opportunità di
privilegiare soluzioni di composizione idonee, per quanto possibile, la
conservazione dei valori aziendali" (pagina 46).
Modalità che sarebbe forse corretto individuare più che nel superamento, nella
regolazione della crisi, dato che ancora oggi il concordato preventivo può
assumere legittimamente le forme di un concordato meramente liquidatorio che
preveda la vendita atomistica dei componenti aziendali.
Il secondo fondamento causale del concordato preventivo viene rinvenuto
"nel riconoscimento in favore dei creditori di una sia pur minimale
consistenza del credito da essi vantato in tempi di realizzazione
ragionevolmente contenuti" (pagina 49).
Riconoscimento che giustifica una così significativa limitazione e
compressione dei diritti del creditore a seguito del procedimento di
concordato preventivo.
Affermazione che va letta in primo luogo come attribuzione di una valenza
inderogabile all'indicazione di una misura minima di soddisfacimento di tutti
i creditori.
Affermazione che trova un preciso appiglio testuale nella disciplina del
concordato preventivo nell'inciso contenuto nell'art. 160, comma 1, lettera a)
l.fall. la dove riguardo al contenuto del piano si fa riferimento alla
soddisfazione dei crediti.
La proposta deve prevedere, ed il piano concretamente assicurare a tutti i
crediti, una generica soddisfazione, soddisfazione che, per alcune categorie
giuridiche di crediti, è sottoposta a vincoli sia qualitativi che quantitativi.
Se si ritiene, come pare corretto, che il legislatore non abbia posto limiti al
debitore nel poter proporre a determinate categorie di crediti qualsiasi
soddisfazione, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, la proposta
sarà inammissibile solo ove si dubiti della stessa esistenza di un pagamento o
di un'attribuzione patrimoniale.
La valutazione di ammissibilità della proposta, avuto riguardo alla validità
della causa, può condurre ad un esito negativo solo ove non sia prevista alcuna
soddisfazione per i crediti, nella sola ipotesi cioè in cui una sola parte (il
debitore) riceve e l'altra, sola (i creditori), sopporta un sacrificio, unica
essendo l'attribuzione patrimoniale.
Se causa del contratto è lo scopo pratico del negozio, la sintesi, cioè, degli
interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare11, la causa del
concordato è soddisfatta qualora la proposta preveda una qualche soddisfazione
dei crediti.
Il difetto di causa è rilevabile dal tribunale solo qualora non sia prevista o
prevedibile alcuna soddisfazione per i crediti.
E ciò in quanto, altrimenti, il controllo sulla prognosi di realizzabilità
dell'attivo nei termini indicati dall'imprenditore esula dalla causa del
concordato (pagina 58).
Il concetto di soddisfazione dei crediti e quindi di necessaria non gratuità
della prestazione offerta dal debitore deve essere assunto nel suo significato
economico proprio di attribuzione patrimoniale, per la quale deve tenersi conto
dell'interesse economico che si intende realizzare e soddisfare, anche in via
mediata, attraverso la complessa operazione economica sintetizzata nel piano.
Il grado di possibile soddisfazione dei crediti si colloca quindi in una ideale
"forchetta" che va dalla necessaria offerta di una qualche
attribuzione patrimoniale all'integrale pagamento.
Proposta di integrale pagamento che parrebbe ammissibile solo ove essa comporti
una dilazione nel pagamento dei crediti chirografari, dato che altrimenti
verrebbe meno il necessario requisito della ristrutturazione dei debiti.
Previsione di pagamento immediato di tutti i crediti che porrebbe seri dubbi
sulla sussistenza di un altro presupposto d'ammissibilità della proposta:
quello oggettivo, ovverosia l'esistenza di uno stato di crisi o di insolvenza.
Il diritto dei creditori ad ottenere "una sia pur minimale consistenza
del credito" vantato "in tempi di realizzazione ragionevolmente
contenuti" rimanda sia al rispetto da parte del tribunale del disposto di
cui all'art. 181 l.fall. (disposizione espressamente richiamata dalla corte), sia al termine per l'esecuzione del
concordato.
Con riferimento al primo profilo il rispetto del termine di sei mesi per la
chiusura della procedura (termine prorogabile una sola volta) appare ancor più
dovuto dopo l'introduzione della domanda di concordato anticipato ai sensi
dell'art. 161 comma 6 l.fall.
E ciò in quanto la previsione della concessione di un termine per il deposito
della proposta e del piano sino a 180 giorni dal deposito del ricorso rende
evidente come tale riforma abbia determinato un fisiologico allungamento dei
tempi, dato che secondo le previsioni del legislatore, possono trascorrere
sino ad un massimo di 18 mesi dal momento del deposito del ricorso a quello
dell'omologa, in caso di proroga del termine per la chiusura del procedimento
di cui all'art. 181 l.fall.
Con riferimento al secondo profilo la riforma del 2012 ha espressamente
previsto che il piano debba prevedere i "tempi di adempimento della
proposta.
Termine per l'adempimento del concordato, il cui inutile decorso renderà
esigibili tutti i crediti, a prescindere dall'iniziativa dei singoli creditori.
Determinazione del momento di esigibilità dei crediti che ha immediati riflessi
anche sull'inadempimento e quindi sulla risoluzione del concordato, posto che,
come appare evidente, anteriormente alla scadenza di tale termine
l'inadempimento non è configurabile, e che esigibilità del credito e
inadempimento del debitore debbono necessariamente coincidere.
Il creditore insoddisfatto potrà depositare il ricorso per la risoluzione del
concordato solo nel caso in cui l'inadempimento non abbia scarsa importanza,
altrimenti egli potrà agire esclusivamente per ottenere l'esatto adempimento
della promessa concordataria.
La corte afferma espressamente la rilevanza del profilo relativo ai tempi di
adempimento per la valutazione della proposta nei suoi termini complessivi e
quindi anche sul giudizio di fattibilità del concordato (pagina 52).
Il che lascia in sospeso la questione se tale giudizio di fattibilità sia di
competenza del tribunale o sia rimesso all'esclusiva valutazione dei creditori.
Se è pur vero che il tempo dell'adempimento è fisiologicamente collegato alla
convenienza della proposta e quindi tale profilo rientra naturalmente
nell'ambito di valutazione esclusiva dei creditori (cfr. pagine 46 e 47), è
altrettanto vero che tale affermazione trova un limite ove l'irragionevolezza
del termine vada a minare la causa in concreto della proposta.
E ciò in quanto i tempi "ragionevolmente contenuti" di realizzazione
della proposta integrano, come detto, dunque uno dei requisiti della causa
concreta del concordato.
Il che lascia desumere che detto termine non sia sempre e comunque nella
disponibilità della maggioranza dei creditori, dato che un termine per
l'esecuzione del concordato manifestamente irragionevole non assicurerebbe il
soddisfacimento della causa del concordato e giustificherebbe quindi il sindacato
del tribunale.
La questione più problematica attiene all'individuazione di un modello
procedimentale da assumere a parametro del giudizio sulla ragionevolezza del
termine previsto per l'adempimento del concordato.
Come è noto con il decreto sviluppo del 2012 importanti novità sono state
introdotte alla c.d. Legge Pinto, essendo stabilito che nel caso di procedura concorsuale,
la durata non deve eccedere i 6 anni.
Termine, sia pur non direttamente applicabile al caso di specie, dato che
l'esecuzione del concordato si realizza dopo la chiusura della procedura12, che
può comunque fornire un appiglio logico-sistematico per quantificare la
ragionevolezza del tempo dell'adempimento.
In definitiva il diritto dei creditori ad essere compiutamente informati e
soddisfatti in misura sia pur minimale in tempi ragionevoli, ponendosi in
rapporto di corrispettività con quello dell'imprenditore a regolare la propria
crisi d'impresa, integra
la causa concreta del concordato la cui manifesta irrealizzabilità è sottoposta
al controllo di legittimità/fattibilità del tribunale.
La corte, tirando le fila di tale ragionamento, pur nella dichiarata
impossibilità di stabilire "con una previsione generale ed astratta i
margini di intervento del giudice in ordine alla fattibilità del concordato
dovendosi a tal fine tener con delle concrete modalità proposte dal
debitore" (pagina 50), dà delle precise indicazioni con riferimento al
concordato per cessione di beni.
In questo tipo di concordato il controllo di fattibilità del tribunale si
estrinseca su tre livelli:
a) nella verifica dell'idoneità della documentazione prodotta a corrispondere
alla funzione che le è propria, consistente nel fornire elementi di giudizio ai
creditori;
b) nell'accertare la fattibilità giuridica della proposta;
c) nel valutare l'effettiva idoneità della proposta ad assicurare il
soddisfacimento della causa della procedura come sopra delineata.
La proposta di concordato per cessione di beni deve quindi prevedere la
soddisfazione di tutti i crediti in tempi ragionevoli, obbligazione che si
aggiunge a quella della cessione di tutti i beni del patrimonio del debitore
(sia con riferimento alla disponibilità materiale dei beni, che alla loro
disponibilità giuridica).
La mancata previsione della soddisfazione o pagamento di tutti i creditori, ivi
compresi i chirografari (questi ultimi in qualsiasi misura o modalità), in
tempi ragionevoli non soddisfa la causa della procedura e determina
l'inammissibilità della proposta13.
Secondo la corte rientra quindi nell'ambito del controllo del tribunale la
"rilevazione del dato, se emergente "prima facie", da cui poter
desumere l'inidoneità della proposta a soddisfare in qualche misura i diversi
crediti rappresentati, nel rispetto dei termini di adempimento previsti"
(pagine 51 e 52).
Affermazione che, pur nella diversità delle proposte, ha una valenza
sicuramente generale, applicabile com'è, mutatis mutandis a tutti i tipi di
concordato.
Il riferimento all'emersione "prima facie" del dato sembra
riecheggiare l'ultimo comma dell'art. 186 bis l.fall. in tema di concordato con
continuità aziendale, là dove si prevede che il tribunale provveda ai sensi
dell'art. 173 l.fall. ove l'esercizio dell'attività d'impresa risulti
"manifestamente dannoso per i creditori".
Come il potere di controllo residuale, di etero tutela del tribunale ai sensi
dell'art. 186 bis l.fall. può giustificarsi non in un'ottica di mera incertezza
sulla convenienza della continuazione dell'attività d'impresa rispetto alle
ragioni dei creditori, ma di manifesta sconvenienza, così il tribunale dovrà
negare l'ammissibilità del concordato ove sia a tutti evidente l'inidoneità
della proposta a soddisfare in qualche misura i diversi crediti rappresentati,
nel rispetto dei ragionevoli termini di adempimento previsti.
Questione assai delicata e complessa è quella relativa alla possibilità del
tribunale di effettuare tale controllo non soltanto in fase di ammissione della
proposta ma anche nel corso della procedura e nel giudizio di omologa.
La corte, assai correttamente, nel definire l'ambito dei poteri del giudice nei
tre diversi momenti di ammissibilità, revoca ed omologazione del concordato,
afferma un'identità di posizione da parte del giudice e pertanto
l'utilizzabilità di un medesimo parametro valutativo nelle differenti fasi in
quanto "la specifica determinazione dei poteri del giudice va effettuata
in considerazione del ruolo a lui attribuito in funzione dell'effettivo perseguimento
della causa del procedimento, ruolo che rimane identico nei diversi momenti
ora considerati" (pagina 61).
Nell'analisi del rapporto tra controllo giurisdizionale in fase di
ammissibilità, nel corso della procedura ed in sede di omologa, non si
rinviene alcun effetto preclusivo, alcun limite al riesame di questioni già
decise nella fase introduttiva, che possono essere liberamente riesaminate dal
tribunale14.
Con la conseguenza che sia nel corso della procedura che in sede di omologa il
tribunale potrà riesaminare tutte le questioni già affrontate in sede di
ammissibilità.
Riesame che potrà e dovrà riguardare anche l'effettiva idoneità della proposta
ad assicurare il soddisfacimento della causa della procedura anche alla luce di
nuovi elementi eventualmente apportati dal commissario giudiziale o dai
creditori, elementi sopravvenuti, successivi al deposito della proposta,
purché, essi rendano evidente l'irrealizzabilità della causa concreta della
procedura.
c) L'informazione dei creditori
Con riferimento, infine, al profilo sub c), la questione, secondo la corte va
risolta alla luce del nuovo art. 179 l.fall.
Se è pur vero, infatti, che al difetto di informazioni circa la fattibilità del
piano consegue il rigetto della domanda, tuttavia, ove i creditori abbiano
espresso un giudizio positivo in sede di adunanza approvando il concordato,
mutate le condizioni per eventi non riconducibili a dolose o colpose omissioni
dl debitore, soccorre l'intervenuta modifica dell'art. 179 l.fall. che
"impone al commissario giudiziale la comunicazione del relativo avviso ai
creditori, ai fini di una loro eventuale costituzione nel giudizio di omologa
per l'eventuale modifica del voto precedentemente espresso" (pagine 68 e
69).
In un altro passaggio argomentativo la Corte, sempre con riferimento all'art.
179 l.fall., afferma altresì che il dettato normativo "nel caso di specie
chiarissimo sul punto, esclude dunque incontestabilmente che il tribunale
debba avere notizia dell'eventuale mutamento registrato in ordine alle
condizioni di fattibilità, il che lascia implicitamente intendere che l'organo
giudiziario non dovesse essersene occupato prima" (pagina 65).
Affermazione che sembra in evidente contraddizione con quanto sostenuto dalla
corte in relazione alla sussistenza di un controllo diretto del tribunale sulla
fattibilità del piano.
Affermazione che va contestualizzata e letta sistematicamente in combinato
disposto con l'art. 173 l.fall. alla luce dei principi affermati dalla corte
sull'ambito del controllo del tribunale.
Ove il commissario giudiziale rilevi il mutamento delle condizioni di
fattibilità giuridica o la sopravvenuta manifesta irrealizzabilità della causa
concreta del concordato dovrà attivare il procedimento ex art. 173 l.fall.
Ove al contrario, le mutate condizioni incidano sulla fattibilità economica
del concordato, il commissario giudiziale dovrà effettuare la comunicazione ai
soli creditori ai sensi dell'art. 179 l.fall.
La pronuncia evidenzia il tentativo (riuscito) della corte di individuare un
corretto bilanciamento dei diversi e contrapposti interessi in gioco, ricerca
assai difficoltosa nell'ambito di una disciplina del concordato
"caratterizzata, da connotati di indiscussa natura negoziale", in
cui sono però "individuabili evidenti manifestazioni di riflessi
pubblicistici, suggeriti dall'avvertita esigenza di tener conto di interessi di
soggetti ipoteticamente non aderenti alla proposta, ma comunque esposti agli
effetti di una sua non condivisa approvazione" (pagina 41).
Un'ultima annotazione va riservata agli effetti della decisione delle sezioni
unite della corte, intervenuta, com'è ben noto, in un panorama
giurisprudenziale caratterizzato da significative divergenze interpretative
sull'ambito di controllo del tribunale sulla fattibilità del piano.
Sarebbe davvero auspicabile che i principi enunciati dalla corte possano
fondare una prassi giurisprudenziale più omogenea e condivisa che dia agli operatori
la necessaria garanzia di prevedibilità ed uniformità nell'applicazione delle
norme.
1) Trib. Milano, 28 ottobre 2011, in Fall., 2012, 78; Trib. Piacenza 23 giugno
2009, in www.ilcaso.it, secondo cui l'indicazione di una
specifica percentuale è anche necessaria ai fini del giudizio di comparazione
in caso di cram down, ex art. 180 l.fall., Trib. Varese 28 aprile 2006, in Riv.
dott. comm., 2007, 303; in dottrina P. Pajardi-A. Paluchowski, Manuale di
diritto fallimentare, Milano, 2008, 824 ss.; M. Ferro, Commento sub art. 160
l.fall., Condizioni per l'ammissione alla procedura, in M. Ferro (a cura di),
La legge fallimentare, Padova, 2011, 1724-1726.
2) Cass. 15 settembre 2011, n. 18864 in Fall. 2012, 39. Contra Cass. 23 giugno
2011, n. 13817, in Fall. 2011, 933.
3) In questi termini Cass. 23 giugno 2011, n. 13817, cit.
4) Per l'ammissibilità di una proposta di concordato per cessione dei beni che
ometta di indicare, in termini vincolanti per il debitore, la percentuale di
soddisfazione riservata ai creditori Trib. Venezia 30 ottobre 2008, in Fall.,
2009, 742; Trib. Bologna 17 novembre 2005, in Giur. mer., 2006, 658; Trib.
Ancona 13 ottobre 2005, in Fall., 2005, 1404, secondo cui se il debitore non
intende garantire un preciso soddisfo ai creditori chirografari «è altrimenti
tenuto... a proporre ai creditori la cessione dei beni, sic et simpliciter,
espressamente indicando e rendendoli edotti che sono chiamati ad esprimersi su
una proposta che prevede la loro soddisfazione solo nei limiti del valore di
realizzo all'esito della liquidazione»; in dottrina M. Fabiani, La
programmazione della liquidazione del concordato preventivo da parte del
debitore e la natura delle vendite concordatarie, in Fall. 2012, 906; A Maffei
Alberti , Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2009, 921; G. Lo
Cascio, Le nuove procedure di crisi: natura negoziale o pubblicistica?, in
Fall., 2008, 997; P. Bosticco, La resurrezione giurisprudenziale dell'art. 173
l.fall. e la difficile distinzione tra atti in frode e sopravvenienze
inattese, in Fall., 2007, 1450; S. Bonfatti-P.F. Censoni, La riforma della disciplina
dell'azione revocatoria fallimentare del concordato preventivo e degli accordi
di ristrutturazione, Padova, 2006; 256; S. Ambrosini-P.G. Demarchi, Il nuovo
concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, Milano,
2005, 174.
5) Cass. 25 ottobre 2010, n. 21860, in Fall. 2011, 167, con note di M. Fabiani
e G. Bozza.
6) Cass. 14 febbraio 2011, n. 3585, in Fall., 2011, 805 e, sia pure in un
obiter dictum Cass. 10 febbraio 2011, n. 3274, in Fall., 2011, 403.
7) Si vedano sul punto le considerazioni di G. Bozza, Il sindacato del
tribunale sulla fattibilità del concordato preventivo", in Fall. 2011,
193-194.
8) In questi termini Cass. 15 settembre 2011, n. 18864, cit.
9) In questi termini Cass. 15 settembre 2011, n. 18864, cit.
10) In questi termini Cass. 15 settembre 2011, n. 18864, cit.
11) In questi termini Cass. 8 maggio 2006, n. 10490, in Giust. civ., 2007,
1985.
12) A tal proposito va infatti ricordato che secondo la suprema corte in tema
di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo, deve
escludersi la responsabilità dello Stato ai sensi della l. 24 marzo 2001 n.
89, con riferimento alla protrazione nel tempo dell'attività dei liquidatori
nominati con la sentenza di omologazione del concordato preventivo, poiché,
chiudendosi questo con il passaggio in giudicato della sentenza di
omologazione, ed essendo i liquidatori non organi della procedura pubblica,
bensì mandatari dei creditori per il compimento di tutti gli atti necessari
alla liquidazione dei beni ceduti, detta attività non rientra
nell'organizzazione del servizio pubblico della giustizia (Cass. 8.5.2012, n.
7021).
13) Secondo Cass. 23 giugno 2011, n. 13817, cit., è da escludere che la
proposta "non prevedesse alcun pagamento in favore dei chirografi, in
quanto se così fosse l'inammissibilità sarebbe stata rilevata e pronunciata
immediatamente in sede di esame della proposta stessa in quanto difforme dal
modello legale".
14) Cfr. Corte cost. 12 marzo 2010, n. 98, in Fall., 2010, 775.
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