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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 30/04/2020 Scarica PDF
Leibniz e il mutuo feneratizio con ammortamento "alla francese" a rata fissa
Alfonso Quintarelli, Avvocato in RomaSommario: 1. Premessa; 2. Gli interessi; 3. Il mutuo; 4. L’ammortamento “alla francese”; 5. Appendici
1. Il Prof. Lamberto Cattabriga[1], uno dei maggiori matematici italiani del ‘900, soleva dire che se un giorno avesse trovato qualche paradosso usando gli assiomi di Zermelo-Fraenkel[2], non avrebbe gettato via il calcolo delle derivate e degli integrali, avrebbe gettato via gli assiomi cercandone altri. Quando ci si trova di fronte ad un problema, come si usa dire oggi, di giurimetria[3], ovvero quando il diritto necessita di essere assistito dalla scienza matematica (o informatica), la prima questione da porsi è quali siano gli assiomi giuridici, che si pongono come condizioni dei calcoli; solo dopo averli individuati, con Leibniz[4] si potrà dire: «Quo facto, calculemus!»[5]. L’argomento da trattare, pertanto, richiede che siano esaminate le norme ed i principi che presiedono agli interessi, al mutuo ed al suo ammortamento: solo dopo potranno proporsi calcoli con essi coerenti.
2. La definizione degli interessi[6] come «frutti civili», che si trova nell’art. 820, comma 3, cod. civ., ripete quella dell’art. 444, comma 3, del precedente codice civile del 1865[7], che, a sua volta, la mutuava dall’art. 584 del Code Napoléon[8].In disparte dalla immagine metaforica («frutti») “riconducibile ad una sensibilità sistematica (...) profondamente condizionata dal modello interpretativo dei diritti reali, che riconduce al concetto naturalistico di frutto sia quei beni che derivano dalla gestione economica della cosa madre, sia quei beni che derivano dalla gestione attuata mediante lo svolgimento di un’attività giuridica”[9], il legislatore del 1942 (come anche il precedente) “non ha sentito il bisogno di precisare la nozione, facendo affidamento sulla diffusione e sulla univocità della nozione tradizionale”[10]. Da parte sua, la dottrina più risalente del nostro paese, ha proposto varie definizioni, tutte riferite ai profili strutturali dell’obbligazione, tra le quali, la seguente, si segnala perché riassume i più condivisi caratteri essenziali: “prestazioni accessorie, omogenee rispetto alla prestazione principale, che si aggiungono ad essa per effetto del decorso del tempo e che sono commisurate ad una aliquota della stessa”[11]. Come cennato, questa definizione non esplica il profilo funzionale e il fondamento giuridico degli interessi, che, invece, l’art. 820 cod. civ., valorizzando la funzione economica, individua nel “corrispettivo del godimento che altri ne abbia” (del capitale)[12]. L’accessorietà dell’obbligazione per interessi rispetto all’obbligazione del capitale si risolve e si specifica nel rilievo che, di norma[13], essa non può sorgere autonomamente e, quindi, “la decorrenza degli interessi inizia solo col sorgere dell’obbligazione principale e cessa con l’estinzione della stessa”[14]. Peraltro, subito dopo la genesi per gemmazione dal capitale, l’obbligazione per interessi è obbligazione pecuniaria autonoma, che è oggetto di proprie e specifiche previsioni legislative[15], così come può essere oggetto di specifiche convenzioni tra le parti[16]. L’autonomia giuridica della obbligazione per interessi si apprezza anche nella norma che tratta dell’anatocismo (art. 1283 cod. civ.), la quale prevede che gli interessi producano interessi e non, come pur avrebbe potuto essere, che gli interessi si trasformano in capitale che produce interessi. Questa norma, anzi, ci pare tra gli indici più sicuri che l’ordinamento non consente alcuna confusione o promiscuità tra interessi e capitale, salvo, ovviamente, diversa speciale disposizione di legge (ad es.: artt. 1823 e segg. cod. civ., in ragione del particolare meccanismo ivi previsto; art. 120, co. 2, let. b), n. 2), TUB, come novellato dal D.L. n. 18/2016, convertito con modificazioni nella L. n. 49/2016), oppure diversa previsione negoziale delle parti[17].
L’anatocismo considerato nel codice, inoltre, si riferisce al solo rapporto tra creditore e debitore e la sua limitazione a specifiche ipotesi si giustifica, fin da tempi risalenti, con l’esigenza di tutelare la posizione del debitore, che generalmente non è in grado di “farsi a priori l’idea dei suoi risultati disastrosi”[18], evitando pericoli di usura inconsapevole[19]. L’anatocismo vietato dalla legge civile, quindi, si verifica quando creditore e debitore prevedano anticipatamente, oppure posticipatamente, ma con riguardo ad interessi dovuti per meno di sei mesi, che gli interessi generati dal capitale finanziato restino nella disponibilità del debitore e, a loro volta, siano produttivi di interessi. Ovviamente “nulla quaestio (…) se gli interessi vengono tempestivamente corrisposti e determinano una rendita finanziaria nelle mani del creditore”[20], perché, in questo caso, il debitore non è più esposto al rischio di inconsapevole aumento esponenziale della sua posizione debitoria.
Lo schema dell’anatocismo può essere così rappresentato:
1° anno: Capitale + Interessi;
2° anno: Capitale + Interessi del secondo anno + Interessi sugli interessi del primo anno;
3° anno: Capitale + Interessi del terzo anno + Interessi sugli interessi del primo anno + Interessi sugli interessi del primo anno generati il secondo anno + Interessi sugli interessi del secondo anno;
e così via[21].
Le norme generali che trattano del sorgere dell’obbligazione di interessi sono gli artt. 1282 e 1224 cod. civ.. Esistono, poi, diverse altre norme del codice civile che se ne occupano con riguardo a specifiche fattispecie[22]. Non è questa la sede per approfondire i rapporti tra le due regole generali sulla produzione degli interessi[23], essendo sufficiente ricordare che per l’art. 1282 cod. civ. il credito liquido[24] ed esigibile[25] produce interessi di diritto a prescindere dalla mora del debitore. Sulla scorta di una categorizzazione risalente alla relazione al codice civile, agli interessi c.d. corrispettivi (art. 1282 cod. civ.) e moratori (art. 1224 cod. civ) si è soliti affiancare anche gli interessi compensativi, il cui sorgere è collegato alla sola liquidità del credito, prescindendo dalla sua esigibilità e dalla mora[26]. Gli interessi così sorti, a mente dell’art. 821, comma 3, cod. civ., si acquistano de die in diem: con linguaggio evocativo del fenomeno naturale dei frutti delle piante si suole anche dire che gli interessi maturano, espressione che segnala come gli interessi distaccati dal capitale che li ha generati sono acquistabili separatamente[27]. Dopo la genesi e l’acquisto, si pone la questione di quando l’obbligazione per interessi scade e debba essere adempiuta. In dottrina sono state prospettate più soluzioni: i) la scadenza andrebbe collegata con la periodicità usata per computare gli interessi (annuale, semestrale, ecc.)[28]; ii) la scadenza, in difetto di usi diversi, andrebbe riferita all’anno[29]; iii) la scadenza coinciderebbe con l’acquisto degli interessi[30]. A noi pare che la generata autonoma obbligazione pecuniaria per interessi, quando sia certa e liquida e non sussistano previsioni convenzionali riguardanti la sua esigibilità, sia soggetta, come tutte le obbligazioni, alla specifica regola generaleper il tempo dell’adempimento dettata dall’art. 1183, comma 1, cod. civ. (quod sine die debetur statim debetur)[31]. L’autonomia dell’obbligazione e la presenza di questa specifica previsione che regola il fenomeno non consentono l’operatività del principio accessorium sequitur principale[32]. Ciò comporta che l’obbligazione per interessi, mancando diverse previsioni normative o pattizie, scade ed è esigibile man mano che gli interessi stessi si generano e vengono acquistati. L’ultima previsione da considerare riguardo agli interessi è quella per cui, concorrendo le due distinte e autonome obbligazioni per capitale e per interessi, parimenti esigibili, non sarà consentito estinguere il debito per interessi prima del debito per capitale senza il consenso del creditore (art. 1194 cod. civ.)[33].
3. Il mutuo[34] si perfeziona con la consegna della somma mutuata e non con la concorde volontà delle parti (art. 1813 cod. civ.). Il mutuatario diviene proprietario del denaro o delle altre cose date a mutuo (art. 1814 cod. civ.) e deve restituire al mutuante “altrettante cose della stessa specie e quantità” (art. 1813 cod. civ.) nel termine previsto nel contratto (art. 1816 cod. civ.) o, in difetto, fissato dal giudice (art. 1817 cod. civ.). Nel mutuo feneratizio il termine si presume fissato anche a favore del creditore (art. 1816 cod. civ., che deroga l’art. 1184 c.c.). La restituzione “delle cose mutuate” può essere prevista in unica soluzione o mediante rate (art. 1819 cod. civ.) e il mutuante può chiedere “secondo le circostanze, l’immediata restituzione dell’intero” se il mutuatario non adempie al pagamento “anche di una sola rata” (art. 1819 cod. civ.). Salva contraria espressa volontà delle parti, il mutuatario “deve corrispondere gli interessi al mutuante” sulle somme date a mutuo, che, se non diversamente convenuto, si computano al tasso legale (art. 1815, comma 1, cod. civ.): l’eventuale convenzione di un tasso d’interesse superiore al legale necessiterà della forma scritta ad substantiam (art. 1284 cod.civ.). Se “il mutuatario non adempie l’obbligo del pagamento degli interessi, il mutuante può chiedere la risoluzione del contratto” (art. 1820 cod. civ.). Queste disposizioni qualificano il mutuo come contratto reale naturalmente (non essenzialmente) oneroso. In deroga all’art. 1282 cod. civ., gli interessi sono dovuti sulla somma mutuata fin dalla sua consegna, nonostante essa non sia ancora esigibile[35]. Gli artt. 1815 (“il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante”) e 1820 cod. civ. (“se il mutuatario non adempie l’obbligo del pagamento degli interessi …) impongono al mutuatario di pagare gli interessi che maturano. Queste previsioni si distinguono dalle altre norme che trattano di interessi compensativi (artt. 1499 e 1825 cod. civ.), le quali dispongono unicamente che gli interessi “decorrono” sul capitale inesigibile. La peculiarità delle disposizioni riguardanti il mutuo è rilevante, perché la semplice decorrenza/maturazione degli interessi non implica l’esigibilità dell’obbligo di pagamento[36], mentre la previsione dell’obbligo di pagamento presuppone necessariamente (oltre alla maturazione) l’esigibilità e, quindi, la debenza dell’obbligazione: nel mutuo, pertanto, gli interessi che sono generati dal capitale mutuato (inesigibile) sono immediatamente esigibili. D’altra parte, questa immediata esigibilità[37] degli interessi è coerente con la ratio della previsione degli interessi sulle somme mutuate, che generalmente si riconosce nel mantenimento dell’equilibrio economico tra i contraenti[38]. Questo fine sarebbe vanificato se non fosse prevista l’immediata esigibilità degli interessi, perché si attribuirebbe così al mutuatario un vantaggio di liquidità che altererebbe l’equilibrio economico tra i patrimoni, che, invece, è proprio ciò che si intende tutelare[39]. Il conseguimento di questo scopo, peraltro, è nella disponibilità delle parti, che sono quindi libere di modularlo secondo i loro specifici interessi, prevedendo scadenze diverse: quando ciò non accade, però, torna ad applicarsi la norma generale. E’ per queste ragioni che la violazione dell’obbligo dell’immediato pagamento degli interessi (art. 1815 cod. civ.) viene sanzionata con la possibilità per il mutuante di risolvere il contratto (art. 1820 cod. civ.). C’è da osservare che l’art. 1820, diversamente dall’art. 1819, che tratta di restituzione del capitale, non vincola la possibilità di risoluzione alle circostanze[40], e, così, sembrerebbe segnalare, addirittura, una maggiore cogenza dell’obbligo del pagamento degli interessi rispetto al capitale. Peraltro, poiché la previsione dell’art. 1820 cod. civ. “va considerata come una normale applicazione del rimedio previsto in generale dall’art. 1453 c.c.”, si deve convenire “che per farsi luogo alla risoluzione si richiederà in ogni caso (…) un inadempimento di non scarsa importanza”[41].
4. L’art. 1819 cod. civ. prevede la “restituzione rateale delle cose date a mutuo”, con ciò riferendosi alla rateazione del solo capitale, sia nel mutuo gratuito, che nel mutuo feneratizio: questa, d’altra parte, è la principale prestazione contrattuale del mutuatario[42]. Ne consegue, che nella restituzione rateale del mutuo, la prima operazione che viene all’attenzione è la individuazione delle porzioni di capitale che via via sono restituite con le rate. Una volta stabilito ciò, si conoscerà, ad ogni rata, il residuo capitale sul quale computare gli interessi per il tempo intercorrente sino alla rata successiva e che saranno da pagare insieme a questa[43]. Gli interessi da pagare insieme alle rate per la restituzione del capitale saranno agevolmente ed univocamente determinabili come nel seguente esempio:
t1 : I1 = C0it;
t2 : I2 = (Ct0-C1)it;
t3 : I3 = (C0-C1-C2)it;
e così via[44].
Il complesso delle operazioni di modulazione delle rate di restituzione del capitale e calcolo degli interessi sul capitale via via residuo da corrispondere insieme alle rate di capitale, forma il piano di ammortamento del debito complessivo[45]. Risulta evidente che gli interessi che maturano sul capitale in ogni singola frazione temporale non partecipano mai a costituire il capitale che produce interessi per la successiva frazione temporale, per cui è escluso alla radice che vi sia produzione dell’anatocismo come definito nel codice civile[46]. Questo è vero sia che la dinamica di restituzione del capitale preveda rate costanti, sia che preveda rate via via di maggiore o minore importo. Quando le parti di capitale restituite ad ogni rata sono via via crescenti (con correlativo capitale residuo di maggior importo rispetto al caso di quote capitali costanti o decrescenti) si è in presenza del c.d. metodo di «ammortamento francese»[47], dove, come in ogni tipo di ammortamento: i) gli interessi maturano e scadono con riferimento ad un capitale diverso in ogni singola frazione temporale e sono calcolati per quella sola frazione temporale[48]; ii) gli interessi maturati e scaduti con riferimento al capitale della precedente frazione temporale non partecipano mai a costituire il capitale del finanziamento per il calcolo degli interessi nelle successive frazioni temporali, per cui, come detto, non si verifica il fenomeno degli interessi che producono interessi successivi (anatocismo). La graduazione della restituzione rateale del (solo) capitale non incontra alcuna limitazione nelle regole che presiedono al mutuo, salvo quella che deve sempre esistere una dilazione temporale tra la consegna della cosa mutuata e la sua restituzione. Considerato quanto appena sopra detto sulla modalità del calcolo degli interessi sul capitale residuo, è intuitivo che una diversa intensità nella restituzione del capitale porta con sé, necessariamente, un maggiore o minore complessivo montante interessi. Ad esempio, tra le infinite ipotesi possibili, consideriamo le seguenti due diverse modalità di restituzione di un capitale di €10.000,00 in 4 rate annuali con interessi al tasso del 10% annuo:
a) se le rate di restituzione del capitale sono stabilite in 4.000 il primo anno; 3.000 il secondo anno; 2.000 il terzo anno; 1.000 il quarto anno, gli interessi totali da corrispondere saranno €2.000,00[49];
b) se le rate di restituzione del capitale sono stabilite in 1.000 il primo anno; 2.000 il secondo anno; 3.000 il terzo anno; 4.000 il quarto anno, gli interessi totali da corrispondere saranno €3.000,00[50].
Le due ipotesi, ma se ne potrebbero fare innumerevoli, restituiscono un montante interessi diverso tra loro e dimostrano che modificando unicamente l’intensità di restituzione del capitale, senza modificare gli altri elementi variabili (numero e periodizzazione delle rate; tasso d’interesse; modalità del calcolo degli interessi in regime semplice C·i·t sul capitale via via residuo), si modifica anche il complessivo monte interessi. Questa diversità, in matematica finanziaria, è misurata dal tasso effettivo o TIR (Tasso Interno di Rendimento) che, appunto, misura il rendimento dei flussi di cassa generati dal capitale nelle due operazioni. Il TIR, peraltro, altro non fa che indicare, a valle, la differenza di rendimento per il creditore, evidenziando unicamente, in termini assoluti o percentuali, che una delle due operazioni è più profittevole dell’altra, o, ex parte debitoris, una è più costosa dell’altra, senza dirci nulla, però, su cosa determina questa diversità di rendimento: diverso tasso di interesse; diversa periodizzazione delle rate; diversa distribuzione delle quantità di capitale rimborsato ad ogni rata; diversa modalità di calcolo dell’interesse. Considerato che “in generale il maggior costo di un contratto – nei limiti del tasso usurario – non può mai, in quanto tale, essere motivo di invalidità, nemmeno in un contesto di mercato regolato e vigilato, quale è quello bancario, ma pur sempre concorrenziale”[51], il TIR si connota come indicatore di spiccata genericità, meramente descrittivo del risultato finanziario, poco, se non per nulla utile al giurista che sia chiamato ad esprimere un giudizio di liceità o illiceità dell’una operazione di mutuo rispetto all’altra[52]: nell’esempio sopra considerato il maggior monte interessi di una ipotesi rispetto all’altra deriva da una legittima diversa intensità nella restituzione del capitale mutuato. Questo avviene anche nell’ammortamento alla francese a rata costante, che è una delle diverse possibilità di graduare la restituzione del capitale mutuato, connotata dal fatto che la progressione delle quote di restituzione del capitale deriva direttamente ed univocamente dall’imposizione simultanea di due condizioni: l’interesse deve essere calcolato sul debito residuo in regime di interesse semplice; l’importo della rata deve essere costante (si veda più avanti l’appendice A). In particolare, poi, per ottenere la rata costante, è sufficiente rendere uguali il parametro (r) della progressione geometrica di ragione (1+r) utilizzata per determinare la serie delle rate di restituzione del solo capitale, con il tasso d’interesse (i) applicato in regime di interesse semplice sui diversi capitali residui che si generano dopo ogni decurtazione: in tal modo la quota di riduzione del capitale restituisce un capitale decurtato che genera un minore ammontare di interessi pari all’aumento della decurtazione del capitale nella rata successiva (si veda più avanti l’appendice B)[53]. Questi approdi consentono di superare agevolmente l’opinione secondo la quale, nella prassi dei mutui (segnatamente bancari), quando si adotta l’ammortamento alla francese a rata fissa e non si rinviene una precisa indicazione delle regole che presiedono, in ognuna delle singole rate eguali, alla ripartizione tra quota da imputare al capitale e quota da imputare agli interessi, l’unico elemento certo sarebbe il monte interessi finale, identificabile sottraendo al totale delle rate il capitale iniziale. Questo importo, però, sarebbe possibile ottenerlo, sia calcolando l’interesse in regime semplice sul capitale via via residuo (con quote di decurtazione del capitale crescenti), sia calcolando l’interesse composto sulle quote delle rate in scadenza da imputare al capitale, avendo cura, in quest’ultimo caso, di invertire l’ordine temporale delle quote di capitale, creando quindi un andamento decrescente di esse. Le seguenti tabelle forniscono un esempio a chiarimento: nella tabella A) è esposto un ammortamento a rata costante nel quale la quota di ogni rata da imputare a capitale è via via crescente e l’interesse è calcolato in regime di interesse semplice sul capitale residuo; nella tabella B) è esposto lo stesso ammortamento a rata costante, ma l’ordine della quota di ogni rata da imputare a capitale è invertito rispetto al prospetto A) e, quindi, la quota capitale delle rate è via via decrescente: l’interesse, poi, viene calcolato in regime di interesse composto sul capitale della rata in scadenza e non sul capitale che residua nella disponibilità del mutuatario[54]:
La conclusione di questa tesi è che essendovi un dubbio su quale dei due sistemi sia stato utilizzato per raggiungere lo stesso montante complessivo degli interessi: uno lecito senza anatocismo (tabella A) e uno illecito contenente interessi anatocistici (tabella B), l’ammortamento sarebbe nullo, quantomeno per incertezza e mancata trasparenza.
Anzitutto si osservi la seguente tabella C):
Essa dimostra che adottando il piano di ammortamento del capitale con quote crescenti secondo la tabella A e calcolando su dette quote (come nella tabella B e non sul capitale residuo come nella tabella A) gli interessi in regime semplice (e non in regime composto come nella tabella B), si perde la rata costante, ma il monte interessi resta pari a 2.618,83.
Si conferma, quindi, che il monte interessi non è, di per sé, elemento univocamente conducente. Posto ciò, si deve osservare, che nella prassi, ai contratti di mutuo è generalmente allegato il piano di ammortamento sottoscritto dalle parti, nel quale sono riportate tutte le rate e ogni singola rata è ripartita individuando la quota di capitale e gli interessi maturati che essa estingue (o se si vuole: l’imputazione di una quota della rata al capitale e di una quota agli interessi). Il piano, inoltre, evidenzia quale sia il residuo capitale dopo la scadenza di ogni singola rata, che genererà gli interessi da estinguere con la rata successiva. Questo piano di ammortamento è condivisibilmente qualificato come “accordo esecutivo”[55], nel quale sono trasposti in elementi numerici le convenzioni contenute nella parte letterale del contratto, di cui, pertanto, l’allegato piano è, al contempo, negozio applicativo ed esplicativo. Ne consegue che nel caso di lacune o dubbi che interessano la parte letterale del contratto, il piano di ammortamento è idoneo a fornire tutti gli elementi necessari per colmarli o risolverli, svolgendo funzione esplicativa/integrativa. Allo stesso modo “in caso di dubbio o incompletezza del piano (…), il giudice dovrebbe svilupparlo applicando le ordinarie regole di interpretazione del contratto”[56]. Quando mancasse del tutto il piano di ammortamento, o questo non fosse sufficiente per esplicare e/o integrare la parte letterale, a mente dell’art. 1374 cod. civ. verrebbe in soccorso l’operare congiunto degli artt. 1815, 1819, 1820, 1183, 1194 cod. civ. ed i principi espressi da dette norme, che abbiamo sopra illustrato e che qui possiamo così sintetizzare: i) gli interessi maturano sull’intero capitale mutuato a prescindere dalla sua scadenza; ii) gli interessi sono da pagare (esigibili) immediatamente de die in diem, anche se non lo è il capitale che li genera, libere le parti, ovviamente, di stabilire scadenze diverse per gli interessi che maturano sul capitale mutuato che è nelle mani del mutuatario; iii) nella rateazione le parti sono libere di modulare le porzioni del capitale mutuato da restituire (rate di capitale), sia con riferimento al tempo, che al loro ammontare, rendendole così esigibili e determinando di conseguenza il residuo capitale che genererà interessi per la successiva frazione temporale; iv) in difetto di diversa previsione delle parti, ad ogni rata gli interessi maturati e scaduti sono da pagare (anche per imputazione) con priorità rispetto alla porzione di capitale in scadenza; v) il montante complessivo degli interessi, a parità di capitale erogato, cadenze temporali, tasso d’interesse e modalità di calcolo degli interessi in regime semplice, è determinato dalla intensità di restituzione del capitale, senza alcun fenomeno anatocistico. Applicando questi principi normativi difficilmente potrà immaginarsi un contratto che non possa trovare comunque una completa ricostruzione regolamentare ed esecutiva secundum legem del suo ammortamento. L’operazione per ottenere la ripartizione di ogni singola rata costante tra quota capitale e quota interessi sarebbe, invero, semplice ed agevole, applicando il seguente procedimento:
- a) calcolo degli interessi in regime semplice maturati e scaduti sul capitale finanziato fino alla scadenza della prima rata: C*i*t1 = IR1 (dove: C = Capitale mutuato; i = tasso d’interesse; t1 = frazione temporale della prima rata);
- b) applicazione dell’art. 1194 c.c. (imputazione dell’importo della rata a prioritario saldo degli interessi maturati e scaduti) con sottrazione dell’importo degli interessi al totale della rata per ricavare la parte della stessa da imputare al capitale: R t1 – It1 = RC1 (dove: R t1= prima Rata; It1 = quota interessi prima Rata; RC1 = quota capitale prima Rata);
- c) sottrazione della quota da imputare a capitale al capitale finanziato per ottenere il capitale residuo (C – RC1 = D), sul quale si effettuerà il conteggio degli interessi per la frazione temporale successiva (rata successiva);
e così via.
Rendendo con i numeri l’illustrato procedimento, immaginiamo un mutuo di €10.000,00, dove si conviene la restituzione in 4 anni con un tasso d’interesse del 10% in ragione d’anno, mediante 4 rate annuali costanti di €3.154,71 ciascuna comprensive di capitale e interessi:
- anzitutto si determinano gli interessi in regime semplice generati dal capitale mutuato nel 1° anno con l’operazione: 10.000,00 * 0,1 = 1.000,00;
- a questo punto dalla 1^ rata si sottrae l’importo degli interessi e si ottiene la parte destinata a decurtare il capitale: 3.154,71 – 1.000,00 = 2.154,71;
- si conclude sottraendo la parte capitale della prima rata all’originario capitale mutuato e si ottiene il residuo capitale da porre a base dello stesso conteggio degli interessi per il secondo anno: 10.000,00 – 2.154,71 = 7.845,29; così via, come illustrato nella seguente tabella:
Rata |
Importo Rata |
Interessi su capitale iniziale e poi residuo |
Parte rata riferita a capitale |
Capitale Residuo |
1 |
3.154,71 |
1.000,00 |
2.154,71 |
7.845,29 |
2 |
3.154,71 |
784,53 |
2.370,18 |
5.475,11 |
3 |
3.154,71 |
547,51 |
2.607,20 |
2.867,91 |
4 |
3.154,71 |
286,80 |
2.867,91 |
0 |
Pertanto, quand’anche nel contratto di mutuo non fosse contenuta una dettagliata specificazione di come sono composte le rate, ma di esse fosse indicato unicamente il numero, l’intervallo temporale tra una e l’altra e l’importo costante di ognuna, si potrà sempre ricavare un univoco ammortamento applicando le regole generali riferibili al mutuo, così come dettate nel codice civile.
Per concludere osserviamo, che quando si affronta l’argomento della esistenza o meno dell’anatocismo nell’ammortamento c.d. “alla francese”, ivi compreso quello a rata costante, si deve essere sempre avvertiti di una insanabile aporia tra diritto e matematica finanziaria, che è stata così efficacemente esposta: “è da sempre noto che l’imputazione dei pagamenti fatta prima agli interessi produce un effetto anatocistico, perché in generale contraria alla legge dell’interesse semplice che prevede o una unica capitalizzazione degli interessi al termine del periodo del finanziamento o che gli interessi non producano altri interessi” [57]. Si tratta, quindi, di una norma di legge (art. 1194 cod. civ. sull’imputazione dei pagamenti) che confligge con la “legge” della matematica finanziaria che definisce l’interesse in regime semplice. In proposito sembra banale osservare che la regola della matematica finanziaria è costruita su assiomi e per fini estranei a quelli del diritto, talché, nell’apparente contrasto tra le due, sarà la regola giuridica a prevalere. Ne consegue che la previsione convenzionale e, tanto più, legislativa, del pagamento, o dell’imputazione del pagamento, prima agli interessi e poi al capitale, non è foriera di alcun anatocismo vietato dall’ordinamento[58] e, tantomeno, di alcuna “occulta” variazione, giuridicamente apprezzabile, del tasso d’interesse (convenzionale o legale[59]).
5.[60]
Appendice A
Di seguito si dimostra che nello sviluppo di un mutuo con interesse calcolato in regime di interesse semplice sul capitale residuo, la condizione di rata costante può realizzarsi unicamente se la quota di capitale in ciascuna rata è fissata secondo una progressione geometrica di ragione pari ad 1+i, avendo indicato con i il tasso di interesse rapportato alla singola rata.
Ipotesi
1) Ciascuna rata comprende la quota di interesse ed una quota variabile di capitale;
2) L’interesse contenuto in ogni rata è calcolato in regime di interesse semplice sul capitale ancora da rimborsare al momento della scadenza della rata (capitale residuo) per ogni singola unità di intervallo temporale tra rata e rata;
3) l’importo delle rate è costante.
Definizioni:
C = Capitale iniziale,
i = tasso di interesse rapportato alla singola rata,
Cj= quota di capitalerelativa alla rata di ordine j,
Ij= interesse pagato alla rata di ordine j,
R= Cj+Ij importo totale della rata (uguale per tutte le rate).
N= numero totale di rate.
Dalle condizioni 1) e 2):
importo della prima rata:
(alla prima rata il capitale residuo è l’intero capitale);
importo della seconda rata:
importo della terza rata:
…………
importo della rata di ordine k :
Utilizzando l’ipotesi 3), imponiamo che la rata di ordine k sia uguale alla rata di ordine k-1:
sviluppando i calcoli si ottiene:
l’ultima formula esprime il fatto che la quota di capitale di ciascuna rata si ottiene dalla quota di capitale della rata precedente. Questa formula vale per ogni valore di k (numero d’ordine della rata) e quindi:
…..
in altre parole, per soddisfare le condizioni 1), 2), 3), la quota di capitale delle rate successive alla prima si incrementa secondo una progressione geometrica di ragione (1+i).
La quota di capitale C1 della prima rata si determina imponendo che la somma di tutte le quote di capitale sia pari al capitale totale:
Eseguendo la somma della progressione geometrica si ottiene:
Determinata la quota di capitale della prima rata, restano determinate le quote di capitale e le quote di interesse di tutte le altre rate e quindi anche l’importo della rata costante:
quota di capitale della generica rata di ordine k:
quota di interessi associata alla generica rata di
ordine k:
importo delle rate:
Appendice B
Ci proponiamo qui di dimostrare, che qualora le quote di capitale delle singole rate siano determinate da una progressione geometrica di ragione 1+r, la condizione di rata costante impone che il valore di r sia esattamente uguale al tasso di interesse i che viene applicato in regime di interesse semplice al capitale residuo.
Poiché la progressione con la quale viene restituito il capitale può essere arbitraria, scegliamo la regola per cui il capitale versato alla generica rata di ordine k sia legato a quello versato nella rata precedente secondo la relazione:
Questo vuol dire che le
quote di capitale restituite con le singole rate saranno:
………
Il valore della quota di capitale della prima rata,
C1, si trova imponendo che la somma di tutte le quote di capitale
delle rate sia pari al capitale originario mutuato C:
Eseguendo la somma della progressione geometrica si ottiene:
Imponiamo ora la condizione
che l’interesse da versare unitamente ad ogni rata di capitale sia calcolato,
per ogni singola unità di intervallo temporale tra rata e rata, sul debito
residuo, al tasso
Il termine tra le parentesi indica il debito residuo alla rata di ordine k: esso è infatti la differenza fra il capitale iniziale e la somma delle quote di capitale già restituite.
La rata di ordine k sarà quindi così composta:
analogamente, la rata di ordine k-1 sarà espressa come:
Verifichiamo se esiste la condizione per ottenere che le rate siano uguali, ossia:
Questa condizione si esplicita in:
Inserendo le espressioni delle singole quote di capitale, eseguendo le somme ed eliminando i termini comuni al primo ed al secondo membro, si ottiene la condizione:
In altre parole, se la quota di capitale di ciascuna rata si sviluppa secondo la progressione sopra definita con ragione (1+r), e si calcola l’interesse come interesse semplice sul debito residuo, l’importo delle rate può essere reso costante se si sceglie per il parametro r proprio il valore i del tasso di interesse.
L’importo complessivo della generica rata si ottiene come:
che inserendo l’espressione per la quota di capitale corrispondente alla prima rata e ricordando la condizione r=i, diviene:
[1] Bologna, 13 giugno 1930 – Bologna, 29 agosto 1989; Professore di analisi matematica, matematica funzionale e matematica attuariale nell’Università di Ferrara (dal 1964) e nell’Università di Bologna (dal 1974).
[2]Adolf Abraham Halevi Fraenkel (Monaco di Baviera, 17 febbraio 1891 – Gerusalemme, 15 ottobre 1965); Ernst Friedrich Ferdinand Zermelo (Berlino, 27 luglio 1871 – Friburgo, 21 maggio 1953). In logica matematica la teoria degli insiemi di Zermelo-Fraenkel comprende gli assiomi standard della teoria assiomatica degli insiemi su cui, insieme con l'assioma di scelta, si basa tutta la matematica ordinaria secondo formulazioni moderne.
[3] Il termine è coniato dal giurista statunitense Lee Loevinger (24 aprile 1913 – 26 aprile 2004), che lo utilizza nell’articolo “Jurimetrics The Next Step Forward” apparso nell’aprile 1949 sul "Minnesota Law Review", Journal of the State Bar Association, dove svolge le prime riflessioni sul rapporto tra diritto e tecnologie informatiche.
[4] Gottfried Wilhelm von Leibniz (Lipsia, 1º luglio 1646 – Hannover, 14 novembre 1716) è stato un matematico, filosofo, scienziato, logico, teologo, giurista, storico, tedesco.
[5] La frase è: «Quo facto, quando orientur controversiae, non magis disputatione opus erit inter duos philosophos, quam inter duos computistas. Sufficiet enim calamos in manus sumere sedereque ad abacos, et sibi mutuo (accito si placet amico) dicere: calculemus!»; traduciamo liberamente: Questo è il fatto, quando nasceranno controversie, non ci sarà bisogno di disputare tra due filosofi più che fra due matematici. Basterà, infatti, prendere in mano le penne e sedere davanti agli abachi e dirsi reciprocamente (se è pronto l'amico che avete chiamato): calcoliamo!
[6] L’obbligazione per interessi sarà esaminata nei limiti strettamente funzionali al presente scritto. La letteratura sugli interessi è imponente, ci sia quindi consentito rinviare, per approfondimenti e ampia bibliografia, a: Inzitari B., Interessi - Legali, corrispettivi, moratori, usurari, anatocistici, Torino, 2017; Simonetto E., Interessi, I) Diritto civile, in Enc. Giur. Treccani, XVII, Roma, 1989; Libertini M., Interessi, in Enc. Diritto, XXII, Milano, 1972.
[7] «Sono frutti civili quelli che si ottengono per occasione dalla cosa, come gli interessi dei capitali, i proventi dell’enfiteusi, dei censi, dei vitalizi ed ogni altra rendita».
[8] «Les fruits civils sont les loyers des maisons, les intérêts des sommes exigibles, les arrérages des rentes».
[9] Inzitari B., op. cit.,p. 1.
[10] Libertini M., op. cit., p. 95.
[11] Libertini M., op. loc. ult. cit., e nota 1, che la mutua da Ferrara Fr. jr., Il fallimento, Milano 1966, p. 291.
[12] Libertini M., op. loc. ult. cit., il quale segnala come, invece, fin da tempo risalente, la dottrina tedesca (come anche l’art. 820 cod. civ.), più che sull’elemento strutturale, pone l’accento sulla funzione economica, tradizionalmente riconosciuta nel “corrispettivo per l’uso di un capitale altrui”. Inzitari B., op. cit., p. 2 e 3, propone di rappresentare i caratteri dell’obbligazione “piuttosto che con il riferimento ad un ipotetico corrispettivo connesso ad un indeterminato godimento di un capitale, al «vantaggio per la liquidità monetaria», della quale ha usufruito, direttamente o indirettamente, il soggetto cui la legge impone l’obbligo di pagare gli interessi. Tale vantaggio della liquidità si manifesta, a sua volta, in quanto riconosciuto, a) nel godimento diretto di una somma che, appunto, è stata trasferita a titolo oneroso e, cioè, contro il pagamento di un corrispettivo (interessi corrispettivi nel mutuo); b) nel vantaggio conseguente al ritardo nella restituzione o, comunque, nel pagamento di una somma di danaro, dovuta, in base ad un’obbligazione restitutoria oppure risarcitoria (contrattuale o extracontrattuale) […] Sono evidenti gli elementi caratterizzanti il cosiddetto vantaggio della liquidità: alla detenzione o al mancato pagamento di una somma corrisponde un arricchimento del patrimonio valutabile in misura del presumibile costo che il soggetto che ha goduto di tale disponibilità avrebbe dovuto sopportare per acquisire la medesima disponibilità”. Per la funzione centrale dell’arricchimento del debitore nella causa degli interessi già Simonetto E., op. cit., p. 2, il quale osserva, che “a differenza dei giuristi di vecchia scuola”, la norma del nuovo codice civile “«definisce» gli interessi in modo ardito”.
[13] Cfr. Libertini M., op. cit., p. 96, per le ipotesi in cui l’obbligazione di interessi è “calcolata rispetto ad una «somma capitale» che non costituisce tuttavia oggetto di un’obbligazione”.
[14] Libertini M., op. cit, p. 132. Conforme Cass. civ., 20 settembre 1991, n. 9800, in Foro it. Rep., voce Prescrizione e decadenza, 66, per la quale “L’accessorietà dell’obbligazione degli interessi rispetto a quella principale (relativa al capitale) attiene solo al momento genetico, nel senso che la decorrenza degli interessi presuppone la nascita dell’obbligazione principale e cessa con l’estinzione di questa, e non esclude, pertanto, che una volta sorto, il credito degli interessi costituisca un’obbligazione pecuniaria autonoma da quella principale, e perciò soggetta ad un proprio termine di prescrizione, salvo le eccezioni costituite dagli interessi in materia di risarcimento del danno da fatto illecito e dagli interessi relativi a crediti di lavoro, costituenti – come per la rivalutazione monetaria – una componente dei crediti stessi”. Secondo Cass. civ., 30 dicembre 1997, n. 13097, in Contratti, 1998, p. 561, “poiché l’obbligazione di pagamento di una somma di denaro è distinta da quella di pagamento degli interessi su di essa, è possibile che il debitore rinunci alla prescrizione dell’una, senza che ciò implichi anche la rinuncia a quella dell’altra”.
[15] La specifica regolamentazione degli interessi emerge da numerose norme del codice civile, tra le quali, senza pretesa di completezza, ricordiamo: art. 506; art. 668; art. 669; art. 745; art. 768 sexies; art. 983; art. 1003; art. 1010; art. 1018; art. 1039; art. 1194; art. 1199 comma 2; art. 1207; art. 1208 n. 3; art. 1212 n. 2; art. 1224; art. 1263, comma 3; art. 1267; art. 1282; art. 1283; art. 1284; art. 1312 cod. civ; art. 1486; art. 1499; art. 1531; art. 1652; art. 1714; art. 1720; art. 1794; art. 1815; art. 1820; art. 1825; art. 1838; art. 1858; art. 1950; art. 1960; art. 1964; art. 1985; art. 2031; art. 2033; art. 2036; art. 2411; art. 2749; art. 2788; art. 2791; art. 2792; art. 2802; art. 2839 comma 2, n. 5; art. 2855; art. 2948 n. 4.
[16]. Libertini M., op. loc. ult. cit.; nello stesso senso Maffeis D., Il nuovo articolo 120 TUB e la proposta di delibera CICR della Banca d’Italia, in Riv. dir. banc., diritto bancario.it, 17, 2015, p. 2. Per Cass. civ., 22 febbraio 2017, n. 4604, in banca dati Foro it., “in tema di interessi rileva il disposto dell'art. 1282, 1° co. c.c., secondo cui i crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro producono interessi di pieno diritto, salvo che la legge o il titolo stabiliscano diversamente. L'autonomia privata può dunque prevedere che un determinato credito, pur esigibile, non produca interessi. Ma se la volontà dei contraenti può escludere il diritto agli interessi, a maggior ragione può modulare l'esercizio del diritto stesso, disponendo che gli interessi, pur maturando secondo il paradigma legale (in ragione dell'esigibilità del credito cui essi accedono), siano dovuti alla scadenza di un termine prefissato, a seguito della loro globale quantificazione”. Aderisce a questa prospettazione de Luca N., Interessi composti, preammortamento e costi occulti. Note sul mutuo alla francese e all’italiana, in Banca, Borsa, tit. cred., 2019, I, p. 381, per il quale “la legge o il titolo possono escludere la decorrenza degli interessi corrispettivi o compensativi e possono regolarne l’esigibilità”.
[17] Tradizionalmente si tendeva a sovrapporre e trattare indistintamente il fenomeno dell’anatocismo e quello della capitalizzazione degli interessi (ovvero della loro trasformazione in capitale), probabilmente sulla scorta di fonti romanistiche nelle quali l’interesse produttivo di altro interesse era qualificato come “sors efficitur” (Digesto 26, 7, 58, 4), ovvero “capitale che produce interessi”. Per la letteratura ante codice civile 1942, ex multis, cfr.: Messa G.C., L’obbligazione degli interessi e le sue fonti, Milano, 1932, p. 102; Montel A., Anatocismo, in Nuovo dig. it., I, Torino, 1937, 440; post codice 1942, ex multis, cfr.: Fedele A., Appunti in tema di anatocismo giudiziale, in Riv. dir. comm., 1952, I, p. 30; Quadri E., Le obbligazioni pecuniarie, in Tratt. Di dir. priv,. a cura di Rescigno P., IX, Torino, 1993, p. 594; Inzitari B., Interessi, in Dig. disc. priv., Sez. civ., IX, Torino, 1993, p. 594. Questa assimilazione, in tempi recenti, è stata sottoposta a condivisibile critica, che evidenzia come l’anatocismo dell’art. 1283 si configuri unicamente quando interessi generano interessi, senza alcuna confusione tra questi e il capitale che è all’origine dei primi interessi, cosicché l’anatocismo non è idoneo a modificare la natura giuridica degli interessi, che rimangono sempre interessi, con la conseguenza che ad essi si applicherà sempre e solo la disciplina degli interessi e non quella del capitale: “Secondo l’art. 1283, l’interesse tende a rimanere distinto dal capitale conservando la sua causa e a esso si applica la regola generale dell’onerosità” (Simonetto E., Interessi, I) Diritto civile, in Enc. Giur. Treccani, XVII, Roma, 1989, p. 5); “Gli interessi, quand’anche eccezionalmente, ad esempio per usi, producano a loro volta interessi non si trasformano in capitale, restando ad esempio applicabile l’art. 1194 c.c.” (Ferro-Luzzi P., Una nuova fattispecie giurisprudenziale: «l’anatocismo bancario»; postulati e conseguenze, in Giur. Comm., 2001, I, p. 18); Magni F.A., Le regole sull’anatocismo, in Il mutuo e le altre operazioni di finanziamento, a cura di Cuffaro V., Bologna, 2005, p. 134, nt. 6. E’ stato osservato che l’anatocismo è esclusivamente il fenomeno per cui interessi producono interessi, mentre la capitalizzazione indica l’assimilazione, in senso giuridico, degli interessi al capitale e quindi l’applicazione della disciplina propria del capitale alla somma di denaro che originariamente era interessi. Per dar luogo alla capitalizzazione, quindi, sarà necessario che vi sia (una specifica norma, oppure – n.d.r.) un esercizio dell’autonomia privata che ponga in essere un negozio novativo (novazione oggettiva) trasformando gli interessi in capitale. Poste queste condivisibili premesse si prosegue operando la distinzione tra capitalizzazione che non produce anatocismo (ad. es. quando gli interessi che vengono “trasformati” sono maturati su un capitale nel frattempo estinto) e capitalizzazione che lo produce e, in questo secondo caso, le convenzioni novative dovrebbero sottostare alle limitazioni poste dalla norma che lo regola (Di Pietropaolo M., Osservazioni in tema di anatocismo, in Nuova giur. civ. comm., 2001, II, p. 99 ss., le cui tesi sono condivise da Pandolfini V., La disciplina degli interessi pecuniari, Padova, 2004, p. 123 ss.). La tesi sembra contenere una intrinseca contraddizione: la sottoposizione dell’accordo novativo alle limitazioni dell’art. 1283 cod. civ., comporta che esso si risolva in un nulla di fatto, perché al novato capitale continuerebbe ad applicarsi una regola dettata, come conviene anche l’Autore, solo per gli interessi. Sarebbe forse più lineare parlare, per il caso di violazione dell’art. 1283 cod. civ., di negozio novativo elusivo (ex art. 1344 cod. civ.) della regola sull’anatocismo.
[18] Messa G. C., op. cit.,p. 102.
[19] Fedele A., Appunti cit., 31 ss.; Montel A., Anatocismo, in Noviss. Dig. It., I, Torino, 1957, p. 613 ss.
[20] de Luca N., op. cit., p. 386
[21] Per la distinzione tra anatocismo e capitalizzazione vedi nota 17. In matematica finanziaria si definisce capitalizzazione di un capitale “C” il prodotto del detto capitale C per il fattore di capitalizzazione r riferito alla durata t di una operazione finanziaria: M=Cr, dove M è il montante e l’interesse generato (I) è pari al montante meno il capitale investito. Nel regime di capitalizzazione semplice degli interessi il fattore di capitalizzazione è dato da r(t)=(1+i*t), dove i è il tasso o saggio di interesse: quindi l’interesse prodotto sarà C*(1+i*t)–C, ovvero interesse(I)=C*i*t, con conseguente incremento direttamente proporzionale degli interessi rispetto al capitale investito, che può rappresentarsi come una funzione lineare del tempo; nel regime di capitalizzazione composta il fattore di capitalizzazione è dato da r(t)=(1+i)t e, quindi, per gli interessi avremo C*(1+i)t-C, con conseguente rapporto di incremento geometrico degli interessi rispetto al capitale investito, che può rappresentarsi come una funzione esponenziale del tempo. La distinzione tra i due regimi sta in ciò: i) nel regime di capitalizzazione semplice gli interessi sono corrisposti in unica soluzione insieme al capitale finanziato alla scadenza per la restituzione di esso ed è solo in questo momento che si “capitalizzano”, ovvero si rendono disponibili al creditore come capitale da investire insieme al capitale finanziato in nuove successive operazioni finanziarie per ottenere altri interessi; ii) nel regime di capitalizzazione composta, gli interessi sono corrisposti in una o più soluzioni prima che il capitale finanziato che li ha generati venga restituito e, quindi, a differenza degli interessi semplici, si rendono disponibili al creditore come capitale da investire per il tempo intercorrente tra la loro corresponsione e la restituzione del capitale che li ha generati al fine di ottenere altri interessi, i quali ultimi, a loro volta, potranno essere reinvestiti (e così via). E’ interessante osservare, che in un periodo unitario di tempo, a parità di capitale e tasso di interesse, il regime di capitalizzazione composta produce interessi direttamente proporzionali al capitale iniziale come il regime di capitalizzazione semplice, per l’intuitiva ragione che l’esponente del fattore di capitalizzazione del regime composto sarà uno. Sui regimi di capitalizzazione degli interessi in matematica finanziaria sia consentito rinviare, per tutti, a Cacciafesta F., Lezioni di matematica finanziaria classica e moderna, Torino, 2013. L’anatocismo vietato dal codice civile coinciderà con il regime dell’interesse composto, come definito in matematica finanziaria, nel solo caso in cui gli interessi generati dal capitale in determinate frazioni temporali siano lasciati nella disponibilità dello stesso debitore finanziato con convenzione anteriore che preveda che essi producano ulteriori interessi; quando, invece, gli interessi generati dal capitale in determinate frazioni temporali sono pagati o considerati tali per imputazione, l’ordinamento civile valorizza l’adempimento dell’obbligazione senza attribuire alcun significato giuridicamente rilevante all’utilizzo che il creditore farà di quel pagamento. Questa stessa evenienza, invece, nella matematica finanziaria è ricompresa nel regime composto degli interessi, perché, in tal caso, la scienza finanziaria adotta l’assioma che il creditore (operatore finanziario accorto) riutilizzerà gli interessi percepiti per effettuare una nuova operazione finanziaria che genererà altri interessi.
[22] Limitandoci al solo codice civile, segnaliamo, senza presunzione di completezza: art. 669 (legato); artt. 983, 1005, 1009, 1010 (usufrutto); 1224 (mora nelle obbligazioni); 1267 (cessione del credito); 1282 (obbligazioni pecuniarie); 1486 (evizione); 1499 (prezzo della vendita di cosa fruttifera); 1652 (affitto a coltivatore diretto); 1714 e 1720 (mandato); 1815 mutuo); 1825 (conto corrente); 1950 (fideiussione); 2031 (gestione d’affari); 2033, 2036 (indebito).
[23] Sul punto rinviamo ad un recente scritto, dove anche esaustivi riferimenti di dottrina e giurisprudenza: Fornaciari M., Obbligazioni pecuniarie, ritardo, mora del debitore e interessi, in Bove M. (a cura di), Scritti offerti dagli allievi a Francesco Paolo Luiso per il suo settantesimo compleanno, Torino, 2017, p. 205 ss.
[24] Per liquidità del credito si intende “la determinazione del suo ammontare in una quantità definita, o la sua determinabilità mediante meri calcoli aritmetici in base ad elementi o criteri prestabiliti dal titolo o dalla legge”: così, ex multis, Cass. civ., 29 novembre 2006, n. 25365, in banca dati Foro it. In dottrina: Bianca C.M., Diritto civile, IV, L’obbligazione, Milano, 1990, p. 183.
[25] Il credito è esigibile quando non è sottoposto a condizione sospensiva o termine e, pertanto, il creditore può pretenderne il pagamento: cfr. Bianca C.M., Diritto civile, IV, L’obbligazione, Milano, 1990, p. 184.
[26] Relazione del Ministro Guardasigilli Grandi al Codice Civile del 1942, n. 570: “Gli interessi compensativi, i quali prescindono dalla mora del debitore (interessi moratori) ed anche dalla semplice scadenza del debito (interessi corrispettivi) appaiono in taluni casi specificamente previsti (articoli 1499, 1815, 1825)”. Il fondamento della tripartizione è stato discusso in dottrina, dove si trovano impostazioni differenti: Bianca C.M., Dell’inadempimento delle obbligazioni. Art. 1218-1229, in Commentario al codice civile, a cura di Scialoja-Branca, Libro quarto, Delle obbligazioni, Bologna-Roma, 1967, p. 285 s.; Id., Diritto civile, IV, L’obbligazione cit., p. 177 ss.; Giorgianni M., L’inadempimento. Corso di diritto civile, Milano, 1959, 132 ss.; Libertini M., Interessi cit., in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, p. 97,98; Scozzafava O.T., Gli interessi monetari, Napoli, 1984, 6 ss. e 71 ss.
[27] Il terzo comma dell’art. 821 cod. civ. regola l’acquisto dei frutti civili in deroga a quanto previsto dal primo comma per i frutti naturali (che si acquistano con la separazione) ed assume rilievo per il caso che vi sia successione di più titolari nel diritto: Fragali M., Del Mutuo cit., p. 356 s.; Gazzoni F., Manuale di diritto privato, VI ed., Napoli, 1996, p. 192; De Martino F., Beni in generale, in Scialoja A – Branca G. (a cura di), Commentario del Codice Civile, Della Proprietà, art. 810 – 956, Bologna-Roma, 1968, p. 62 (sub art. 821); Sganga C., Dei beni in generale, art. 810 - 821, in Il codice civile – Commentario, fondato da Schlesinger P., diretto da Busnelli D., Milano 2015, p. 390 (sub art. 821), dove si espone con chiarezza che “mentre nel caso dei frutti naturali la separazione è causa di perfezionamento della fattispecie acquisitiva, nel caso dei frutti civili l’acquisto si ha nel momento in cui la prestazione è dovuta, mentre la regola di default dettata dalla norma codicistica prevede solo il metodo, liberamente derogabile dalle parti, di divisione delle utilità tra proprietario e titolare del diritto di godimento”.
[28] Bianca C.M., Diritto civile cit., p. 175, per gli interessi convenzionali.
[29] Simonetto E., I contratti di credito cit., p. 261 s.; Id., Interessi cit., p. 3, che argomentando dall’art. 1284 cod. civ., ragguaglia in ragione d’anno gli interessi legali (si potrebbero aggiungere l’art. 2839, comma 2, n. 5, in materia di ipoteca e l’art. 2948 in tema di prescrizione – n.d.r.); Dolmetta A.A. – Perrone A., Risarcimento dei danni da inadempimento di obbligazioni e anatocismo, in Banca, borsa, tit. cred., 1999, II, 419; Scozzafava O.T., Gli interessi monetari, Napoli, 1984, p. 25 ss.; Inzitari B., Interessi, in Dig. disc. priv., Sez. civ., cit., p. 594; Ascarelli T., Obbligazioni pecuniarie, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, p. 589; Fragali M., Del mutuo. Art. 1813-1822, in Scialoja A – Branca G. (a cura di), Commentario del Codice Civile, Bologna – Bologna-Roma, II ed., 1966, p. 357, sub art. 1815.
[30] Messa G. C., L'obbligazione degli interessi e le sue fonti, Milano, 1911, p. 72 s.; Mosco L., I frutti nel diritto positivo, Milano 1947, p. 71; Marinetti G., Interessi (diritto civile), in Noviss. Dig. It., VIII, Torino, 1962, p. 862; Libertini M., op. cit., p. 124, nt. 129, che prospetta la tesi intermedia secondo cui occorrerebbe distinguere tra interessi legali, con scadenza giornaliera e interessi convenzionali, con scadenza annuale, senza però giustificare adeguatamente questa opzione.
[31] “L'adempimento dell'obbligazione pecuniaria, ai sensi degli artt. 1182, terzo comma, e 1183 cod. civ., si perfeziona nel luogo e nel tempo in cui il creditore entra in concreto nella disponibilità della somma di denaro” (Cass. civ,. 10.07.2008, n. 18877, in banca dati Foro it.); “La natura pecuniaria dell'obbligazione e l'elementarità delle modalità di esecuzione della prestazione legittimano il creditore a pretendere "immediatamente" il pagamento della somma concordata, ai sensi dell'art. 1183 cod. civ.” (Cass. civ., 23.05.1986, n. 3460, in Foro it., 1986, I, 2142); “Il creditore (…), in mancanza della determinazione del tempo dell'adempimento, può, di norma, esigere immediatamente la prestazione (art. 1183 cod. civ., primo comma, prima parte)” (Cass. civ., 23.05.1994, n. 5021, in banche dati giurisprudenza Leggi d’It.); “La prestazione per la quale non è prefisso alcun termine di adempimento è immediatamente esigibile, dovendosi applicare, ai sensi dell'art. 1183 cod. civ., la regola secondo la quale «quod sine die debetur statim debetur»” (Cass. civ., 16.01.2006, n. 687, in banca dati Foro it.); “In tema di adempimento dell'obbligazione contrattuale, la mancata previsione di un termine entro il quale la prestazione debba essere consensualmente eseguita autorizza il creditore ad esigerla immediatamente” (Cass. civ., 06.07.2009, n. 15796, in banca dati Foro it.; Cass. civ., 11.09.2010, n. 19414, in banca dati Foro it.). L’ipotesi che una scadenza immediata degli interessi potrebbe fornire uno strumento vessatorio al creditore, adombrata da un autore nei primi anni “50 dello scorso secolo (Simonetto E., I contratti cit., p. 261 s.), è stata ritenuta, a ragione, infondata e non realistica (Libertini M., op. cit., p. 124, nt. 129). La concreta prassi degli affari, diversa da quella posta in essere dagli operatori professionali tra loro, che si è andata dipanando nei decenni successivi alla manifestazione di quella preoccupazione, ha mostrato come i contraenti, giovandosi della autonomia negoziale, nella pressoché totalità dei casi derogano la regola della immediata esigibilità degli interessi, prevedendo scadenze convenzionali con termini molto più lunghi (mese, trimestre, semestre, anno, etc.). In ogni caso, nella esecuzione del contratto, opererebbero i limiti imposti dalla buona fede e dalla correttezza e, nella risoluzione, quello dell’importanza dell’inadempimento.
[32] Sembrano propendere per la mutuazione dall’obbligazione principale della scadenza dell’obbligazione di interessi: de Luca N., op. cit., p. 389, dove afferma “se è vero che l’esigibilità degli interessi dipende di norma da quella del capitale e, pertanto, non può pretendersi l’interesse maturato in relazione a quote di capitale non ancora esigibili (…)”;Marcelli R., Ammortamento alla francese: quando la scienza vien piegata a negar se stessa, in www.altalex.com/documents/ news/2018/11/02/ammortamento-alla-francese-quando-la-scienza-vien-piegata-a-negar-se-stessa#_ftn29. Questa opzione interpretativa, però, sembra adottata senza tener conto dell’autonomia dell’obbligazione per interessi, dell’art. 1183 cod. civ. e della sussidiarietà del principio di accessorietà. Sul principio di accessorietà nell’ordinamento civile: Ceolin M., Sul concetto di accessorietà nel diritto privato, Torino, 2017.
[33] La stessa regola è ribadita negli artt. 1960 (anticresi), 2791, 2792, 2802 (pegno), del codice civile.
[34] La trattazione del contratto di mutuo sarà svolta richiamando gli approdi della dottrina e della giurisprudenza, aggiungendo e rendendo evidenti, dove opportuno, le considerazioni di chi scrive. Sul mutuo, in generale: Simonetto E., I contratti di credito, Padova, 1953, rist. 1994; Carresi F., Il comodato. Il mutuo, in Tratt. Vassalli, VIII-2, Torino, 1954; Grassani A., Mutuo (dir. civ.),in Nss.D.I., X, Torino 1964, 1049 ss.; Fragali M., Del mutuo. Art. 1813-1822, in Scialoja A – Branca G. (a cura di), Commentario del Codice Civile, Bologna – Bologna-Roma, II ed., 1966; Giampiccolo G., Comodato e mutuo, in Tratt. Grosso-Santoro Passarelli, Milano, 1972; Giampiccolo G., Mutuo (dir. priv.), in Enc. dir., XXVII, Milano, 1977, 444 ss.; Barbieri E.M., Il mutuo, in Napoletano V.-Barbieri E.M.-Novità M., I contratti reali, in Giur. sistem. comm. Bigiavi, Torino, 1979, 3 ss.; Zimatore A., Il mutuo di scopo. Problemi generali, Padova, 1985; Teti, R., Il mutuo, in Tratt. dir. priv. diretto da P. Rescigno, XII, t. IV, Torino, s.d., ma 1985, 641 ss.; Simonetto E., I contratti bancari a funzione creditizia, in Arch. civ., 1985, 1201 ss.; Rispoli Farina M., Il mutuo di scopo, in Tratt. Rescigno, XII, t. IV, Torino, s.d., ma 1985, 691 ss.; Simonetto E., Mutuo: I. disciplina generale, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, 1 ss.; Mazzamuto S., Mutuo: II. mutuo di scopo, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, 1 ss.; Teti R., In tema di consegna nel mutuo, in Banca borsa e tit. cred., 1996, 45 ss.; Teti, R., Ancora sulla consegna nel mutuo, in Banca borsa, 1996, 145 ss.; Rispoli Farina M., Il nuovo credito fondiario, Napoli, 1999;. Nivarra L., Romagno G.W., Il mutuo, Milano, 2000; Visalli N., La promessa di mutuo nell'ambito della teoria del contratto reale, in Riv. dir. comm., 2001, 63 ss.; Buzzelli D., Mutuo usuraio e invalidità del contratto, Torino, 2001; Clarizia R., I contratti per il finanziamento dell'impresa: il mutuo di scopo, Torino, 2002; Fausti P.L., Il mutuo, in Tratt. dir. civ. Cons. Naz. Not., Napoli, 2004; Teti R., Il mutuo, in Tratt. Rescigno, XII, t. IV, II ed., Torino, 2007, 589 ss.; Viotti S., I nuovi strumenti giuridici di modifica dei contratti di mutuo, in Giur. merito, 2008, 3084 ss.; Frattarolo V., Iorio E., Il mutuo nella giurisprudenza, Milano, 2009; Cristofari R., Del mutuo, in Cendon, P., a cura di, Commentario al codice civile. Artt. 1766-1881 - Deposito - Comodato - Mutuo - Conto corrente - Contratti bancari, Milano, 2009, 237 ss.; Cassano G., a cura di, Il mutuo. Il sistema delle tutele, Padova, 2009; Aggio T., Sul mutuo di scopo convenzionale, in Riv. notariato, 2009, 445 ss.; Fauceglia G., Del mutuo, nel Commentario del Codice civile diretto da E. Gabrielli, Dei singoli contratti (artt. 1803-1860), a cura di D. Valentino, v. III, Torino, 2011, 113 ss.; Cafaro R.-Pagliaro P., Il contratto di mutuo, Milano, 2011; Natali A. I., Il contratto di mutuo, Milano, 2012.
[35] Si tratta, quindi, come segnalato nella Relazione al Codice Civile (vd. nota 26) di interessi compensativi, che, fermo il comune fondamento della “naturale fecondità del denaro” con gli interessi previsti dall’art. 1282 cod. civ., se ne distinguono perché sono dovuti per crediti non esigibili: altre ipotesi di questo tipo di interessi sono il prezzo inesigibile della vendita e consegna di un bene fruttifero (art. 1499 cod. civ.) e le rimesse sul conto corrente c.d. “ordinario” (art. 1825 cod. civ.). La ragione della deroga alla previsione dell’art. 1282 cod. civ. nel mutuo è generalmente riconosciuta nella tutela dell’equilibrio economico tra i contraenti, con conseguente compenso attribuito al cedente per il mancato godimento dei frutti della cosa consegnata (cfr.: Camardi C., Mutuo bancario con piano di ammortamento “alla francese”, nullità delle clausole sugli interessi e integrazione giudiziale, in Banca, borsa tit. cred., II, 2015, p. 56). Per Cass. civ., 30.10.2018, n. 27442, in Foro it., 2019, I, 2134: “Chi dà a mutuo una somma di denaro legittimamente esige un interesse, perché deve essere compensato della privazione di un bene fruttifero (il capitale)”. Già il legislatore del codice civile del 1865 (artt. 1829, 1830 e 1831 cod. civ. 1865) delineò la disciplina del contratto di mutuo, quale più pratico tra i contratti di scambio, secondo le dottrine economiche più moderne del tempo, in cui il capitale assolve la sua funzione socio-economica come fattore di moltiplicazione di sé stesso in base al tempo d'impiego e, quindi, come generatore di frutti ad esso del tutto peculiari: gl'interessi. Nel nuovo sistema del codice, gli interessi hanno funzione corrispettiva nelle obbligazioni pecuniarie e funzione compensativa nei contratti di scambio, cioè in tutte quelle pattuizioni cui le prestazioni reciproche devono avvenire contemporaneamente, onde essi assumono in tali casi funzione compensativa, per il creditore, del mancato godimento dei frutti della cosa da lui consegnata all’altra parte prima di riceverne la controprestazione (così, sostanzialmente, Cass. civ., 12.04.1990, n. 3110, in banche dati giurisprudenza Leggi d’It., alla quale rinviamo anche per la lucida e completa ricostruzione storica). Da ultimo, Dolmetta A. A., All’essenza della nullità di protezione: l’operatività «a vantaggio». Per una critica costruttiva di Cass. SS.UU., n. 28314/2019, in Rivista di Diritto Bancario, 2020, 1, 1, p. 104, riconosce nell’art. 1815 cod. civ. l’espressione prescrittiva del "principio della c.d. naturale fecondità del danaro".
[36] de Luca N., op. cit., p. 380.
[37] Per la scadenza-esigibilità dell’obbligazione di interessi si veda sopra nel testo.
[38] Vedi nota 35.
[39] Pagare in futuro rispetto ad oggi determina l’acquisizione del vantaggio del minor valore della moneta futura rispetto all’attuale e consente di utilizzare le somme non corrisposte per ottenere da esse un lucro. Si è discusso se la norma si riferisca alla ipotesi di mutuo con previsione di restituzione del capitale in unica soluzione al termine convenuto, oppure alla ipotesi di mutuo che preveda la restituzione rateale del capitale finanziato (per l’ipotesi del riferimento alla restituzione del capitale in unica soluzione: Teti R., Il mutuo cit., p. 640; per l’ipotesi del riferimento ai mutui con restituzione rateale: Fragali M., op. cit., p. 438 - implicitamente). A parere dello scrivente, la funzione della disposizione suggerisce che la fattispecie contemplata è quella in cui la restituzione del capitale sia prevista in unica soluzione a termine e gli interessi, invece, sono da pagare in una o più soluzioni nel tempo intercorrente tra la consegna del capitale e la sua restituzione. Alla luce dell’art. 1194 cod. civ., che non consente al debitore di pagare gli interessi prima del capitale senza il consenso del creditore, infatti, sembrano difficilmente sostenibili le diverse ipotesi di: i) mancato pagamento di tutti gli interessi insieme al capitale alla scadenza per la restituzione di quest’ultimo in unica soluzione; ii) mancato pagamento della sola quota interessi di una o più rate di ammortamento, nelle quali, oltre agli interessi, è compresa anche una parte che restituisce una quota di capitale. Sarebbe, invero, ben strano riconoscere al mutuante, che ha consentito al mutuatario di estinguere il capitale (o porzione di esso) prima degli interessi (scaduti) e, quindi, di non pagare gli interessi, il diritto di risolvere il contratto perché il mutuatario … non ha pagato quegli stessi interessi.
[40] Giampiccolo G., Mutuo cit., p. 469, “ossia, per quanto sembrerebbe, al criterio di un esercizio conforme a buona fede e probabilmente, quindi, anche qui al requisito di una certa gravità dell’inadempimento”.
[41] Giampiccolo G., Mutuo cit., p. 468.
[42] Simonetto E., Mutuo cit., p. 3 e s.
[43] Il pagamento degli interessi maturati alla scadenza delle rate di restituzione del capitale è dovuto, o perché è stabilito dalle parti, oppure, in difetto, perché, scadendo gli interessi de die in diem (artt. 1815, 1820 e 1183 cod. civ.), nel momento in cui viene a scadenza la rata relativa alla porzione del capitale il pagamento effettuato dal mutuatario, per la previsione dell’art. 1194 cod. civ., sarà da imputare prima agli interessi e poi al capitale: ovviamente, prima della scadenza della prima rata il capitale residuo coinciderà con il capitale finanziato.
[44] In sono gli interessi maturati e da pagare sul residuo capitale dopo la precedente rata; C0 è il capitale iniziale; Cn sonole quote capitale di ogni rata.
[45] Sorrentino A., Ammortamento, in Noviss. Dig. It., I, Torino, 1965, p. 577, “la parola ammortamento ha vari significati (…) il più comune è quello di estinzione graduale dei debiti” e, quindi, così lo definiva: “stabilito il termine durante il quale il debito deve essere soddisfatto, ed i periodi di tempo (anno, semestre, ecc.) per il pagamento delle singole rate, si calcola il relativo interesse a scalare, ed ognuna delle rate (che diconsi annualità, semestralità, ecc.) viene ad essere comprensiva di capitale e interessi. (…) Di solito i piani di ammortamento sono formati con rate annuali di importo uguale (piani di ammortamento ad annualità costante): la quota interessi, in ognuna di esse compresa, viene mano a mano a diminuire in relazione alla graduale riduzione della sorte capitale, effetto del pagamento dell’altra parte di rata. Di conseguenza il rapporto fra i due elementi che compongono le singole rate varia continuamente, e la riduzione della sorte avviene in modo progressivo”. Recentemente (Colangelo G., Mutuo, ammortamento «alla francese» e nullità, in Foro it., 2014, I, 1247) si è voluto distinguere tra piano di ammortamento, che servirebbe a “quantificare quanta parte di ciascuna, singola rata rimborsa il capitale originariamente mutuato e quanto interesse ne paga”, e piano di rimborso, che servirebbe “a stabilire quante rate, di quale entità e con quale cadenza temporale servano, ad un tempo, a rimborsare una somma e remunerarla degli interessi corrispettivi”, in quanto “è l’interesse che scaturisce dalla somma delle rate, detta montante, in rapporto al capitale prestato, a determinare il tasso effettivo” secondo la duplice relazione Monte Interessi=somma delle rate (montante)-capitale mutuato; tasso d’interesse=monte interessi/capitale. Ci pare che la distinzione sia di scarsa utilità quanto alla determinazione del tasso d’interesse dell’operazione, perché nei mutui con restituzione rateale, ad ogni rata varia il capitale (residuo) a disposizione del mutuatario che genera gli interessi, per cui non è chiaro quale dei diversi capitali, ognuno dei quali persiste solo tra una rata e l’altra, sia da porre al denominatore della frazione tasso d’interesse=monte interessi/capitale. Solo nel caso di mutuo con restituzione del capitale in unica soluzione alla scadenza quel procedimento restituisce un valore univoco, ma non è questa la fattispecie di cui ci stiamo occupando.
[46] Si veda sopra nel testo.
[47] È questo l’elemento distintivo dell’ammortamento alla francese e non, come si suole affermare, la rata costante, che è solo una delle possibili applicazioni di questo metodo.
[48] Vedi nota 21 sulla coincidenza, in un periodo unitario di tempo, degli interessi calcolati con il regime semplice e con il regime composto.
[49]1.000 per il primo anno (capitale 10.000); 600 per il secondo anno (capitale residuo 6.000); 300 per il terzo anno (capitale residuo 3.000); 100 per il quarto anno (capitale residuo 1.000).
[50] 1.000 per il primo anno (capitale 10.000); 900 per il secondo anno (capitale residuo 9.000); 700 per il terzo anno (capitale residuo 7.000); 400 per il quarto anno (capitale residuo 4.000).
[51] Camardi C., op. cit., p. 53.
[52] In senso diverso: Marcelli R., Pastore A.G., Valente A., Ammortamento alla francese. Il regime composto e l’anatocismo: il genus finanziario e la species giuridica, in I Contratti, VI, 2019; Provenzano D., Alla ricerca di una sintesi tra matematica e diritto nell’analisi del fenomeno anatocistico nel contratto di mutuo con ammortamento alla francese stilato secondo il regime finanziario della capitalizzazione composta. (Nota a Trib. Torino 30 maggio 2019), in www.il Caso.it, 21.11.2019; Corte d’Appello di Campobasso 05.12.2019, n. 412, reperibile in www.assoctu.it; Tribunale di Napoli, 13 febbraio 2018, n. 1558, inedita, di cui riferisce de Luca N., op. cit., p. 376 e nt. 10. Queste ultime decisioni sono in qualche modo tributarie, ci pare, di un apporto in dottrina di qualche anno or sono (Colangelo G., op. cit.) e di un ancora precedente (isolata) giurisprudenza di merito (Tribunale di Bari, Sez. dist. Rutigliano, 29.10.2008, in Foro it., Rep. 2009, voce Mutuo, n. 27; per esteso in Contratti, 2009, p. 221, con nota Maccarrone A, Capitalizzazione trimestrale degli interessi nei mutui. Massima in Giur. Merito, 2009, p. 82, con nota Tedesco G. – Silvestri M., Sulla pretesa non coincidenza fra il tasso espresso in frazione d’anno e il tasso annuo nel rimborso rateale dei prestiti secondo il metodo «francese»). In queste posizioni dottrinali e giurisprudenziali ci sembra assumere ruolo decisivo l’approccio matematico-finanziario a discapito del prioritario inquadramento giuridico. Si percepisce una inversione di effettività tra regole giuridiche e postulati della matematica finanziaria e, quindi, una impropria “giuridicizzazione” di questi ultimi, nonostante essi siano elaborati ed adottati in una scienza diversa, sulla base di presupposti e per scopi che non coincidono con quelli dell’ordinamento civile. Quest’ultimo in tema di interessi, anatocismo, pagamenti e mutuo, come abbiamo argomentato, contiene tutte le regole necessarie e sufficienti per risolvere la questione della giuridica esistenza o meno dell'anatocismo nell'ammortamento alla francese, salvo l’ausilio di un poco di matematica (anche senza l’aggettivo finanziaria).
[53] Ci pare, che pur in un contesto di severa critica all’ammortamento alla francese, affermino quanto sostenuto nel testo, Marcelli R., Pastore A.G., Valente A., Ammortamento alla francese. Il regime composto e l’anatocismo: il genus finanziario e la species giuridica, in I Contratti, VI, 2019, p. 5, nt. 6 dell’estratto, quando segnalano che “Ancorché si riscontri un uso promiscuo del termine alla francese, a rigore, con tale ammortamento i padri storici della scienza della finanziaria solevano individuare i piani nei quali ricorrono tre condizioni: i) rata costante; ii) ammortamento graduale, in regime finanziario composto; iii) interessi della rata calcolati sul debito residuo”. Orbene, secondo questa descrizione il capitale mutuato è restituito con ”ammortamento graduale in regime finanziario composto”, oppure, che è la stessa cosa, mediante rate che seguono una progressione geometrica, mentre gli “interessi della rata (sono) calcolati sul debito residuo” in regime semplice: ma questo non è nient’altro che, come ci siamo provati di dimostrare, uno dei possibili ammortamenti consentiti dalle disposizioni del codice civile che regolano il mutuo e gli interessi.
[54] Marcelli R., Pastore A.G., Valente A., Ammortamento alla francese cit., p. 13. C’è da segnalare che le due ipotesi sono eguali, oltre che per il montante interessi, anche per il debito residuo per capitale e interessi. Infatti, il debito residuo della tabella B) è solo apparentemente inferiore: in realtà, poiché nel caso di chiusura anticipata del mutuo il mutuatario sarebbe tenuto a corrispondere anche l’interesse composto sul debito residuo, le due soluzioni sono del tutto equivalenti dal punto di vista numerico.
[55] Camardi C., op. cit., pp. 54 e 55.
[56] Camardi C., op. loc. ult. cit.
[57] Colangelo G., op. cit., c. 1248. L’Autore aggiunge che sin dal XIX secolo (Cassano A., Elementi di algebra, Palermo, 1833, p. 277) era noto che “l’ammortamento a scalare, o a scaletta o annuité, comunemente denominato «francese» (e modellato come abbiamo visto, sull’imputazione prima agli interessi ex art. 1194 c.c.), comporta l’anatocismo … «sotto la condizione dell’obbligo di pagare in fin di ogni unità di tempo gli interessi semplici del capitale già maturati»”. La necessaria conseguenza da queste premesse è che ogni piano di ammortamento di un mutuo, con qualsiasi metodologia predisposto (francese, italiana, tedesca, americana), qualora preveda il pagamento anticipato degli interessi generati dal capitale rispetto al pagamento del capitale che li ha generati, incorre in “anatocismo”. Se non intendiamo male è proprio questa la tesi dell’Autore, il quale ritiene che anche “l’ammortamento a quote di capitale costante” (o all’italiana) “è informato alla legge dell’interesse composto (…) quindi è tautologico chiedere se il piano di ammortamento a quote di capitale costante sia scevro dall’anatocismo. Esso, ovviamente, non può esserne depurato”. Nel senso che in ogni ammortamento "a) si puo concettualmente distinguere la modalità di rimborso con pagamento del montante alla scadenza, da quella di ammortamento progressivo con pagamento periodico degl'interessi; lo "ammortamento francese" non e che un caso particolare di questa seconda, caratterizzata per un aspetto rilevante solo dal punto di vista aritmetico-contabile; b) nelle forme ad ammortamento progressivo, e pressoché standard (ma non obbligatorio!) che, mentre il rimborso del capitale avviene secondo il piano stabilito, il debitore paghi periodicamente gl'interessi, via via maturati sul debito ancora residuo. Questo riconduce per se entro l'ambito dell'interesse composto", cfr. Cacciafesta F., In che senso l'ammortamento alla francese (e non solo esso) dia luogo ad anatocismo, in notizie di Politeia, XXXI, 120, 2015, p. 32. Senonché, come abbia cercato di dimostrare, questa fattispecie non determina alcun «anatocismo» previsto dal codice civile, ma, al più, l’interesse in regime composto, come definito in matematica finanziaria (Cacciafesta F., op. loc. ult. cit., come professore di matematica finanziaria, si dice avvertito che "Non e nelle nostre competenze concludere se quanto osservato sub b) sia sufficiente a dichiarare illegittima, secondo il nostro attuale ordinamento, la forma di ammortamento "francese"; ci sentiamo pero di affermare che, in base ad a), se questa è giudicata fuori legge, lo stesso vale per una grande varietà di contratti di prestito in uso oggigiorno", e il paradosso finale ci pare significativo). Cacciafesta F., Ammortamento "francese": un argomento inconcludente, in www.altalex.com/documents/news/2019/07/30, segnala opportunamente il pericolo di “manipolazione algebrica che, seppure corretta, porta ad un risultato vuoto di significato”.
[58] Colangelo G., op. cit., c. 1249, svolge una riflessione sul rapporto tra l’art. 1284 e l’art. 1194 cod. civ., ritenendo, con ardita opzione interpretativa, che esista un rapporto gerarchico tra le due norme, nel quale la seconda è subordinata alla prima. L’Autore, infatti, si chiede se l’efficacia della regola dell’imputazione dei pagamenti possa estendersi “sino ad ottenere una surrettizia maggiorazione del tasso, che deve essere «determinato per iscritto» ai sensi dell’art. 1284 c.c.” e conclude sostenendo “che nell’indicare il tasso convenuto le parti devono tenere conto dell’incidenza che la modalità prescelta per l’imputazione dei pagamenti ha sui costi e, in definitiva, sul tasso”. Questa opinione, anzitutto, non tiene in debito conto che l’art. 1284 cod. civ. si occupa del “saggio degli interessi”, sia legali (comma 1), che convenzionali (comma 3), ragguagliato “in ragione d’anno” e non anche del pagamento degli interessi determinati con il saggio legale o convenzionale in ragione d’anno: la norma si limita a fissare il saggio legale e prescrivere la determinazione per iscritto del saggio convenzionale, entrambe in ragione d’anno (ad esempio, del 3, 5, 8, 10 per cento in ragione d’anno), mentre restano estranei al suo perimetro, sia la scadenza, che la modalità di pagamento degli interessi calcolati con quel saggio, così come gli eventuali risvolti finanziari collegati a questi ultimi. Inoltre, in disparte dal fatto che questa tesi sembra sottintendere la primazia dei postulati della matematica finanziaria rispetto a quelli del diritto, a noi pare, come abbiamo già esposto nel testo, che essa equipari il costo complessivo dell’operazione finanziaria (misurato dal Tasso di Rendimento Interno – TIR) al tasso d’interesse dell’operazione convenuto tra le parti. Questa equiparazione non è giuridicamente corretta, perché, come si è visto, il costo dell’operazione finanziaria (o montante interessi, o TIR) può essere determinato da molteplici fattori oltre che dal tasso d’interesse: importo del finanziamento, tempo del rimborso del capitale e intensità della restituzione del capitale. A parità di tasso d’interesse e tempi di rimborso, il montante interessi varierà in funzione dell’importo finanziato a disposizione del mutuatario, per cui, se in un dato tempo l’importo finanziato sarà maggiore in una certa operazione rispetto ad un'altra operazione, il costo (montante interessi) della prima sarà maggiore, senza che ciò riverberi in alcun modo sul tasso. Ciò che varia e determina il costo dell’operazione è unicamente l’importo finanziato a disposizione del mutuatario, che nei piani di ammortamento è restituito dalla intensità di restituzione del capitale. Il maggiore o minore costo di una operazione finanziaria rispetto ad un’altra, in ragione della diversa intensità di restituzione del capitale, non incontra alcun impedimento nell’ordinamento civile e, dal punto di vista giuridico, non determina alcun anatocismo e non incide in alcun modo sull’interesse legale o convenzionale dell’operazione.
[59] Infatti, a seguire la esposta tesi, anche il tasso legale determinerebbe un TIR maggiore, con la conseguenza che in tal caso dovrebbe considerarsi violata anche la misura del tasso predeterminato dalla legge. La questione, per il vero, non è nuova ma si è posta già negli anni “60 e “70 dello scorso secolo con riguardo alle modalità di pagamento dell’indennizzo e dei relativi interessi dovuti dall’ENEL alle Società nazionalizzate, stabilite dall’art. 6 della L. 06.12.1962, n. 1643, nei seguenti termini “Sulle somme dovute a titolo di indennizzo sarà corrisposto l'interesse del 5,50 per cento a decorrere dal 1° gennaio 1963. Il pagamento dell'indennizzo e degli interessi sarà effettuato in 20 semestralità eguali con inizio dal 1° gennaio 1964”. Orbene fu posto il problema se il tasso d’interesse delle rate semestrali andasse corrisposto nella misura della metà aritmetica di quello stabilito ad anno (2,75%) oppure del 2,713193%, così scontando il pagamento anticipato di parte degli interessi al semestre anziché alla fine dell’anno. Orbene, a fronte di una giurisprudenza di merito divisa tra l’una o l’altra soluzione, la Suprema Corte, con la pronuncia a Sezioni Unite del 23.09.1974, n. 3797 (in Foro It., 1975, I, 330 ss.), così si espresse “La previsione della scadenza semestrale attiene alla cosiddetta «debenza» degli interessi, non alla «spettanza»; gli interessi vanno corrisposti cioè in scadenze semestrali, ma vanno pur sempre computati in percentuale annua. Il versamento semestrale non costituisce anticipazione, cui debba corrispondere uno «sconto», come è affermato nella sentenza impugnata. Al contrario gli interessi, che in linea di principio sono dovuti, come si è detto, giorno per giorno, vengono ad essere corrisposti a scadenza posticipata, al temine della maturazione semestrale. La disposizione che prevede l’eguaglianza dell’ammontare delle rate semestrali non induce a derogare all’applicazione della regola, giacché la parificazione ben può essere compiuta proporzionando opportunamente l’ammontare del capitale all’ammontare degli interessi in scadenza, senza che ciò richieda una diminuzione del debito di interessi”. L’ultima proposizione, a ben vedere, non fa altro che (involontariamente) descrivere il meccanismo alla base dell’ammortamento alla “francese”, che ci siamo provati ad esplicitare nel testo.
[60] Per i calcoli delle appendici sono debitore del Prof. Nicola Spinelli, già Ordinario di Fisica Sperimentale dell'Università di Napoli "Federico II".
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