Bancario
Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 05/01/2015 Scarica PDF
Conto corrente bancario:anatocismo e capitalizzazione; prescrizione; azioni di accertamento e condanna, distribuzione dell'onere probatorio e saldo zero
Alfonso Quintarelli, Avvocato in RomaSommario: 1. Anatocismo e Capitalizzazione. – 2. La Prescrizione. – 3. Azioni di accertamento e condanna: distribuzione dell’onere probatorio e saldo zero.
1. Anatocismo e capitalizzazione
La rubrica dell’art. 1283 cod. civ. è “Anatocismo” e, poi, la norma spiega che il fenomeno si verifica quando “gli interessi scaduti possono produrre interessi”[2].
Anche il 2° comma dell’art. 120 D.Lgs. 01 settembre 1993, n. 385 (Testo Unico Bancario), nel testo introdotto dall’art. 25, comma 2, D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342 ed in vigore sino al 31.12.2013, si riferiva espressamente alla “produzione di interessi sugli interessi”[3].
Quest’ultima disposizione, a seguito della previsione dell’art. 1, comma 629, L. 27 dicembre 2013, n. 147 (Legge di stabilità 2014), dal 01.01.2014, ha sostituito il riferimento agli interessi sugli interessi con quello agli interessi periodicamente capitalizzati [che] non possano produrre interessi ulteriori[4]
La nuova terminologia adottata nell’ultima norma induce il quesito se anatocismo e capitalizzazione siano sinonimi?
Dal punto di vista semantico l’espressione “interessi sugli interessi” esprime il concetto di una entità (interessi) che genera altra entità eguale a se (interessi); l’espressione “interessi periodicamente capitalizzati”, invece, esprime il concetto di una entità (interessi) che si trasforma in una entità diversa (capitale).
Dal punto di vista giuridico, altro è prevedere che gli interessi e, quindi, i “frutti civili” (art. 820 cod. civ.), possano, a loro volta, produrre altri interessi o, se si vuole, altri “frutti civili”; diverso è prevedere che gli interessi, ovvero i “frutti civili” si trasformino in capitale naturalmente fruttifero, salvo previsione contraria, che nella specie esiste (art. 820, 821 e 1282 cod. civ.): la differenza di regolamentazione tra capitale ed interessi è troppo nota perché sia necessario insistere oltre sulla distinzione. In questo caso possiamo ben dire che “Lex facit de albo nigrum”.
La nuova formulazione dell’art. 120, 2° comma, lett. b), pertanto, lungi dal prevedere un residuo anatocismo, se pur parziale[5], dispone, invece, che gli interessi, periodicamente conteggiati (lett. a), si trasformino in capitale[6], se pur infruttifero[7].
E’ anche legittimo chiedersi se la disposizione della citata lett. b) sia inutile e priva di risvolti concreti, perché la norma che la contiene, anche senza di essa, sarebbe comunque pienamente compiuta. L’attuale primo periodo del secondo comma dell’art. 120 TUB non prevede più, per i conti correnti bancari, la precedente generale deroga all’art. 1283 cod. civ., per cui, ove anche si fosse omesso di stabilire che gli interessi si capitalizzano senza poter produrre altri interessi, si sarebbe comunque conseguito il fine di impedire, per il futuro, l’anatocismo e, quindi, gli interessi reciproci sarebbero stati comunque dovuti alle scadenze di liquidazione senza possibilità di produrre altri interessi. Anche se questa conclusione appare del tutto ragionevole, non per questo è anche corretta. Infatti, la previsione che trasforma gli interessi scaduti e liquidati in capitale, lungi dall’essere inutiliter data, è, invece, fonte di significativi effetti nello svolgimento del rapporto: a) la somma sarà immediatamente dovuta ex art. 1183 cod. civ., anche se non fosse esigibile il preesistente capitale, dal quale il nuovo interesse/capitale si è distaccato; b) l’imputazione del successivo pagamento del debitore troverà la propria regolamentazione nell’art. 1193, anziché nell’art. 1194 cod. civ; c) la prescrizione del diritto potrà essere quella ordinaria decennale dell’art. 2946 cod. civ o quella quinquennale ex art. 2948 in ragione di eventuali pattuizioni che prevedano il pagamento infra-annuale o annuale, oppure ultra-annuale (ad es. finanziamenti c.d. “bullet” superiori a dodici mesi con interessi posticipati regolati in conto corrente).
Prima di concludere l’argomento ci si deve porre un ultimo interrogativo: la previsione dell’art. 120 TUB, nella formulazione in vigore dal 01.01.2014, che non prevede più la possibilità di anatocismo e determina l’applicazione della regola generale dettata dall’art. 1283 cod. civ., riguarda i soli rapporti sorti successivamente al 31.12.2013, oppure riverbera anche sui contratti conclusi sino al 31.12.2013 che contengono clausole anatocistiche validamente pattuite nel vigore delle precedenti disposizioni[8].
La seconda opzione è stata recentemente sostenta sulla scorta di tre argomentazioni[9]:
- essendo venuta meno la norma primaria delegante è divenuto inefficace l’atto amministrativo delegato che consente la capitalizzazione degli interessi;
- la norma primaria abrogata era norma speciale, per cui la sua caducazione determina la immediata applicazione della norma generale contenuta nell’art. 1283 e la conseguente nullità virtuale (rectius: inefficacia ex nunc) di tutte le clausole anatocistiche in essere;
- la vicenda è assimilabile a quella delle pattuizioni di interessi ultra-legali validamente assunte prima del vigore della Legge 108/1996, che, successivamente, si sono rivelate contrastanti con questa normativa, per le quali si parla di “usurarietà sopravvenuta” con conseguente inefficacia ex nunc e sostituzione del tasso divenuto usurario, o con il c.d. “tasso soglia usura”, o con il tasso legale (su questo ultimo punto, ma, come vedremo, anche sulla configurazione stessa di questa “inefficacia” futura, ancora non vi è un orientamento univoco).
Prima di commentare queste considerazioni, val la pena di ricordare che in tema di successione di leggi sostanziali nel tempo, che regolano un medesimo fatto, la Suprema Corte, trattando dell’art. 11 preleggi, ha elaborato i seguenti tradizionali e non (ancora) smentiti principi:
- il fatto generatore delle obbligazioni è il contratto, ed alla data di conclusione dello stesso occorre avere riguardo per la individuazione della normativa applicabile;
- la legge nuova non può essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauriti prima della sua entrata in vigore, anche a quelli sorti anteriormente ed ancora in vita se, in tal modo, si disconoscano gli effetti già verificatisi del fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali e future di esso;
- la legge nuova può essere applicata ai fatti, agli status e alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorchè conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendosi totalmente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che, attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore[10].
Alla stregua di queste enunciazioni le tre argomentazioni non paiono essere pienamente convincenti.
La prima non giustifica perché, se la norma primaria delegante è stata abrogata e, quindi, espunta ex nunc, con conseguente caducazione ex nunc anche del provvedimento amministrativo delegato, la precedente convenzione validamente conclusa durante la loro legittima vigenza dovrebbe veder inibiti i suoi effetti futuri indiscutibilmente collegati con il fatto che li genera. Non aiuta il richiamo che viene effettuato alla caducazione dell’art. 7 della delibera CICR 09.02.2000 a seguito della dichiarazione di incostituzionalità[11] del terzo comma dell’art. 25 del D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342 (secondo l’opinione di chi collega l’art. 7 al solo 3° comma e non anche al 2°), perché, in questo caso si è verificato un annullamento (con i conseguenti effetti retroattivi) e non una abrogazione.
Il secondo argomento richiama un principio che la giurisprudenza di legittimità ha elaborato ed applicato in materia processuale[12], dove vige la generale regola (in difetto di norme di diritto intertemporale) che la nuova disposizione si applichi immediatamente agli atti successivi, anche di processi pendenti: principio che non è per nulla estensibile, sic et simpliciter, al diritto sostanziale, senza obliterare i ricordati principi riferibili alla successione delle leggi.
Il terzo motivo non tiene conto del fatto che l’art. 1283 cod. civ. è norma che non vieta tout court l’anatocismo, perché lo consente nelle tre note ipotesi di usi normativi contrari, domanda giudiziale o pattuizione successive alla scadenza di interessi dovuti per almeno sei mesi. Ciò è indice che l’ordinamento non è del tutto contrario al fenomeno, tant’è che la Suprema Corte, proprio su questo presupposto, ha negato che la nullità della clausola anatocistica possa integrare l’exceptio doli[13]. Non pare, quindi, che si possa operare un sicuro parallelismo, con quel che ne segue, tra anatocismo ed usura, che, invece, è oggetto di divieto senza eccezioni.
La inefficacia sopravvenuta dal 01.01.2014 delle clausole anatocistiche contenute nei contratti conclusi sino al 31.12.2013, validamente stipulate con riferimento alla la normativa allora vigente, può essere giustificata dalla pronuncia della Corte Costituzionale sulla applicabilità della legge n. 154/1992, che stabiliva la nullità delle fideiussioni per obbligazioni future senza limitazione di importo (attuale art. 1938 cod. civ.), alle preesistenti fideiussioni (c.d. omnibus), validamente perfezionate in virtù delle regole vigenti nel tempo, che, appunto, erano prive della indicazione dell'importo massimo garantito per le obbligazioni future[14]. In questa decisione si sostiene che lo jus superveniens, assistito da sanzione di nullità, determina l’impossibilità per le precedenti obbligazioni validamente assunte, che si trovino in contrasto con il dettato della nuova norma, di produrre "effetti ulteriori". Ciò non per la retroattività della nuova legge, ma perché non è consentita l’ultra-attività della “disciplina precedente” abrogata. La Corte riconosce che la nuova legge attiene ai requisiti del contratto e, quindi, si pone sul terreno della genesi della fattispecie, talchè “non travolge gli obblighi già sorti in base alla normativa precedente”, ma ritiene che essa impedisca il sorgere di obbligazioni successive che traggano origine da quella stessa fattispecie, pur se validamente formata nel vigore della precedente disciplina. La distinzione è operata lungo la direttrice del rapporto tra fatti esauriti quoad effectum ed effetti in itinere di fatti pregressi.
La costruzione logico giuridica non convince fino in fondo.
Nel concetto di “irretroattività”, infatti,è indissolubilmente insito quello di ultra-attività, perché alla nuova legge non è consentito togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali e future del fatto passato, per cui la normativa abrogata cesserà con lo spirare dell’ultimo degli effetti generati dal fatto perfezionatosi nel suo vigore. La irretroattività della legge, inoltre, è regola basilare di civiltà giuridica, fondandosi sul dato ineludibile che i cittadini nel determinare la loro condotta tengono conto delle leggi vigenti in quel momento e sulla base di queste – e non di quelle successive – dovrebbero essere giudicate le controversie che da quella condotta originano.
Ancora, è veramente arduo contemplare la coesistenza di una fattispecie che permane valida con l’impossibilità per essa di produrre gli effetti suoi propri[15].
Queste problematiche non sono state di ostacolo alla Suprema Corte, che ha aderito alla opzione interpretativa prospettata dalla Corte Costituzionale, non solo quando si è occupata di fideiussioni omnibus senza limite di importo stipulate anteriormente alla L. 154/1992[16], ma anche quando è stata chiamata a decidere della validità della clausola degli interessi convenzionali “uso piazza” contenuta in contratti anteriori alla stessa legge[17]. Una ulteriore applicazione può riconoscersi anche nelle decisioni riguardanti le pattuizioni di interessi ultralegali in contratti anteriori alla L. 108/1996, che, successivamente, sono risultate superiori al tasso soglia usura, ma al riguardo l’orientamento non è univoco[18].
2. La Prescrizione
Una volta pronunciata la nullità della clausola anatocistica (o di altre convenzioni contrattuali di carattere economico) si pone il problema della restituzione delle somme pagate in ragione di essa, con la ovvia considerazione che la restituzione si fonda sulla traditio sine titulo e, quindi, su uno di quegli altri atti idonei a produrre obbligazioni di cui parla l’art. 1173 cod. civ.[19].
L’azione di nullità e l’azione restitutoria, pertanto, mantengono distinti presupposti e distinte regole, tra le quali ultime, in particolare, la prescrizione (art. 1422 c.c.), perchè l’actio nullitatis è imprescrittibile, mentre l’azione di ripetizione si prescrive nel termine ordinario[20].
La funzione della prescrizione, qualsiasi sia il fondamento che le si voglia riconoscere (generale esigenza di certezza dei rapporti; interesse privato di far constatare la rinuncia tacita del titolare del diritto) si risolve in una particolare soluzione, in ragione del trascorrere del tempo, del contrasto tra is ed ought (Hume) o, se si vuole, sein e sollen (Kant, Kelsen), preferendo il primo dei due termini del binomio: l’essere (ciò chè è così come è) rispetto al dover essere (la previsione della legge)[21].
Una risalente pronuncia della Suprema Corte aveva stabilito che, nei contratti di conto corrente, in virtù dell'unitarietà del rapporto, la prescrizione decorresse dalla data di scioglimento definitivo dello stesso.[22]
Questo principio è stato tralaticiamente ed acriticamente ribadito sino alla fine del 2010, quando le Sezioni Unite hanno lo hanno modificato, sostenendo che “l’unitarietà del rapporto giuridico derivante dal contratto di conto corrente non è, di per sé solo, elemento decisivo al fine di individuare nella chiusura del conto il momento da cui debba decorrere il termine di prescrizione del diritto alla ripetizione d’indebito” perché “ogni qual volta un rapporto di durata implichi prestazioni in denaro ripetute e scaglionate nel tempo- si pensi alla corresponsione dei canoni di locazione o d’affitto, oppure del prezzo della somministrazione periodica di cose- l’unitarietà del rapporto contrattuale ed il fatto che esso sia destinato a protrarsi ancora per il futuro non impedisce di qualificare indebito ciascun singolo pagamento non dovuto, se ciò dipende dalla nullità del titolo giustificativo dell’esborso, sin dal momento in cui il pagamento medesimo abbia avuto luogo, cosicché è sempre da quel momento che sorge dunque il diritto del “solvens” alla ripetizione e che la relativa prescrizione inizia a decorrere”[23].
La precedente opzione interpretativa viene confermata dalle Sezioni Unite solo quando vi sia una“apertura di credito bancario regolata in conto corrente”, perché in tal caso “non avendo il passivo superato il limite dell’affidamento concesso al cliente” i versamenti fungono “unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere” e “la circostanza che in quel momento il saldo passivo del conto sia influenzato da interessi illegittimamente fin lì computati si traduce in una indebita limitazione [della] facoltà di maggiore indebitamento ma non nel pagamento anticipato di interessi [di cui] potrà dunque parlarsi soltanto dopo che la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire se corrisposti dal cliente all’atto della chiusura del rapporto”
Quando, invece, i versamenti siano “eseguiti su un conto in passivo (o, come in simili situazioni si preferisce dire “scoperto”) cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento” essi “potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti” [24].
Si possono, quindi, prospettare le seguenti tre diverse situazioni:
-a) conti correnti senza apertura di credito e, nel tempo, con saldi debitori, nei quali il decorso della prescrizione inizierà sempre dal giorno di ogni singolo versamento[25]:
-b) conti correnti con apertura di credito e, nel tempo, con saldi debitori sempre contenuti nei limiti del fido, nei quali il decorso della prescrizione inizierà dal giorno della chiusura del conto[26];
-c) conti correnti con apertura di credito e, nel tempo, con saldi debitori sia entro i limiti del fido, sia oltre essi; in questo caso la prescrizione avrà distinte decorrenze:
c1) dal giorno della chiusura del conto per i versamenti intervenuti con saldo entro i limiti dell’affidamento e riferibili a poste illegittime addebitate con saldo entro i limiti;
c2) dal giorno del singolo versamento per quelli intervenuti in presenza di saldo oltre i limiti dell’affidamento e riferibili a poste illegittime addebitate con saldo oltre i limiti.
Ai fini prescrizionali, nel conto influenzato da registrazioni illegittime, si terrà conto del dato storico fattuale rappresentato dalle registrazioni così come scritturate nel tempo o, se si vuole, del c.d. “saldo banca” e non anche del c.d. “saldo rettificato” ottenuto a posteriori effettuando una riscrittura del conto per “depurarlo” delle annotazioni illegittime.
Riscrivere il conto, infatti, significa creare una realtà apparente ed artificiale (così come avrebbe dovuto essere, ma) che non è mai realmente esistita nello spazio e nel tempo, incorrendo in una evidente elusione della funzione dell’istituto della prescrizione[27].
Alla medesima conclusione si perviene ove si ponga mente al fatto che un pagamento è “atto dovuto” e, pertanto, anche se posto in essere su presupposto erroneo o come conseguenza di un atto nullo, resta pur sempre un pagamento, per cui la rimessa che interviene su conto “scoperto”, anche se il saldo è conseguenza di annotazioni illegittime, mantiene questa sua natura.
Una ulteriore riflessione rispetto agli addebiti per interessi maturati sugli importi utilizzati nei limiti dell’apertura di credito.
Nell’apertura di credito la pretesa della Banca di restituzione della somma accreditata è inesigibile sino a scadenza o recesso.
In prima approssimazione, quindi, si sarebbe portati a ritenere che anche gli interessi generati dall’utilizzo del credito sono parimenti inesigibili e, quindi, non possono considerarsi “pagati” con il loro addebito in conto o dai versamenti operati dal correntista durante la vigenza del rapporto, potendo essere pretesi e saldati solo alla chiusura del rapporto[28].
La consueta definizione degli interessi come obbligazione accessoria rimane sempre monca della parte dove si specifica che l’accessorietà è solo di natura genetica. Non vi è dubbio che l’obbligazione per interessi non può mai nascere come obbligazione primaria e che la sua esistenza è sempre collegata ad una preesistente obbligazione pecuniaria principale, meno ovvio e immediatamente percepibile, ma altrettanto certo, è che il credito per interessi maturati costituisce, una volta generato, autonoma obbligazione pecuniaria che può essere regolata distintamente rispetto a quella del capitale da cui è sorta. Ne consegue che è assolutamente possibile far coesistere una obbligazione inesigibile per sorte ed una obbligazione esigibile per interessi: l’esempio classico è il mutuo, nel quale il capitale inesigibile produce interessi immediatamente esigibili (art. 1815 c.c.), tant’è che l’art. 1820 c.c. prevede la risoluzione del contratto quando essi non siano corrisposti. Per motivi storici e sistematici il mutuo è da considerare il prototipo di tutti i contratti di credito, e, pertanto, le norme che ne regolano la onerosità, salvo diverse espresse previsioni, devono ritenersi applicabili a tutti i negozi che partecipino della sua struttura e funzione[29]. Nell’apertura di credito la funzione di prestito è la stessa del mutuo e la “traditio” si attua con l’utilizzo del credito concordato[30]. A ciò si deve aggiungre che l’art. 1843 cod. civ. si riferisce espressamente al “credito”, ovvero alla sola somma capitale che la banca pone a disposizione del correntista, mentre non si occupa degli interessi dalla stessa generati, i quali, quindi, trovano la loro regolamentazione nella legge e nel contratto.
Per le aperture di credito regolate in conto corrente le c.d. “norme bancarie uniformi” (N.B.U.), contenevano la previsione[31] che gli interessi venivano portati in conto ogni anno oppure ogni trimestre con “valuta data di regolamento”; previsioni sostanzialmente simili sono rinvenibili anche nei contratti più recenti, i quali, ovviamente, quanto all’anatocismo, tengono conto della previsione dell’art 120 TUB e delibera CICR 09.02.2000[32]. La ricordata convenzione regola due fenomeni ben distinti e ben individuabili: 1) la scadenza e la liquidazione degli interessi (portati in conto alle chiusure periodiche); 2) la pratica anatocistica (“con valuta data di regolamento”). La nullità colpisce solo la previsione dell’anatocismo e non anche quella che regola la liquidazione e scadenza degli interessi. L’art 1283 c.c., infatti, vieta la previa pattuizione che gli interessi scaduti possano produrre altri interessi, ma non anche che si possa pattuire quando gli interessi scadranno e saranno liquidati, né come saranno pagati.
A questo ultimo proposito, si deve fare molta attenzione a non equivocare tra pagamento di interessi scaduti (del tutto lecito) ed anatocismo fuori dei casi dell’art. 1283 c.c. (non consentito), equivoco nel quale non è così infrequente imbattersi.
Il pagamento degli interessi scaduti può aversi anche con l’utilizzo dell’apertura di credito che li ha generati, mediante addebito sul conto corrente. Il finanziamento bancario, infatti, costituisce nient’altro che“capitale di credito”, che insieme al “capitale proprio” forma il “capitale finanziario” che è nella disponibilità del soggetto per far fronte alle necessità economiche, professionali, imprenditoriali, di vita, tra le quali, ovviamente, anche il pagamento dei debiti scaduti.
L’utilizzo delle disponibilità liquide fornite dalla apertura di credito che ha generato interessi per il suo utilizzo al fine di pagare quegli stessi interessi altro non è che un normale pagamento utilizzando una parte del capitale finanziario a disposizione. Non si riesce veramente a trovare alcuna differenza “ontologica” tra questa modalità di pagamento e, ad esempio, il pagamento di quegli stessi interessi mediante la liquidità di cui il soggetto dispone a ragione di un prestito obbligazionario o, se si vuole, mediante la liquidità che deriva da una apertura di credito con una banca diversa da quella soddisfatta con il pagamento degli interessi. Anche queste altre disponibilità sono “capitale di credito” che genera interessi a debito: perché, allora, il pagamento di questi interessi non sarebbe consentito con l’utilizzo della stessa fonte finanziaria per la quale sono dovuti? È come dire che gli interessi del mutuo non potrebbero essere pagati con parte del capitale mutuato non utilizzato e, ciò, pare abbastanza singolare.
Per concludere è opportuno ricordare che nella fattispecie di indebito il decorso degli interessi dovuti dall’accipiens non è collegato alla “mora”, ma è riferito all’elemento soggettivo della buona o mala fede. Poiché, come si è accennato, invalidità del negozio e condictio indebiti sono fattispecie autonome e distinte, la buona o mala fede dovrebbero verificarsi con riferimento alla traditio e, in questa prospettiva, si dovrebbe propendere per la buona fede, anzitutto perché la buona fede è generalmente presunta (art. 1147 cod. civ.) e, poi, perché al momento della traditio delle rispettive rimesse entrambe le parti volevano effettivamente porle in essere, una a favore dell’altra.
Se, invece, lo stato psicologico rilevante lo si volesse valutare con riferimento ai presupposti della nullità del negozio, trattandosi di violazione di norma imperativa conosciuta o che avrebbe dovuto essere conosciuta dai contraenti, dovrebbe presumersi la mala fede di tutti gli stipulanti.
3. Azioni di accertamento e condanna: distribuzione dell’onere probatorio e saldo zero
Le azioni di mero accertamento sono dirette ad ottenere il solo accertamento dell’esistenza e del modo di essere del diritto soggettivo da altri contestato (mero accertamento positivo) o dell’inesistenza del diritto soggettivo da altri vantato (mero accertamento negativo), mentre le azioni di condanna sono finalizzate ad ottenere la condanna dell’obbligato alla reintegrazione, in forma specifica o per equivalente, del diritto che si assume violato: anch’esse presuppongono un accertamento dell’esistenza del diritto soggettivo che si assume violato e dell’inadempimento dell’obbligato, ma, rispetto al mero accertamento, postulano il quid pluris dell’eseguibilità forzata dell’obbligo pretermesso.
Naturalmente queste due forme dell’azione civile di cognizione le ritroviamo anche nel contenzioso bancario riferibile ai conti correnti, alle aperture di credito ed ai mutui.
La più classica delle azioni di mero accertamento è la domanda del cliente volta ad ottenere la nullità di clausole contrattuali (anatocismo, usura, commissioni di massimo scoperto, etc.).
Per la verità è assai raro che queste domande siano proposte senza che sia proposta anche, più o meno esplicitamente, una domanda di ripetizione delle somme indebite sborsate in ragione di quei titoli.
Quanto al contenuto ed alla ripartizione dell’onere probatorio, nell’ipotesi di domanda di mero accertamento della nullità proposta dal cliente, questi:
- in presenza di contratti di conto corrente ed apertura di credito stipulati prima della Legge 17.02.1992 n. 154 e del D.Lgs. 01.09.1993 n. 385, considerata la libertà di forma che presiedeva allora alla loro conclusione, avrà l’onere di provare la intervenuta pattuizione del contratto e/o della clausola nulla[33];
- in presenza di contratti di conto corrente ed apertura di credito stipulati successivamente in forma scritta e di contratti di mutuo l’onere probatorio resta il medesimo, ma, ovviamente, sarà facilitato;
- in presenza di contratti stipulati successivamente alla L. 154/92 ed al D.Lgs. 385/93 privi della forma scritta, se si vorrà elidere l’intero rapporto degradandolo ad un c.d. “rapporto di fatto”, l’onere si risolverà nella allegazione del difetto della forma essenziale, sanzionata di nullità dall’art. 117, 3° comma D.Lgs. 385/93, se, invece, si riterrà più utile convalidare il negozio (la nullità è classificabile tra le c.d. nullità di protezione, che sono comminate solo a vantaggio del cliente) e far dichiarare unicamente la nullità di alcune sue clausole, sarà necessario provare la loro pattuizione[34].
Pare qui necessario affrontare la questione se il correntista sia titolare di una generale azione di accertamento del saldo del conto corrente, che si affianca a quella di nullità di clausole dello stesso.
L’argomento trova la sua origine in una considerazione contenuta nella citata sentenza n. 24418/2010 delle Sezioni Unite della Suprema Corte, per la quale “l’annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati dalla banca al correntista (…) comporta un incremento del debito (…) o una riduzione del credito (…), ma in nessun modo si risolve in un pagamento”. Sicché “sin dal momento dell’annotazione, avvedutosi dell’illegittimità dell’addebito in conto, il correntista potrà agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso”[35]
Da questo enunciato, anche in una recente decisione di merito, si è tratta la conclusione che il cliente possa “proporre, in funzione o anche in via alternativa o cumulativa all’azione ex art. 2033 c.c., un’azione di nullità (amplius di accertamento negativo) intesa ad ottenere: a) la dichiarazione di nullità delle clausole contrattuali (…); b) l’accertamento della nullità degli addebiti (…) eseguiti dalla banca in base a clausola nulla (…); c) il conseguente storno dell’annotazione indebita, con ricalcolo del rapporto dare avere”, di talchè, all’esito dell’accertamento, il ricalcolo potrà implicare “semplice riduzione dell’esposizione debitoria, maggiore disponibilità di fido (se il c/c è affidato), perfino passaggio a credito del saldo di c/c”. Quanto all’onere della prova si sostiene che, oltre a necessitare dell’allegazione e prova degli addebiti illegittimi, “l’azione di nullità/accertamento negativo condivide con quella ex art. 2033 c.c. un nucleo comune di fatti (addebito in c/c in base a patto nullo oppure in mancanza di patto)”, ma non richiede, come l’azione di ripetizione, “l’onere di allegare e provare, oltre all’indebito, anche lo spostamento patrimoniale, ossia la rimessa solutoria”. In questa azione “la questione dei pagamenti fatti mantiene bensì una sua rilevanza, ma solo come materia di eccezione, quando la banca eccepisca la prescrizione per le rimesse su conto scoperto o in extra-fido ultradecennali” [36].
Questa ricostruzione di una generale azione di accertamento negativo volto ad ottenere una eliminazione dal conto degli addebiti illegittimi (non nulli perché nullo può essere il negozio ma non gli atti esecutivi dello stesso) con ricalcolo dello stesso, necessità di una qualche ulteriore precisazione.
Anzitutto si deve riprendere la distinzione, che abbiamo già utilizzato parlando di prescrizione, tra:
-a) conti correnti senza apertura di credito;
-b) conti correnti con apertura di credito e con saldi debitori sempre contenuti nei limiti del fido;
-c) conti correnti con apertura di credito e, nel tempo, con saldi debitori sia entro i limiti del fido, sia oltre essi.
Nella ipotesi sub a):
a1) se il conto è stato connotato unicamente da saldi attivi per il cliente, gli addebiti illegittimi si risolvono in “prelevamenti” illegittimi di disponibilità del correntista da parte della banca e la domanda di loro eliminazione è, evidentemente, nient’altro che una domanda di ripetizione di indebito;
a2) se il conto è stato connotato da saldi passivi per il cliente, si potrà avere una domanda di accertamento negativo nei termini evidenziati dal Tribunale di Torino, salvo che, se il conto, in ragione del ricalcolo, dovesse evidenziare un saldo positivo per il correntista, da quel momento si riproporrà la stessa ipotesi considerata sopra sub a1).
Nella ipotesi sub b) è configurabile l’azione di accertamento negativo nei termini evidenziati dal Tribunale di Torino, salvo che, se il conto, in ragione del ricalcolo, dovesse evidenziare un saldo positivo per il correntista, da quel momento si riproporrà la stessa ipotesi considerata sopra sub a1).
Nella ipotesi sub c), per il tempo in cui il conto ha manifestato saldi debitori extra fido, secondo la ricostruzione degli estratti conto della banca, sarà onere di questa eccepire la prescrizione ultradecennale delle rimesse che hanno “pagato” gli addebiti illegittimi di cui si chiede la eliminazione, affinchè anche quelle rimesse siano, corrispettivamente, eliminate dal conto, salvo poi potersi eventualmente verificare la stessa ipotesi considerata sopra sub a1).
Consideriamo ora le azioni del cliente per ottenere la condanna per la ripetizione dell’indebito oggettivo ex art. 2033 c.c.. Per queste domande è da tener ferma la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, secondo la quale chi agisce in ripetizione deve provare l’inesistenza della causa solvendi[37] e l’avvenuto pagamento del debito[38].
La Suprema Corte ha chiarito che la prova della mancanza di una causa solvendi, ovvero del venir meno di questa, non è impedita dal principio “negativa non sunt probanda” perché può essere fornita con la dimostrazione dell’esistenza di un fatto positivo contrario, o mediante presunzioni, ovvero mediante testimoni, sia quando si assuma che l’intero pagamento sia indebito, sia quando si assuma che indebita è solo una sua parte[39].
Il contenuto della prova dell’insussistenza della causa solvendi non differisce da quello sopra illustrato trattando dell’azione di mero accertamento.
Oltre al difetto di causa solvendi, anche il “fatto pagamento” deve essere provato dall’attore in ripetizione.
Senonché, quando si tratta di “pagamenti” riferibili ai conti correnti, la questione si complica, perché, come si è già avuto modo di evidenziare, le Sezioni Unite della Suprema Corte ci dicono che i “versamenti, in tanto (…)potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da poter formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l'effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. Questo accadrà qualora si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo (o, come in simili situazioni si preferisce dire "scoperto") cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell'accreditamento. Non è così, viceversa, in tutti i casi nei quali i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell'affidamento concesso al cliente, fungano unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere.» (sottolineatura nostra)[40].
Questa chiara qualificazione e distinzione, or non è molto, è stata disattesa dalla Prima Sezione della stessa Corte, la quale ha sostenuto che «.. i versamenti eseguiti su conto corrente in corso di rapporto hanno normalmente funzione ripristinatoria della provvista e non determinano uno spostamento patrimoniale dal solvens all'accipiens. Tale funzione corrisponde allo schema causale tipico del contratto» (sottolineatura nostra)[41].
Con questa ultima statuizione la Corte, nella migliore delle ipotesi, plus dixit quam voluit, essendo rimasta, forse, nella penna dell’estensore, di seguito alle parole “conto corrente”, la specificazione (di non poco momento) con apertura di credito, che avrebbe consentito la piena sintonia con il principio espresso dalle Sezioni Unite, richiamato, peraltro, poche righe prima come il precedente giurisprudenziale ispiratore. Nella peggiore delle ipotesi, invece «tale itinerario argomentativo non persuade …. pare decisamente un fuor d’opera … in grado di suscitare o sollecitare reazioni forti quando non esasperate»[42].
Riprendendo il discorso sull’onere e contenuto della prova nell’azione di condanna alla ripetizione proposta dal cliente verso la banca, non c’è dubbio, come si è visto, che anche la prova del “fatto pagamento” e di quelli perimetrali il medesimo debba esserefornita dall’attore e, più precisamente, del “fatto pagamento” che consista in uno “spostamento patrimoniale” dal solvens all’accipiens, perché, ci avvertono sempre le Sezioni Unite, che solo un versamento avente queste precise caratteristiche “può dar vita ad un’eventuale pretesa restitutoria di chi assume di averlo indebitamente effettuato”[43]
Naturalmente l’attore potrà fornire la prova mediante l’utilizzo di tutti gli strumenti concessi a tal fine e, quindi, anche attraverso il principio di non contestazione: ciò si verifica quando egli abbia allegato che tutti i determinati versamenti che si chiedono in ripetizione hanno natura di veri e propri pagamenti e ciò non abbia trovato contestazione da parte del convenuto; non sarà così necessario provare che essi sono intervenuti “su un conto in passivo (o, come in simili situazioni si preferisce dire "scoperto") cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista”.
Diverso è il caso in cui, invece, l’attore abbia allegato che al conto corrente accede una apertura di credito: in questo caso l’onere probatorio si sostanzierà nel dimostrare che quei determinati versamenti, che si chiedono in ripetizione, sono stati “destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell'accreditamento”: in difetto non si sarà in presenza di pagamenti ripetibili e, quindi, la domanda resterà priva di uno dei suoi due essenziali requisiti[44].
Per dirla in altre parole, la natura di “spostamento patrimoniale” dal solvens all’accipiens del versamento in conto corrente è parte essenziale della fattispecie acquisitiva della domanda dell’attore, che, in difetto, resterà priva del necessario elemento della sussistenza del pagamento (indebito).
La fattispecie impeditiva dell’eccezione del convenuto dovrà vertere o sulla esistenza di una valida causa solvendi, o sulla negazione della natura di pagamento dei versamenti domandati in ripetizione, ovvero sul riconoscimento della loro natura di pagamenti con contestuale opposizione della intervenuta prescrizione del diritto a ripeterli, per decorso del tempo necessario ad estinguerlo.
Naturalmente l’attore, per assolvere il proprio onere utilizzerà, maxime, gli estratti conto che si sono generati nel corso del rapporto, sia producendo quelli di cui è in possesso, sia chiedendo alla banca di integrare eventuali lacune.
In questo caso la Banca sarà tenuta, ex art. 119 D.lgs. 385/93, a fornire i documenti formatisi nei dieci anni antecedenti la richiesta. Quelli eventualmente antecedenti potranno non essere forniti (perché distrutti o smarriti).
Persistendo carenze negli estratti conto:
- per il caso esse riguardino periodi infra-rapporto più o meno estesi, in difetto di altre emergenze processuali, per questi periodi non si potrà ritenere acquisita la prova della esistenza di annotazioni illegittime e di pagamenti indebiti;
- per il caso che esse si riferiscano alle schede del conto ab origine e sino ad un determinato tempo, la prima scritturazione che si rinviene sul primo estratto conto prodotto e che rappresenta il saldo di tutte le movimentazioni antecedenti resterà confermata non essendo stata fornita la prova certa della sua formazione illegittima (ad es. nel periodo non documentato, il conto avrebbe ben potuto costantemente presentare saldi a credito per il cliente e, solo nell’ultimo trimestre prima di quello di cui si ha evidenza con gli estratti conto, maturare saldi a debito per questi).
Alla luce di quanto sin qui sostenuto, ci pare, che in queste controversie, il richiamo che alcuni fanno al principio della “riferibilità” o “vicinanza” o “disponibilità” della prova, sia un falso problema.
Questo principio, come è noto, è stato espresso da Cassazione civile, sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533, dirimendo un contrasto di giurisprudenza sul contenuto dell’onere della prova che incombe su chi chiede l’adempimento di una obbligazione. Alcuni precedenti giurisprudenziali gravavano l’attore di fornire, non solo la prova dell’esistenza dell’obbligazione, ma anche, quantomeno, un indizio dell’inadempimento dell’obbligato; altri, invece, asserivano che onere dell’attore fosse unicamente quello di allegare e provare la fonte dell’obbligazione, mentre era onere del convenuto provare l’esatto adempimento, anche perché ciò gli era più agevole essendo (o dovendo essere) in possesso della quietanza rilasciata dall’attore: le sezioni unite hanno aderito a questo secondo orientamento.
Considerando la fattispecie per la quale è stato pronunciato il detto principio giurisprudenziale: applicabilità o meno del principio “negativa non sunt probanda” con conseguente dubbio su chi gravasse l’onere della prova circa l’inadempimento/adempimento, è evidente che esso viene in soccorso in presenza di una chiara incertezza se il fatto appartiene alla fattispecie acquisitiva (propria della domanda dell’attore) oppure a quella impeditiva (propria dell’eccezione del convenuto). In questa corretta prospettiva il principio opera, rispetto al generale onere della prova previsto dall’art. 2697 cod. civ., come “criterio di chiusura” con funzione sussidiaria, che potrà invocarsi solo quando vi sia una reale incertezza sulla ripartizione dell’onere, indotta dal principio “negativa non sunt probanda”[45]. Quando l’incertezza non sussiste, il principio sussidiario non potrà essere invocato per correggere o, addirittura, invertire la regola generale sull’onere, men che meno operando richiami a fumose e pericolose “questioni di giustizia sostanziale” o volontà di “rendere possibile, per la parte che si trovi in uno stato di oggettiva disparità rispetto all’altra, far valere i propri diritti”, che paiono riferibili più alla politica che al diritto[46].
Come si è visto, nella domanda di indebito oggettivo, non vi è alcuna incertezza sul fatto che il suo antecedente logico (mancanza originaria o sopravvenuta della causa solvendi) ed il suo oggetto (pagamento) appartengano alla fattispecie acquisitiva propria dell’attore, né vi è dubbio che il “fatto pagamento” è oggetto di prova positiva e non negativa.
Inoltre, con riferimento specifico ai rapporti bancari, sia i contratti che gli estratti conto sono documenti comuni alle parti e che le parti hanno l’onere di conservare se vogliono utilizzarli per agire una contro l’altra: ciò vale per la banca, ma, allo stesso modo, vale anche per il correntista, soprattutto, quando, come è frequente questi sia un’impresa e, come tale, tenuta anche ex lege a mantenere i documenti relativi ai suoi rapporti finanziari[47].
Passiamo ora ad occuparci di quando è la Banca che agisce per la condanna del correntista a pagare il debito riveniente dal saldo del conto corrente.
In questo caso, ovviamente, l’istituto dovrà provare l’an debeatur, con il contratto (i contratti), che dopo la normativa sulla trasparenza deve avere necessariamente forma scritta e deve contenere le pattuizioni giustificative degli addebiti operati sul conto per interessi, commissioni, spese, etc.. Dovrà anche provare il quantum debeatur con la produzione degli estratti conto che giustifichino il saldo finale a debito del correntista di cui chiede il pagamento.
Quanto al contratto, sono stati sollevati dubbi sulla sua efficace conclusione nel caso in cui il modulo negoziale prodotto dalla Banca presenti la firma del solo correntista e non anche quella dell’Istituto di credito o, al più, presenti quella di un funzionario della Banca apposta in uno spazio destinato alla autenticazione. La questione è stata risolta dalla Suprema Corte, la quale ha chiarito che nei contratti richiesti di forma scritta ad substantiam, non è necessaria la simultaneità delle sottoscrizioni e, pertanto, sia la produzione in giudizio della scrittura da parte di chi non l’ha sottoscritta, ovvero qualsiasi manifestazione di volontà del contraente che non abbia firmato, contenuta in uno scritto diretto alla controparte ed idonea a far emergere la volontà di avvalersi del negozio, realizzano un valido equivalente della sottoscrizione mancante, purchè la parte che aveva previamente firmato non abbia, in precedenza, revocato il proprio consenso, ovvero non sia deceduta[48].
Per
quanto attiene la prova del quantum,
sovente accade che gli Istituti di credito, in presenza di rapporti
ultradecennali, producano, a corredo della pretesa, gli estratti conto relativi
al solo ultimo decennio, che è il tempo per il quale
Senonché,
Di poi, e più di recente, ha aggiunto che, quando si abbia la produzione di estratti conto riferiti ad una sola parte della durata del rapporto, non si è in presenza di una astratta preclusione della possibilità di quantificare la pretesa azionata, ben potendo l’indagine, a tal fine, “attestarsi sulla base di riferimento più sfavorevole per il creditore istante”, con riconduzione a zero del primo saldo eventualmente a debito del cliente[50] e, argomentiamo noi, con mantenimento del detto primo saldo per il caso in cui evidenzi un credito a favore dello stesso cliente.
Precisa
La esposta regola del c.d. “saldo zero”, sempre secondo la Suprema Corte, trova un’unica eccezione: quando gli estratti conto prodotti dalla banca e decorrenti da data successiva alla costituzione del rapporto presentino un iniziale saldo attivo e solo successivamente si determini un saldo passivo. In questo caso, non essendovi “interessi passivi da calcolare” per il tempo anteriore al primo saldo attivo per il correntista, i precedenti estratti conto non incidono sul calcolo del credito della Banca. Sarà semmai onere del correntista “svolgere contestazioni specifiche (…) affermando ad esempio che il saldo attivo (…) era più elevato, o vi erano stati momenti di saldo passivo, in ordine ai quali erano stati computati interessi ultra legali o anatocistici”[51].
Le illustrate regole sull’onere della prova non mutano, ovviamente, per il caso in cui le domande siano poste in via principale o in via riconvenzionale e si dovranno sempre coniugare con il principio, vigentenel nostro ordinamento processuale, “dell’acquisizione della prova, in forza del quale ogni emergenza istruttoria, una volta raccolta, è legittimamente utilizzabile dal giudice, indipendentemente dalla sua provenienza”[52].
[1] Relazione predisposta per il Convegno organizzato dal CoSEF – Consorzio Universitario per gli Studi Economici e Finanziari e dall’Università degli Studi di Teramo per il giorno 3 dicembre 2014 in Teramo – Campus Coste Sant’Agostino sul tema “L’analisi tecnico – legale dei contratti bancari e finanziari”. Questo lavoro è il testo rimaneggiato, con ampliamenti, di diverse relazioni ed interventi a convegni e seminari svolti in questi ultimi anni
[2] Codice civile, art. 1283 “Anatocismo. In mancanza diusicontrari, gliinteressi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto diconvenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi”
[3]TUB, Art. 120(Versione in vigore fino al 31.12.2013) “Decorrenza delle valute e calcolo degli interessi”. 01. (omissis); 1. (omissis); 1bis (omissis);
2. Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori;. 3.(omissis)
[4] TUB, Art. 120 (Versione in vigore dal 01.01.2014) “Decorrenza delle valute e calcolo degli interessi”.01. (omissis); 1. (omissis); 1bis (omissis);
2. Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che:
a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori;
b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale. 3. (omissis)
[5] F. Maimeri, “La capitalizzazione degli interessi fra legge di stabilità e decreto sulla competitività”, in Rivista di diritto bancario, 2014, 7, p. 1 ss., con dubbi.
[6] Prospetta questa stessa conclusione, anche se tra altre: Consiglio Nazionale del Notariato, Ufficio Studi, quesito n. 80-2014/C;
[7] Così, pare, anche gli Autori indicati in F. Maimeri, “La capitalizzazione….” op. e luogo cit., p. 4, nota 6, nonché V. Farina, “Le recenti modifiche dell’art. 120 TUB e la loro incidenza sulla delibera CICR 9 febbraio 2000”, in Rivista di diritto bancario, 2014, 10, p. 1 ss., in particolare p. 9.
[8] Ci si riferisce, ovviamente, alla formulazione del 2° comma dell’art. 120 TUB nella versione risultante dalla modifica apportatadall’art. 25, comma 2, D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342 (vds nota 2) ed alla successiva Deliberazione CICR del 09.02.2000.
[9] V. Farina, “Le recenti modifiche ….”,op. e luogo cit., pag. 7. La differenza tra nullità sopravvenuta ed inefficacia sopravvenuta, può così delinersi con somma approssimazione: la prima opera sul piano genetico e, quindi, invalida ex post il negozio privando del titolo le prestazioni già eseguite; la seconda opera sul piano funzionale, non nega la validità del negozio e, ancorchè retroattiva sulla effettività delle obbligazioni, nei contratti di durata non travolge le prestazioni già eseguite. La letteratura è copiosa, senza presunzione di completezza rinviamo a G. Stolfi, “Teoria del negozio giuridico”, Padova, 1947; E. Betti, “Teoria generale del negozio giuridico”, Tratt. dir. civ. diretto da Vassalli, XV, Torino, 1950; G. Capozzi, “Successioni e donazioni”, Milano, II, 1982; L. Ferroni, “Principio di conservazione e salvezza del negozio nullo”,in L. Ferroni (a cura di) Le nullità negoziali (di diritto comune, speciali e virtuali), Milano, 1998; A. Gentili, “Le invalidità”, in E. Gabrielli (a cura di), I contratti in generale, II, in Trattato dei contratti diretto da P. Rescigno ed E. Gabrielli, Torino, 2006; A. Palazzo, “Atti gratuiti e donazioni”, in I singoli contratti,in Tratt.dir.civ. diretto da R. Sacco, Torino, 2000; P. Rescigno, “Manuale del diritto privato italiano”, Napoli, 1977; V. Roppo, “Il contratto”, in Tratt. Dir. Priv. a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, 2001; D. Rubino, “La compravendita”, in Tratt.dir.civ. e comm. diretto da A. Cicu e F. Messineo, II, Milano, 1962; F. Santoro Passarelli, “Dottrine generali del diritto civile”, Napoli, 2002; R. Scognamiglio, “Contributo alla teoria del negozio giuridico”, Napoli, 1969.
[10] Cass. civ. 03.07.2013, n. 16620
[11] Corte Costituzionale 17.10.2000, n. 425
[12]Cass. civ. 07.07.2006, n. 15563
[13] Cass. civ. 03.03.2009, n. 5044
[14] Corte Costituzionale 27.06.1997, n. 204
[15] A. Di Majo, “La nullità”, in A. DiMajo, G.B.Ferri, M.Franzoni, L'invalidità del contratto, la nullità, l’annullabilità, in Trattato di diritto privato diretto da M. Bessone, Torino, 2002.
[16] Cass. civ. 26.01.2006, n. 1689
[17] Cass. civ. 31.01.2006, n. 2006
[18] Per l’inefficacia sopravvenuta Cass. civ. 25.02.2005, n. 4093 e, più di recente, Cass. civ. 11.01.2013, n. 602 (nonchè la coeva n. 603, medesimo relatore, entrambe con motivazioni, per il vero, poco esplicite); Contra: Cass. civ. 25.09.2013, n. 21885.
[19] Artt. 2033 e segg. cod. civ. (c.d. condictio indebiti), che, appunto, regolano specifiche fattispecie di obbligazioni "quasi ex contractu".
[20] La prescrizione (art. 2934 c.c.) è norma di ordine pubblico inderogabile (art. 2936 c.c.), che opera sul piano sostanziale, risolvendosi, sul piano processuale, in una eccezione in senso stretto, non rilevabile d’ufficio (2938 c.c.).
[21] La stessa funzione della prescrizione estintiva è svolta nell’ordinamento dalla c.d. prescrizione acquisitiva o usucapione (art. 1158 c.c.) e, con particolare riguardo alla nullità del negozio trascritto, dalla tutela accordata come conseguenza della eseguita formalità (art. 2652, comma 1, n. 6, cod. civ.)
[22] Cass. civ. 09.04.1984, n. 2262 “Il momento iniziale del termine di prescrizione decennale per il reclamo delle somme indebitamente trattenute dalla banca a titolo di interessi su un’apertura di credito in conto corrente (nella specie: perché calcolati in misura superiore a quella legale senza pattuizione scritta), decorre dalla chiusura definitiva del rapporto, trattandosi di un contratto unitario che dà luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi, sicché è solo con la chiusura del conto che si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti tra loro”. La stessa sentenza, peraltro, statuisce altresì che “Il pagamento spontaneo di interessi in misura ultralegale, pattuita invalidamente, costituisce adempimento di obbligazione naturale e determina l'irripetibilità della somma così pagata, ma l'indicato presupposto non ricorre nel caso di una banca che abbia proceduto all'addebito degli interessi ultralegali sul conto corrente del cliente per sua esclusiva iniziativa e senza autorizzazione alcuna da parte del cliente medesimo”, principio anche recentemente ribadito da Cass. civ. 30.05.2008, n. 14481, secondo cui “Il debitore che abbia pagato spontaneamente interessi superiori al tasso legale non pattuiti per atto scritto, a norma dell'art. 1284 cod. civ., non può ripeterne l'importo, dovendo tale pagamento essere qualificato come adempimento di un'obbligazione naturale”.
[23]Cass. Sez. un. civ. 02.12.2010, n. 24418.
[24]Il principio di diritto è il seguente: “..se, dopo la conclusione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisce per far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di prescrizione decennale cui tale azione di ripetizione è soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati”.
[25] Il credito è immediatamente esigibile per la previsione dell’art. 1183 c.c. e dell’art. 1852 c.c.. Quest’ultimo, prevedendo che il correntista possa disporre in qualsiasi momento delle somme risultanti a suo credito, considera il credito risultante dal saldo giornaliero sempre esigibile, ma, perché ciò possa essere, altrettanto immediatamente esigibili devono considerarsi sia le annotazioni a credito che quelle a debito, cosicchè anche l’eventuale saldo che mostri somme dovute alla banca sarà sempre esigibile: l’esigibilità, con conseguente natura solutoria delle rimesse, è affermata dalla Suprema Corte, soprattutto nella giurisprudenza relativa alla revocatoria fallimentare: ex plurimis Cass. civ. 20.12.2007, n. 26823; Cass. civ. 09.07.2005, n. 14470; Cass. civ. 01.10.2002, n. 14087; Cass. civ. 9.11.2007, n. 23393; Cass. civ. 20.05.1997, n. 4473; Cass. civ. 17.12.1994, n. 10869; Cass. civ. 23.6.1994, n. 6031.
[26] Se l’eliminazione degli addebiti illegittimi dal conto dovesse determinare saldi attivi per il correntista, la ripetizione dovrà riguardare i successivi addebiti illegittimi operati dalla Banca (e non più le rimesse) fino alla concorrenza del precedente saldo attivi e la prescrizione decorrerà dalla data di ogni singolo addebito. in sostanza si determina una situazione di deposito di denaro del cliente dal quale la Banca preleva illegittimamente somme mediante scritturazioni in uscita: ciò configura lo “spostamento patrimoniale” che qualifica l’annotazione come pagamento (si leggano anche le seguenti pagine 17 e 18).
[27] Quanto al contenuto della eccezione di prescrizione, Tribunale di Torino G.U. Dott. E. Astuni, 13.11.2014, n. 7212, reperibile in www.expartecreditoris.it, con massime a cura del Prof. A. Dolmetta, ha recentemente ritenuto sufficiente che sia richiesta “la prescrizione di tutte le rimesse annotate sul c/c anteriormente al decennio”, con ciò essendo stati adeguatamente individuati “l’oggetto dell’eccezione (ogni singola rimessa annotata), sia il dies a quo di decorrenza, consistente nella data di esecuzione”, rappresentando “un inutile formalismo, contrario al principio di sintesi ed economia di mezzi, pretendere che la banca (ed essa sola!) trascriva nel corpo dell’atto in cui esercita l’eccezione data, importo, ecc. di tutte le rimesse annotate ante decennio (...) ve ne saranno alcune ripristinatorie (per le quali l’eccezione è bensì ammissibile ma infondata nel merito), altre solutorie (rispetto alle quali l’eccezione di prescrizione è ammissibile e fondata (…) l’eccezione può essere sovrabbondante, destinata a parziale rigetto, ma non è certo generica o indeterminata”.
[28] Così Roberto Marcelli “Ripetizione dell’indebito nei rapporti bancari. Criteri applicativi della sentenza della Cassazione S.U. n. 24418/10”, pag. 6 e segg., che si può leggere su www.assoctu.it, il quale richiama, per il principio generale, Cass. 28.09.1991, n. 10149 e in nota 10 successive conformi.
[29] Mario Libertini, voce “Interessi”, in Enciclopedia del Diritto, XXII, pag. 108 ss., Milano, 1972.
[30] Cass. civ. 25.11.2003, n. 17945 esprime questo principio trattando del deposito bancario: “L'obbligo di corrispondere interessi sulle somme depositate in banca, a norma degli artt. 1834 e 1835 c.c., non è legato all'esigibilità del credito restitutorio, ma discende dalle regole del deposito irregolare e del mutuo, cui questo è a tal fine assimilabile (artt. 1782 e 1815 c.c.): trattandosi, quindi, di interessi connaturati al mero fatto che le somme depositate siano poste nella disponibilità della banca depositaria, essi spettano al depositante per tutto il tempo in cui tale situazione perduri. Da tanto deriva che l'intervento di un vincolo esterno alla restituzione (pignoramento o sequestro) non incide sulla causa giuridica da cui deriva il debito per interessi, perché quel vincolo impedisce al depositante di richiedere nell'immediato alla banca depositaria la restituzione di dette somme, ma non le rende "medio tempore" indisponibili per la banca medesima.”; sulla traditio nell’apertura di credito vds. Cass. civ. 09.09.2004, n. 18182 “Nel contratto di apertura di credito bancario, la semplice annotazione in conto corrente della somma messa a disposizione del cliente non concretizza l’ipotesi della tradizione simbolica, idonea e sufficiente a realizzare l’estremo della consegna, e il vero rapporto obbligatorio, in ragione del quale l’accreditante può dirsi creditore dell’accreditato, sorge soltanto al momento ed a causa del prelievo della somma messa a disposizione”
[31] Si riporta il testo dei primi due commi dell’art. 7 delle N.B.U. come lo leggo nelle “Norme che regolano i conti correnti di corrispondenza e servizi connessi” dell’allora Banco di Roma, atto registrato presso l’Ufficio del Registro Atti Privati di Roma il 21.06.1985 al n. C/31749: “(1) I rapporti di dare ed avere vengono chiusi contabilmente, in via normale, a fine dicembre di ogni anno, portando in conto gli interessi e le commissioni nella misura stabilita, nonché le spese postali, telegrafiche e simili e le spese di tenuta e chiusura del conto ed ogni eventuale altra, con valuta data di regolamento. (2) I conti che risultino, anche saltuariamente, debitori vengono invece chiusi contabilmente, in via normale, trimestralmente e cioè a fine marzo, giugno, settembre e dicembre applicando agli interessi dovuti dal correntista e alle competenze di chiusura valuta data di regolamento del conto, fermo restando che a fine anno a norma del precedente comma, saranno accreditati gli interessi dovuti dall’azienda di credito e operate le ritenute fiscali di legge.”
[32] Testo tratto da un contratto del 2012: “2) I rapporti di dare ed avere relativi al conto corrente, sia esso debitore o creditore, vengono regolati, con identica periodicità trimestrale e cioè fine marzo, giugno, settembre e dicembre di ogni anno), portando in conto – con valuta data regolamento operazione - gli interessi e le commissioni nella misura pattuita, nonché le spese postali, telegrafiche e simili e le spese di tenuta e chiusura del conto ed eventuali altre, nonché applicando le trattenute fiscali di legge.”. In un coevo contratto di apertura di credito del medesimo Istituto si prevede che “ad ogni affidamento si applicano le norme e condizioni che regolano il servizio di conto corrente i servizi ad esso connessi, già sottoscritto dal cliente…”.
[33] Per i contratti bancari, prima della Legge 17.02.1992 n. 154 e del D.Lgs. 01.09.1993 n. 385 vigeva il principio della libertà di forma (Cass. 24.06.2008, n. 17090). Solo a seguito delle predette normative si è richiesta la forma scritta ad substantiam. Questa nuova previsione, peraltro, non è retroattiva (Cass. civ. 18.09.2003, n. 13739; Cass. civ. 20.08.2003, n. 12222), per cui i contratti conclusi precedentemente senza la forma scritta restano validi (Cass. civ. 20.08.2003, n. 12222) e possono essere provati con la produzione degli estratti conto. Anche nel regime previgente, però, la convenzione degli interessi extra legali doveva rivestire, ex art. 1284 cod. civ., forma scritta a pena di nullità. Quando non era rispettata la forma scritta il contratto veniva integrato ex lege dal 3° comma dell’art. 1284, che riconosce gli interessi legali. Poiché questa nullità e relativa integrazione risalgono all’origine del rapporto, i contratti di conto corrente sorti prima della L. 154/1992 e D.Lgs 385/1993 sono regolati al tasso legale dall’origine alla loro conclusione, in assenza di pattuizioni scritte di interessi extra legali intervenute medio tempore.
[34] In difetto di prova la nullità delle clausole non potrà essere dichiarata: così Tribunale Latina – Giudice Raffaele Tuccillo - Sentenza n. 1012 del 16.5.2013.
[35] Cass. Sez. un. civ. 02.12.2010, n. 24418; Conforme Cass. civ. 15.01.2013, n. 798.
[36] Tribunale Torino, G.U. Dott. E. Astuni, 13.11.2014, n. 7212, cit..
[37] l’inesistenza della causa solvendi, di norma, è mero antecedente logico della domanda di ripetizione e non anche oggetto di autonoma domanda di accertamento (negativo), ma se con la domanda di ripetizione di indebito si propone anche quella di nullità, il difetto di causa solvendi diverrà anch’esso oggetto del processo.
[38] Cass. civ. 30.08.2013, n. 19992; Cass. civ. 28.06.2012, n. 10868; Cass. civ. 14.05.2012, n. 7501; Cass. civ. 11.11.2010, n. 22872; Cass. civ. 9.08.2010, n. 18483; Cass. civ. 13.11.2003, n. 1146; Cass. civ. 23.08.2000, n. 11029 e numerose precedenti conformi. Solo apparentemente sembra contrastare questo principio Cass. civ. 17.07.2008, n. 19762, la quale, invece, in materia previdenziale, effettua unicamente una ricognizione della ripartizione dell’onere probatorio in relazione “al criterio di natura sostanziale relativo alla posizione delle parti riguardo ai diritti oggetto del giudizio, laddove, appunto, grava su chi invoca la ripetizione dell’indebito l’onere di dimostrare non solo l’esecuzione del pagamento, ma anche la mancanza di una causa che lo giustifichi” anche se costui è convenuto per l’accertamento della insussistenza del suo diritto alla ripetizione. Cass. civ. 20.01.2011, n. 1228 aggiunge che “il pensionato, ove chieda quale attore, l’accertamento negativo della sussistenza del suo obbligo di restituire quanto percepito, ha l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto alla prestazione già ricevuta ovvero l’esistenza di un titolo che consenta di qualificare come adempimento quanto corrispostogli.”
[39] Cass. civ. 14.5.2012, n. 7501, con riferimenti.
[40]Cass. civ. 02.12.2010, n. 24418.
[41] Cass. civ. 26.02.2014, n. 4518; Contra, in consapevole dissenso, Tribunale Mantova 03.05.2014, reperibile in internet nel sito www.expartecreditoris.it.
[42] Aldo Angelo Dolmetta, “Prescrizione della ripetizione di rimesse solutorie: onere e vicinanza della prova”, p. 6 e ss.: si legge in internet con data 15.07.2014 nel sito www.IlCaso.it, Articoli. L’Autore, per negare la presunzione di natura tout court ripristinatoria delle rimesse in conto corrente, valorizza condivisibilmente la fattispecie dello “sconfinamento” come “strumento proprio e caratteristico dell’operatività bancaria … concorrente (o nel caso alternativa) a quello della concessione dell’apertura”, riconosciuto, con riferimento agli interessi, dalla regolamentazione esecutiva della legge 108/1996, nel Testo Unico Bancario (artt. 117bis, 121, 125octies) e definito con precisione dal Decreto 30.06.2012 del Ministro dell’Economia, emesso per delega di legge contenuta nel comma 4 dell’art. 117bis del TUB, come modificato dall’art. 1, co. 1quater, convertito, con modificazioni, dalla L. 18.05.2012, n. 62 . A ciò si può aggiungere che la pluridecennale giurisprudenza della Suprema Corte, formatasi in tema di revocatoria fallimentare di rimesse su conto corrente bancario (vds. nota 25), ha sempre affermato che esse si presumono di natura solutoria, salvo che il convenuto (nella specie la Banca) non alleghi e provi l’esistenza di un contratto di apertura di credito o altro patto utile a superare detta presunzione.
[43] Così Cass. civ. sez. un. 02.12.2010 n. 24418, ma anche Cass. civ. 15.01.2013, n. 798.
[44] Naturalmente, se nessuna delle parti allega la sussistenza di un contratto di apertura di credito, questo non sarà oggetto della causa, su di esso non si determinerà contraddittorio e, pertanto, il giudizio dovrà essere definito non considerandolo in alcun modo, qualificando come solutorie le rimesse in conto (vedi anche nota 39).
[45] F. P. Luiso, “Diritto processuale civile”, VII ed.,Volume I, Milano, 2013, p. 261; F. Busoni, “L’onere della prova nella responsabilità del professionista”, Milano, 2011, pp. 79 ss.
[46] Giudice di Pace di Tropea, 23 Luglio 2010, reperibile in internet all’indirizzo http://www.ricercagiuridica.com/sentenze/sentenza.php?num=3483.
[47] Artt. 2214 ss. cod. civ.; art. 39 DPR n. 633/1972; art. 22 DPR n. 600/1973.
[48] Cass. civ. 22.3.2012, n. 4564; Cass. civ. sez. un. 2.12.2010, n. 24418; Tribunale Civile di Milano, VI^ sezione, Giudice Margherita Monte, Sent. 04.08.2014, reperibile in internet nel sito www.dirittobancario.it;
[49] Cass. civ. 10.5.2007, n. 10692.
[50] Cass. civ. 25.11.2010, n. 23974 e Cass. civ. 26.1.2011, n. 1842.
[51] Cass. civ. 02.08.2012, n. 13907.
[52] Cass. civ. 16.06.2005, n. 12963.
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