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Il Caso.it, Sez. Articoli e Saggi - Data pubblicazione 17/12/2013 Scarica PDF

Il punto sulle principali novità della mediaconciliazione riformata anche alla luce della circolare ministeriale del 27 novembre 2013

Francesco Toschi Vespasiani e Franco Pagani, Francesco T. Vespasiani, avvocato in Firenze. Franco Pagani, vice presidente nazionale dell’Associazione dei Periti e degli Esperti


La circolare del Ministero della Giustizia del 27 novembre 2013, prot. n. 168322, ha chiarito alcuni dubbi sulle modifiche, introdotte dall’art. 84 del d.l. 21 giugno 2013 n.69, convertito dalla legge 9 agosto 2013 n.98, al testo originario del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, che regolamentava l’istituto della mediaconciliazione, sul quale era intervenuta la Corte Costituzionale con la nota sentenza 272/2012, che aveva sancito l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, D.Lgs. n. 28/2010 per eccesso di delega legislativa, sostanzialmente per quanto riguardava l’obbligatorietà della domanda di mediaconciliazione per certe materie.

Intendiamo con il presente lavoro offrire una riflessione di sintesi sui principali contenuti della circolare e con essa sulle principali novità dell’istituto della mediaconciliazione, introdotte con le suddette riforme legislative.

   

1. L’indennità dovuta per primo incontro di mediazione e le spese di avvio del procedimento 

Una delle principali censure mosse all’istituto della mediaconciliazione per come originariamente regolato, oltre alla sua obbligatorietà, era proprio il fatto che anche in caso di mancato raggiungimento di un accordo conciliativo, vi fossero da pagare importi molto rilevanti e che ciò aggravasse in modo eccessivo l’accesso alla giustizia ordinaria.

In questa ottica, è da salutarsi con favore la recente riforma, ed il richiamo del Ministero al suo rigoroso rispetto da parte degli organismi di mediazione, secondo la quale nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione.

Resta da chiarire come debba essere interpretato il riferimento al termine “compenso” di cui alla suddetta modifica normativa, in difetto di espressa indicazione del legislatore.

Orbene, la previsione in questione va letta alla luce delle disposizioni anteriormente vigenti e, in particolare, con l’art. 16, comma 1, D.M. 180/2010, secondo cui “l’indennità comprende le spese di avvio del procedimento e le spese di mediazione” ed il successivo comma 10, per il quale “le spese di mediazione comprendono anche l’onorario del mediatore per l’intero procedimento di mediazione”.

Come è già stato chiarito dalla circolare 20 dicembre 2011, le spese di avvio, stabilite in misura fissa ed unitaria, riguardano le spese dell’organismo per potere avviare il procedimento di mediazione: ricezione della istanza, visione da parte della segreteria, fascicolazione e registrazione, comunicazione all’altra parte dell’inizio della procedura e così via. Si tratta, dunque, delle spese relative all’attività di segreteria necessarie a preparare quella di mediazione vera e propria svolta dal mediatore, attività, quest’ultima, invece, remunerata con un onorario spettante al mediatore stesso.

Il riferimento al termine “compenso” lascia intendere che il legislatore abbia inteso aver riguardo al corrispettivo per una prestazione professionale e quindi riferirsi all’indennità del mediatore nell’ambito della vera e propria mediaconciliazione, ma non anche alle spese di avvio del procedimento, che devono continuare ad essere corrisposte.

Di ciò si ricava conferma anche dal fatto che la riforma del 2013 prevede un primo incontro di mediazione preparatorio all’attività vera e propria di conciliazione, finalizzato più che altro a far sì che il mediatore chiarisca alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione, invitando le parti ed i loro avvocati ad esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procedere con lo svolgimento della stessa.

In sostanza, si prefigura un primo incontro introduttivo alla vera e propria attività di conciliazione che inizia dopo, ed all’esito dello stesso e per la quale non si può richiedere un compenso, nel caso in cui essa mai inizi.

All’atto pratico, quindi, sono dovute per il primo appuntamento solo le spese di avvio del procedimento, determinate in misura fissa di euro 40,00 (art. 16, comma 2 del D.M. sopra citato), se le parti non intendano procedere oltre nella mediazione.

La debenza scatta a carico di tutte e due le parti: della parte invitante al momento del deposito della domanda di mediazione e della parte invitata, quando aderisce o partecipa al primo incontro. La parte invitata deve pagare tale somma a fronte del suo intervento alla prima sessione col mediatore, ma nulla dovrà se non partecipa nemmeno all’incontro stesso.

Infine, in caso di mancata comparizione della parte che ha introdotto la conciliazione, nulla potrà essere richiesto all’invitata, regolarmente presentatasi, dal momento che in tale eventualità il primo incontro non ha luogo proprio per l’assenza della parte invitante[2].

   

2. La competenza territoriale dell’organismo di conciliazione.

Un altro passo della riforma del 2013 chiarisce quale sia il critierio di individuazione territoriale dell’organismo di conciliazione competente, questione non chiarita dalla normativa previgente.

Secondo l’attuale tenore dell’art 4 comma 1 d.lgs. 28/2010, come recentemente modificato, la domanda di mediazione va presentata mediante deposito di un'istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. In caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all'organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data del deposito dell'istanza. 

Appare giusta la scelta di collegare la competenza territoriale dell’organismo di mediaconciliazione a quella prevista per la giurisdizione ordinaria, in quanto consente non soltanto di indicare un agevole criterio obiettivo di individuazione della competenza, ma ancor più perché evita eventuali pratiche scorrette dirette ad introdurre procedimenti di mediazione in luoghi lontani dall’eventuale residenza del consumatore, o comunque disagevoli, al fine di rendere più difficile la partecipazione alla procedura di una delle parti.

Resta fermo che la domanda di mediazione deve essere presentata presso un organismo di mediazione accreditato che abbia la propria sede principale o secondaria nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia che si intende proporre, potendosi quindi tenere conto sia della sede principale, sia delle sue sedi secondarie che si trovino nell’ambito di qualunque comune della circoscrizione del tribunale territorialmente competente. Ovviamente, le sedi devono essere individuate in modo esatto, partendo dai dati che l’organismo prescelto deve avere comunicato al Ministero, mediante la compilazione e trasmissione dell’apposita modulistica e che siano stati, quindi, regolarmente iscritti all’esito della comunicazione[3].

Infine, è importante precisare che il procedimento può essere radicato anche presso eventuali sedi secondarie, a patto che le stesse siano effettivamente organizzate in modo tale da poter assicurare un servizio efficiente e stabile[4].

   

3. Avvocati e procedimento di mediazione

L’art. 16, comma 4 bis del d.lgs. 28/2010 come modificato dal decreto legge 69/2013 (c.d. decreto “del fare”)[5] ha inserito l’innovativa previsione per cui non soltanto gli avvocati iscritti all’albo sono di diritto mediatori, ma anche che, nelle controversie riguardanti le materie elencate (in cui il preventivo esperimento del tentativo di mediaconciliazione è obbligatorio), chi intende agire in giudizio deve preliminarmente esperire il procedimento di mediazione assistito da un avvocato[6].

Quanto alla prima previsione normativa, va rilevato che essa indubbiamente facilita l’accesso degli avvocati allo svolgimento del munus di mediatore, anche se resta fermo che essi possano esercitare la funzione di mediatore solo all’interno di un organismo di mediazione[7].

Molto importante è la previsione della necessaria assistenza dell’avvocato, introdotta su pressione della classe forense e da salutarsi con plauso, in quanto assicura una più idonea tutela del diritto costituzionale di difesa (art. 25 Cost.), grazie alla presenza di un legale che assista la parte nel procedimento, analogamente a quanto avviene nel giudizio ordinario.

E’ bene precisare che, secondo la lettura data dalla recentissima circolare ministeriale, l’assistenza obbligatoria dell’avvocato è prevista soltanto nelle ipotesi di mediazione obbligatoria (ivi compresa quella disposta dal giudice ex art. 5 comma 2), ma non anche nelle ipotesi di mediazione facoltativa[8].

Non è da trascurare l’ulteriore novità contenuta nell’art. 16 d.lgs. 28/2010, secondo cui, in tema di obblighi formativi, “gli avvocati iscritti ad organismi di mediazione devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici a ciò finalizzati, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 55 bis del codice deontologico forense”[9].

Appare evidente che, alla luce di una lettura globale della riforma e degli elementi esaminati sin qui nel presente scritto, possa senza dubbio concludersi che l’avvocato-mediatore sia comunque tenuto ad evitare pericoli di sovrapposizione tra l’esercizio della professione forense e lo svolgimento dell’attività di mediatore, garantendo uno svolgimento del tutto imparziale dell’attività di mediaconciliazione. Una simile indicazione di fondo si può agevolmente ricavare da tutta la disciplina esaminata, ed anche dalla lettura dell’art. 55 bis comma 4 del codice deontologico forense, secondo cui: “E’ fatto divieto all’avvocato consentire che l’organismo di mediazione abbia sede, a qualsiasi titolo, presso il suo studio o che quest’ultimo abbia sede presso l’organismo di mediazione”.

Non v’è dubbio, quindi, che – anche se non si arriva al punto di vietare all’avvocato lo svolgimento del munus di mediatore nell’ambito della circoscrizione del consiglio dell’ordine di appartenenza – il dovere di imparzialità sia particolarmente importante, come prescrive già l’art. 14 del d.lgs. 28/2010 che obbliga il mediatore stesso a firmare una dichiarazione di imparzialità e ad informare immediatamente l'organismo e le parti delle ragioni di possibile pregiudizio all'imparzialità nello svolgimento della mediazione. Imparzialità che riguarda non solo l’attività dell’avvocato-mediatore (rectius, del mediatore in generale a prescindere dalla sua qualifica professionale)”, ma anche lo stesso organismo di mediazione, sul che la circolare in commento pone un accento ed un’attenzione molto marcati.

   

4. Le convenzioni stipulate dall’organismo di mediazione

Si colloca nell’ottica appena accennata anche un passaggio della circolare in commento che riguarda eventuali convenzioni od accordi, stipulati tra l’organismo di mediazione e le parti o i loro patrocinatori, volte a stabilire forme di agevolazioni – o sconti in materia di compensi economici – a favore di una soltanto delle parti in mediazione, ovvero dei loro patrocinatori.

Si tratta di contratti che potrebbero incidere sull’immagine di imparzialità dell’organismo di mediazione, proprio a causa della disparità di trattamento economico cui le parti in mediazione vengono assoggettate ed anche dell’instaurato vincolo giuridico, stabile e continuativo, tra l’ente e i suoi aderenti.

Per questo motivo, tali convenzioni devono ritenersi estranee allo spirito della riforma e comunque dello stesso istituto della mediaconciliazione, e quindi non consentite, salvo che eventuali agevolazioni, o sconti, siano attuati nei confronti di tutte le parti in mediazione.

In quest’ottica, devono ritenersi vietate le convenzioni, in forza delle quali l’organismo di mediazione assuma l’obbligo di erogare quote di emolumenti in favore di enti o associazioni, il cui ammontare è calcolato in percentuale del volume di affari che gli aderenti a quella associazione - quali parti della mediazione, ovvero come patrocinatori di esse - sono stati in grado di sviluppare in un determinato periodo di tempo in favore dell’organismo.

 

5. Il verbale di conciliazione nelle cause di usucapione

Un’altra rilevante modifica introdotta dalla riforma, va invece a toccare non l’impianto del d.lgs. 28/2010, ma l’art. 2643 c.c., prevedendo espressamente l’aggiunta di un nuovo numero 12-bis, secondo cui sono soggetti a trascrizione, d’ora in poi, anche: “gli accordi di mediazione che accertano l'usucapione con la sottoscrizione del processo verbale autenticata da un pubblico ufficiale a cio' autorizzato».

La riforma introduce la possibilità di ricorrere alla mediaconciliazione anche per comporre bonariamente vertenze di usucapione di beni immobili, bastando all’uopo l’autentica delle firme del verbale da parte del pubblico ufficiale (notaio) e senza bisogno di ripetere l’accordo già assunto in separata e successiva forma notarile.

L’intervento normativo sicuramente risolve in modo definitivo un dibattito aperto, che vedeva contrapposti due opposti orientamenti: l’uno, secondo cui il verbale di conciliazione è un accordo privato, un negozio di accertamento senza effetti costitutivi, che quindi non può essere trascritto, non potendo avere efficacia erga omnes[10], l’altro, minoritario, ma ora recepito dal legislatore, secondo cui il verbale conciliativo è trascrivibile in quanto dall’accordo amichevole di accertamento della maturata usucapione consegue un effetto modificativo di preesistenti situazioni giuridiche soggettive, perché l’accordo amichevole in questione comunque rientra nella previsione dell’art. 2643 n.13 c.c. possedendo tutti i requisiti richiesti dall’art.1965 c.c. ai fini della sua qualificazione come transazione; la parte si vede quindi trasferito il benea titolo derivativo in ragione del verbale di mediazione, operante comunque quale transazione ex art. 2643 n. 13 c.c. (nella sua versione ante riforma)[11].

 

6. Conclusioni

Gli interventi riformatori, recettivi di varie istanze provenienti dall’avvocatura, se da un lato possono, come si è detto, essere salutati con favore, dall’altro lato mutano non poco, almeno in astratto, i connotati dell’istituto della mediaconciliazione.

Innanzi tutto si dà molta importanza al primo incontro, nel quale lo stesso mediatore compie una valutazione, con le parti, sulla possibilità di proseguire il procedimento, compiendo una valutazione “sostanzialmente arbitrale”, per così dire, ma basata su valutazioni molto sommarie, anzi, quasi sempre incomplete, sol che si consideri che in sede di mediaconciliazione le parti si limitano ad un’esposizione sommaria dei fatti e delle rispettive posizioni, ed a qualche produzione documentale, offrendo quindi soltanto un quadro incompleto della situazione contenziosa.

Inoltre, l’assistenza dei rispettivi legali delle parti al procedimento di mediazione ne muta in modo considerervole la natura e soprattutto l’impatto, contribuendo a spostare molto l’istituto di cui si tratta verso una forma di “negoziazione assistita”, di transazione, che lo avvicina all’esperienza del tentativo di conciliazione giudiziale già esistente e previsto dall’originaria versione dell’art. 183 c.p.c.; ciò, con la differenza che il giudice dispone solitamente di elementi più completi e compie comunque una qualche valutazione giuridica (anche se sommaria) delle posizioni delle parti, al fine di orientarle verso una transazione.



[1] Francesco Toschi Vespasiani è avvocato in Firenze; Franco Pagani è vice presidente nazionale dell’Associazione dei Periti e degli Esperti - istituto per la tutela e la qualità della consulenza giudiziaria.

[2] Si ricorda che, in tal caso, secondo la circolare della direzione generale ministero della giustizia, 20 dicembre 2011, le eventuali spese vive dovranno essere corrisposte, purchè documentate dall’organismo di mediazione.

[3] Si segnala che la compilazione e trasmissione può avvenire al momento della richiesta di iscrizione al registro degli organismi di mediazione ovvero in un momento successivo, restando comunque necessaria l’adozione, dal ministero, del provvedimento di iscrizione ovvero di modifica di esso in relazione ad ogni eventuale successiva richiesta di integrazione delle sedi.

Va inoltre ricordato, per completezza, che la stessa riforma del 2013 prevede una forma di monitoraggio degli esiti della sperimentazione sull’impatto della mediaconciliazione, da parte del Ministero, quindi tutti gli organismi di mediazione saranno tenuti alla stretta osservanza degli obblighi di comunicazione dei dati statistici relativi all’attività di mediazione svolta, entro i termini, con la periodicità e secondo le modalità previsti da apposite circolari emesse dalla competente Direzione Generale di Statistica del Ministero della Giustizia e pubblicate sul sito internet del Ministero. La mancata osservanza del dovere di comunicazione sarà assunta come elemento sintomatico della inattività dell’organismo, ovvero comunque della sua incapacità a garantire uno ‘standard’ minimo di efficienza, fermo restando in ogni caso che il responsabile dell’organismo iscritto è obbligato a comunicare immediatamente tutte le vicende modificative dei requisiti, dei dati e degli elenchi comunicati ai fini dell’iscrizione, compreso l’adempimento dell’obbligo di aggiornamento formativo dei mediatori iscritti negli elenchi.

[4] Questione non di poco momento, attesa l’estrema prolificazione di organismi a cui ha fatto seguito un fenomeno esponenziale di sedi secondarie in ipotesi non tutte debitamente ed adeguatamente strutturate per assolvere alle funzioni previste.

[5] Convertito in legge 98 del 09 agosto 2013.

[6] Obbligo di assistenza del legale introdotto nella legge 98/2013, di conversione del Dl 69/2013.

[7] Infatti, non solo i mediatori non possono percepire compensi direttamente dalle parti, ma anche in quanto tutta la normativa è affidata sul ruolo essenziale dell’organismo di conciliazione quale ente assoggettato ad un sistema di controlli e responsabilità.

[8] La circolare precisa che il nuovo testo dell’art. 12, comma 1, espressamente configura l’assistenza legale delle parti in mediazione come meramente eventuale ( “ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato…”), dal che viene desunta la necessità dell’assistenza legale nei soli casi di mediazione obbligatoria, nella mediazione c.d. facoltativa le parti possono partecipare senza l’assistenza di un avvocato. Naturalmente, nell’ambito della mediazione facoltativa, le parti possono in ogni momento esercitare la facoltà di ricorrere all’assistenza di un avvocato, anche in corso di procedura di mediazione, anche solo nella fase finale della mediazione e che, quindi, i legali possano, ad esempio, intervenire per assistere le parti nel momento conclusivo dell’accordo di mediazione, pure al solo fine di sottoscriverne il contenuto e certificarne la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico.

[9] Gli obblighi di formazione e aggiornamento per il mediatore avvocato devono, quindi, avvenire nell’ambito dei percorsi formativi professionali forensi, organizzati dal consiglio nazionale forense e dagli ordini circondariali dall’art. 11 legge 31 dicembre 2012 n. 247.

[10] Cfr., Trib. Roma, 8 febbraio 2012, su www.ilcaso.it e Trib. Roma, 22 luglio 2011, www.altalex.com; Trib. Varese, 20 dicembre 2011, su www.ilcaso.it.

[11] Trib. Como, Sez. dist. Cantù, 2 febbraio 2012, su www.diritto.it.


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