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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 30/12/2013 Scarica PDF

La proposta conciliativa del giudice ex art. 185 bis c.p.c.

Francesco Toschi Vespasiani e Franco Pagani, Francesco T. Vespasiani, avvocato in Firenze. Franco Pagani, vice presidente nazionale dell’Associazione dei Periti e degli Esperti


1. Considerazioni generali ed inquadramento normativo

L’art. 84 del d.l. 21 giugno 2013 n.69, convertito dalla legge 9 agosto 2013 n.98, ha apportato varie modifiche al testo originario del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, che regolamentava l’istituto della mediaconciliazione, tra le quali l’introduzione di un nuovo art. 185-bis c.p.c., intitolato “proposta di conciliazione del giudice”, secondo il quale «il giudice, alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l'istruzione, formula alle parti ove possibile, avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia e all'esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, una proposta transattiva o conciliativa. La proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice».

Intendiamo soffermarci sinteticamente, in queste note, su questo istituto, evidenziando in questa sede che esso si differenzia in modo netto [2] dall’altra previsione (introdotta sempre dalle sovracitate norme) secondo cui «il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, puo' disporre l'esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l'esperimento del procedimento di mediazione e' condizione di procedibilita' della domanda giudiziale anche in sede di appello. Il provvedimento di cui al periodo precedente e' adottato prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non e' prevista, prima della discussione della causa. Il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6 e, quando la mediazione non e' gia' stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione». Questaprevisione fa riferimento, comunque, ad un vero e proprio procedimento di mediaconciliazione autonomo e distinto dal giudizio in essere, anche se delegato dal giudice[3], che si differenzia nettamente dall’istituto regolato dall’art. 185 bis c.p.c., il quale fa riferimento ad una mera conciliazione giudiziale in relazione alla quale gli scriventi condividono a pieno la scelta legislativa di incentivarne le potenzialità applicative. Pur non essendo questa la sede per approfondire l’argomento in modo puntuale, rileviamo che in effetti è prevedibile un più probabile ricorso da parte del giudice all’istituto di cui all’art. 185 bis c.p.c. piuttosto che alla media-conciliazione delegata, in quanto, come è stato rilevato: «è quasi inevitabile ritenere assai remota la possibilità che il giudice possa delegare a terzi l’esperimento del tentativo di conciliazione, qualora si avveda, autonomamente o su segnalazione dei difensori, di una disponibilità conciliativa delle parti, tanto più se si ammette che egli possa avvalersi a tal fine del nuovo istituto della proposta conciliativa. Non va trascurato poi che, di fronte ad una simile prospettiva, l’effettivo esperimento del tentativo di conciliazione giudiziale, in un’apposita udienza, avverrebbe necessariamente in tempi brevi perché, come è possibile constatare nella prassi, solo così avrebbe delle probabilità di successo»[4].

 

2. Ambito applicativo della norma

Le primissime pronunce relative all’art. 185 bis c.p.c. hanno già dettato delle significative (in senso estensivo) indicazioni relative al suo ambito applicativo.

Secondo il Tribunale di Milano[5], innanzi tutto, l’art. 185 bis c.p.c. è norma applicabile ai processi pendenti in applicazione del principio tempus regit actum: infatti,

l’art. 77 del decreto legge 69/2013, che introduce la proposta di conciliazione del giudice, non contempla disposizioni transitorie e il suo regime di efficacia temporale discende dalla norma finale, art 86, per cui il decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione (21 giugno 2013 data di pubblicazione in GU).

Ciò premesso, la stessa pronuncia ha ritenuto che il Giudice sia addirittura tenuto alla proposta conciliativa/transattiva nella fase della trattazione (prima udienza) o nella fase dell’istruzione, ma, esaurita e chiusa l’istruttoria, non sussiste più per il giudice il potere-dovere di formulare una ipotesi conciliativa o transattiva ai sensi e con gli effetti di cui all’art. 185 bis cpc. Questa lettura della norma discende sia dalla sua formulazione letterale (“sino a quando è esaurita l’istruzione” indica esplicitamente come limite dell’attività del giudice di formulare i termini della transazione o della conciliazione quello della fase istruttoria) sia dall’interpretazione logico sistematica, in quanto stabilire il potere dovere del giudice di formulare (non potendo ciò avvenire se non in termini sufficientemente specifici e dettagliati) alle parti una ipotesi conciliativa o transattiva della controversia, in una fase in cui è già chiusa l’attività istruttoria e non resta che rimettere le parti alla decisione, significherebbe imporre al giudice di anticipare esplicitando il contenuto della ipotesi transattiva/conciliativa la sua probabile decisione finale, senza che agli atti possa sopravvenire alcun nuovo elemento istruttorio utilizzabile per la decisione.

Secondo la citata pronuncia, significativamente, la norma in esame configura in capo al giudice - a differenza dell’attività che egli svolge nell’ambito del più generale tentativo di conciliazione delle parti ex art. 185 c.p.c. (che si estrinseca nell’attività del giudice di condurre le parti affinché si scambino, nell’ambito della loro autonomia privata, proposta e accettazione di accordi convenzionali transattivi o conciliativi) - il potere dovere di porre in essere una specifica attività consistente nel farsi promotore del contenuto di una ipotesi conciliativa o transattiva.

Sempre secondo la stessa corte[6], condivisibilmente, il potere del giudice di rivolgere alle parti proposte conciliative  può tenere conto anche di questioni di lite esistenti tra le parti, che non siano oggetto dello specifico processo pendente, anche se siano connesse con lo stesso, di modo che l’assetto conciliativo vada a comporre il conflitto nel suo complesso non limitandosi a definire la singola controversia.

 

3. L’art. 185 bis c.p.c. in alcune delle prime più significative applicazioni giurisprudenziali

Una delle prime pronunce sull’art. 185 bis c.p.c.[7] ha ritenuto che, alla luce della disposizione di cui all’art. 185 bis c.p.c., non esiste una previsione per cui la proposta conciliativa debba essere motivata, bastando che in essa siano indicate alcune fondamentali direttrici che potrebbero orientare le parti nella riflessione sul contenuto della proposta e nella opportunità e convenienza di farla propria, ovvero di svilupparla autonomamente. Sotto tale ultimo profilo, vale a dire la possibilità che le parti, assistite dai rispettivi difensori, possano trarre utilità dall’ausilio, nella ricerca di un accordo, ed anche alla luce della proposta del giudice, di un mediatore professionale di un organismo che dia garanzie di professionalità e di serietà, è possibile prevedere, anche all’interno dello stesso provvedimento che contiene la proposta del giudice, un successivo percorso di mediazione demandata dal magistrato.

Questo provvedimento ha ritenuto che le parti ben potrebbero pervenire ad un accordo conciliativo, considerando i gravosi ruoli dei giudici ed i tempi computati in anni per le decisioni delle cause e rilevando espressamente che una tale soluzione, che va assunta in un ottica non di preconcetto antagonismo giudiziario, ma di reciproca rispettosa considerazione e valutazione dei reali interessi di ciascuna delle parti, non potrebbe che essere vantaggiosa per entrambe, ha assegnato alle parti termine fino alla data dell’udienza per il raggiungimento di un accordo amichevole sulla base di tale proposta, udienza alla quale in caso di accordo le parti potranno anche non comparire; viceversa, in caso di mancato accordo, potranno, volendo, in quella sede fissare a verbale quali siano state le loro posizioni al riguardo, anche al fine di consentire al Giudice l’eventuale valutazione giudiziale della condotta processuale delle parti ai sensi degli artt.91 e 96 III° c.p.c.

Altra pronuncia[8], pur tenendo distinti all’apparenza i due distinti istituti, ne ha fatto un’applicazione per così dire simultanea, assegnando alle parti un termine fino ad una certa data per il raggiungimento di un accordo amichevole sulla base della proposta giudiziale e prevedendo che dalla eventuale infruttuosa scadenza del suddetto termine, sarebbe decorso un ulteriore termine di quindici giorni per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di mediaconciliazione, con il vantaggio di poter pervenire rapidamente ad una conclusione, per tutte le parti vantaggiosa, anche da punto di vista economico e fiscale, della controversia in atto.

Anche questa pronuncia, come altre[9], ha confermato la necessità che il rifiuto della proposta giudiziale dovrà essere adeguatamente motivato, al fine di ridurre il rischio di incorrere in condanne ex artt. 91 e 96 c.p.c. e riteniamo che, alla luce di questo principio emergente in varie pronunce, sarà opportuno che tale motivazione sia comunque esplicitata dai legali delle parti anche in assenza di un esplicito invito del giudice in sede di redazione della proposta.

 

4. Conclusioni

In via conclusiva, si rileva pure che l’istituto esaminato, assieme alla mediaconciliazione delegata si ricollegano, in quanto alla ratio di fondo, anche alla prassi (sempre più diffusa, in svariati tribunali) di conferire incarico al ctu, oltre che di rispondere a specifici quesiti tecnici, di cercare una soluzione bonaria della vertenza anche alla luce delle risultanze peritali, prassi che si ricollega anche al disposto dell’art. 696 bis c.p.c., regolante la consulenza tecnica preventiva finalizzata alla composizione della lite.

Si tratta senza dubbio di molteplici strumenti a disposizione del giudice, tutti volti ad incentivare la composizione bonaria delle vertenze sulla base, però (a differenza da quanto accade nella mediaconciliazione preventiva), di una situazione processuale ed istruttoria molto più avanzata e quindi più definita e delineata nei suoi termini, tale pertanto da rendere anche più agevole una valutazione completa delle rispettive posizioni delle parti e quindi della convenienza od opportunità di chiudere la lite prima della decisione del giudice.

In questa prospettiva, molto interessante appare la prassi virtuosa, cui si accennava, di incaricare il ctu di operare una proposta conciliativa. Infatti egli, sulla base delle risultanze tecniche emerse dagli accertamenti peritali, è in grado di disporre degli strumenti per ipotizzare una definizione della vertenza basata su dati oggettivi, il che ha una fondamentale importanza in cause “tecniche”, quali quelle edilizie o simili: in esse, certamente, è molto più agevole per il ctu, che per il giudice, delineare i termini di una proposta ex art. 185 bis. Va da sé che, però, resta un certo margine di dubbio se la proposta del ctu possa avere in tale eventualità lo stesso valore, ai fini di cui all’art. 185 bis c.p.c., di quella fatta dal giudice (il quale, forse, potrebbe esplicitarlo in sede di redazione del quesito e di conferimento dell’incarico per fugare ogni dubbio)[10].

Riteniamo, invece, certamente meno interessante sul piano applicativo la mediaconciliazione delegata da attuarsi in uno stato avanzato della lite, soprattutto se l’istruttoria sia stata esaurita, in quanto essa si insinua in una causa già ormai avviata alla decisione e quindi in cui si può prescindere ben poco dallo stato degli atti: il media conciliatore, che non può diventare in alcun caso un giudice, ha ed avrebbe minore campo di azione, come si è detto anche nel paragrafo 1.

Si rileva, infine, che, al di là dell’apparente innovatività dell’art. 185 bis, c.p.c., tale norma sembra richiamare la conciliazione già esistente nel rito del lavoro, con la differenza che la proposta del giudice può essere fatta in qualsiasi momento del giudizio, purché non sia ultimata l’istruttoria, mentre l’art. 420 c.p.c., riserva il tentativo di conciliazione alla prima udienza e lo rivolge non agli avvocati difensori (come accade nell’art. 185 bis), ma alle parti, comparse personalmente in udienza. Quest’ultima caratteristica ne potrebbe senza dubbio limitare la concreta operatività pratica, sminuendo l’incisività della proposta, sicuramente maggiore se rivolta direttamente alle parti in giudizio e d’altronde il legislatore avrebbe potuto ben modificare il già presente art. 185 o, diversamente, ritornare al vecchio art. 183 c.p.c., ricorrendo ad un interrogatorio libero delle parti disposto dal giudice a seguito del quale il giudice stesso avrebbe potuto formulare la proposta. Insomma, una modifica legislativa apparentemente innovativa, ma che in realtà appare un significativo miscuglio tra rivisitazione di istituti già esistenti e riesumazione di istituti non più in vigore, dei quali si era da tempo dubitata l’effettiva utilità[11].



[1] Francesco Toschi Vespasiani è avvocato in Firenze; Franco Pagani è vice presidente nazionale dell’Associazione dei Periti e degli Esperti - istituto per la tutela e la qualità della consulenza giudiziaria.

[3] Secondo Trib. Milano, sez. IX civile, ord. 29.10.2013, la modifica normativa ha previsto la possibilità per il giudice (anche di appello) di disporre l’esperimento del procedimento di mediazione (cd. mediazione ex officio) a prescindere dall'elenco delle materie sottoposte alla cd. mediazione obbligatoria di cui all'art. 5 comma I-bis e quindi può ricadere anche su controversie aventi ad oggetto il recupero di un credito rimasto insoddisfatto. Anche per la mediazione ex officio è vincolante la previsione di cui al novellato art. 4 comma III d.lgs. 28/2010: la domanda di mediazione, pertanto, va presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia, disposizione, secondo il Giudice, derogabile con l'accordo delle parti (che pertanto potranno rivolgersi con domanda congiunta ad altro organismo scelto di comune accordo). Pur essendo onerato l'appellante (in caso di giudizio di appello), non è escluso «che la domanda possa essere presentata anche dall’appellato; in quel caso, al cospetto eventuale di più domande di mediazione, la mediazione deve essere svolta dinanzi all’organismo adito per primo, purché territorialmente competente (art. 4 comma III cit.). La domanda di mediazione presentata unilateralmente dinanzi all’organismo che non ha competenza territoriale non produce effetti».

[4] VACCARI, op. cit., loc. cit.

[5] Trib. Milano, sez. X civ., ord. 4 luglio 2013 (Est. Amina Simonetti), in www.ilcaso.it.

[6] Trib. Milano, sez. IX civ., decr. 14 novembre 2013 (Pres. Rel. N. Dell’Arciprete), www.magistraturademocratica.it.

[7] Trib. Roma, 23 settembre 2013, in Osservatorio Mediazione Civile n. 74/2013,  www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com

[8] Trib. Roma, ord. 30 settembre 2013, dott. Moriconi, in G.dir., 2013, 45, ins. III.

[9] Cfr. ad es. Trib. Nocera, sez. I, dott. Levita, 27 agosto 2013, in Dir.&Giust., 2013, 2.

[10] In ogni caso, stante la funzione del ctu, si ritiene più idonea ed utile, una sua attività nella veste di facilitatore della soluzione conciliativa piuttosto che un suo intervento propositivo.

[11] GRECO, Proposta di conciliazione del giudice: come cambia la prima udienza civile (art. 185 bis), in www.laleggepertutti.it.



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